I musicisti del Quartetto Alban Berg amabili eredi delle due scuole di Vienna
Vi ricordate quella canzoncina che dice "0 mein lieber, o mein lieber Augustin" ? Pare che questo Augustin fosse un signore di Vienna che, mentre la peste infuriava, come nella Milano del Manzoni o nella Firenze dell'Orcagna, sgambettava allegramente un qualche antenato del valzer. Può darsi che la storiella faccia parte della mitologia viennese, e che l'allegria fosse solo data a intendere, magari più dalla canzoncina che dall'incolpevole Augustin, al quale forse semplicemente non si addiceva il lutto. Comunque sia, gli Alban Berg Quartett danno l'impressione di somigliare al caro Augustin: stanno in bilico sugli abissi della musica viennese, non importa se prima o seconda scuola, con la leggerezza e la noncuranza dei garzoni di bottega che trasportano i cristalli di Boemia.
Li incontro in un triste albergo da commessi viaggiatori dietro Piazza del Duomo, e mi domando se è decente quello che offriamo ai nostri ospiti nel cuore della città. La conta tra i quattro ha assegnato all'intervistatore di Musica Viva la viola, Thomas Kakuska, uomo mite, gentilissimo e disponibile. La sera precedente si sono esibiti alla Scala con un programma inconsueto: una novità di Berio, Notturno, incorniciata tra due capolavori di Haydn. Il discorso si avvia a partire da Berio.
Se guardiamo il catalogo di musica da camera, notiamo che nel Settecento abbiamo importanti presenze italiane (Cambini, Boccherini); poi nell'Ottocento quasi nulla, tranne qualche eccezione come Cherubini o il Quartetto di Verdi. Nel Novecento invece i compositori italiani sono tornati ad essere molto importanti in questo repertorio, già timidamente con Malipiero e poi, dopo la guerra, una vera esplosione: Berio, Nono, Donatoni, Bussotti, eccetera. Come lo spiega?
Non credo che siano motivi legati in particolare a una tradizione nazionale. E' interessante osservare come il repertorio italiano è oggi influente come lo fu nel passato; personaggi come Berio e Nono sono figure guida della musica contemporanea. C'è una fluttuazione qualche volta nel percorso: la musica da camera del secolo scorso è nota soprattutto per il repertorio tedesco e austriaco, ma la musica del periodo classico fu fortemente influenzata dai compositori italiani, come diceva lei. Oggi ha acquistato una nuova dimensione, perché è diventata un comparto professionale all'interno della vita musicale. Un tempo riguardava una posizione piuttosto ristretta: qualche insegnante, qualche professore d'orchestra che eseguiva musica da camera. Oggi è molto diverso, e anche per i compositori che provano a scrivere quartetti naturalmente è più complicato, dal momento che devono fare i conti con un enorme repertorio, già a partire dalla prima parte del nostro secolo.
Questo pezzo di Berio è uno stupendo lavoro per quartetto, che cerca nuovi colori e nuovi modi di esprimere ciò che si può fare con quattro voci di archi. E' molto interessante per l'uso di tutti i differenti colori su tutte e quattro le corde. Lei può sentire come qualche volta risuoni un'arpa eolia, col vento che vi passa attraverso.
Avete già suonato gli altri Quartetti di Berio prima?
No, questa è la prima volta. Personalmente, conosco la Sequenza per viola, naturalmente, che è un pezzo molto differente: molto forte, molto potente, tutto al contrario di questo.
In qualche modo, lei riconosce una tradizione nel repertorio italiano di quartetto?
Penso che specialmente nella musica contemporanea ci sia più una tradizione personale, o una evoluzione, piuttosto che una tradizione nazionale; si è diventati un pochino più internazionalisti. Nel passato si poteva dire questa è un'opera italiana, questa è tedesca. Ma in epoca classica non fu differente da oggi: Boccherini non era poi così diverso da Haydn. Lo stile musicale allora era cosmopolita, perché i musicisti e gli artisti migravano in tutta Europa. Oggi è lo stesso: nel nostro tempo ci sono moltissime possibilità di comunicare, è naturale che lo stile non sia comunque locale. Certo, gli italiani sono molto musicali, e inoltre sono abituati a esprimersi, quindi è facile che ci siano delle somiglianze nel loro modo di esprimersi, ma non riesco davvero a riconoscere questo come italiano, questo come francese o inglese. Lo stile personale è più evidente di quello nazionale.
Quali sono i vostri autori moderni preferiti?
Abbiamo eseguito di recente un paio di quartetti di Haubenstock-Ramati, un polacco che forse in Italia non è molto conosciuto, poi Schnittke, Wolfgang Rihm. C'è un compositore austriaco di cui abbiamo suonato i quartetti, che si chiama Erich Urbanner, non ben conosciuto ma molto bravo, molto intellettuale. I lavori che ho citato sono stati commissionati o scritti per noi, ma la maggior parte del nostro repertorio moderno sono le opere di Schönberg, Webern e Berg. Quando il nostro quartetto fu fondato, era necessario promuovere questo genere di repertorio; negli ultimi venti anni, è diventato più familiare al pubblico e anche ad altre formazioni, così che abbiamo potuto dedicarci anche a musica realmente contemporanea. Ma in ogni caso non siamo degli specialisti per la musica contemporanea.
Ci rende comunque molto felici che compositori così diversi e così importanti, come Schnittke, Rihm, Haubenstock-Ramati, ora Berio, che ha scritto un pezzo realmente differente... insomma noi siamo molto orgogliosi di aver potuto suonare e registrare tutto questo.
Ultimamente avete inciso un disco di musiche popolari, i valzer di Lanner e degli Strauss. Mi pare che sia piuttosto significativo anche per capire il vostro modo di suonare il repertorio.
Senz'altro. Nel disco suoniamo musiche di Lanner e di Strauss padre, che hanno vissuto nella Vienna di Schubert. Lanner stesso e Schubert si frequentavano, e le radici della musica di entrambi sono identiche. Il linguaggio è il medesimo, se non che in Schubert, e poi in Brahms, ha preso direzioni diverse, molto più personali, ha assunto una dimensione creativa. Non ha importanza che la musica dei primi venisse suonata nelle osterie o nelle sale da ballo: il punto di partenza era tuttavia la formazione tipica di tre violini e un contrabbasso, cioè il gruppo base di ogni orchestra. In questa musica cosiddetta popolare io trovo che ci sia del genio; se la si accosta con la stessa cura che si ha per un quartetto di Mozart o di Beethoven si sente che ci sono molti punti in comune. Naturalmente è musica che non desiderava altro che rimanere nell'ambiente in cui era nata, ed è con Strauss figlio che cerca di muovere qualche passo più in là. Nel disco abbiamo cominciato dalle versioni tradizionali, ma gli ultimi brani sono presenti negli arrangiamenti sofisticati e intellettuali di Schönberg, Webern e Berg, che testimoniano la fede e il rispetto per il genio degli Strauss.
Siete tutti di Vienna?
No. Siamo tutti austriaci, ma di Vienna solo io e il violoncellista Valentin Erben. Il primo violino, Günter Pichler, è tirolese, e il secondo, Gerhard Schulz, viene da Linz, da dove ha origine proprio quel tipo di musica. I musicisti scendevano insieme ai mercanti a Vienna dall'Alta Austria; loro suonavano come musica da ballo proprio il valzer.
Prima di fondare il Quartetto, avevate lavorato in orchestra o eravate solisti?
Il primo violino è stato per tre anni Konzertmeister dei Wiener Philharmoniker, poi ha lasciato per suonare musica da camera. Gli altri due hanno suonato sin dall'inizio musica da camera. Solo io ho lavorato per molti anni in orchestra, come violinista, e in seguito mi sono unito al Berg Quartett come viola.
Cosa ricorda del Quartetto LaSalle, che è stato il vostro maestro?
Io sono entrato nel Quartetto più tardi, e non sono stato in America. Il LaSalle comunque era una combinazione molto felice tra la tradizione europea, in quanto essi venivano tutti da Berlino, e lo stile analitico e moderno che essi avevano creato a Cincinnati, in particolare grazie alla personalità di Walter Levine, un uomo in grado di dare molti consigli e da cui si poteva imparare molto. Una personalità straordinaria: mai stanco intellettualmente, sempre alla ricerca di nuove domande, scavando costantemente per cercare gli autentici desideri del compositore. Il suo stile emotivamente analitico, per così dire, lascia un'impronta. Abbiamo studiato con loro il repertorio base e ovviamente la seconda scuola viennese.
E' stata per voi l'esperienza fondamentale?
E' stata una parte molto importante, ma un musicista subisce molte altre influenze. Qualche volta non se ne accorge neppure. Se lei lo chiedesse a ciascuno di noi probabilmente avrebbe risposte diverse. Per me ad esempio molto importanti sono stati il Quartetto Ungherese e il Bush, ma anche David Oistrach e Pierre Fourier, e certi cantanti... Credo che un buon musicista dovrebbe essere molto aperto a tutte le influenze che può ricevere, e poi tentare di fare qualcosa di personale.
Per un quartetto è molto importante trovare il proprio stile, perché si tratta di trovare un compromesso tra quattro persone diverse, che devono maneggiare insieme un pezzo di musica.
E' stato difficile per voi costruirvi la carriera?
Costruire una carriera non è mai facile. Siamo stati fortunati, anche, perché abbiamo incontrato le persone giuste, al momento giusto, nel posto giusto. Abbiamo cercato di suonare sempre al meglio, ma del resto tutti quanti cercano di farlo. Nel nostro mestiere ci sono molti ottimi artisti, che però stentano a farsi conoscere. Il vero problema è che il pubblico deve essere raggiunto per potere apprezzare le tue doti, e questo non è semplice. Siamo stati fortunati.
Avete una disciplina molto ferrea?
Si, senz'altro. Sono venti anni che lavoriamo, e a questo non veniamo mai meno. Due giorni alla settimana insegniamo (alla Hochschule di Vienna, ndr.) e tutto il resto è dedicato al Quartetto. Prima di un concerto proviamo sempre almeno un paio d'ore. E' naturale che ci vuole disciplina, ma penso che sia altrettanto vero anche per Gidon Kremer o Riccardo Muti.
Il vostro repertorio fondamentale va dalla prima alla seconda scuola viennese: quello è il mondo espressivo, il linguaggio che conoscete e possedete meglio. Tra gli altri, invece, qual è quello che vi attrae o vi respinge di più?
Questa è una domanda che richiede una risposta personale, non del Quartetto. E' un fatto di gusto. A me ad esempio piacciono certi pezzi di Dvorak, che però non sono di grande qualità. Ma per fortuna quasi tutti i più grandi compositori hanno scritto quartetti, per cui non è un gran problema scegliere. Se lei intende per esempio autori non viennesi che amiamo e suoniamo spesso in quartetto, posso dire Bartok, che non è molto viennese di sicuro. Invece un autore che pure ci piace ma suoniamo poco è Shostakovic, perché ci sono degli eccellenti quartetti russi che sono praticamente degli specialisti in questa musica.
Dopo Berg e Webern, Vienna non sembra aver dato i natali a compositori di primo piano. Siete costretti a rimanere attaccati a un meraviglioso passato, o vedete prospettive per il futuro?
(La piccola provocazione ha un po' di effetto; non si può dire che si irriti ma la voce si scalda).
Non la vedo in questi termini. Penso che ci saranno ancora buoni compositori. Sembrerebbe di poter dire lo stesso in ogni paese. Forse non vale anche in Italia o altrove? Compositori di un certo nome ce ne sono anche in Austria, ma poi, come lei sa, la fama di un compositore può dipendere da molti fatti, da un'organizzazione di festival o da una casa editrice. Il genio non spunta come un fungo. A volte possono essercene due o tre assieme nello stesso momento, e a volte per anni non si producono pezzi di alto livello. Prima di tutto bisogna chiedersi quanto dura una generazione nel campo della composizione: venti anni? Trenta? Non sempre è possibile avere un genio ogni dieci anni. Penso che i viennesi non vogliano viversi realmente nel passato: questa è una sorta di immagine che noi abbiamo, e che ci serve per guadagnare soldi, ma c'è anche molta attività rivolta alla cultura di oggi. Quindi, cercate di avere un po' di pazienza. Poi lo ripeto: il tempo dei nazionalismi è finito, questo o quel posto non significa più molto. Le influenze e i rapporti sono su scala internazionale.
La parola nazionalismo mi fa pensare a quello che succede adesso in Europa. Voi suonereste a Saraievo, oggi?
Si, ma non sarebbe di aiuto a nessuno. Penso che sarebbe molto più utile adottare un bambino che suonare per loro. Vede, gli artisti cercano sempre di provocare, di dimostrare il proprio disagio di fronte a fatti così negativi, e vorrebbero portare aiuto, ma non ci riescono. Forse in certe situazioni è necessario che un violoncellista suoni sul muro, non lo so; ma in altre situazioni dovrebbero cambiare gli uomini che detengono il potere, e questo un concerto di un quartetto d'archi non lo può fare. Meglio prendere in classe uno studente per evitargli di andare in guerra, o adottare un bambino che ha perso i genitori, o raccogliere del danaro per qualcuno, ma dandolo direttamente a chi ne ha bisogno, perché altrimenti la mafia di quei posti se lo incamera tutto. E' orribile, che cosa vuole che risolva un concerto, se gente che ha vissuto insieme in pace per tanti anni si comporta come bestie, anzi peggio. Mi pare che oggi si stia replicando la medesima situazione che c'era prima della guerra, e temo che questa generazione compia gli stessi errori dei propri padri. Però la prossima guerra sarà quella definitiva.
Di recente avete compiuto una tournée in Russia. Come avete trovato il pubblico?
Meraviglioso. E' un pubblico molto com~ petente, che ha riversato sulla musica probabilmente aspettative spirituali che altrove non poteva trovare. Però devo dire che in genere il pubblico di musica da camera è ovunque piuttosto buono; probabilmente perché è un po' esoterico.
Considerando il programma del concerto di ieri sera, si nota come abbiate voluto mettere Haydn al centro della storia dei quartetto come genere, contrapposto a un pezzo così ricco di riflessione sulla storia come quello di Berio. Tuttavia il peso di Haydn come autore sembra ancora sfuggire al pubblico.
Per prima cosa mi verrebbe da risponderle che non lo so, perché per me i Quartetti di Haydn, insieme alle Sinfonie, sono assolutamente straordinari, allo stesso livello di qualità di Mozart e di Beethoven.
C'è stato un cambiamento nel carattere dell'uomo dall'epoca classica a quella romantica, voglio dire nella storia della cultura. Penso che ci sia difficoltà non tanto a comprendere la musica di quel tempo, quanto il carattere di quel tempo. Mi sembra che ci sia qualcosa che ha anche a che fare con la nostalgia, il che spiega il boom della musica antica, degli strumenti d'epoca, della ricerca sullo stile esecutivo. Mi sembra che in questo ci sia un aspetto di nostalgia verso una mentalità che aveva più disciplina, e anche più neutralità. Anche quegli uomini avevano emozioni, le stesse che agitano noi; erano esseri umani come noi, ma il modo di reagire era differente. Questo è cambiato con l'Illuminismo, e poi con gli ideali romantici, che spostavano l'essere umano su un piano metafisico al centro del mondo. Questo atteggiamento non apparteneva al mondo classico, in cui i sentimenti erano molto più disciplinati. Questo vale soprattutto per Haydn. Il Kayser-Quartett o le Quinte sono lavori perfetti dal punto di vista compositivo, e sono appassionati quanto potrebbe esserlo un quartetto di Beethoven, ma sono molto più disciplinati, sono più corti, danno informazioni molto più veloci e brevi; per questo hanno bisogno di un pubblico molto educato e ristretto. E' una sorta di ping-pong tra il compositore e l'ascoltatore. Non dico che sia difficile comprendere Haydn: piuttosto è difficile accettarlo. E' un uomo che ti mostra nella sua musica ogni tipo di tragedia, ogni emozione umana; soltanto, le fa apparire per pochi secondi. Per Mozart è lo stesso: l'inizio del Quintetto in sol minore è tristezza allo stato puro, come potrebbe esserci in un pezzo di Berio o Nono, ha lo stesso carattere, ma tutto avviene in pochissimo spazio.
E riducendo al minimo i mezzi retorici...
Certo, e questo non è facile da accettare per il pubblico. Questo programma è molto divertente, credo, perché mette a confronto due uomini, Berio e Haydn, che nel loro tempo sono due superstar assolute, e hai la sensazione di avere a disposizione un'intera serata per dare la possibilità al pubblico di accettarli.
Cosa ne pensa di quartetti "new wave", come il Kronos, il Balanescu o il Brodsky?
Penso che essi reagiscono alla nuova atmosfera culturale, come succede a tutti i buoni artisti. Forse il nostro secolo resterà nei libri di storia come quello delle arti visuali e di comunicazione; i giovani gruppi agiscono di conseguenza, sanno che il pubblico più giovane è abituato al video-clip e alle macchine. Cercano di arrivare al pubblico. Specialmente il Kronos, sono persone molto serie, anche se magari non ne hanno l'aspetto; vogliono suonare buona musica, repertori molto differenti e vogliono mostrare tutto ciò al pubblico. E' quello che facevano anche Liszt o Paganini, che nelle pubbliche relazioni erano intelligenti quanto il Kronos, e forse più.
Lo suonereste l'Ottetto di Mendelssohn insieme a loro?
Potrebbe essere interessante, ma penso che in questo senso noi siamo un quartetto vecchio stile, veniamo da un'epoca che prevede che si esca sul palcoscenico con il frac e si sieda sullo sgabello di velluto per suonare. Li abbiamo incontrati una volta a San Francisco, perché volevano suonare il Quartetto di Schnittke, di cui noi avevamo i diritti per i primi due anni, concedendo loro naturalmente il permesso di eseguirlo; sono ottimi musicisti e persone molto gentili. E' giusto che il loro stile rappresenti i tempi nuovi, perché ogni artista, ogni interprete deve cercare di ottenere la concentrazione del pubblico sulle qualità degli autori che esegue. Ce n'è abbastanza di pubblico come noi, per cui è bene che esista anche un pubblico diverso. Sono diverse le forme, ma gli scopi sono gli stessi.
Una parte importante del vostro lavoro è l'insegnamento. Qual è la nozione principale che cercate di insegnare?
C'è una difficoltà sostanziale. Una delle principali qualità di un artista, di un musicista, è anche l'unica che non si può insegnare: il talento per l'estroversione, la capacità di essere comunicativi. Se sei troppo timido, non puoi stare sul palcoscenico; devi essere un po' reattivo, nervoso, sveglio. Questo non si può insegnare: c'è o non c'è. E' sempre un problema, perché all'inizio non si sa mai veramente se questa qualità è presente o meno. Quello che si può, e si deve, insegnare invece è di rispettare lo studio tecnico: un buon artista deve essere un buon suonatore per prima cosa, altrimenti non può esprimere nulla. Poi è importante far capire come tutte le arti interagiscono, come sia importante fare esperienza di tutto; ma anche questo in fondo non si può insegnare veramente.
Gli studenti vogliono diventare genii troppo presto, vorrebbero trattare sempre di problemi coma la psicanalisi nel giovane Brahms, o la filosofia di Beethoven; capisco che sia molto più divertente e interessante che studiare le scale e gli esercizi tecnici, ma un buon insegnante deve bilanciare le due esigenze.
Vorrebbe provare a descrivere le persone che formano l'Alban Berg?
Non saprei, penso che siamo molto differenti tra di noi. L'armonia è buona perché nessuno di noi fa il "capo", e ciascuno è solidale col Quartetto. E' come nell'assetto di una società, se manca il consenso l'intero organismo è compromesso. Ciascuno di noi rinuncia ad una parte della propria personalità per dare spazio a quella degli altri. Il nostro lavoro non è facile, ma dà anche molta energia, e questo è molto positivo anche per il pubblico. Nei Quartetti di Bartok si trova a volte un'indicazione scritta sotto un passaggio, in rilievo; questo dovrebbe essere. D'altra parte è sempre il pubblico che decide della qualità del nostro lavoro, e non la personalità di uno o dell'altro. Quindi è importante non nascondere la propria personalità, ma avere sempre come obiettivo il lavoro del gruppo. La musica da camera è una sorta di compromesso tra i comportamenti sociali ed egoistici, entrambi sono necessari.
Come nell'Andante del Kayser-Quartett, in cui a turno tutti suonano il tema...
Esatto, proprio così. Fosse così anche a Sarajevo.
Vi ricordate quella canzoncina che dice "0 mein lieber, o mein lieber Augustin" ? Pare che questo Augustin fosse un signore di Vienna che, mentre la peste infuriava, come nella Milano del Manzoni o nella Firenze dell'Orcagna, sgambettava allegramente un qualche antenato del valzer. Può darsi che la storiella faccia parte della mitologia viennese, e che l'allegria fosse solo data a intendere, magari più dalla canzoncina che dall'incolpevole Augustin, al quale forse semplicemente non si addiceva il lutto. Comunque sia, gli Alban Berg Quartett danno l'impressione di somigliare al caro Augustin: stanno in bilico sugli abissi della musica viennese, non importa se prima o seconda scuola, con la leggerezza e la noncuranza dei garzoni di bottega che trasportano i cristalli di Boemia.
Li incontro in un triste albergo da commessi viaggiatori dietro Piazza del Duomo, e mi domando se è decente quello che offriamo ai nostri ospiti nel cuore della città. La conta tra i quattro ha assegnato all'intervistatore di Musica Viva la viola, Thomas Kakuska, uomo mite, gentilissimo e disponibile. La sera precedente si sono esibiti alla Scala con un programma inconsueto: una novità di Berio, Notturno, incorniciata tra due capolavori di Haydn. Il discorso si avvia a partire da Berio.
Se guardiamo il catalogo di musica da camera, notiamo che nel Settecento abbiamo importanti presenze italiane (Cambini, Boccherini); poi nell'Ottocento quasi nulla, tranne qualche eccezione come Cherubini o il Quartetto di Verdi. Nel Novecento invece i compositori italiani sono tornati ad essere molto importanti in questo repertorio, già timidamente con Malipiero e poi, dopo la guerra, una vera esplosione: Berio, Nono, Donatoni, Bussotti, eccetera. Come lo spiega?
Non credo che siano motivi legati in particolare a una tradizione nazionale. E' interessante osservare come il repertorio italiano è oggi influente come lo fu nel passato; personaggi come Berio e Nono sono figure guida della musica contemporanea. C'è una fluttuazione qualche volta nel percorso: la musica da camera del secolo scorso è nota soprattutto per il repertorio tedesco e austriaco, ma la musica del periodo classico fu fortemente influenzata dai compositori italiani, come diceva lei. Oggi ha acquistato una nuova dimensione, perché è diventata un comparto professionale all'interno della vita musicale. Un tempo riguardava una posizione piuttosto ristretta: qualche insegnante, qualche professore d'orchestra che eseguiva musica da camera. Oggi è molto diverso, e anche per i compositori che provano a scrivere quartetti naturalmente è più complicato, dal momento che devono fare i conti con un enorme repertorio, già a partire dalla prima parte del nostro secolo.
Questo pezzo di Berio è uno stupendo lavoro per quartetto, che cerca nuovi colori e nuovi modi di esprimere ciò che si può fare con quattro voci di archi. E' molto interessante per l'uso di tutti i differenti colori su tutte e quattro le corde. Lei può sentire come qualche volta risuoni un'arpa eolia, col vento che vi passa attraverso.
Avete già suonato gli altri Quartetti di Berio prima?
No, questa è la prima volta. Personalmente, conosco la Sequenza per viola, naturalmente, che è un pezzo molto differente: molto forte, molto potente, tutto al contrario di questo.
In qualche modo, lei riconosce una tradizione nel repertorio italiano di quartetto?
Penso che specialmente nella musica contemporanea ci sia più una tradizione personale, o una evoluzione, piuttosto che una tradizione nazionale; si è diventati un pochino più internazionalisti. Nel passato si poteva dire questa è un'opera italiana, questa è tedesca. Ma in epoca classica non fu differente da oggi: Boccherini non era poi così diverso da Haydn. Lo stile musicale allora era cosmopolita, perché i musicisti e gli artisti migravano in tutta Europa. Oggi è lo stesso: nel nostro tempo ci sono moltissime possibilità di comunicare, è naturale che lo stile non sia comunque locale. Certo, gli italiani sono molto musicali, e inoltre sono abituati a esprimersi, quindi è facile che ci siano delle somiglianze nel loro modo di esprimersi, ma non riesco davvero a riconoscere questo come italiano, questo come francese o inglese. Lo stile personale è più evidente di quello nazionale.
Quali sono i vostri autori moderni preferiti?
Abbiamo eseguito di recente un paio di quartetti di Haubenstock-Ramati, un polacco che forse in Italia non è molto conosciuto, poi Schnittke, Wolfgang Rihm. C'è un compositore austriaco di cui abbiamo suonato i quartetti, che si chiama Erich Urbanner, non ben conosciuto ma molto bravo, molto intellettuale. I lavori che ho citato sono stati commissionati o scritti per noi, ma la maggior parte del nostro repertorio moderno sono le opere di Schönberg, Webern e Berg. Quando il nostro quartetto fu fondato, era necessario promuovere questo genere di repertorio; negli ultimi venti anni, è diventato più familiare al pubblico e anche ad altre formazioni, così che abbiamo potuto dedicarci anche a musica realmente contemporanea. Ma in ogni caso non siamo degli specialisti per la musica contemporanea.
Ci rende comunque molto felici che compositori così diversi e così importanti, come Schnittke, Rihm, Haubenstock-Ramati, ora Berio, che ha scritto un pezzo realmente differente... insomma noi siamo molto orgogliosi di aver potuto suonare e registrare tutto questo.
Ultimamente avete inciso un disco di musiche popolari, i valzer di Lanner e degli Strauss. Mi pare che sia piuttosto significativo anche per capire il vostro modo di suonare il repertorio.
Senz'altro. Nel disco suoniamo musiche di Lanner e di Strauss padre, che hanno vissuto nella Vienna di Schubert. Lanner stesso e Schubert si frequentavano, e le radici della musica di entrambi sono identiche. Il linguaggio è il medesimo, se non che in Schubert, e poi in Brahms, ha preso direzioni diverse, molto più personali, ha assunto una dimensione creativa. Non ha importanza che la musica dei primi venisse suonata nelle osterie o nelle sale da ballo: il punto di partenza era tuttavia la formazione tipica di tre violini e un contrabbasso, cioè il gruppo base di ogni orchestra. In questa musica cosiddetta popolare io trovo che ci sia del genio; se la si accosta con la stessa cura che si ha per un quartetto di Mozart o di Beethoven si sente che ci sono molti punti in comune. Naturalmente è musica che non desiderava altro che rimanere nell'ambiente in cui era nata, ed è con Strauss figlio che cerca di muovere qualche passo più in là. Nel disco abbiamo cominciato dalle versioni tradizionali, ma gli ultimi brani sono presenti negli arrangiamenti sofisticati e intellettuali di Schönberg, Webern e Berg, che testimoniano la fede e il rispetto per il genio degli Strauss.
Siete tutti di Vienna?
No. Siamo tutti austriaci, ma di Vienna solo io e il violoncellista Valentin Erben. Il primo violino, Günter Pichler, è tirolese, e il secondo, Gerhard Schulz, viene da Linz, da dove ha origine proprio quel tipo di musica. I musicisti scendevano insieme ai mercanti a Vienna dall'Alta Austria; loro suonavano come musica da ballo proprio il valzer.
Prima di fondare il Quartetto, avevate lavorato in orchestra o eravate solisti?
Il primo violino è stato per tre anni Konzertmeister dei Wiener Philharmoniker, poi ha lasciato per suonare musica da camera. Gli altri due hanno suonato sin dall'inizio musica da camera. Solo io ho lavorato per molti anni in orchestra, come violinista, e in seguito mi sono unito al Berg Quartett come viola.
Cosa ricorda del Quartetto LaSalle, che è stato il vostro maestro?
Io sono entrato nel Quartetto più tardi, e non sono stato in America. Il LaSalle comunque era una combinazione molto felice tra la tradizione europea, in quanto essi venivano tutti da Berlino, e lo stile analitico e moderno che essi avevano creato a Cincinnati, in particolare grazie alla personalità di Walter Levine, un uomo in grado di dare molti consigli e da cui si poteva imparare molto. Una personalità straordinaria: mai stanco intellettualmente, sempre alla ricerca di nuove domande, scavando costantemente per cercare gli autentici desideri del compositore. Il suo stile emotivamente analitico, per così dire, lascia un'impronta. Abbiamo studiato con loro il repertorio base e ovviamente la seconda scuola viennese.
E' stata per voi l'esperienza fondamentale?
E' stata una parte molto importante, ma un musicista subisce molte altre influenze. Qualche volta non se ne accorge neppure. Se lei lo chiedesse a ciascuno di noi probabilmente avrebbe risposte diverse. Per me ad esempio molto importanti sono stati il Quartetto Ungherese e il Bush, ma anche David Oistrach e Pierre Fourier, e certi cantanti... Credo che un buon musicista dovrebbe essere molto aperto a tutte le influenze che può ricevere, e poi tentare di fare qualcosa di personale.
Per un quartetto è molto importante trovare il proprio stile, perché si tratta di trovare un compromesso tra quattro persone diverse, che devono maneggiare insieme un pezzo di musica.
E' stato difficile per voi costruirvi la carriera?
Costruire una carriera non è mai facile. Siamo stati fortunati, anche, perché abbiamo incontrato le persone giuste, al momento giusto, nel posto giusto. Abbiamo cercato di suonare sempre al meglio, ma del resto tutti quanti cercano di farlo. Nel nostro mestiere ci sono molti ottimi artisti, che però stentano a farsi conoscere. Il vero problema è che il pubblico deve essere raggiunto per potere apprezzare le tue doti, e questo non è semplice. Siamo stati fortunati.
Avete una disciplina molto ferrea?
Si, senz'altro. Sono venti anni che lavoriamo, e a questo non veniamo mai meno. Due giorni alla settimana insegniamo (alla Hochschule di Vienna, ndr.) e tutto il resto è dedicato al Quartetto. Prima di un concerto proviamo sempre almeno un paio d'ore. E' naturale che ci vuole disciplina, ma penso che sia altrettanto vero anche per Gidon Kremer o Riccardo Muti.
Il vostro repertorio fondamentale va dalla prima alla seconda scuola viennese: quello è il mondo espressivo, il linguaggio che conoscete e possedete meglio. Tra gli altri, invece, qual è quello che vi attrae o vi respinge di più?
Questa è una domanda che richiede una risposta personale, non del Quartetto. E' un fatto di gusto. A me ad esempio piacciono certi pezzi di Dvorak, che però non sono di grande qualità. Ma per fortuna quasi tutti i più grandi compositori hanno scritto quartetti, per cui non è un gran problema scegliere. Se lei intende per esempio autori non viennesi che amiamo e suoniamo spesso in quartetto, posso dire Bartok, che non è molto viennese di sicuro. Invece un autore che pure ci piace ma suoniamo poco è Shostakovic, perché ci sono degli eccellenti quartetti russi che sono praticamente degli specialisti in questa musica.
Dopo Berg e Webern, Vienna non sembra aver dato i natali a compositori di primo piano. Siete costretti a rimanere attaccati a un meraviglioso passato, o vedete prospettive per il futuro?
(La piccola provocazione ha un po' di effetto; non si può dire che si irriti ma la voce si scalda).
Non la vedo in questi termini. Penso che ci saranno ancora buoni compositori. Sembrerebbe di poter dire lo stesso in ogni paese. Forse non vale anche in Italia o altrove? Compositori di un certo nome ce ne sono anche in Austria, ma poi, come lei sa, la fama di un compositore può dipendere da molti fatti, da un'organizzazione di festival o da una casa editrice. Il genio non spunta come un fungo. A volte possono essercene due o tre assieme nello stesso momento, e a volte per anni non si producono pezzi di alto livello. Prima di tutto bisogna chiedersi quanto dura una generazione nel campo della composizione: venti anni? Trenta? Non sempre è possibile avere un genio ogni dieci anni. Penso che i viennesi non vogliano viversi realmente nel passato: questa è una sorta di immagine che noi abbiamo, e che ci serve per guadagnare soldi, ma c'è anche molta attività rivolta alla cultura di oggi. Quindi, cercate di avere un po' di pazienza. Poi lo ripeto: il tempo dei nazionalismi è finito, questo o quel posto non significa più molto. Le influenze e i rapporti sono su scala internazionale.
La parola nazionalismo mi fa pensare a quello che succede adesso in Europa. Voi suonereste a Saraievo, oggi?
Si, ma non sarebbe di aiuto a nessuno. Penso che sarebbe molto più utile adottare un bambino che suonare per loro. Vede, gli artisti cercano sempre di provocare, di dimostrare il proprio disagio di fronte a fatti così negativi, e vorrebbero portare aiuto, ma non ci riescono. Forse in certe situazioni è necessario che un violoncellista suoni sul muro, non lo so; ma in altre situazioni dovrebbero cambiare gli uomini che detengono il potere, e questo un concerto di un quartetto d'archi non lo può fare. Meglio prendere in classe uno studente per evitargli di andare in guerra, o adottare un bambino che ha perso i genitori, o raccogliere del danaro per qualcuno, ma dandolo direttamente a chi ne ha bisogno, perché altrimenti la mafia di quei posti se lo incamera tutto. E' orribile, che cosa vuole che risolva un concerto, se gente che ha vissuto insieme in pace per tanti anni si comporta come bestie, anzi peggio. Mi pare che oggi si stia replicando la medesima situazione che c'era prima della guerra, e temo che questa generazione compia gli stessi errori dei propri padri. Però la prossima guerra sarà quella definitiva.
Di recente avete compiuto una tournée in Russia. Come avete trovato il pubblico?
Meraviglioso. E' un pubblico molto com~ petente, che ha riversato sulla musica probabilmente aspettative spirituali che altrove non poteva trovare. Però devo dire che in genere il pubblico di musica da camera è ovunque piuttosto buono; probabilmente perché è un po' esoterico.
Considerando il programma del concerto di ieri sera, si nota come abbiate voluto mettere Haydn al centro della storia dei quartetto come genere, contrapposto a un pezzo così ricco di riflessione sulla storia come quello di Berio. Tuttavia il peso di Haydn come autore sembra ancora sfuggire al pubblico.
Per prima cosa mi verrebbe da risponderle che non lo so, perché per me i Quartetti di Haydn, insieme alle Sinfonie, sono assolutamente straordinari, allo stesso livello di qualità di Mozart e di Beethoven.
C'è stato un cambiamento nel carattere dell'uomo dall'epoca classica a quella romantica, voglio dire nella storia della cultura. Penso che ci sia difficoltà non tanto a comprendere la musica di quel tempo, quanto il carattere di quel tempo. Mi sembra che ci sia qualcosa che ha anche a che fare con la nostalgia, il che spiega il boom della musica antica, degli strumenti d'epoca, della ricerca sullo stile esecutivo. Mi sembra che in questo ci sia un aspetto di nostalgia verso una mentalità che aveva più disciplina, e anche più neutralità. Anche quegli uomini avevano emozioni, le stesse che agitano noi; erano esseri umani come noi, ma il modo di reagire era differente. Questo è cambiato con l'Illuminismo, e poi con gli ideali romantici, che spostavano l'essere umano su un piano metafisico al centro del mondo. Questo atteggiamento non apparteneva al mondo classico, in cui i sentimenti erano molto più disciplinati. Questo vale soprattutto per Haydn. Il Kayser-Quartett o le Quinte sono lavori perfetti dal punto di vista compositivo, e sono appassionati quanto potrebbe esserlo un quartetto di Beethoven, ma sono molto più disciplinati, sono più corti, danno informazioni molto più veloci e brevi; per questo hanno bisogno di un pubblico molto educato e ristretto. E' una sorta di ping-pong tra il compositore e l'ascoltatore. Non dico che sia difficile comprendere Haydn: piuttosto è difficile accettarlo. E' un uomo che ti mostra nella sua musica ogni tipo di tragedia, ogni emozione umana; soltanto, le fa apparire per pochi secondi. Per Mozart è lo stesso: l'inizio del Quintetto in sol minore è tristezza allo stato puro, come potrebbe esserci in un pezzo di Berio o Nono, ha lo stesso carattere, ma tutto avviene in pochissimo spazio.
E riducendo al minimo i mezzi retorici...
Certo, e questo non è facile da accettare per il pubblico. Questo programma è molto divertente, credo, perché mette a confronto due uomini, Berio e Haydn, che nel loro tempo sono due superstar assolute, e hai la sensazione di avere a disposizione un'intera serata per dare la possibilità al pubblico di accettarli.
Cosa ne pensa di quartetti "new wave", come il Kronos, il Balanescu o il Brodsky?
Penso che essi reagiscono alla nuova atmosfera culturale, come succede a tutti i buoni artisti. Forse il nostro secolo resterà nei libri di storia come quello delle arti visuali e di comunicazione; i giovani gruppi agiscono di conseguenza, sanno che il pubblico più giovane è abituato al video-clip e alle macchine. Cercano di arrivare al pubblico. Specialmente il Kronos, sono persone molto serie, anche se magari non ne hanno l'aspetto; vogliono suonare buona musica, repertori molto differenti e vogliono mostrare tutto ciò al pubblico. E' quello che facevano anche Liszt o Paganini, che nelle pubbliche relazioni erano intelligenti quanto il Kronos, e forse più.
Lo suonereste l'Ottetto di Mendelssohn insieme a loro?
Potrebbe essere interessante, ma penso che in questo senso noi siamo un quartetto vecchio stile, veniamo da un'epoca che prevede che si esca sul palcoscenico con il frac e si sieda sullo sgabello di velluto per suonare. Li abbiamo incontrati una volta a San Francisco, perché volevano suonare il Quartetto di Schnittke, di cui noi avevamo i diritti per i primi due anni, concedendo loro naturalmente il permesso di eseguirlo; sono ottimi musicisti e persone molto gentili. E' giusto che il loro stile rappresenti i tempi nuovi, perché ogni artista, ogni interprete deve cercare di ottenere la concentrazione del pubblico sulle qualità degli autori che esegue. Ce n'è abbastanza di pubblico come noi, per cui è bene che esista anche un pubblico diverso. Sono diverse le forme, ma gli scopi sono gli stessi.
Una parte importante del vostro lavoro è l'insegnamento. Qual è la nozione principale che cercate di insegnare?
C'è una difficoltà sostanziale. Una delle principali qualità di un artista, di un musicista, è anche l'unica che non si può insegnare: il talento per l'estroversione, la capacità di essere comunicativi. Se sei troppo timido, non puoi stare sul palcoscenico; devi essere un po' reattivo, nervoso, sveglio. Questo non si può insegnare: c'è o non c'è. E' sempre un problema, perché all'inizio non si sa mai veramente se questa qualità è presente o meno. Quello che si può, e si deve, insegnare invece è di rispettare lo studio tecnico: un buon artista deve essere un buon suonatore per prima cosa, altrimenti non può esprimere nulla. Poi è importante far capire come tutte le arti interagiscono, come sia importante fare esperienza di tutto; ma anche questo in fondo non si può insegnare veramente.
Gli studenti vogliono diventare genii troppo presto, vorrebbero trattare sempre di problemi coma la psicanalisi nel giovane Brahms, o la filosofia di Beethoven; capisco che sia molto più divertente e interessante che studiare le scale e gli esercizi tecnici, ma un buon insegnante deve bilanciare le due esigenze.
Vorrebbe provare a descrivere le persone che formano l'Alban Berg?
Non saprei, penso che siamo molto differenti tra di noi. L'armonia è buona perché nessuno di noi fa il "capo", e ciascuno è solidale col Quartetto. E' come nell'assetto di una società, se manca il consenso l'intero organismo è compromesso. Ciascuno di noi rinuncia ad una parte della propria personalità per dare spazio a quella degli altri. Il nostro lavoro non è facile, ma dà anche molta energia, e questo è molto positivo anche per il pubblico. Nei Quartetti di Bartok si trova a volte un'indicazione scritta sotto un passaggio, in rilievo; questo dovrebbe essere. D'altra parte è sempre il pubblico che decide della qualità del nostro lavoro, e non la personalità di uno o dell'altro. Quindi è importante non nascondere la propria personalità, ma avere sempre come obiettivo il lavoro del gruppo. La musica da camera è una sorta di compromesso tra i comportamenti sociali ed egoistici, entrambi sono necessari.
Come nell'Andante del Kayser-Quartett, in cui a turno tutti suonano il tema...
Esatto, proprio così. Fosse così anche a Sarajevo.
Oreste Bossini (Musica Viva, Anno XVIII n.3/4, marzo/aprile 1994)
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