Costoro lo trovarono quasi spietato, n'ebbero irritato il sistema nervoso a cagione di quel continuo tambureggiare di selvaggi tam-tam e ne furono alla fine aspramente contrari. Erano quegli incauti che andarono al Drury Lane l'11 luglio 1913, sicuri di trovarsi davanti alla grazia piacevole di movimenti leggeri ed eleganti, mentre era annunciata la prima londinese della Sagra della primavera di Stravinsky. E sì che la prima assoluta di Parigi il 29 maggio precedente aveva suscitato disordini e querelles che sarebbero rimaste indelebilmente nelle cronache musicali del Novecento.
Le querelles e le polemiche di Parigi erano spesso montate ad arte, un modo certo per garantirsi la costante attenzione alle vicende della musica. Vi si era abituati da secoli ma Diaghilev, geniale direttore dei Balletti Russi, vi era particolarmente avvezzo. Non si fidava dell'accoglienza che avrebbe avuto la musica di Stravinsky e ci avvertì di possibili dimostrazioni del pubblico contro il compositore. Parlò ai ballerini, imponendo loro di mantenere la calma e proseguire lo spettacolo nel caso si fossero verificate turbolenze; chiese a Monteux di non permettere che l'orchestra si fermasse: "qualunque cosa succeda, disse, il balletto deve terminare". Stravinsky racconta che dopo il trambusto in sala, con tanto di intervento della polizia, Diaghilev era eccitato, adirato e ... felice. "Proprio quello che volevo", disse.
Ecco la cronaca della serata: "Meraviglioso, magnifico, assoluto!" gridavano gli uni a chi non voleva ascoltare nemmeno per un momento. "Abominevole, odioso, ridicolo, impertinente urlavano gli altri anche a chi non poteva sentire... Prima che il sipario si alzasse tutto il pubblico: "Attenzione! -dicevano i convenuti - andiamo a sentire la grande rivoluzione musicale. E' questa sera che si definisce la sinfonia dell'avvenire". "Stiamo attenti - prevenivano gli scettici si preparano a pagare le nostre orecchie! Ci si prende per dei cretini. Difendiamoci". Risultato: il sipario si leva, si mormora, si dice "Oh", si canta si zittisce, si fischia. Si applaude, si dice bravo, si acclama, ci si esalta. Capite bene che a quel punto si impediva alla mezza dozzina di spettatori che non erano energumeni una idea chiara, una idea logica e ragionata. E tra l'altro un gruppetto tra cui era il nostro Casella insultò copiosamente un vecchio signore che si comportava indecentemente in un palco, il quale vecchio signore era poi semplicemente l'Ambasciatore d'Austria che chiese riparazione per via diplomatica. La stampa si schierò subito (accesamente) contro o (timidamente, invero) pro Stravinsky. Dal primo giorno quest'opera è stata battezzata il Massacro della Primavera: Massacro perché non si è potuto sentire che una parte molto debole, tanto erano rumorose le manifestazioni che accolsero il balletto... E massacro perché è sembrato mostruoso a più di un appassionato celebrare la primavera con le convulsioni epilettiche che regala [il coreografo] Nijinsky e con una musica dolorosamente dissonante. Epilettici, i ballerini dovettero sembrare a molti, ma il critico della Revue Française de Musique non si ferma al balletto e si dilunga sulla musica di Stravinsky. Il giudizio è timidamente positivo: ne è rimasto sconcertato, sospende il giudizio scaricandolo piuttosto ai futuri nipoti per una valutazione più serena. La musica sembra superare di gran lunga i limiti normali della discordanza: testimonia un evidente partito preso per la esagerazione continua... ma è di una ricchezza effervescente e di una rara originalità. Spinto dalla sua giovinezza, il compositore è andato troppo avanti, ha bruciato le tappe, e ci ha offerto in questo anno la musica che vorremmo aver sentito nel 1940.
Non era un perfetto sconosciuto a Parigi, il giovane Stravinsky. Si era imposto recentemente all'attenzione musicale con L'uccello di fuoco e Petroushka, due opere ben accolte anche dalla critica come ottimi saggi di un buon allievo di Rimsky-Korsakov. Nonostante la buona accoglienza parigina Diaghilev le avrebbe però incautamente cancellate dal programma della successiva tournée londinese perché le riteneva troppo ardite per il pubblico inglese.
La Sagra fu dunque un fulmine a ciel sereno e sulla musica per il balletto la stampa francese sa essere anche molto esplicita. Ecco un'idea della musica: suonate a due pianoforti trasponendo di un tono una parte ma non l'altra in modo che per esempio quando sentite do mi sol da una parte sentirete anche re fa la dall'altra e nello stesso tempo... Si tratta solamente di non ottenere quasi mai uno di quegli ignobili accordi che possano sembrare consolanti.
La critica più autorevole, al tempo stesso dura ed ottimistica, venne però da Charles Lalo dalle colonne del Temps. Come sempre il suo vero obiettivo sono i giovani compositori francesi, a suo giudizio oppressi dall'autorità di Debussy e disperatamente tesi a cercare novità altrove. L'audacia diviene banalità, la consuetudine smussa in pochi anni la punta degli accordi più duri... Le stesse persone che trovano oggi laceranti gli accordi di Stravinsky non vi faranno più attenzione quando, fra un po' di tempo, vi si saranno abituati... Ecco perché, trovando nel Sacre quantità d'armonie nuove e curiose, i nostri giovani musicisti lo hanno celebrato con gran rumore. Ma queste armonie nuove e curiose cesseranno di esserlo: non appena ci si sarà assuefatti diventeranno banali e volgari per l'imitazione. Se la musica di Stravinsky non avesse altra ragione per vivere sarebbe già morta.
L'articolo chiude però con una nota fortemente positiva e preveggente: il musicista di trent'anni che dopo l'Uccello di Fuoco e Petroushka, già diverse tra loro, ha prodotto questa terza opera, profondamente diversa dalle altre due, e tutta piena di vita, è uno di quelli che nei nostri tempi sembrano avere la massima forza vitale e che hanno il più ampio avvenire aperto davanti a sé.
La critica è dunque bruciante ma l'augurio è sincero e consente un rapido riscatto allorché l'anno successivo il Sacre viene replicato in versione concertistica. Sarà un riscatto dell'intera critica francese ma Lalo dichiara onestamente il proprio abbaglio dell'anno precedente: sempre le colonne del Temps ospiteranno le sue pubbliche ritrattazioni in cui il critico porta a giustificazione delle cattive impressioni del primo momento il caos suscitato in quella memorabile serata tra i sostenitori e gli avversari di Stravinsky. La musica di Stravinsky è davvero meravigliosa, in queste durezze ed audacie estreme non c'è nulla di grossolano o volgare, né di comune, né di piatto. Vi si vede al contrario un senso innato della musica: tutto ciò che scrive Stravinsky è musicale. Pressoché tutta la stampa francese si accorda all'unisono con Lalo.
A costringere al ripensamento i francesi c'erano stati nel frattempo gli indiscutibili successi di Londra - quel pubblico impreparato all'Uccello di Fuoco - e soprattutto di Pietroburgo. Quando la Sagra tornò a Parigi la folla che invase il Casino de Paris bloccava il traffico della Rue de Clichy... Dopo l'ultimo accordo fu il delirio, la massa di spettatori febbricitante di adorazione scandiva il nome dell'autore e tutto il pubblico si mise a cercarlo. Un'esaltazione regnava nella sala. La riparazione è completa. Parigi è riabilitata. Per Igor Stravinsky l'omaggio di una infinita adorazione. Ma soprattutto la definitiva affermazione tra i massimi musicisti del Novecento.
Il viaggio della Sagra della Primavera in tutti i teatri del mondo era ormai cosa fatta. Ne restava però fuori l'Italia che non avrebbe ascoltato la versione integrale fino al 1935. Al proposito, dopo la prima parigina del 1913, Puccini aveva scritto a Ricordi: una vera e propria cacofònia ma strana e non senza un certo talento. Sulla stessa linea si sarebbe mosso il critico del Giornale di Roma, Giuseppe Galassi, quando recensì la Sagra nella sua prima esecuzione (parziale) italiana del 1923 di fronte ad un pubblico romano alquanto interdetto": tutto ciò che da Petroushka o dai Fuochi d'artificio emerge con impressionante suggestione, si è riaffermato anche ieri nella Sagra di Primavera, se pure con equilibrio minore delle parti e con ispirazione meno violenta Stravinsky personalizza l'elemento folcloristico non solo col trasmutarlo e complicarlo ma storcendolo e capovolgendolo in ogni modo, tanto che a mala pena si riesce ad intravedere l'incessante variare di una architettura stramba, connessa a guisa di mosaico... Se non raggiunge le altezze di Debussy, Stravinsky certo ha detto una parola nuova ed inconfondibile con il vaniloquio delle false avanguardie.
L'Italia fatica più di ogni altra nazione ad accogliere Stravinsky, è ormai una provincia della musica ma si illude di essere ancora depositaria della vera arte naturale e semplice, settecentesca. Ecco sul Popolo d'Italia una recensione più esplicita: Come resistere ad un concerto intero di sue musiche. Un grande genio Stravinsky? A dir tutto in una volta non è che un giocoliere della musica... non conosce che l'esasperazione del colore... e il grottesco. Gli mancala nota patetica e il senso del grandioso e i tratti tipici della musica. Nella sua arte non c'è ombra del sentimento drammatico né la solidità delle grandi linee architettoniche. Peggio; in tutto lo Stravinsky non c'è una sola nota originale, o, se volete, un solo elemento che non sia di seconda mano. Lo Stravinsky costruisce con il detrito delle opere altrui. La sua musica è la rimasticazione di altre musiche... Non parlo di quell'ipertrofica ed iperbolica Sagra di Primavera dove la primavera non appare certo come la rosea ed eterna danza botticelliana, ma è un tripudio di mostri epilettici.
Ancora l'epilessia. Sembra proprio che lo shock procurato dalla ritmica incalzante di Stravinsky dovesse essere esorcizzato con riferimenti medici e fisici che dire altrimenti di quel pubblico che è una forza collettiva di irrefrenabili scosse elettriche pronte a provocare un temperale? Anche in Italia per l'affermazione della Sagra della Primavera era necessario un maitre à penser d'eccezione e questo non poteva essere che il musicista più internazionale degli anni Venti italiani. Alfredo Casella scrisse nel 1935 un articolo su La Nazione ricordando quella prima Sagra parigina che aveva ascoltato nel 1913: L'opera è di quelle poche che, animate dalla forza terribile e misteriosa del genio, non hanno bisogno di illustrazioni per essere capite. La Sagra agisce appunto sull'ascoltatore come un cataclisma della natura... Stravinsky opera sul pubblico, seppure con mezzi ben diversi, alquanto come il Verdi di Barilli: "ignora le parafrasi, s'intromette furiosamente, piomba sul pubblico, lo mette tutto in un sacco, e se lo carica sulle spalle, e lo porta a gran passi entro i rossi e vulcanidi dominii della sua arte".
Le querelles e le polemiche di Parigi erano spesso montate ad arte, un modo certo per garantirsi la costante attenzione alle vicende della musica. Vi si era abituati da secoli ma Diaghilev, geniale direttore dei Balletti Russi, vi era particolarmente avvezzo. Non si fidava dell'accoglienza che avrebbe avuto la musica di Stravinsky e ci avvertì di possibili dimostrazioni del pubblico contro il compositore. Parlò ai ballerini, imponendo loro di mantenere la calma e proseguire lo spettacolo nel caso si fossero verificate turbolenze; chiese a Monteux di non permettere che l'orchestra si fermasse: "qualunque cosa succeda, disse, il balletto deve terminare". Stravinsky racconta che dopo il trambusto in sala, con tanto di intervento della polizia, Diaghilev era eccitato, adirato e ... felice. "Proprio quello che volevo", disse.
Ecco la cronaca della serata: "Meraviglioso, magnifico, assoluto!" gridavano gli uni a chi non voleva ascoltare nemmeno per un momento. "Abominevole, odioso, ridicolo, impertinente urlavano gli altri anche a chi non poteva sentire... Prima che il sipario si alzasse tutto il pubblico: "Attenzione! -dicevano i convenuti - andiamo a sentire la grande rivoluzione musicale. E' questa sera che si definisce la sinfonia dell'avvenire". "Stiamo attenti - prevenivano gli scettici si preparano a pagare le nostre orecchie! Ci si prende per dei cretini. Difendiamoci". Risultato: il sipario si leva, si mormora, si dice "Oh", si canta si zittisce, si fischia. Si applaude, si dice bravo, si acclama, ci si esalta. Capite bene che a quel punto si impediva alla mezza dozzina di spettatori che non erano energumeni una idea chiara, una idea logica e ragionata. E tra l'altro un gruppetto tra cui era il nostro Casella insultò copiosamente un vecchio signore che si comportava indecentemente in un palco, il quale vecchio signore era poi semplicemente l'Ambasciatore d'Austria che chiese riparazione per via diplomatica. La stampa si schierò subito (accesamente) contro o (timidamente, invero) pro Stravinsky. Dal primo giorno quest'opera è stata battezzata il Massacro della Primavera: Massacro perché non si è potuto sentire che una parte molto debole, tanto erano rumorose le manifestazioni che accolsero il balletto... E massacro perché è sembrato mostruoso a più di un appassionato celebrare la primavera con le convulsioni epilettiche che regala [il coreografo] Nijinsky e con una musica dolorosamente dissonante. Epilettici, i ballerini dovettero sembrare a molti, ma il critico della Revue Française de Musique non si ferma al balletto e si dilunga sulla musica di Stravinsky. Il giudizio è timidamente positivo: ne è rimasto sconcertato, sospende il giudizio scaricandolo piuttosto ai futuri nipoti per una valutazione più serena. La musica sembra superare di gran lunga i limiti normali della discordanza: testimonia un evidente partito preso per la esagerazione continua... ma è di una ricchezza effervescente e di una rara originalità. Spinto dalla sua giovinezza, il compositore è andato troppo avanti, ha bruciato le tappe, e ci ha offerto in questo anno la musica che vorremmo aver sentito nel 1940.
Non era un perfetto sconosciuto a Parigi, il giovane Stravinsky. Si era imposto recentemente all'attenzione musicale con L'uccello di fuoco e Petroushka, due opere ben accolte anche dalla critica come ottimi saggi di un buon allievo di Rimsky-Korsakov. Nonostante la buona accoglienza parigina Diaghilev le avrebbe però incautamente cancellate dal programma della successiva tournée londinese perché le riteneva troppo ardite per il pubblico inglese.
La Sagra fu dunque un fulmine a ciel sereno e sulla musica per il balletto la stampa francese sa essere anche molto esplicita. Ecco un'idea della musica: suonate a due pianoforti trasponendo di un tono una parte ma non l'altra in modo che per esempio quando sentite do mi sol da una parte sentirete anche re fa la dall'altra e nello stesso tempo... Si tratta solamente di non ottenere quasi mai uno di quegli ignobili accordi che possano sembrare consolanti.
La critica più autorevole, al tempo stesso dura ed ottimistica, venne però da Charles Lalo dalle colonne del Temps. Come sempre il suo vero obiettivo sono i giovani compositori francesi, a suo giudizio oppressi dall'autorità di Debussy e disperatamente tesi a cercare novità altrove. L'audacia diviene banalità, la consuetudine smussa in pochi anni la punta degli accordi più duri... Le stesse persone che trovano oggi laceranti gli accordi di Stravinsky non vi faranno più attenzione quando, fra un po' di tempo, vi si saranno abituati... Ecco perché, trovando nel Sacre quantità d'armonie nuove e curiose, i nostri giovani musicisti lo hanno celebrato con gran rumore. Ma queste armonie nuove e curiose cesseranno di esserlo: non appena ci si sarà assuefatti diventeranno banali e volgari per l'imitazione. Se la musica di Stravinsky non avesse altra ragione per vivere sarebbe già morta.
L'articolo chiude però con una nota fortemente positiva e preveggente: il musicista di trent'anni che dopo l'Uccello di Fuoco e Petroushka, già diverse tra loro, ha prodotto questa terza opera, profondamente diversa dalle altre due, e tutta piena di vita, è uno di quelli che nei nostri tempi sembrano avere la massima forza vitale e che hanno il più ampio avvenire aperto davanti a sé.
La critica è dunque bruciante ma l'augurio è sincero e consente un rapido riscatto allorché l'anno successivo il Sacre viene replicato in versione concertistica. Sarà un riscatto dell'intera critica francese ma Lalo dichiara onestamente il proprio abbaglio dell'anno precedente: sempre le colonne del Temps ospiteranno le sue pubbliche ritrattazioni in cui il critico porta a giustificazione delle cattive impressioni del primo momento il caos suscitato in quella memorabile serata tra i sostenitori e gli avversari di Stravinsky. La musica di Stravinsky è davvero meravigliosa, in queste durezze ed audacie estreme non c'è nulla di grossolano o volgare, né di comune, né di piatto. Vi si vede al contrario un senso innato della musica: tutto ciò che scrive Stravinsky è musicale. Pressoché tutta la stampa francese si accorda all'unisono con Lalo.
A costringere al ripensamento i francesi c'erano stati nel frattempo gli indiscutibili successi di Londra - quel pubblico impreparato all'Uccello di Fuoco - e soprattutto di Pietroburgo. Quando la Sagra tornò a Parigi la folla che invase il Casino de Paris bloccava il traffico della Rue de Clichy... Dopo l'ultimo accordo fu il delirio, la massa di spettatori febbricitante di adorazione scandiva il nome dell'autore e tutto il pubblico si mise a cercarlo. Un'esaltazione regnava nella sala. La riparazione è completa. Parigi è riabilitata. Per Igor Stravinsky l'omaggio di una infinita adorazione. Ma soprattutto la definitiva affermazione tra i massimi musicisti del Novecento.
Il viaggio della Sagra della Primavera in tutti i teatri del mondo era ormai cosa fatta. Ne restava però fuori l'Italia che non avrebbe ascoltato la versione integrale fino al 1935. Al proposito, dopo la prima parigina del 1913, Puccini aveva scritto a Ricordi: una vera e propria cacofònia ma strana e non senza un certo talento. Sulla stessa linea si sarebbe mosso il critico del Giornale di Roma, Giuseppe Galassi, quando recensì la Sagra nella sua prima esecuzione (parziale) italiana del 1923 di fronte ad un pubblico romano alquanto interdetto": tutto ciò che da Petroushka o dai Fuochi d'artificio emerge con impressionante suggestione, si è riaffermato anche ieri nella Sagra di Primavera, se pure con equilibrio minore delle parti e con ispirazione meno violenta Stravinsky personalizza l'elemento folcloristico non solo col trasmutarlo e complicarlo ma storcendolo e capovolgendolo in ogni modo, tanto che a mala pena si riesce ad intravedere l'incessante variare di una architettura stramba, connessa a guisa di mosaico... Se non raggiunge le altezze di Debussy, Stravinsky certo ha detto una parola nuova ed inconfondibile con il vaniloquio delle false avanguardie.
L'Italia fatica più di ogni altra nazione ad accogliere Stravinsky, è ormai una provincia della musica ma si illude di essere ancora depositaria della vera arte naturale e semplice, settecentesca. Ecco sul Popolo d'Italia una recensione più esplicita: Come resistere ad un concerto intero di sue musiche. Un grande genio Stravinsky? A dir tutto in una volta non è che un giocoliere della musica... non conosce che l'esasperazione del colore... e il grottesco. Gli mancala nota patetica e il senso del grandioso e i tratti tipici della musica. Nella sua arte non c'è ombra del sentimento drammatico né la solidità delle grandi linee architettoniche. Peggio; in tutto lo Stravinsky non c'è una sola nota originale, o, se volete, un solo elemento che non sia di seconda mano. Lo Stravinsky costruisce con il detrito delle opere altrui. La sua musica è la rimasticazione di altre musiche... Non parlo di quell'ipertrofica ed iperbolica Sagra di Primavera dove la primavera non appare certo come la rosea ed eterna danza botticelliana, ma è un tripudio di mostri epilettici.
Ancora l'epilessia. Sembra proprio che lo shock procurato dalla ritmica incalzante di Stravinsky dovesse essere esorcizzato con riferimenti medici e fisici che dire altrimenti di quel pubblico che è una forza collettiva di irrefrenabili scosse elettriche pronte a provocare un temperale? Anche in Italia per l'affermazione della Sagra della Primavera era necessario un maitre à penser d'eccezione e questo non poteva essere che il musicista più internazionale degli anni Venti italiani. Alfredo Casella scrisse nel 1935 un articolo su La Nazione ricordando quella prima Sagra parigina che aveva ascoltato nel 1913: L'opera è di quelle poche che, animate dalla forza terribile e misteriosa del genio, non hanno bisogno di illustrazioni per essere capite. La Sagra agisce appunto sull'ascoltatore come un cataclisma della natura... Stravinsky opera sul pubblico, seppure con mezzi ben diversi, alquanto come il Verdi di Barilli: "ignora le parafrasi, s'intromette furiosamente, piomba sul pubblico, lo mette tutto in un sacco, e se lo carica sulle spalle, e lo porta a gran passi entro i rossi e vulcanidi dominii della sua arte".
Paolo Russo (Musica Viva, Anno XVII n.3, marzo 1993)
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