La musica romantica (e l'opera dell'Ottocento) continua ad essere la più eseguita e la più amata: pochi autori di altre epoche reggono il confronto, e il peso del «movimento» continua ad essere fortissimo. Addirittura è sorta in questi anni - in opposizione alle avanguardie, giudicate ormai consunte - una tendenza neoromantica, sostenuta da compositori che desiderano, considerandola essenziale, una nuova amicizia d'ascolto con il pubblico. Segno dei tempi, questo riflusso neo-romantico non ha tuttavia ancora prodotto risultati importanti. Potremmo dire che la sopravvivenza del romanticismo è giustificata dal fatto che gli uomini pensano ancora «romantico», nel senso che a dispetto di tutti i mutamenti provocati nella vita e nella società dalla scienza poco è cambiato nelle relazioni umane. Sarà una spiegazione di basso livello, ma è vero che l'informatica non sostituisce la creatività, e che i viaggi eventuali su lontani pianeti dovranno rispettare le comuni esigenze del vivere quotidiano.
In meglio e in peggio, l'uomo continuerà a pensare e ad agire come ha appreso a fare nel secolo scorso, grazie a fondamentali conquiste democratiche. Userà le stesse immortali passioni, vivrà più o meno nello stesso ambiente. Come agli inizi dell'Ottocento, camminerà per prati e foreste, nuoterà nei mari e nei fiumi, non si negherá all'amore e al dolore. La musica romantica è ancora la più vicina al suo modo di essere, e per questo non viene trascurata e cancellata. La rivoluzione romantica aveva in sé tali energie da potere cancellare ciò che l'aveva preceduta; essa mise fuori dalla storia il Settecento e tutte le culture più lontane. E' sempre stato cosi, nel corso del tempo.
L'esaurimento della spinta romantica nel XX secolo non ha chiuso quel meraviglioso periodo: la musica è andata avanti in varie direzioni, si è ribellata e ha lottato per imporre un'altra cultura, ma non è nato un movimento sostitutivo, proprio per le già dette ragioni. L'uomo, infatti, resisteva alle novità non per bieco conservatorismo, ma per vere ragioni di sostanza.
Ed è, questa, una sostanza di linguaggio interiore; se è universalmente riconosciuta l'impossibilitá di fare musica come cento o duecento anni fa, è vero che la durata di quello spirito è andata oltre ogni previsione. Ciò è stato possibile perché alla base di tutto c'era una verità, trasfigurata o metaforizzata fin che si vuole e tuttavia rimasta credibile in virtù del colore dell'arte.
E' certo che l'uomo del duemila continuerà a ricevere i messaggi romantici, cosi come è accaduto fino ad oggi e a dispetto di tutte le concorrenze possibili. Continueremo a vivere in una società onnivora, più analitica che creativa, più aperta alle alternative ma sempre disponibile a raccogliere le tempeste e gli impeti dell'animo umano. Vale a dire che si venderanno sempre bene Beethoven e Brahms, Wagner e Mahler, e tutti i grandi della storia: che si faranno tanti dischi di musica romantica, e che nessuno si vergognerà a sospirare sulle note di Chopin.
La rivolta dei «neo», degli «anti», contro i maestri consacrati, contro la dodecafonia, contro una cultura considerata elitaria o troppo distante dalle idee della gente, porterà a un recupero di stili (fatti di questo tipo sono accaduti già più volte nel corso del nostro secolo, vedi la riappropriazione del Sei-Settecento dopo gli anni venti, nascita dunque del neoclassico) o a una rivoluzione? Difficile dirlo, difficile rispondere, anche perché non ci sono state fornite chiare indicazioni su come andare avanti. La parola «neo» ci parla, purtroppo, in negativo, ci dice che si vuole rinnovare il «vecchio». Occorrono altri termini.
Il linguaggio musicale dell'Ottocento, preparato naturalmente dai compositori e dagli studiosi dell'ultima parte del Settecento, il linguaggio dell'epoca romantica, è del resto ancora quello che maggiormente interessa e attrae esecutori, interpreti, solisti, cantanti, gruppi, orchestre. Radicato nella scuola e nell'uso, questo linguaggio ha retto a tutti gli assalti della moda. Non dobbiamo temere di dire che il vecchio sistema tonale (come lo stile accademico nella danza) è una base irrinunciabile. Bisogna essere nella realtà, quando si discute di problemi reali. Con i sogni non si è mai fatta la storia, si sono provocate invece immani rovine.
E' purtroppo vero che un popolo può arrivare a preferire l'autoritarismo (vedi dittatura) al disordine sociale; probabilmente la rivolta contro i padri-padroni della musica contemporanea risponde anche a una esigenza di ritorno all'ordine, di vagheggiato equilibrio, di normalizzazione. Ma occorrerà produrre qualità, non oggetti d'imitazione. La musica tradizionale si sostiene del resto su due colonne portanti finora ben solide: da un lato abbiamo una fortissima richiesta del pubblico che non si orienta a sottoscrivere stagioni d'avanguardia lasciando questo patrimonio a istituzioni specializzate; dall'altro gli esecutori (strumentisti e cantanti) non mostrano molta simpatia per i contemporanei, con i quali non avrebbero che limitate possibilitá di carriera e di guadagno. Il mercato, il detestato eppure onestissimo mercato, detta le sue leggi oggi come sempre; e poi è naturale che un violinista suoni di preferenza Beethoven e Cajkovskij, e che un tenore si impegni in Verdi e Puccini; strumenti e voci vanno sempre verso i loro terreni naturali, e finché il pubblico gradirà tali prestazioni gli artisti si guarderanno bene dal rischiare avventure che presuppongono un diverso tipo di preparazione artistica.
Non c'è bisogno di aggiungere che il tempo è sempre un ottimo giudice: in parole povere se un autore tiene il campo dopo due secoli dalla sua nascita non e per un vezzo della società ma perché il suo messaggio è valido. Allora bisogna dire che la musica romantica ha espresso il meglio e il massimo di una cultura che è davvero universale, perfezionando un percorso iniziato agli inizi del Seicento. Salvando il passato, ma proiettando nel futuro tutta la sapienza e la conoscenza rese incandescenti dalle conquiste liberali e democratiche di cui abbiamo parlato.
Ecco le ragioni della sopravvivenza, ecco perché continuiamo a riconoscerci nella Nona di Beethoven e nel coro del Nabucco di Verdi. E in mille altre musiche che sono la nostra vita e la nostra storia. Agli uomini del futuro l'arduo compito di essere pari a tanto genio.
In meglio e in peggio, l'uomo continuerà a pensare e ad agire come ha appreso a fare nel secolo scorso, grazie a fondamentali conquiste democratiche. Userà le stesse immortali passioni, vivrà più o meno nello stesso ambiente. Come agli inizi dell'Ottocento, camminerà per prati e foreste, nuoterà nei mari e nei fiumi, non si negherá all'amore e al dolore. La musica romantica è ancora la più vicina al suo modo di essere, e per questo non viene trascurata e cancellata. La rivoluzione romantica aveva in sé tali energie da potere cancellare ciò che l'aveva preceduta; essa mise fuori dalla storia il Settecento e tutte le culture più lontane. E' sempre stato cosi, nel corso del tempo.
L'esaurimento della spinta romantica nel XX secolo non ha chiuso quel meraviglioso periodo: la musica è andata avanti in varie direzioni, si è ribellata e ha lottato per imporre un'altra cultura, ma non è nato un movimento sostitutivo, proprio per le già dette ragioni. L'uomo, infatti, resisteva alle novità non per bieco conservatorismo, ma per vere ragioni di sostanza.
Ed è, questa, una sostanza di linguaggio interiore; se è universalmente riconosciuta l'impossibilitá di fare musica come cento o duecento anni fa, è vero che la durata di quello spirito è andata oltre ogni previsione. Ciò è stato possibile perché alla base di tutto c'era una verità, trasfigurata o metaforizzata fin che si vuole e tuttavia rimasta credibile in virtù del colore dell'arte.
E' certo che l'uomo del duemila continuerà a ricevere i messaggi romantici, cosi come è accaduto fino ad oggi e a dispetto di tutte le concorrenze possibili. Continueremo a vivere in una società onnivora, più analitica che creativa, più aperta alle alternative ma sempre disponibile a raccogliere le tempeste e gli impeti dell'animo umano. Vale a dire che si venderanno sempre bene Beethoven e Brahms, Wagner e Mahler, e tutti i grandi della storia: che si faranno tanti dischi di musica romantica, e che nessuno si vergognerà a sospirare sulle note di Chopin.
La rivolta dei «neo», degli «anti», contro i maestri consacrati, contro la dodecafonia, contro una cultura considerata elitaria o troppo distante dalle idee della gente, porterà a un recupero di stili (fatti di questo tipo sono accaduti già più volte nel corso del nostro secolo, vedi la riappropriazione del Sei-Settecento dopo gli anni venti, nascita dunque del neoclassico) o a una rivoluzione? Difficile dirlo, difficile rispondere, anche perché non ci sono state fornite chiare indicazioni su come andare avanti. La parola «neo» ci parla, purtroppo, in negativo, ci dice che si vuole rinnovare il «vecchio». Occorrono altri termini.
Il linguaggio musicale dell'Ottocento, preparato naturalmente dai compositori e dagli studiosi dell'ultima parte del Settecento, il linguaggio dell'epoca romantica, è del resto ancora quello che maggiormente interessa e attrae esecutori, interpreti, solisti, cantanti, gruppi, orchestre. Radicato nella scuola e nell'uso, questo linguaggio ha retto a tutti gli assalti della moda. Non dobbiamo temere di dire che il vecchio sistema tonale (come lo stile accademico nella danza) è una base irrinunciabile. Bisogna essere nella realtà, quando si discute di problemi reali. Con i sogni non si è mai fatta la storia, si sono provocate invece immani rovine.
E' purtroppo vero che un popolo può arrivare a preferire l'autoritarismo (vedi dittatura) al disordine sociale; probabilmente la rivolta contro i padri-padroni della musica contemporanea risponde anche a una esigenza di ritorno all'ordine, di vagheggiato equilibrio, di normalizzazione. Ma occorrerà produrre qualità, non oggetti d'imitazione. La musica tradizionale si sostiene del resto su due colonne portanti finora ben solide: da un lato abbiamo una fortissima richiesta del pubblico che non si orienta a sottoscrivere stagioni d'avanguardia lasciando questo patrimonio a istituzioni specializzate; dall'altro gli esecutori (strumentisti e cantanti) non mostrano molta simpatia per i contemporanei, con i quali non avrebbero che limitate possibilitá di carriera e di guadagno. Il mercato, il detestato eppure onestissimo mercato, detta le sue leggi oggi come sempre; e poi è naturale che un violinista suoni di preferenza Beethoven e Cajkovskij, e che un tenore si impegni in Verdi e Puccini; strumenti e voci vanno sempre verso i loro terreni naturali, e finché il pubblico gradirà tali prestazioni gli artisti si guarderanno bene dal rischiare avventure che presuppongono un diverso tipo di preparazione artistica.
Non c'è bisogno di aggiungere che il tempo è sempre un ottimo giudice: in parole povere se un autore tiene il campo dopo due secoli dalla sua nascita non e per un vezzo della società ma perché il suo messaggio è valido. Allora bisogna dire che la musica romantica ha espresso il meglio e il massimo di una cultura che è davvero universale, perfezionando un percorso iniziato agli inizi del Seicento. Salvando il passato, ma proiettando nel futuro tutta la sapienza e la conoscenza rese incandescenti dalle conquiste liberali e democratiche di cui abbiamo parlato.
Ecco le ragioni della sopravvivenza, ecco perché continuiamo a riconoscerci nella Nona di Beethoven e nel coro del Nabucco di Verdi. E in mille altre musiche che sono la nostra vita e la nostra storia. Agli uomini del futuro l'arduo compito di essere pari a tanto genio.
Mario Pasi (da "La Musica Romantica", Jaca Book, 1993)
2 commenti:
Non so se veramente la musica romantica sia l'apice della cultura musicale occidentale, come compositore e anche semplice ascoltatore mi resta difficile pensare che Beethoven sia superiore a Palestrina, Verdi a Bach, Wagner a Monteverdi ecc. Ma qualcosa di vero in quest'affermazione c'è: forse non si tratta di singole personalità, è che lo sviluppo del linguaggio musicale ha trovato nell'Ottocento il suo pieno equilibrio, anche in rapporto alla liberazione delle passioni che in quel secolo si è realizzata: la musica fa tutt'uno con la personalità dell'uomo,come mai era accaduto prima, e come non è poi più accaduto, purtroppo. Se il pubblico, la gente comune, ancora predilige questo tipo di sensibilità, questo accade a livello inconsapevole, per lo più: quando ci si decide ad agire non si è più compagni di strada di Schubert e Donizetti, di Ciaikovski e Chopin.
Ritengo che il xx secolo abbia prodotto più grandi compositori che non il ix... È falso che il pubblico non apprezzi composizioni moderne o preferisca Brahms rispetto a Ravel o Schumann a Stravinsky. È sempre una domanda di qualità dell'interpretazione, se poi gli organizzatori delle stagioni concertistiche si ostinano a ignorare i grandi compositori contemporanei, beh, peggio per loro e peccato per il pubblico
Posta un commento