Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, maggio 13, 2006

Roland de Candè: Preludio al Dizionario di Musica

Chi sfogliasse distrattamente queste pagine non vi vedrebbe che un dizionario tascabile; mi auguro che non si lasci ingannare dall'apparenza della classificazione alfabetica. Non abbia timore di perdersi in un labirinto di definizioni date a mezzo dei contrari, né di trovar ostacoli nel mutismo ironico delle radici greche o latine; ma non s'aspetti da quest'opera l'abbondante superfluo con cui non pochi dizionari postulano la dignità enciclopedica.
Lungi dal voler dare una risposta «de omni re scibili et quibusdam aliis», ho cercato, al contrario, in uno spirito di sintesi, di riunire i dati essenziali del sapere musicale in qualche articolo principale, cui rinviano articoli secondari, il tutto a formare quell'insieme di conoscenze che possono essere utili a ogni persona che ami la musica.
Numerosi esempi (illustrazioni, citazioni musicali e precisi riferimenti a dischi selezionati) renderanno, spero, più familiari nozioni circondate da un'aureola di mistero, chiarendo alcune definizioni tradizionalmente o necessariamente sibilline. In questo modo il lettore capirà in poco tempo che cos'è esattamente una FUGA o una SONATA e quel che s'intende per ANTICIPAZIONE o APPOGGIATURA. L'ascolto dei dischi raccomandati lo aiuterà nella comprensione delle nozioni rimaste ancora confuse e una lettura più attenta dei paragrafi principali di ogni rubrica gli consentirà di fondare su basi più solide la propria concezione dell'universo sonoro. Quanto al brillante intenditore, che diagnostica con disinvoltura una FALSA RELAZIONE in una partitura complicata, o la mancanza di un COMMA in un unisono approssimativo, troverà forse in queste pagine il piacere di consolidare una scienza esitante. E' un complemento d'informazione necessario che vorrei tentare di dargli.
Questo libro si rivolge a tutti i musicofili o dilettanti di musica, ai collezionisti di dischi e agli allievi musicisti che desiderino conoscere i segreti della più misteriosa fra le arti, con il solo fine di trovare nuove profonde soddisfazioni nelle loro sorprendenti scoperte.
Poiché la musica è un'arte meravigliosa in cui perfino i piú assuefatti professionisti trovano a ogni età nuove emozioni, motivi di stupore e ragioni d'apprendere.
Immateriale, o quasi, quest'arte è nondimeno piú diretta e penetra in noi piú profondamente delle altre. Ma nessuna teoria scientifica ha potuto ancora dimostrare come e perché. La scienza cerca di misurare fenomeni di piccolissime proporzioni con strumenti che l'udito sovente supera in sensibilità, se non in esattezza, rendendo quindi necessario quasi sempre il controllo auditivo. La fisiologia e la fisica sono incapaci di spiegare alcune particolarità dell'ascolto; nessuno scienziato soprattutto, è mai riuscito a dimostrare i rapporti di causa ed effetto che provocano l'emozione musicale e i filosofi hanno invano cercato nella natura segreta del Bello i fondamenti essenziali della sua legittimità.
Non si «capisce» la musica come si capisce l'inglese o il tedesco; nessuno la comprende in questo modo. Tutt'al piú si capiscono le leggi dell'acustica, quelle del contrappunto, dell'armonia ecc.... o, piú esattamente, s'imparano. Ma tutto ciò non è la musica: la musica è fra le note. Per questo è così difficile darne una definizione adeguata. I piú grandi ingegni lo hanno tentato, piú o meno senza riuscirvi:
  • La musica è la scienza dell'ordine in ogni cosa (i Pitagorici).
  • La musica è l'arte dei movimenti ben eseguiti (Sant'Agostino).
  • La musica è la scienza del numero rapportata ai suoni (J. de Garlande, XIII secolo).
  • La musica è un esercizio d'aritmetica segreta e colui che vi si dedica ignora di servirsi dei numeri (Leibniz).
  • La musica è l'arte di combinare i suoni in modo piacevole per l'orecchio (J.-J. Rousseau): definizione adottata dal «Petit Larousse».
  • La musica è una rivelazione piú alta della scienza è della filosofia (Beethoven).
  • La musica è l'immagine adeguata della Volontà stessa (Nietzsche).
  • La musica è innanzi tutto un'arte d'espressione profonda e sublime (Paul Dukas).
  • La musica, a cagione della sua essenza lente a «esprimere» alcunché (Strawinsky)
  • La musica è il solo dominio nel quale l'uomo realizza il presente (Strawinsky)
E' sorprendente che nessuno si sia presto stancato di cercare una definizione impossibile! Mi stupisce anche l'importanza che il profano (raramente l'amatore illuminato) annette in musica al fatto d'«intendersene»: ci si può commuovere senza particolari conoscenze, davanti a un bel paesaggio di montagna! Ma di che cosa poi, esattamente, si vuole avere una «competenza»? Si tratta di acquisire un vocabolario da conversazione o una conoscenza completa della tecnica e della storia musicali? Si vuole poter accompagnare un cantante, assumersi il compito della REALIZZAZIONE di un basso continuo, decifrare una partitura (o accarezzarla con gli occhi), comporre una fuga in meno di un'ora, o sapere a memoria le date di nascita e di morte di tutti i grandi musicisti, nonché l'elenco delle loro composizioni principali?
"Intendersene" può assomigliare a tutto ciò, ma «intendere», capire, la musica è tutt'altra cosa. E poiché è dimostrato, che non la si può capire, «intendere» la musica significa amarla... ; amarla a forza d'ascoltarla, se non si ha la fortuna di praticarla. Sempre più numerosi sono coloro che ascoltano la musica, si direbbe, a lume di naso o con gli occhi: bisogna ascoltarla con gli orecchi. La lettura della partitura (per chi s'interessa a questa pratica) deve venire in un secondo momento: non può risultare utile che a questa condizione e con la riserva di non attribuirvi più efficacia di quanta ne abbia. La partitura non è la musica; è una rappresentazione grafica, una NOTAZIONE, è quel che sarebbe una carta idealmente particolareggiata in rapporto a un bel paesaggio.
Nell'incapacità in cui ci troviamo di cogliere la musica nelle trame della ragione, e poiché occorre dar meno importanza alla scienza che all'amore dell'arte, perché, si dirà, si sono pubblicati questo libro e tanti altri, perché proseguirne la lettura, a qual scopo si costituirebbero le basi di ciò che si è convenuto chiamare «una buona cultura musicale»?
Innanzi tutto per soddisfare la legittima curiosità che si prova nei confronti di ciò che si ama; senza di che lo spirito, frustrato, è distolto dalla salutare applicazione che potrebbe riservare all'oggetto amato. Ma si deve anche conoscere ciò di cui si parla per rispetto di se stessi e degli altri. Ora, la totale assenza di cultura musicale ci espone, durante una conversazione sulla musica, al rischio di usare una parola per un'altra, ciò che è scorretto, perlomeno quanto essere in ritardo a un appuntamento. Conoscere il nome di un oggetto e chiamarlo in modo appropriato sarà pur sempre un indizio d'intelligente correttezza.
Alcune improprietà di linguaggio sono consacrate dall'uso, al punto che è impossibile liberarsene: che siano almeno commesse con cognizione di causa. Cosí, per esempio, si suol dire di un suono che è «alto» o «basso» secondo la grandezza. del numero che indica la sua frequenza. E' evidente che un suono non ha altezza. Gli aggettivi alto e basso si applicano, in buona lingua, a oggetti piú o meno lontani dal centro della terra: e basta. Sulla tastiera di pianoforte i suoni acuti sono a destra; sul violoncello, lo strumentista è obbligato a scendere con la mano sinistra per produrli. Se è vano voler riformare un modo d'esprimersi inveterato, bisogna almeno saperne riconoscere l'assurdità, per non prendere sul serio quella sorta d'ingenuità di cui si fa beffe Berlioz in A' travers chants: «Ho notato una volta in un'opera una scala discendente vocalizzata, una "roulade" (gorgheggio), su queste parole: Je roulais dans l'abìme, il cui proposito imitativo è dei piú ameni».
In cosa consiste una giusta cultura musicale? Ci sono non pochi modi di rispondere a questa domanda, pur senza dover stabilire norme assolute, dato che l'autorità non ha posto nelle questioni affettive... Si può soltanto immaginare una forma ideale di cultura musicale, che riunisca armoniosamente cinque elementi principali:
  1. Filosofia generale della musica. Dopo aver preso in esame il maggior numero possibile di definizioni, si mediti sull'essenza della musica, su ciò che principalmente la distingue dalle altre arti e, di conseguenza, su quanto vi è di comune fra un MOTETTO medioevale, una CANTATA di Bach, una SINFONIA romantica, un VALZER di Strauss, un canto del folklore africano, ecc. Questa meditazione verrà opportunate stimolata dalla lettura di testi che trattino piú o meno direttamente di estetica musicale.
  2. «Anatomia» e «Fisiologia» elementari della musica. Si cerchi di dar risposta alla domanda: «Molto sommariamente, com'è fatta la musica e come agisce?». Non è tanto importante studiare l'ARMONIA, il CONTRAPPUNTO e la STRUMENTAZIONE, quanto sapere esattamente in cosa consistono queste discipline. Allo stesso modo come, per esempio, sarebbe possibile informarsi sui principi dell'energia atomica, senza dovere per questo acquisire il formidabile bagaglio matematico che è indispensabile per accedere alle speculazioni della fisica contemporanea. Lo scopo del presente lavoro è proprio quello di facilitare questo accostamento alla fisiologia musicale. Poiché la curiosità è una virtú, giunti a un certo punto sarà possibile preoccuparsi, con cognizione di causa, della validità dei rapporti fra la teoria a sensazione, quali vengono posti dai compositori: la complessità del tutto intellettuale di certi sistemi è percepita dall'ascoltatore?
  3. Sociologia della professione musicale. Molto spesso l'appassionato di musica desidera entrare in rapporto d'intimità con i musicisti: nulla di piú legittimo e non v'è alcun motivo d'innalzare tra il pubblico e gli artisti una barriera che ponga questi ultimi in una sfera mitologica. Si trarrà molto profitto dalla lettura degli scritti di musicisti:
    - BENEDETTO MARCELLO - Il Teatro alla moda, Ricordi, 1956
    - BEETHOVEN - Lettere e colloqui, Longanesi, 1950
    - BERLIOZ - Memorie, 2 vol., Suvini Zerboni, Milano 1947
    - DEBUSSY - Il Signor Croche, antidilettante, Bompiani,
    - WAGNER - La mia vita, UTET, (autobiografia molto particolareggiata)
    - SCHUMANN - La musica romantica, a cura di Luigi Ronga, Einaudi, 1950 e Mondadori, 1958
    - G.F.MALIPIERO - Il filo d'Arianna - Saggi e fantasie, Einaudi, 1966
    - BUSONI - Scritti e pensieri sulla musica, a cura di Luigi Dallapiccola e Guido M. Gatti, Ricordi, 1954
    - SCHOENBERG - Stile e Idea, a cura di Luigi Pestalozza, Rusconi e Paolazzi, 1960
    - BARTOK - Scritti sulla musica popolare, a cura di Diego Carpitella, Einaudi, 1955
    - STRAWINSKY - Poetica della musica, Curci, 1954
    - STRAWINSKY - Cronache della mia vita, a cura di Alberto Mantelli, Minuziano, 1947
    - CASELLA - Strawinsky, «La Scuola» Editrice, 1951
  4. Storia della musica. La sua conoscenza va sempre piú diffondendosi, soprattutto fra collezionisti di dischi, che profittano della lettura delle note illustrative a tergo delle copertine. Si abbia cura però di mantenere una visione eclettica della storia della musica, nel suo insieme, considerando che questa storia non comincia nel Settecento, con le grandi opere di Bach, per concludersi duecento anni dopo con quelle di Debussy, Ravel o Strawinsky.
  5. Una buona cultura musicale dev'essere completata, nei limiti del possibile, dalla pratica, anche elementare, di uno strumento. Molti esordienti si scoraggiano perché pretendono di far troppo: lavorano con accanimento e, benché non vi siano costretti da necessità di professione, consacrano talvolta tutto il loro lavoro alla preparazione di «pezzi» brillanti da offrire all'indulgente ammirazione dei loro familiari e amici. Nell'accecamento delle loro ambizioni da acrobati molti dimenticano che un FRASEGGIO sensibile e intelligente è piú importante del banale virtuosismo manuale. Ci si è mai chiesto come verrebbe proseguito lo studio di uno strumento se si vivesse su un'isola deserta, con tutte le partiture del mondo a propria disposizione?
    Vi sono strumenti musicali per ogni borsa e per tutti i gusti. I pianoforti "che si sentono nei quartieri signorili", di cui Laforgue ha cantato il compianto, questi poveri pianoforti dai tasti ingialliti, semiscorticati e le viscere sferraglianti ricoperti di broccati e cianfrusaglie, vittime innocenti della negligenza o della mancanza d'iniziative dei loro proprietari, non devono suscitare alcuna invidia in coloro che non ne possiedono: il nobile pianoforte non è, fra gli strumenti, il sovrano assoluto. S'ignorano spesso, pare, i titoli di nobiltà della CHITARRA dal repertorio vasto e le infinite possibilità; a questo meraviglioso strumento (suonato da Berlioz e Paganini) si è troppo sovente attribuito soltanto una funzione d'accompagnamento in repertori di canzonette. Si dimentica anche talora che il flauto a becco, a otto fori, di cui esistono quattro modelli per formare quartetto, è stato usato, da Medio Evo al Settecento, da grandi maestri, fra i quali J.S. Bach e Haendel. Esiste infine uno strumento di cui quasi tutti dispongono: la VOCE. Benché la pratica dei canto sia stata ormai da tempo inesplicabilmente trascurata in Italia e in Francia, qualsiasi voce può essere coltivata, senza che siano necessarie qualità eccezionali, né di bellezza di timbro, né di volume sonoro. Quanto al glorioso strumento in nero e bianco, tradizionale fondamento delle esperienze musicali, esso offre molteplici possibilità, dal bel pianoforte a coda da concerto fino al piú modesto dei pianoforti verticali. Occorre aggiungere che si trovano buoni pianoforti a noleggio e che, in ogni caso, un piccolo pianoforte verticale in buono stato, che "tenga" l'accordatura, è da preferirsi a qualsiasi piano a coda lasciato in disuso, con i feltri preda delle tarme e le caviglie indisciplinate che non consentirebbero píú una rigorosa accordatura?
    L'esattezza dell'accordatura non è un lusso, ma una necessità assoluta, sia per il dilettante che per il professionista. Qualsiasi strumento che non permetta di soddisfare a questa esigenza dev'essere riparato o affidato al servizio di raccolta dei rifiuti. Non si pensa mai abbastanza all'errore pedagogico che si commette consentendo che i giovani allievi ancora in formazione possano accontentarsi di approssimazioni e foggiarsi criteri di bellezza e di probità a contatto con modelli di bruttezza e d'imprecisione. In ogni caso, sia che si scelga d'insegnare a un ragazzo il pianoforte, oppure il violino, la chitarra, il flauto a becco o «flauto dolce» o perfino l'armonica a bocca, malgrado i dubbi che possono sorgere sulla sua dignità estetica, dei genitori che amino la musica e non intendano considerare questi strumenti come giocattoli avranno a cuore di ricercarne la qualità: non necessariamente la spesa sarà maggiore. Si possono trovare buoni violini, che non siano degli Stradivari, e buone chitarre spagnole, anche se non sono di de Torres.
Il confronto di opinioni differenti, in materia estetica, porta di solito a feconde riflessioni, purché si rinunci al tono di esaltante intransigenza che può assumere chi si ritenga investito del patrocinio di una causa. Poiché ogni giudizio estetico, od ogni critica di tale giudizio, fa ricorso tanto a nozioni metafisiche che psicologiche, e perfino fisiologiche, occorrerà sempre rimettere in discussione l'universalità di una bellezza ideale e preoccuparsi della natura delle emozioni estetiche. Il Bello esiste o appartiene all'eterna Utopia dell'uomo avido di Verità? Affermare l'esistenza di una bellezza assoluta obbliga sfortunatamente a enunciarne la definizione; a meno di ammettere che la scoperta del Bello sia una forma di rivelazione superiore, tanto estranea a ogni rettorica quanto lo sono le esperienze mistiche... Spesso, fin dal primissirno contatto, si sosterrà che un'opera d'arte è bella; il vicino si sarà convinto, anch'egli nello stesso istante, del contrario. Sia l'uno che l'altro rifiuteranno di dare a questi giudizi immediati la forma piú conveniente di un'osservazione soggettiva: «Sin dal primo momento quest'opera mi piace... mi emoziona... mi è indifferente... m'irrita... mi dà un'impressione spiacevole e non so ancora perché». L'unico arbitrato ragionevole consisterebbe nel comparare lungamente l'opera considerata al modello-campione di bellezza, al capolavoro universale, al Bello incarnato. Dove trovare questo modello assoluto? Quale numero sarà celato dalla sua forma?
Ogni uomo, tuttavia, sarebbe pronto a testimoniare della bellezza nell'universo. Tutti sono concordi nel trovar belli, assolutamente, le forme e i movimenti della natura o le grandi opere dell'ingegno umano (dissociati dai loro oggetti, che introducono una stonatura concreta, talvolta tragica, in questo dominio dell'ideale). E poiché la realtà del Bello può essere dimostrata mediante l'osservazione dei suoi effetti (molte prove dell'esistenza di Dio si fondano sull'analoga ipotesi), si considereranno con interesse le frequenti manifestazioni di grandi emozioni collettive spontanee in presenza della Bellezza indiscussa.
Da Platone in poi, il Bello è uno degli attributi della perfezione divina, la quale è necessariamente unica e universale come Dio stesso: il Bello assoluto sarebbe l'essenza stessa della Creazione prima di essersi materializzata. Considerato in tal modo, il Bello è una chimera che s'insegue per puro piacere intellettuale, poiché il suo principio non consente di spiegare la diversità delle manifestazioni artistiche. L'arte espressiva dell'Ottocento, per esempio, può rappresentare tutte le emozioni, tutti i caratteri e porre l'accento sulla sofferenza, la bruttezza o il vizio: non per questo è meno bella, finché il mestiere, o piuttosto l'«arte», è efficace («ars» esprime contemporaneamente una certa saggezza nel mestiere e una certa efficacia del sapere). In generale, tutto ciò che evoca la perfezione è bello, persino la rappresentazione di oggetti orribili:
«Il n'est point de serpent ni de monstre odieux. Qui, par l'art imité, ne puisse plaire aux yeux». (BOILEAU, Art Poétique)
Questa concezione artigianale della bellezza è legata a una gerarchia di valori, a una nozione di valutazione, di preferenza (uno dei principi dell'arte non consiste nella ricerca istintiva del meglio?) e conseguentemente all'esistenza di un soggetto che preferisce. Per l'esistenza del Bello ideale la condizione sarebbe che questo soggetto fosse Dio: «L'ideale è il gusto di Dio», scriveva Victor Hugo.
Soltanto una definizione soggettiva del Bello mi sembra ragionevole, dato che sotto forma di un'idea astratta, cui si cerca vanamente di far corrispondere una realtà unica, il Bello è l'oggetto molteplice e impreciso dell'ammirazione degli uomini. Non bisogna dire, quindi: «L'uomo ammira il Bello» (poiché, cos'è il Bello?), ma piuttosto: «Il Bello è ciò che l'uomo ammira» e alla vana ricerca del Bello assoluto si sostituisce un appassionante studio della sensibilità umana.
Per quanto interessante possa essere l'analisi musicale, si capisce come essa sia incapace di spiegare la bellezza di un'opera, ossia le ragioni della nostra ammirazione. Eppure la musica, in cui facciamo intervenire, piú che altrove, il «genio», per spiegare il vuoto che produce nella nostra ragione, è un'arte minuziosa, esatta, ove lo spirito di metodo e il sapere hanno una funzione di primaria importanza. Il rigore e la complessità dei metodi di composizione, la difficoltà della notazione e la stessa scipitezza di questo mezzo grafico, nulla di tutto ciò sembra favorire quella incarnazione quasi miracolosa del Bello che è il prodotto del genio.
Se si cerca di avvicinare la musica con uno spirito nuovo ciò che colpisce, dapprima, è l'importanza della scelta dei materiali, che rappresenta già di per sé un momento dell'attività creativa. Nella musica di tutti i popoli conosciuti si è sempre proceduto a una scelta esclusiva e rigorosa di certi rapporti di frequenze (o INTERVALLI) e di certi rapporti di durata (RITMI). Sono numeri privilegiati. L'altezza del suono varia sempre per gradi e non in maniera continua: il musicista non utilizza dunque tutti i suoni possibili, quali teoricamente li produce la sirena. La stessa continuità si osserva nel ritmo musicale: all'opposto di quanto avviene nella frase parlata, la musica fa intervenire una scelta di durate che sono tra loro in rapporti matematici semplici (multipli semplici o frazioni i cui due termini sono inferiori a 10). Le regole che determinano queste selezioni primordiali sono la base delle scienze musicali. Il loro carattere generalmente arbitrario spiega le variazioni che esse hanno subito attraverso le varie epoche, quanto meno nella musica europea.
La scelta e l'agglomerarsi dei suoni e delle durate, che costituiscono il principio stesso della composizione e che si possono rappresentare con numeri, sono gli elementi fondamentali del Bello musicale? Indubbiamente; ma la musica non può essere ridotta a questa sola aritmetica. La sua vera natura si rivela nei moti psicologici che i numeri musicali producono nell'ascoltatore. La musica è dunque la piú soggettiva delle arti, non potendo essere giudicata che nello specchio più o meno deformante dell'udito e dell'intelletto umani. E' questa la ragione per cui non s'insisterà mai abbastanza sul fatto che la musica debba essere ascoltata e non soltanto letta. La lettura si rapporta al ricordo della percezione auditiva, infinitamente variabile e complessa, e la partitura non è che un sussidio mnemonico, o un insieme di dati, che consente agli "interpreti" di provocare in loro stessi e nei loro ascoltarori un'emozione già conosciuta. Per giudicare rettamente un'opera nuova alla lettura della partitura non è sufficiente la sola analisi; occorre essere capaci di un'interpretazione immaginativa dell'opera, la cui correttezza dipende da una pratica illuminata.
Da quanto precede risulta che, per valutate la bellezza di una composizione, ossia la natura dell'emozione provata all'ascolto, sarebbe necessario definire un modello psico-estetico di riferimento e studiare, relativamente a questo tipo, le cause prime dell'emozione musicale. E' difficile per l'intelletto concepire un altro metodo che consenta di giudicare rettamente del Bello in musica, ove s'intenda rispettare l'autonomia di quest'arte, evitando i confronti con la natura.
Queste poche riflessioni dimostrano che la realtà musicale si allontana come un miraggio da colui che l'insegue. La musica, come il pensiero esoterico che ispira le grandi religioni, può essere paragonata a quelle strane scatole di cui si servono gli illusionisti; ogni scatola, che sembra una e indivisibile ne contiene un'altra, indefinitamente... La verità, scopo supremo delle nostre ricerche, è sempre al di là delle osservazioni.
L'incresciosa mania di attribuire ai capolavori significati di pura invenzione allontana, purtroppo, molti ascoltatori dalla realtà musicale. Non lo si ripeterà mai troppo: la musica non è un linguaggio, che si attraversa senza incontrare ostacoli, una rappresentazione grafica o fonetica convenzionale d'oggetti o di sentimenti, l'espressione di un pensiero distinto dalla sua sostanza. Il linguaggio vero e proprio è un mezzo e ciò che ci invita a conoscere è al di là di esso. Al contrario, la musica è l'oggetto stesso che si propone alla nostra attenzione, eventualmente alla nostra ammirazione. Musica e linguaggio hanno soltanto una legge comune: quella del tempo.
Di certo, la musica può far sorgere in noi determinati sentimenti, quando l'emozione dell'arte ci innalza a una sorta d'identificazione con il creatore. La musica «esprime» infatti la personalità del suo autore, inconsapevolmente nei classici, deliberatamente nei romantici. Ma questa espressione non costituisce la sua essenza; spesso, anzi, è indiscernibile (divina spensieratezza del Quintetto in mi bemolle, composto da Mozart nel suo ultimo, doloroso anno di vita; contrasto fra lo Schubert senza età, scialbo e impacciato, quale lo conobbero i suoi contemporanei, e l'angelo fraterno che si manifesta con cosí evidente perfezione nei Lieder e nella musica da camera). Il «sentimento» musicale è ineffabile, inseparabile dalla sua forma. E' perciò assurdo opporre, in musica, idea e stile, contenuto e forma.
La natura di quest'arte, la sua vera bellezza, può essere percepita senza studio preliminare, poiché il piacere musicale o, se si vuole, la «comprensione» della musica, non è subordinato all'acquisizione di conoscenze tecniche. Massimo Mila scrive, non senza humour: «Non è affatto necessario aver studiato l'armonia per capire la musica; al contrario è indispensabile capire la musica per conoscere l'armonia». Un'analisi armonica non è che una nomenclatura priva di significato e non può, da sé sola, fornire ragguagli sulla qualità intrinseca di un'opera. Nondimeno, ascoltare la musica con il desiderio di esaurirne le risorse emozionali presuppone un intervento dell'intelletto: è in questo senso che si tratta di «capire» l'arte dei suoni. E' infatti rischioso pensare di dovervisi abbandonare, come la Bella addormentata nel bosco al proprio destino. Bisogna invece sforzarsi di «percepire» le necessità che fanno succedere una nota a un'altra (anche se non si è in grado di darne una spiegazione in termini appropriati), in modo che l'accordo finale risulti una conclusione logica, che trae il suo valore, la sua importanza, da tutto ciò che è venuto prima. Solo il ritmo e il timbro si rivolgono esclusivamente all'istinto e agiscono sui sensi indipendentemente dagli interventi dell'intelletto: sono gli elementi magici.
Naturalmente, se non bisogna abbandonarsi in maniera passiva ai sortilegi della musica, non si deve nemmeno credere di poterla comprendere logicamente a forza di ragionamenti. Non v'è, per convincersene, che studiare metodicamente la teoria musicale. Lo studio elementare del fenomeno fisico semplice (suono puro), poi complesso (suono musicale) ne rivela la vanità: il suono non esiste che in funzione dell'ascolto. Si osserverà dunque il curioso meccanismo della sensazione auditiva, per constatare come essa si elabori in modo particolare e come la nozione classica di percezione perda, in musica, la sua importanza: i suoni vi agiscono indipendentemente dal loro rapporto con un oggetto qualunque. Mentre in scultura, per esempio, la sensazione elementare è soltanto quella di una luce bianca o grigia, un insieme di suoni musicali, al contrario, provoca immediatamente reazioni psicologiche insolite, moti indescrivibili dell'anima in armonia con l'opera... L'analisi musicale propriamente detta finirà col dimostrare che l'essenza del Bello ci sfugge sempre piú, oltre gli studi particolari che ricavano i loro strumenti dall'aritmetica, dalla fisica, dalla fisiologia, dalla psicologia, dall'estetica.
Se si perviene ad analizzare il Bello musicale, o piuttosto (con compiacente approssimazione) le condizioni dell'emozione musicale, la nostra mente è turbata da un mistero: quello relativo alle corrispondenze segrete fra queste condizioni (che possono essere tradotte in cifre) e l'emozione stessa. Attraverso quale misterioso meccanismo gli uomini hanno riconociuto come CONSONANZE, quindi come intervalli da prediligere, quelli il cui valore medio è una frazione semplice, che si vale soltanto dei sei primi numeri interi?
Il matematico Eulero, rifacendosi ai pitagorici, suppone che noi restiamo piacevolmente sorpresi, in musica come altrove, a partire dal momento in cui scopriamo un certo ordine logico, una certa armonia aritmetica. Quando i numeri di vibrazioni al secondo (o frequenze) di due suoni sono tra loro in un rapporto semplice, sentiamo inconsciamente la coincidenza periodica dei due movimenti vibratorii, e questa coincidenza tanto piú spesso si produce quanto piú il rapporto delle frequenze è semplice, ossia quanto piú l'intervallo è consonante; così, per esempio, constatiamo che nell'intervallo di QUINTA tre vibrazioni di uno dei suoni corrispondono nel tempo a due vibrazioni dell'altro. Questa ipotesi è ingegnosa, ma non spiega perché una consonanza leggermente alterata suoni quasi altrettanto bene di una consonanza giusta, benché in tal caso il rapporto numerico delle frequenze sia molto complicato. Inoltre essa non precisa come la nostra sensibilità e il nostro intelletto possano apprezzare il rapporto numerico delle frequenze di due suoni simultanei.
Il grande compositore Rameau, partecipando all'utopia degli Enciclopedisti, secondo cui tutto ciò che ha rapporto con la natura è buono, trova la giustificazione della consonanza nell'osservazione del fenomeno naturale della risonanza dei corpi sonori: l'analisi di un suono complesso dimostra che i primi ARMONICI formano fra di loro consonanze tanto piú perfette quanto il loro ordine è meno elevato (a. 1 = unissono; a. 2 = ottava; a. 3 = quinta; a. 4 = quarta. La teoria di Rameau pecca a causa del postulato contestabile dell'equivalenza delle ottave, ma ha il merito di essere fondata (indubbiamente per la prima volta) su basi scientifiche e non metafisiche.
Molti altri pensatori hanno tentato di comprendere il «modus operandi» della musica, ma, per la maggior parte, hanno integrato a forza le loro formule estetiche in sistemi filosofici generali, indifferenti, nella loro inclinazione all'universale, alle particolarità dell'esperienza musicale. Alcuni hanno tentato l'analisi della loro emozione, ma nessuno è giunto a stabilire delle relazioni di causalità fra i mezzi impiegati nella musica e i risultati emozionali.
Gli antichi teorici cinesi paragonano i cinque suoni della loro gamma ai cinque elementi fondamentali distinti dalla loro filosofia (acqua, fuoco, legno, metallo, terra). Per i pitagorici la concezione dei rapporti musicali è di natura esclusivamente matematica; attuando un accordo armonioso dell'intelletto e dell'immaginazione, ritenevano di trovare nelle distanze dei corpi celesti dal fuoco centrale originario i rapporti numerici che reggono la musica («armonia delle sfere»). Nella Repubblica e Le Leggi, ma soprattutto nel Timeo (§ 47), Platone tratta spesso d'estetica musicale; purtroppo, però, il suo discorso è inframmezzato da idee sul valore etico della musica fondantisi sempre sull'affermazione che i movimenti musicali sono analoghi ai moti dell'anima umana, per cui la musica, potendo contribuire all'elevazione dell'anima, costituisce un grado che conduce alla filosofia e alla serenità. In virtú del principio «Dio fa sempre geometria» (opinione tutta pitagorica), Platone avrebbe potuto cercare l'espressione matematica della «buona» musica, della musica virtuosa, quella che si confonde nell'opera di Dio!... Aristotele, nel «29° Problema», pone la domanda seguente: «Perché i ritmi e le melodie si prestano a esprimere i moti dell'anima, mentre lo stesso non avviene con i gusti, i colori e i profumi? Forse perché sono dei movimenti, come gli atti? L'energia propria alle melodie e ai ritmi proviene da una disposizione dell'anima e agisce su di essa... ».


Più vicini a noi, i grandi filosofi tedeschi si sono accostati all'estetica musicale con ineguale fortuna. Nietzsche, senza una precisa dottrina, si occupa spesso di musica con forsennato entusiasmo, lancia in resta per o contro chiunque o qualsiasi cosa: «La musica è un'eco di stati la cui espressione concettuale era il misticismo; un sentimento di trasfigurazione, d'illuminazione nell'individuo...». "Fare musica è un modo di dar figli" (!!). Per Schopenhauer, buon musicista (suonava il flauto), l'Arte non è che la contemplazione, intuitiva, disinteressata della Volontà (o «Volontà di vivere») per mezzo delle Idee: soltanto la musica ha il potere di giungere direttamente all'essenza delle cose senza questo mezzo. Hegel, che sembra non aver mai avuto la rivelazione della musica allo stato puro, afferma che essa è una «espressione sensibile dell'Idea», inferiore alla letteratura in questa funzione; difende il principio dell'unità dell'arte, che viene applicato nel dramma wagneriano. Contro questo principio si leva il grande critico e studioso d'estetica Hanslick, amico di Brahms. Nella sua opera Del bello nella musica (1854), egli dimostra che la musica non è in grado, per sua «natura», di esprimere sentimenti: essa non può «esprimere» che le proprie qualità, come un'emanazione della propria sostanza. «La musica, scrive ha realmente un soggetto o contenuto, ma di natura del tutto musicale...».
Ecco infine, secondo il grande studioso d'estetica francese Charles Lalo, le sette funzioni psico-fisiologiche della musica (confuse nell'intuizione spontanea di un'opera):
  1. Sensazione sonora: materia prima, dato immediato della coscienza musicale, oggetto delle esperienze fisiche e fisiologiche di Helmholtz.
  2. Percezione sotto forma statica: coscienza di una relazione fra piú sensazioni. La sensazione s'innalza dal piano degli eventi a quello dei valori.
  3. Percezione sotto forma dinamica: percezione dei moti «dinamogenici» inerenti a ogni atto musicale: variazioni di movimento, tensioni e riposi (armonica o ritmica).
  4. Irradiazione cinestèsica: «scarica nervosa diffusa» che percorre quasi tutto il nostro sistema nervoso; emozione indefinibile, di cui s'ignora la causa motrice.
  5. Irradiazione per suggestione: irraggiamento soggettivo della musica, risveglio di sentimenti extra-musicali, o «anestetici» a opera dell'immaginazione.
  6. Espressione psichica: risonanza mentale risultante dalle analogie che si pongono fra certe strutture musicali e certe altre, soprattutto di ordine affettivo... Moti viscerali, in relazione ai moti affettivi. E' probabilmente quel che provava in modo indistinto Mallarmé, quando ritornava, inquieto, dai concerti Colonne.
  7. Espressione descrittiva: scoperta di simboli piú o meno semplici, fondata su analogie di struttura esteriori (come l'«espressione psichica» si basava su analogie interiori).
Insomma, i filosofi non sono andati piú lontano dei fisici nella definizione del Bello musicale. Tutti, però, ammettono implicitamente che questo Bello esista, non fosse altro perché lo nominano e ne ricercano i caratteri generali. Forse, ponendosi molto al di sopra dei pregiudizi e delle «allergie» musicali correnti, si potrebbe vedere questa Bellezza essenziale unica nella sua diversità e sfuggente alla ragione come il simbolo trinitario cristiano. Essa sarebbe il punto d'incontro dei sentimenti estetici piú puri e si sarebbe tentati d'identificarla mediante una somma di testimonianze, con il metodo detto dell'«identificazione automatica». Al miraggio del Bello assoluto, nel senso platonico del concetto, si sostituirebbe utilmente la realtà intellettuale di una bellezza «a posteriori», specie di luogo geometrico ideale degli oggetti d'ammirazione di tutte le sensibilità musicali.
Se il Bello musicale esistesse sotto questa forma, non sarebbe piú ragionevole contestare il valore assoluto dei giudizi avvertiti e sinceri, e non vi sarebbero piú falsi saggi a interrompere feconde discussioni con un perentorio: «sui gusti non ...»! Se ne discute invece e, sempre, dopo anni (o talvolta secoli) le persone di buona fede finiscono per accordarsi sui capolavori: è il risultato di una sorta di «identificazione del processo interiore della coscienza con la dinamica della forma musicale» (Massimo Mila).
Il vero artista può sentire confusamente certi rapporti nascosti. Ma quale mente superiore saprà fare la sintesi degli elementi cosí diversi che sono stati accennati or ora: dati numerici della scienza, conclusioni ipotetiche del ragionamento filosofico, imperativi irrazionali e conoscenza intuitiva dell'arte? Se l'ambizione del lettore potesse attirarlo (anche impercettibilmente) verso questa appassionante ricerca, la mia propria ambizione sarebbe soddisfatta. Ma, s'gli ancora dubitasse del vantaggio che ne trarrebbe approfondendo la conoscenza della musica, aggiungerei che due facoltà sono essenziali al piacere musicale: l'attenzione e la memoria, che prosperano nel modo piú fecondo se favorite dalla conoscenza. Questa conoscenza costituirà il punto di partenza di una curiosità senza posa ravvivata da sempre nuove scoperte.
 
Roland de Candé (Preludio al Dizionario di Musica, 1961) - Bompiani, 1968

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