Armando Gentilucci |
Giova ricordare che i compositori italiani, a causa del loro breve ritardo, partivano da una posizione di vantaggio: vantaggio tecnico, in quanto potevano contare su apparecchiature perfezionate; vantaggio d'esperienza dato dall'osservazione e dallo studio di precedenti lavori composti a Parigi e Colonia, dai quali trarre preziose indicazioni, scartando ipotesi deludenti e sviluppando premesse valide.
L'alternativa milanese, tra concretismo e purismo elettronico, consiste nella compresenza di vari e apparentemente opposti filoni: sintomo di maggiore disponibilità a lasciare spazio alle virtú intrinseche dei materiali nuovissimi ma senza feticismo alcuno. Cosí, se accadeva a Berio di notare, in un suo articolo sulla moderna tecnologia, che "la musica elettronica non va identificata con i suoi mezzi, ma, piuttosto, con le idee di organizzazione musicale a cui s'è oggi pervenuti e che tale esperienza è chiaramente definibile in rapporto alla storia della nostra civiltà musicale," poco piú avanti sentiva il dovere di precisare che "il compositore che adopera a scopo di musica i mezzi che le tecniche elettroacustica ed elettronica gli mettono a disposizione sarà tanto piú vicino al vero quanto piú saprà rispondere, con assoluta modestia, ille obiettive condizioni e necessità del mezzo usato... ".
Bisogna poi considerare che la linea Berio-Maderna in campo elettronico non poteva che riflettere l'atteggiamento e la posizione dei due musicisti nel quadro dell'avanguardia post-weberniana in campo vocale-strumentale.
Berio soprattutto ha sempre manifestato la propensione a tutto appetire, a lasciare che confluiscano nell'atto di comporre stimoli diversi. Dotato di musicalità e curiosità intellettuale estreme, egli respinge qualsiasi determinismo e qualsiasi ideologia in quanto formula costituita. La sua disponibilità, che corrisponde sul piano tecnico-stilistico all'inclinazione verso il pastiche d'alta classe (aspetto che peraltro non esaurisce la multiforme personalità del musicista), fa sí che i mezzi offerti dal laboratorio elettronico abbiano per lui il compito piú che altro di sbloccare una situazione, di "referenziare," alla luce della piú recente tecnologia, un'operazione squisitamente libertaria non dedotta da processi rigidamente serializzanti lo spazio acustico.
Se teniamo fermi i dati cronologici in rapporto al panorama piú vasto della storia musicale del dopoguerra europeo (lasciando per il momento da parte il "continente musicale" americano), non si può fare a meno di notare come le caratteristiche musicali di Berio e Maderna (e in genere di tutti i musicisti italiani nati negli "anni '20," Luigi Nono escluso) non abbiano conosciuto quell'immediato interesse per la rivoluzione radicale del linguaggio portata avanti in Germania e in Francia. Pezzi strumentali allora traumatizzanti come il giovanile Kreuzspiel (1951) e poi Kontrapunkte (1953) e Zeitmasse (1956) di Stockhausen, Sonata seconda (1948) e Structures (1952) di Boulez non esistevano ancora da noi. Luigi Nono (1924), autore nel periodo 1950-55 di pezzi giovanili di grande interesse e rilevanza tra cui le Due Espressioni e Monodica-polifonia-ritmica, veniva considerato in quei già lontani anni un tedesco d'elezione (e può sembrare oggi incredibile). Nono poi guardava ancora con poco interesse all'elettroacustica e rimane in questa fase inevitabilmente ai margini del discorso specifico.
Luciano Berio e Bruno Maderna seguivano strade diverse ma per alcuni aspetti concomitanti: il primo teneva tutti i fili in gestazione, richiamandosi ora a Stravinskij, ora a Berg, ora a Webern, e ancora a Petrassi e soprattutto tutto al suo maestro Dallapiccola; il secondo puntava decisamente sull'espressionismo viennese rischiarato già da una luminosità estranea al contesto d'origine. I pezzi piú spregiudicati, in direzione post-weberniana, di Berio soprattutto, erano ancora di là da venire.
Si può dire che certa atomizzazione del tessuto musicale, nella produzione vocale-strumentale dei musicisti attivi al Centro di Fonologia di Milano, sia stata almeno in parte (probabilmente in gran parte) effetto e non causa rispetto alle sperimentazioni elettroacustiche, le quali hanno verosimilmente favorito il liberarsi della tecnica compositiva dal residuo "tradizionalismo"; s'intende, nel senso della riorganizzazione strutturale degli elementi sonori e non tanto in quello della "deformazione" fonica degli strumenti e delle voci, non essenziale né prioritaria in Berio come in Maderna.
Dopo quel brano d'assaggio rappresentato da Ritratto di città, i primi due lavori interessanti prodotti nello studio milanese sono Mutazioni di Berio e Notturno di Maderna, entrambi datati 1956. Il divisionismo espressivo che già era stato di Webern vi si rileva nettamente. Estranei agli astratti calcoli probabilistici come a ogni estremizzazione di un processo tecnologico e culturale, tanto Maderna quanto Berio assecondano le inclinazioni del materiale (se cosí possiamo dire) abbastanza impressionisticamente, senza peraltro rinunciare a una chiara articolazione memore di precedenti esperienze strumentali della scuola seriale. Perciò, né Mutazioni né Notturno costituiscono apporti decisivi verso nuove prospettive: restano come testimonianze di musicalità sicura e penetrante.
Perspectives di Berio, brano elaborato l'anno successivo, è invece un lavoro importante per i processi di accelerazione che frantumano il tessuto fino a impedire una distinzione ritmica delle particelle che freneticamente si sommano, si coagulano. I quattro gruppi, o "famiglie" sonore, sono ottenute tramite il montaggio di tre frammenti di nastro magnetico contenenti suoni sinusoidali diversi. Le sequenze piú rapide sono sottoposte a differenti accelerazioni, e questo determina un gioco di impulsi fantasioso e imprevedibile, destinato a proliferare. Maderna, in Syntaxis, composto sempre nel 1957, pur non mettendo a fuoco nessuna tecnica particolarmente nuova, riesce a suscitare l'articolazione attraverso gli stessi materiali, accolti in quantità e "agìti" con un sensibilissimo empirismo.
Con Thema (Omaggio a Joyce) (1969), le categorie ritenute un tempo fisse e inconciliabili, le discriminazioni tra suono e rumore, tra parola cantata e parola parlata cadono vistosamente. Certo dietro l'esempio dello stockhauseniano Gesang der Jünglinge, Berio muove dalla stimolante sorgività di una voce impiegata nei modi piú inconsueti, e giunge a risultati di sorprendente originalità. Utilizzando un frammento tratto dall'undicesimo capitolo dell'Ulisse di Joyce registrato da una voce femminile in inglese, francese e italiano, e attraverso sovrapposizioni, distorsioni, indugi su lettere fonematicamente interessanti (la s, ad esempio), Berio mira a stravolgere sempre piú la fonte testuale dilatando e per cosí dire "liberando" la carica musicale joycíana. Si formano spesso dei veri e propri gruppi vocali ottenuti con la moltiplicazione, l'eco e cosí via: con funzione nettamente emotiva-evocativa. In Thema è raggiunta una parità dialettica tra materiale concreto ed elaborazione elettronica. La voce, in tutta la sua fisicità, assai piú spesso parlante e sussurrante che cantante, accentra su di sé gran parte delle responsabilità, e questo scansa immediatamente la rigidità compositiva, la ricerca di puri suoni elettronici: ma, ben diversamente che nei balbettii dei concretisti francesi, c'è qui una trama strutturale precisa. Giovandosi inizialmente della collaborazione di Umberto Eco, Berio ha condotto un'analisi su talune caratteristiche fonetiche proprie delle varie lingue impiegate, traendone combustibile immaginativo per un lavoro interdisciplinare che è confluito poi nell'autonomia creativa del fatto musicale: un'autonomia beninteso non più rinserrata in limiti categoriali rigidi.
Nel 1958 Bruno Maderna compone Continuo e Musica su due dimensioni per flauto e nastro. Il titolo del primo pezzo fa riferimento chiaramente all'insistenza su sonorità lungamente tenute, assaporate in tutto il loro fascino timbrico, e inoltre su proprietà per cosí dire immanenti
alla struttura elettronica pura (si pensi solo alla stratificazione del suono bianco, all'assenza totale di dialettica ritmico-intervallare che esso sembra suggerire). Strutturata con una certa complessità, questa composizione rivela anche l'attitudine di Maderna a conciliare la seria conoscenza del materiale (che poco ha però a che vedere con una speculazione di tipo scientifico e sperimentale), con una sensibile aderenza alle sollecitazioni che dal suono stesso provengono. Naturalmente un musicista di siffatto livello, una volta accettata la suggestione scaturita dal mezzo elettronico, si sforza di mettere in atto un processo mimetico ricavando empiricamente (ma non per questo casualmente) dalla materia stessa suggerimenti di articolazione. La principale caratteristica di Continuo consiste nel gioco dei suoni tenuti, ma poi intervengono piú nervosi "segni," e le linee sono per cosí dire elettrizzate, percorse quasi da miriadi di suoni brevissimi che si imparentano strettamente con taluni procedimenti del beriano Perspectives.
La grossa novità di Musica su due dimensioni sta nella consanevolezza di quanto fosse forzata l'idea, allora circolante, che la musica elettronica rappresentasse una scoperta destinata a far tabula rasa degli strumenti tradizionali. Guardando oltre l'esclusivismo tecnologico, Maderna offre un singolare accostamento tra le sonorità del flauto "dal vivo" e quelle contenute nel nastro magnetico. Una singolarità è data dal fatto che tanto la parte strumentale che quella elettronica sono informate al criterio del mobile, o della struttura aperta: mentre il flautista alterna parti scritte in notazione tradizionale ad altre aleatorie, cosí egli si accorda con il tecnico anche per scegliere quale parte del lungo nastro a disposizione utilizzerà in quanto idonea ad essere "solcata" dalle figurazioni strumentali. Se si esamina invece Musica su due dimensioni dal punto di vista esclusivo del contributo alla nuova tecnologia, non si può non convenire che l'interesse della composizione non risiede su questo terreno ma altrove (spazializzazione della materia, continuum spazio-temporale, tramutazione, ecc.).
Différences di Berio, pezzo composto tra il 1958 e il '59 per un organico di flauto, clarinetto, viola, violoncello, arpa a nastro magnetico (di cui esiste anche una nuova versione datata 1967) porta avanti il discorso del rapporto tra strumenti ed elaborazione elettronica. Non piú due materie totalmente diverse a confronto, bensí anche variazione e deformazione di una medesima realtà fonica di partenza che attraverso il nastro subisce metamorfosi macroscopiche. Sempre piú in Berio urge un superamento della musica elettronica pura e la registrazione di eventi si affaccia come ipotesi sostitutiva. In Différences il nastro immagazzina e poi modifica suoni strumentali, facendoli poi incontrare e scontrare con quelli prodotti dal vivo. Come in Transición II di Kagel, ma ancor più vistosamente, si evidenzia una gestualità latente in siffatti giochi interreattivi.
La summa delle precedenti esperienze svolte da Berio nel campo della composizione elettronica è costituita da Momenti (1960). In essa sono presenti tutte le possibili variazioni del materiale acustico in rapporto alle disponibilità tecniche offerte dallo Studio di Fonologia milanese nel 1960. Momenti si fonda su 92 rapporti di frequenza e persegue la determinazione di cellule "armoniche" definite. La materia si articola, al solito in Berio, secondo modi estremamente fantasiosi. L'uso di modalità elaborative di inesausta curiosità tecnica non fa certo di questo brano un semplice inventario di possibilità, ma anima lo strutturarsi della materia da angolazioni diverse secondo una tensione effettiva. Particolarmente accattivante risulta il finale: la vorticosa ultima sezione è rappresentata dal coagularsi di pochi frammenti accelerati progressivamente in un crescendo di impressionante potenza, che sprigiona una carica di estremo nervosismo fonico fino alla brusca interruzione che lascia riemergere l'angosciosa fissità "cosmica" e quasi neutra della sonorità di fondo.
Parlare dello Studio di Fonologia milanese negli "anni '50" vuol dire riferirsi sostanzialmente al lavoro di Luciano Berio e di Bruno Maderna. Ma anche altri compositori hanno usufruito delle apparecchiature del centro radiofonico: da Henry Pousseur, il quale benché legato abbastanza visibilmente all'estetica strutturalistica della scuola di Colonia, pure, in Scambi, ha saputo in qualche modo trarre alimento (quali che siano i risultati estetici raggiunti) dal maggior empirismo degli "sperimentali» italiani, ad André Boucourechliev (1925), musicista francese di origine bulgara assai attivo anche in veste di critico e saggista. Boucourechliev elaborò a Milano Texte I nel 1958, mentre Texte II verrà alla luce l'anno successivo a Parigi. Ciò che accomuna l'operato di questo musicista a quello, ben altrimenti impegnativo e interessante, di Berio e Maderna consiste in una prassi disinibita e rigorosa insieme, che ricava dalla sostanza fonica stessa, dalla materia le indicazioni per un'articolazione che vuole poi essere rigorosamente, meditata, e che quindi poco ha da spartire con il caotico goliardismo di moda presso i "concretisti" francesi.
Sempre nel 1958, durante un soggiorno di alcuni mesi in Italia, l'americano John Cage (1912) realizzava Fontana mix, montaggio elettronico-concreto che naturalmente nulla aggiunge a quanto già si conosceva di questo singolare attore musicale, regista di paradossali montaggi rumoristici ironicamente volti a darci un quadro passivo della complessità sonora d'oggi. Perciò Fontana mix, come gli altri (pochissimi) pezzi su nastro di Cage, non contribuisce a sviluppare una tecnica, un metodo, ma si affida "casualmente" ai mezzi tecnologici per trarne effimeri effetti esistenziali: le apparecchiature stesse diventano giocattoli musicali, che si usano in quanto disponibili, a portata di mano.
di Armando Gentilucci (da "Introduzione alla MUSICA ELETTRONICA", Feltrinelli, 1972
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