L'attività concertistica lo impegna sempre molto, ma Sigiswald Kuijken non rinuncia a ritagliarsi larghi periodi di tempo da passare con la moglie e i cinque piccoli figli. La casa è in campagna, vicino a Bruxelles; la città ideale però è Bruges, "Venezia del Nord", dove il violinista ha trascorso l'infanzia, e che adora. Dotato di una grande carica umana e di comunicativa immediata, Kuijken pare aver adottato una linea morbida in tutto: dalla dottrina macrobiotica, cui trasgredisce senza sensi di colpa nelle allegre cene dopo-concerto, alla stretta osservanza filologica, dove il rigore scientifico si stempera nell'estro di una personalità fantasiosa e creativa. Le Sonate e Partite di Bach eseguite nel ciclo milanese di San Maurizio l'inverno scorso, come le Sonate di Mozart portate in giro per l'Italia nello stesso periodo con Gustav Leonhardt al fortepiano, ne sono stata la testimonianza più fresca. La qualità delle esecuzioni di Kuijken, al violino come a capo della sua orchestra da camera, la Petite Bande, si può comunque verificare nelle numerose incisioni Seon e Telefunken distribuite in Italia.
Lei si è dedicato molto, in passato, anche alla musica contemporanea. Un interesse sempre vivo?
Di tanto in tanto eseguo ancora repertori non "antichi", ma vedo che purtroppo se ci si dedica a una tecnica si perde l'esercizio con l'altra, quindi ormai faccio poca musica contemporanea e ottocentesca. Del Novecento non eseguo avanguardia, ma autori come Boulez, che amo molto e che per certi versi è già un classico della nostra epoca, o Schönberg, Webern... Diversi anni fa facevo parte di un gruppo, l'Ensemble Musiques Nouvelles: abbiamo fatto concerti anche in Italia, e la prima esecuzione di Votre Faust di Pousseur, su testo di Michel Butor, alla Piccola Scala: era il '69, e c'è molta gente a Milano che se ne ricorda, credo; è stato un piccolo scandalo, l'opera è stata presa molto male, c'erano persone furiose tra il pubblico, ma è normale, era una cosa un po' forte. Molto interessante, però. Comunque ora sono più legato a un certo repertorio e anche se amo parecchio l'Ottocento, ad esempio, e mi piacerebbe tanto suonare Brahms, evito di farlo: è molto importante variare, non seppellirsi troppo in una specializzazione, ma non si può neanche far tutto, e il problema, come le dicevo, è proprio il cambiamento di tecnica e di interesse stilistico.
I compositori contemporanei che scrivono per strumento antico fanno cose interessanti o rischiano di snaturare lo strumento?
Sono operazioni che possono avere un senso come un nonsense. Dipende. Pensi ad esempio a Gesti, il pezzo che Berio ha scritto per flauto dolce: non è la tecnica originale dello strumento, ma lui ne ha fatto qualcosa di molto valido, mi pare. Non è il flauto dolce "normale", non è per questo che lo strumento è stato pensato, ma non mi sembra grave: se la musica è buona, accettabile, lo strumento non è che uno strumento, ma quando la musica è stupida, anche se è molto rispettosa... posso immaginare che qualcuno scriva ora un pezzo per flauto dolce rispettandone la tecnica antica, ma secondo me sarà un pezzo ridicolo, dato che la nostra musica non è più quella.
Suo fratello Wieland, violoncellista, ha condiviso con lei l'esperienza dell'Ensemble Musiques Nouvelles. Ma sempre con Wieland e con un altro fratello, Barthold, flautista, lei è da sempre in prima linea fra gli esecutori di musica antica. Com'è nata questa passione familiare?
Non ci siamo ben resi conto neanche noi dei motivi per cui abbiamo scelto tutti e tre questa strada. Semplicemente, Barthold e Wieland, più anziani di me di qualche anno, furono mandati ancora ragazzini, durante l'estate del '59, ad un corso "di musica", generico, in Germania; così, tanto per tenerli occupati durante le vacanze. Lì costruirono una viella, l'anno successivo altre due, ci mettemmo a suonarle ed io a sette, otto anni prima ancora del violino suonavo queste vielle. Erano strumenti spaventosi, naturalmente, ma quando poi ho fatto il mio normale iter di studi in Conservatorio mi è rimasta la nostalgia della musica antica. Lo stesso, più o meno, è stato per Barthold e per Wieland. Il più "artista" della famiglia, però, non è uno di noi, ma uno degli altri nostri tre fratelli, pittore, un temperamento veramente estroso. Adesso, però, ha cambiato tutto: a quarantacinque anni si è messo a insegnare disegno tecnico e a scrivere libri di geometria: curioso, no?
Com'è nata la Petite Bande?
E' stato una dozzina d'anni fa: la Harmonia Mundi tedesca aveva chiesto a Leonhardt di registrare la musica di Lulli per il Bourgeois Gentilhomme di Molière; io fui incaricato di formare questo ensemble, di trovare le persone e comporre l'orchestra, che poi fu diretta da Leonhardt. Non c'era, assolutamente l'idea di creare un'orchestra da camera permanente, era proprio funzionale a quel disco; quando però abbiamo visto che andava bene, che era interessante, abbiamo ripetuto l'esperienza un anno dopo, ancora con Leonhardt, e l'anno dopo ancora, finché lui mi ha proposto di dirigere anch'io il gruppo; da allora siamo sempre io e lui, mai qualcun altro, sarebbe troppo pericoloso. C'è molta gente che vorrebbe utilizzare un'orchestra così, ricevo spesso telefonate, per esempio di complessi corali che vorrebbero fare, che so, la Passione secondo Matteo, ma non è possibile darsi in affitto, teniamo troppo alla nostra indipendenza. Dunque all'inizio abbiamo fatto questa musica francese, e poi musica italiana, i Concerti grossi di Corelli, le Quattro stagioni di Vivaldi, oltre ad opere di Händel e di Rameau: il piano generale della Petite Bande si basa in fondo sui due stili, e sulle commistioni come le Suites per orchestra di Bach. Su un punto in particolare penso che il nostro apporto interpretativo sia stato nuovo, importante: caratteristica della musica orchestrale francese di quel periodo è l'unisono di oboi e fagotti con gli archi; e abbiamo visto che anche altrove e successivamente, in sinfonie di Haydn o di Mozart, rimane il residuo di questa immagine sonora: è appassionante constatare come poi tutto il diciottesimo secolo sia attraversato, definito da questo unisono oboe-archi. Il flauto è sempre un po', diciamo così, à cóté, tranne che in occasioni speciali, ma il suono dell'orchestra barocca, quando sono previsti i fiati, è sempre colorato molto caratteristicamente dall'oboe. Dieci anni fa, siamo stati i primi a evidenziare questo fatto e a rinnovare l'interpretazione di questo repertorio. Prima non era stato fatto niente; sì, si suonava un po' di Lulli, qualche altro autore, ma non comme il fáut.
Che strumenti impiega per i diversi repertori?
Ho un Grancino, fatto a Milano nel 1700, con un manico abbastanza lungo, che penso corrisponda ai modelli di Stradivari. Io lo uso a partire da Monteverdi, qualche volta ci suono un po' di Frescobaldi, cose così, anche se, a voler essere molto severi dal punto di vista storico, è ad esempio uno strumento troppo tardivo per Monteverdi; ma allora, se si vuole essere molto molto severi, neanche uno Stradivarius andrebbe bene. Però mi sembrano scrupoli eccessivi. Con lo stesso strumento posso arrivare fino a Beethoven, ma con un'accordatura un po' più acuta, delle corde un po' più grosse ed un archetto pure più grosso rispetto a quelli che uso per Mozart. Infatti per Mozart ne impiego uno dei suoi tempi, leggero ma molto lungo e resistente, mentre per Beethoven occorre un arco già quasi moderno, ed io ne ho uno dell'epoca che va molto bene; per la musica barocca invece ne ho un altro ancora, un modello dell'inizio del diciassettesimo secolo, anche questo originale. Insomma, è possibile adattare molto bene lo strumento ai vari stili cambiando accordatura, corde e archetto, dunque il mio Grancino non è un violino, ma tre violini, più o meno. Per la musica più recente, per quella contemporanea, uso ovviamente uno strumento moderno, "il" violino.
C'è qualche vezzo, qualche caratteristica insopportabile di chi esegue musica antica su strumenti moderni?
Sposterei il problema: a prescindere dal repertorio, direi che un certo modo di suonare meccanico, routinier, si riscontra con maggiore facilità negli esecutori "moderni"; intorno ai grandi interpreti di questi strumenti si sono formate delle scuole, e ai loro precetti si rifà piattamente la maggior parte degli insegnanti, soprattutto nei Conservatori. Nella musica antica è un fenomeno meno diffuso, ma già si stanno formando delle scuole, e ho paura che si finirà per cadere nella stessa trappola.
Patrizia Luppi (Musica Viva, Anno VIII n.10, ottobre 1984)
Nessun commento:
Posta un commento