Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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martedì, aprile 11, 2006

Mozart: Ah! Vous dirai-je maman

"Ero così curioso di vedere i suoi Piano Forte che corsi subito ad uno dei 3 Clavieren che stavano nella stanza". Cosi, il 14 ottobre 1777, Wolfgang Amadeus racconta al padre il suo primo incontro con i pianoforti di Andreas Stein. La circostanza, apparentemente poco significativa, si rivelerà decisiva per la nostra comprensione delle opinioni di Mozart sugli strumenti a tastiera di quegli anni: in una seconda lettera indirizzata al padre tre giorni dopo, Mozart, accanto ad un forte entusiasmo per i modelli di Stein appena provati, esprime infatti numerose perplessità sulle qualità tecniche ed espressive dei fortepiani da lui fino ad allora conosciuti, ivi compreso lo strumento che fino a quel momento costituiva il suo modello di riferimento, il fortepiano dello stimato costruttore Franz Jokob Späth che si trovava nella casa paterna a Salisburgo.
Se l'entusiasmo espresso da Wolfgang Amadeus per i nuovi strumenti di Stein è quindi il presagio della svolta tecnica ed artistica che grazie a questo folgorante incontro sarebbe maturata negli anni successivi, l'epistolario e le cronache dei viaggi ci consegnano tuttavia un Mozart ancora molto legato al clavicembalo, strumento attraverso cui si fece conoscere al pubblico dei tour europei degli anni '60 e sul quale formò, è bene ricordarlo, la propria tecnica esecutiva. Un legame affettivo forte, che sfocia nella piena legittimazione del clavicembalo come mezzo espressivo autonomo, non subalterno bensì concorrente al fortepiano, i cui sviluppi tecnici e sonori tardavano a maturare. Analogamente ad altri autori contemporanei, come Johann Christian Bach, esiste una parte dell'opera mozartiana per tastiera degli anni '60 e '70 scritta per il clavicembalo, un repertorio perlopiù già noto al pubblico ma purtroppo ancora poco esaminato criticamente.

Il genere della variazione è sicuramente il punto d'incontro maggiormente compiuto tra il Mozart concertista ed il Mozart compositore. Le quindici serie di variazioni da lui composte, tralasciando quelle contenute nelle Sonate, sono infatti in molti casi le trascrizioni ragionate di alcune tra le migliori improvvisazioni da lui eseguite in concerto durante i viaggi europei. I cicli di variazioni mozartiani esprimono inoltre una sintesi ben bilanciata di diversi fattori: accanto ad una forte componente di virtuosismo, esplicito nella frequente presenza di passaggi a mani incrociate, non bisogna trascurare considerazioni di opportunità editoriale, dettate dal buon mercato di cui godevano le variazioni su temi popolari nella secondo metà del '700, e ovviamente motivazioni di natura economica, visto che diversi cicli furono scritti su commissione. C'è pure talvolta un intento didattico, se è vero che, ad esempio, le variazioni sul minuetto di Fischer KV179 furono utilizzate da Mozart come strumento d'insegnomento fino alla fine degli anni '80, ma vi è soprattutto, quale elemento maggiormente unificante, l'esigenza creativa di elaborare impressioni, idee, ascolti ed esperienze dei lunghi viaggi europei.

Le otto variazioni KV24 sulla conzone olondese "Laat ons juichen, Batavieren!" di Christian Ernst Graaf furono scritte da Mozart nel 1766, verso la fine del Grand Tour degli anni '60 che lo condusse attraverso Francia, Inghilterra ed Olanda. E' fatto ormai accertato che queste variazioni giovanili, casi come tutta la musica composta da Mozart fanciullo durante il Grand Tour, furono scritte per il clavicembalo, strumento per il quale furono pubblicate in Olonda subito dopo la loro composizione. Nonostante la loro brevità e la loro semplicità di esecuzione, le variazioni KV24, probabilmente ritoccate dal padre in vista della pubblicazione, possiedono un'organizzazione strutturale sorprendentemente ben definita che Mozart utilizzerà molte altre volte anche a distanza di anni e che è tacitamente riconoscibile in tutte e quattro le serie di variazioni contenute in questo CD. Qui, in piccolo, troviamo infatti le premesse per i grandi cicli del periodo viennese, con il climax dell'intera composizione collocato nella penultima variazione, di solito un Adagio, accuratamente preparata da una serie di variazioni di crescente complessità e seguito da un finale liberatorio conciso e brillante. Le variazioni sulla canzone di Graaf possono essere quindi viste come la manifestazione precoce di un cliché compositivo che Mozart non abbandonerà mai nel corso della suo vita e, come tali, rivestono un interesse che va al di là del puro fatto musicale.

Nello stesso anno (1766) si deve verosimilmente l'incontro con il concerto per oboe in do maggiore di Johann Christian Fischer sul cui rondeau Mozart compose le dodici variazioni KV179. Quest'opera fu scritta a Salisburgo otto anni dopo, durante un periodo di grande fertilità creativa di Mozart: allo stesso periodo risalgono infatti, tra le altre cose, il primo concerto per fortepiano e orchestra interamente originale KV175 e la "piccola" sinfonia in sol minore KV183. Non se ne conoscono le circostanze della composizione, ma è probabile che il ciclo sia stato composto su commissione e per fini didattici. Queste variazioni furono suonate da Mozart in concerto in numerose occasioni ed ebbero una grandissima fortuna presso il pubblico - soprattutto amateurs - fino ad alcuni decenni dopo la morte di Mozart, giocché ancora ai primi dell'Ottocento se ne potevano trovare numerose edizioni a stampa. Come per i primi cicli giovanili, siamo ancora di fronte ad un modello di scrittura che sfrutta al massimo le migliori qualità sonore del clavicembalo, in un'opera dove agilità, brillantezza e creatività dell'esecutore - l'autografo non riporta alcuna indicazione dinamica - sono gli elementi maggiormente caratterizzanti. Vista l'eccessiva ridondonza della struttura armonica del tema, si è scelto di eliminare tutti i ritornelli in sede di registrazione e, conseguentemente, anche le corrispondenti fioriture dell'undicesima variazione, scritte per esteso da Mozart e generalmente eseguite.

Le dodici variazioni sulla celeberrima melodia "Ah, vous dirai-je, maman", pubblicata in Francia alla metà degli anni '60 da Nicolas Dezéde, furono composte a Parigi nel 1778. Anche queste variazioni, così come il ciclo composto sul minuetto di Fischer, furono verosimilmente concepite per il clavicembalo. Il gusto dei francesi in fatto di musica strumentale era infatti in quegli anni ancora molto indietro rispetto a quello dei tedeschi. Benché possa sembrare incredibile, il pubblico parigino degli anni '70 non poteva di fatto fruire dell'ascolto di musica strumentale, in quanto l'Opèra, le Comédies ed il Concert Spiritual, le maggiori istituzioni concertistiche della capitale francese, imponevano al pubblico musica quasi esclusivamente vocale, fossero esse opere, mottetti, cantate o voudevilles. La musica strumentale d'avanguardia, soprattutto quella orchestrale, veniva inoltre quasi esclusivamente eseguita in pochi salotti nobiliari. Questi ambienti, in quanto luoghi d'elite, non potevano svolgere un ruolo decisivo nello sviluppo e nel cambiamento dei gusti del grande pubblico. Nel 1778 a Parigi il clavicembalo era quindi ancora di gran lunga il principe degli strumenti a tastiera, e lo sarebbe rimosto almeno fino all'inizio degli anni '90. A tale proposito sono illuminanti le parole di Leopold Mozart, scritte il 12 aprile 1778 in una lettera a Wolfgang Amadeus: "Se a Parigi potessi procurarti un buon clavicordo, come il nostro, esso sarebbe per te molto meglio e più conveniente di un fortepiano, dato che i francesi non hanno ancora combiato del tutto il loro gusto". Il fatto che Mozart abbia scritto le variazioni su "Ah, vous dirai-je, maman" in tale contesto, ci permette quindi di supporre che l'opera fosse in origine destinata al clavicembalo, quale ne fosse la sua circostanza compositiva - opera su commissione, materiale per uso didattico, trascrizione da improvvisazioni eseguite in pubblico, ecc.. La scrittura dell'intera opera è infatti in tutto e per tutto ancora di natura genuinamente cembalistica, quasi totalmente priva di indicazioni dinamiche, affine a numerose e brillanti opere di intrattenimento di autori contemporanei, ad esempio Galuppi, ed è distante anni luce dalla complessità espressiva di altri autori, come Carl Philipp Emanuel Bach, e da certa stessa produzione mozartiano precedente. In questo stesso contesto, su scala differente, si può probabilmente inserire anche la Sonata in do maggiore KV330, scritta anch'essa durante il soggiorno parigino del 1778, con la sua scrittura brillante e la disposizione delle dinamiche "a terrazze" - ovvero senza la presenza di crescendo e diminuendo - che la rendono senz'altro la più idonea ad essere eseguita sul clavicembalo tra tutte le sonate mozartiane.

Diverso è il caso delle otto variazioni su "Dieu d'Amour" KV352. Il tema è tratto dall'omonimo coro dall'opera "Les Marriages Samnites" di André Modeste Grétry, probabilmente ascoltata da Mozart durante il soggiorno parigino del 1778. Nel 1781, anno di composizione di queste variazioni, Mozart è già a Vienna, dove dispone di strumenti maggiormente evoluti di quello di Späth che utilizzava a Salisburgo, e di lì a poco potrà permettersi l'acquisto del fortepiano di Anton Walter che tuttora compeggia nella sua casa natale. La struttura delle singole variazioni, figlie di un processo compositivo più complesso di una semplice trascrizione da concerto, e l'accuratissimo dettaglio nell'indicazione delle dinamiche suggeriscono che l'opera fu pensata per il fortepiano. Perché allora l'esecuzione al clavicembalo? Con "Dieu d'Amour" siamo agli albori della scrittura pianistica, agli inizi di un lungo percorso di emancipazione compositiva dalle rassicuranti simmetrie della musica per clavicembalo, ai prodromi di un processo che avrebbe richiesto altre innumerevoli sperimentazioni, e di cui "Dieu d'Amour" non costituisce che uno dei primi episodi. L'estrema concisione delle frasi musicali, elemento ancora tipico della musica per clavicembalo, e l'assenza di momenti di natura improvvisativa, che invece abbonderanno in quasi tutti i cicli di variazioni successivi, permettono infatti ancora una convincente esecuzione sul clavicembalo, anche se in questo frangente lo strumento è davvero spinto verso i confini delle sue naturali qualità espressive.

Il Minuetto in re maggiore KV355, composto a Vienna nel 1789, è una delle ultime cose scritte da Mozart per la tastiera, e fu forse concepito per il clavicordo, strumento prediletto da Mozart secondo la testimonionza della moglie Costanze, ed utilizzato con assiduità anche durante gli anni viennesi. Opera di grande intimità, intensamente cromatica, questo minuetto costituisce un sorprendente esempio di sintesi musicale, capace di condensare in sole 44 battute tutte le complessità e gli elementi della forma sonata classica. Un brano che può essere senz'altro considerato, nonostante la sua brevità, tra le pagine più affascinanti scritte da Mozart per la tastiera.

Il programma del CD è completato da una serie di brevi composizioni, ritratti variegati e fedeli di un Mozart minore, lontano dai grandi impegni delle Sonate e dei Concerti. Il Modulierendes Praeludium, di recente attribuzione e d'incerta datazione - fu forse composto nel 1776 - costituisce un conciso ma raro esempio di musica interamente non misurata nel corpus mozartiano. Le quattro Contraddanze KV269b, composte a Salisburgo nel 1776 e di cui viene proposta la prima in sol maggiore, sono trascrizioni dello stesso Mozart da musica precedentemente composta per due violini e basso. Il Presto in si bemolle maggiore e l'Andante in mi bemolle maggiore sono gli unici due movimenti completati tra la serie di 43 appunti musicali che costituiscono il "Londoner Schizzenbuch" KV15, compilato a Londra nella primavera del 1765 verso la fine del Grand Tour, durante il quale Mozart compose anche l'Allegro in fa maggiore KV33B, reso celebre dal fortunato film "Amadeus" di Milos Forman.

Nota sull'interpretazione
Ho sempre creduto che l'esecuzione di Mozart al clavicembalo avesse una sua legittimità storica ed estetica. L'analisi dell'epistolario, delle cronache musicali dell'epoca e dell'apparato organologico dimostra in modo inoquivocabile che Mozart mantenne per tutta la vita un legame molto stretto con il clavicembalo, nonostante la sua preferenza accertata per strumenti con una maggiore flessibilità dinamica, come il fortepiano ed il clavicordo. Il clavicembalo fu infatti il suo strumento principe fino all'inizio degli anni '70, vi destinò parte delle composizioni salisburghesi e continuò ad utilizzarlo con una certa assiduità anche nel periodo viennese, se è vero che ancora negli anni '80 teneva regolarmente concerti pubblici al clavicembalo, come riferiscono le cronache della Wiener Zeitung. Dal punto di vista compositivo, inoltre, non è difficile constatare la contiguità tra i modelli di scrittura di certo repertorio mozartiano e le produzioni cembalistiche di numerosi altri compositori, soprattutto Johann Christian Bach, autore dal cui linguaggio Mozart attinse a piene mani.
Tuttavia, affrontare il repertorio mozartiano al clavicembalo impone serie riflessioni interpretative e suggerisce l'adozione di cautele maggiori rispetto a quando si eseguono musiche di autori della stesso epoca, poiché si stabilisce un confronto, automatico ed impietoso, con una miriade di eccellenti esecuzioni pianistiche. Il mio gusto nel repertorio mozartiano si è formato ad una scuola pianistica, non cembalistica, ed il conseguente obbligo di rivisitare radicalmente il mio modo di eseguire un repertorio che frequentavo fin da ragazzo si è dovuto confrontare, talvolta aspramente, con la pressoché totale assenza di una tradizione interpretativa della musica di Mozart al clavicembalo. Una strada impervia, ancora priva di riferimenti sicuri, che mette di fatto in discussione - nel suo piccolo - una serie di certezze della tradizione musicale romantica e moderna, abituato a considerare dogma assoluto l'esecuzione di Mozart al pianoforte.
Ho posto quindi una particolare cura nella scelta delle musiche contenute in quest'antologia, in equilibrio tra opere giovanili, certamente destinate al clavicembalo ma talvolta di scarso interesse musicale, e composizioni di più tarda datazione, sicuramente riconducibili per ragioni storiche o stilistiche al clavicembalo. Mi rendo conto che l'ascolto dell'Andante Cantabile della Sonata in do maggiore KV330 al clavicembalo posso far sobbalzare più di un ascoltatore, ma, dall'altro lato, il clavicembalo rende finalmente giustizia ad altre splendide pagine, come le variazioni su "Ah, vous dirai-je, maman" o quelle sul minuetto di Fischer, che il pianoforte moderno e lo stesso fortepiano non possono volorizzare nei loro aspetti più caratterizzanti. Esecuzioni alternative, certo, tuttavia non sostitutive di quelle pianistiche, che ormai costituiscono parte integrante ed ineludibile della nostra cultura di ascoltatori moderni ma che non possono rimanere l'unica strada percorribile per restituirci oggi, nella sua integrità, l'ascolto della musica di Mozart.

Mario Martinoli (note al CD "Mozart: Ah! Vous dirai-je, maman" - Stradivarius STR 33637 - rec. 2001)

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