Durante un ennesimo pellegrinaggio nei luoghi verdiani andai a Busseto per salutare l'amico Carlo Bergonzi. Non trovandolo nell'albergo di sua proprietà e dal nome naturalmente verdiano, I due Foscari, mi misi a passeggiare per la via principale di quella tranquilla e sonnolenta cittadina.
M'imbattei così in un piccolo e strano negozio di parrucchiere con centinaia di fotografie di artisti lirici appese alle pareti, con tanto di dediche "Al Figaro nazionale". Con mio stupore, sbirciando più insistentemente tra i vetri ne vidi due o tre di mie, in costume teatrale di Boris, Don Carlo e Nabucco.
Incuriosito, con la scusa di farmi fare la barba entrai.
Il buon uomo, che aveva in mente solo il mio volto truccato, non mi riconobbe e si mise diligentemente ad esercitare con abilità la sua funzione. Mentre stavo sotto i suoi ferri decisi di provocare in lui qualche reazione, facendo delle considerazioni sulla Lirica e sui suoi cantanti preferiti.
Esordì subito, affermando che all'infuori di Verdi non c'era nessuno e che il più grande tenore verdiano era, senza alcun dubbio, il suo concittadino Bergonzi, vantandosi di fargli regolarmente la barba ogni mattina, mentre diceva peste e corna di un tale "spagnolo".
Volli allora punzecchiarlo un po' bonariamente e gli espressi una esagerata preferenza per la musica del grande antagonista, il teutonico Riccardo Wagner. Gli dissi maliziosamente che anche Wagner, quando lo voleva, poteva scrivere delle melodie alla Giuseppe Verdi, come per esempio quelle del Vascello fantasma e del Rienzi. Era stato Verdi stesso, negli ultimi anni della sua maturità, ad avvicinarsi al genio di Bayreuth.
Questa mia affermazione lo fece uscire dai gangheri e, mentre le sue mani tremolanti per la rabbia maneggiavano ormai troppo pericolosamente l'affilato rasoio, decisi di rivelargli finalmente la mia identità, confessandogli che per divertirmi un po' volevo solo stuzzicare la sua commovente sudditanza verdiana. Lo rassicurai che pure io ero e sono grande ammiratore del Peppino Nazionale, di cui durante la mia lunga carriera avevo interpretato tutti i personaggi, dal Filippo II al Fiesco, dal vecchio Silva all'Attila, da Padre Guardiano a Zaccaria.
A lavoro terminato chiuse il negozio anche se fuori orario per accompagnarmi, pieno di entusiasmo, prima nel museo verdiano indi nel teatrino antistante la piazza, pregando poi un suo compaesano di scattargli una foto ricordo da aggiungere alla sua collezione di noi due inginocchiati davanti alla statua del grande Cigno di Busseto. Finimmo al bar e dopo qualche bicchierino aggiunse: "Ma lo sa, mio caro Ariè, che con le sue incaute asserzioni su Wagner ha corso un bel pericolo per la sua preziosa gola... per poco io gliela tagliavo!".
dai "Ricordi Teatrali" di Raffaele Ariè
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