Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

lunedì, maggio 29, 2006

Hopkinson Smith: eseguire Bach senza suonare le sue note

Trentaseienne statunitense, laureatosi in musicologia ad Harvard, Hopkinson «Hoppy» Smith si è perfezionato in liuto barocco a Basilea con Eugène Dombois, dopo aver studiato chitarra classica, ed aver affrontato il repertorio vihuelistico con il decano degli studiosi del siglo de oro, Emilio Pujol. Da qualche anno anche Smith insegna alla Schola Cantorum di Basilea, dedicando i corsi alla realizzazione del basso continuo e all'improvvisazione su strumenti antichi a corde pizzicate. Serissimo studioso, non si arresta però davanti a scelte molto personali nella realizzazione dei sacri testi, se ritiene di aver validi motivi; interprete preparato, di saldissima tecnica e di affascinante sensibilità, fa «passare» a chi ascolta, con inarrivabile, raffinata semplicità, anche un repertorio spesso intellettualmente molto difficile come quello per liuto rinascimentale del Cinquecento italiano, ad esempio certe composizioni di Francesco da Milano o di Alberto da Mantova. Ma per allentare un po' l'impegno del pubblico è capace di infilare tra i bis un pezzo per pianoforte di Mompou, un compositore spagnolo del nostro secolo, che Hoppy stesso si è divertito a trascrivere per liuto barocco.
A parte questa buffa cosa di Mompou, qual è il tuo atteggiamento verso i contemporanei che scrivono per strumenti antichi?
Credo sia possibile trovare buoni pezzi scritti oggi: prendi ad esempio il famoso Moto perpetuo per clavicembalo in cui Ligeti utilizza una caratteristica molto speciale dello strumento, lo stesso tipo di ostinato che è servito a Bach nella cadenza del quinto Brandeburghese. Però quando ho accennato ad un giovane compositore spagnolo che studia con me a Basilea la possibilità di scrivere un pezzo per il suo strumento, la chitarra barocca, mi ha detto: sarebbe come scrivere un pezzo di teatro d'oggi nell'idioma dei Cinquecento. Mi pare un bel modo di formulare il problema. Ma per qualcuno di parere diverso, che non lo consideri un anacronismo, mi sembra ci siano molte possibilità. lo sono senz'altro pronto a farmi sedurre da una cosa buona, che mi interessa. In questo non sono affatto dogmatico.
Non lo sei anche per altri argomenti, mi sembra. Per esempio, hai osato suonare brani di Bach originali per liuto trasportandoli in una tonalità che non era quella prevista dall'autore.
C'erano dei motivi fondati: la Suite in sol minore BWV 995 ha diversi accordi impossibili a suonarsi sul liuto barocco normale, così come sono scritti sull'autografo bachiano. Non c'è da scandalizzarsi: anche nella prima versione della Matthäuspassion ci sono in un recitativo alcuni accordi non suonabili nella parte della viola da gamba. In più, in quella suite per liuto c'è anche un sol grave che lo strumento normale a tredici cori non ha. Siccome desideravo suonare la suite ho dovuto cercare qualche compromesso: ho provato ad alzarla di un tono. Il la grave sul liuto c'è, e, ciò che è interessante, quegli accordi insuonabili cadono bene per la mano sinistra. Ma è sempre un compromesso, perché il carattere di sol minore è piuttosto differente da quello di la minore sullo strumento, dà un'atmosfera forse più profonda, più rilassata, mentre il la minore è diciamo così più «attivo». Insomma, ora sono un po' meno entusiasta di quando ho fatto quella trascrizione, che era in definitiva una maniera di suonare tutte le note di Bach senza suonarne nessuna. Comunque ci sono altri punti dove le opere bachiane per liuto presentano problemi analoghi; e, se vuoi una frase di quelle «importanti», sono sempre convinto che non c'è niente di sacro in una tonalità se rende un pezzo insuonabile.
Scusa, ma come può Bach aver sbagliato degli accordi, e addirittura aver previsto una nota inesistente? Non essendo liutista non conosceva forse perfettamente lo strumento, d'accordo, ma non può darsi che usasse un liuto con bassi aggiunti?
E' possibile che fosse un liuto con quattordici cori, ma non si può sapere. E poi, «sbagliare» è un termine un po' forte. Diciamo che andava oltre lo strumento; sempre, anche nella musica per clavicembalo, Bach domanda delle cose tecniche che nessun esecutore arriva a fare. Certo, quella nota inesistente... Per concludere, in generale credo che si debba avere una grande apertura mentale, la disponibilità costante a trovare la soluzione che in un dato momento ti sembra dia il miglior servizio alla musica che suoni. Non credo ci siano soluzioni definitive, come non esistono interpretazioni definitive.
Nei primi tempi in cui si tornava a suonare la musica antica si era però molto ligi al testo.
Sì, ed è sempre necessario conoscerlo il meglio possibile, e sapere quanto più si può sull'epoca, sul compositore, su tutto ciò che ha relazione con quella particolare musica. Ma la voglia di sapere esattamente come bisogna fare, il bisogno di essere certi, quella è una nostra mania: ci sentiamo insicuri e vogliamo una base indubitabile per convincerci che è storico quello che facciamo. Mentre è importante sapere quelle cose, ma non fini a se stesse, perché più importante è il discorso musicale.
Tu come lavori su un pezzo che stai studiando? Come nasce una tua esecuzione?
Senti, non è precisamente un argomento liutistico, ma per il basso continuo può essere importante: in occasione di un piccolo seminario che abbiamo tenuto a Basilea su Caccini si è parlato fra l'altro della sua teoria sulla necessità per il cantante di conoscere bene i differenti affetti per poterne amministrare la varietà in un pezzo, e di osservare una certa sprezzatura. E' una cosa piuttosto specifica, ma è anche una porta aperta per tutto un mondo soggettivo: quello della sprezzatura, di questa libertà ritmica aderente al testo, è un concetto molto affascinante e interessante anche per il liutista che realizza il basso continuo. Così come quando Caccini dice più o meno che al matrimonio lo sposo non deve essere vestito come un vecchio vedovo, e vuol dire: stai attento a non essere troppo limitato nei mezzi espressivi all'interno di uno stesso brano. Conosciamo, no?, certi musicisti che possono fare molta impressione ma sono praticamente incapaci di esprimere cose differenti fra loro. E poi c'è ancora una cosina che voglio dire su Caccini: come è fondamentale la teoria del parlar cantando, o del cantar parlando, credo sia ugualmente importante per l'accompagnatore, quando realizza il basso continuo, suonar parlando, o parlar suonando: devi sviluppare sul tuo strumento un linguaggio tanto variabile e forte nelle differenti maniere di espressione, quanto il cantante con la lettera del testo. Devi saper costruire qualcosa di elegiaco come qualcosa di percussivo; devi, quando il testo è erotico, essere erotico con lo strumento; quando il testo grida, gridare con lo strumento.
Quanto c'è di improvvisato e quanto di preparato prima?
Dipende. Se ad esempio c'è un basso complicato e c'è solo il liuto a realizzarlo, senza viola da gamba o violoncello, sei troppo impegnato nella realizzazione per occuparti molto degli abbellimenti, o di una seconda voce, o di accordi speciali. Devi quindi prepararti abbastanza a fondo. Se invece il basso è molto aperto, come a volte in Monteverdi, o Caccini, o Peri, sei molto più disponibile a reagire alla voce del cantante.
Ti soddisfa suonare con la voce, o preferisci farlo da solo, o con altri strumenti?
Ho fatto parecchi concerti solistici soprattutto negli ultimi due/tre anni, e mi piace molto, perché è la realizzazione del sogno che credo facciamo tutti quando iniziamo a studiare uno strumento. Ma dopo qualche mese di lavoro da solo sono sempre contento di suonare con altri. La cosa fantastica del basso continuo, quando lo realizzi come io faccio sia col liuto rinascimentale che con quello barocco, con la tiorba, con la chitarra barocca, è che ti immergi immediatamente nel mondo della musica degli altri strumenti, che spesso è abbastanza diversa da quello del liuto solo. E' un'esperienza divertente e molto formativa per lo sviluppo della propria sensibilità musicale, per la possibilità di buone integrazioni alla propria concezione della musica liutistica.
Il primo strumento su cui ti sei formato è stata la chitarra cosiddetta «classica», come è successo a molti liutisti, soprattutto negli anni passati. Ora invece spesso si parte direttamente con la tecnica liutistica. Che differenze credi ci siano fra le due categorie di esecutori? Ti sono rimaste influenze di quello studio?
Si potrebbe fare il paragone con un americano che conosce molto bene il francese e poi impara l'italiano: sarà sicuramente aiutato dal fatto di sapere il francese; ma si può imparare subito l'italiano. Io comunque all'inizio usavo le unghie della destra per pizzicare le corde del liuto, come si fa con la chitarra; quando ho commissionato il mio primo liuto lo volevo con i tasti di metallo come quelli della chitarra, e quando il liutaio mi ha praticamente imposto quelli di budello ero poco convinto. Non ti dico la prima volta che mi sono tagliato le unghie: non va, non può andare, mi dicevo. Ma è bastato poco per cambiare completamente idea. Ora non credo di avere una tecnica fissa, sono sempre in cerca di qualcosa che possa aiutarmi a servire meglio la musica. Ma adesso suono la chitarra dell'Ottocento come il liuto: senza unghie, col mignolo appoggiato. Sono diventato più realista del re.

intervista di Patrizia Luppi (Musica Viva, Anno VII n.1, gennaio 1983)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Hopkinson Smith è uno studioso serissimo e anche un apprezzato esecutore, un pò ostico da ascoltare tale è la profondità del suo mondo poetico.

Sono un liutista e ho avuto modo di partecipare ad un suo masterclass nel 2004. Ricordo i suoi commenti per la loro severità e precisione.....

:)

Anonimo ha detto...

E' un musicista fantastico!
Non viene spesso a suonare in Italia... ma il prossimo mese di ottobre sarà a Reggio Emilia.
-:))