"Gli appassionati si chiederanno dov'è la batteria", disse Elvis Costello alla presentazione del suo sedicesimo (raccolte escluse) Lp, The Juliet Letters, accolto dalla stampa anglosassone in maniera discorde ("Eccellente" per l'"Independent", "Un gesto disperato" per il "Daily Telegraph"). E dove sono la chitarra, la tastiera e il basso? Si sono poi chiesti gli stessi appassionati, una volta ascoltate queste raffinatissime venti canzoni incise con l'"imperfezione" del sistema digitale, preferito a quello analogico per creare più di un sound da sala teatrale che non da asettico studio da registrazione. E per dare una parvenza "easy" a un genere che il piu' delle volte è easy solo a quelle orecchie impassibili ai volumi degli Stones o di Hendrix, ma pronte a dipanare il labirinto uditivo come un tappeto rosso perchè i pizzicati di Bartok, o gli inesorabili minori di un Mozart, possano scivolare, e poi rimbalzare piu' volte, sul timpano.
Elvis Costello, uno dei più fervidi compositori inglesi, all'anagrafe Declan McManus (nome che oggi sfrutta come pseudonimo per pubblicare inosservato), era già da circa quattro anni che si aggirava nei meandri delle armonie classiche. Ai tempi di Mighty like a rose, di due anni fa, dichiarò che tra i cinque dischi da portare sulla fantomatica isola deserta ci avrebbe inserito i quartetti di Beethoven e il Didone ed Enea di Purcell. Poi le corse per andare ai concerti della soprano Cecilia Bartoli. Poi il Brodsky Quartet, la formazione classica di Middlesborough, amatissima dalla working class inglese perchè con una presenza scenica da film di Peter Greeneway non solo interpreta la musica, ma la rappresenta con astuta eleganza.
Coincidenza del caso volle che questo sconfinamento di territorio avvenne mentre agli stessi Brodsky capitò di seguire alcuni concerti di Costello in teatro e di rimanere affascinati dalla sua sensibilità melodica e dalla sua intelligenza pop, capace di rielaborare, ironicamente, elementi di rock, blues, soul, jazz e rockabilly.
Gli artisti per un po' si inseguono. Si conoscono. Il risultato di questa curiosità reciproca è The Juliet Letters, l'album che con ogni probabilità venderà meno tra quelli del trentottenne Costello, ex programmatore di computers, cresciuto artisticamente nella Liverpool degli anni Settanta che aveva ancora i Beatles nel cuore, ma che trovò un nuovo inno generazionale in Sex, drugs and rock and roll di Ian Dury. Si tratta di un album certamente poco vendibile e che non si può considerare ne' un disco di rock contaminato dal genere classico nè il lavoro di un rocker semplicemente supportato da un quartetto anzichè dalla sua band, gli Attractions. E' un 33 di impostazione classica, dove la voce "ispida" e bassa di Costello realizza il quintetto. L'impatto al primo ascolto e' duro. Ma il genere e' così dissimile dal solito Elvis, fin troppo eclettico in certi album - in Spike dell'89, per esempio - che sentendolo non da' l' impressione che manchi qualcosa, la sezione ritmica o elettrica. Dà piuttosto la senzazione di essere qualcosa di piacevolmente diverso, adottato non per complicare un linguaggio ma per illuderne il limite. Come del resto Costello aveva fatto spaziando nei vari generi del popular, conquistandosi poi la fama di "re del kitsch".
"Non e' poi tanto sorprendente il mio incontro con dei musicisti classici", dice Costello alla presentazione dell'album. "Esprimono le stesse mie idee usando un vocabolario e una sitassi diversa. Condividiamo parte del vocabolario con significati diversi in contesti diversi. Ho dovuto imparare, ma anche i Brodsky hanno dovuto prestare attenzione a imparare nuove cose da me". Questo album segna forse l'inizio della fine della sua vena di rocker? No, ma il signor Mc Manus ha spiegato il motivo del suo attuale impaccio nei confronti del rock. "Sento ripetere sempre piu' spesso: "questo disco è fantastico, lo metto come sottofondo". Pauroso".
E alla musica insolita, si accompagnano testi strutturati diversamente dalla classica forma canzone. I brani, che si potranno ascoltare dal vivo il 3 marzo a Roma e il 4 a Milano, sono delle vere e proprie lettere. "Mia moglie Kait (ex bassista dei Pogues) mi segnalò una piccola notizia, apparsa su un quotidiano, di un professore veronese che si era preso l'impegno di rispondere alle lettere indirizzate a Giulietta Capuleti, impegno portato avanti finchè la stampa non scoprì e pubblicò questa corrispondenza segreta".
E' con queste lettere - d'amore, di amicizia, di addio - che Costello, più che cantando, declamando, ricerca un'autenticità e una spontaneità lessicale che spesso nelle canzoni è sacrificata a favore della musica. C'è dell'intenzione rock, dunque. Ma "not only for fun".
di Elena Baroncini (Il Sole 24 Ore, 28/02/1993)
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