Nel 1859, lasciato l'incarico di direttore del Teatro di Weimar - ed era stato spinto a questa rinuncia anche dalle critiche dei benpensanti per la sua relazione con la Wittgenstein; ma aveva altri nemici, come il sovrintendente del teatro Dingelstedt - Liszt si trova di fronte a un'importante svolta nella propria carriera artistica. Ha ormai da tempo lasciato l'attività di virtuoso, dopo avere raccolto un'enorme messe di allori; in seguito, si è anche affermato come compositore non solo di opere pianistiche ma anche orchestrali, rivelando una straordinaria genialità; ha svolto un'apprezzatissima attività di direttore d'orchestra, mettendo in campo anche qui molte idee personali, e si è imposto come critico e scrittore di musica (il suo Chopin, pubblicato nel 1852, è un documento di alto valore storico).
Ora è, se si può accettare la parola, un artista disoccupato; in realtà potrebbe dedicarsi serenamente alla composizione, in condizioni di assoluta libertà; ma la sua personalità gli nega questo privilegio, Liszt è soprattutto un uomo d'azione, e certamente non è in grado di svolgere un'attività se questa non è inserita in un contesto di relazioni umane, di rapporti spirituali e psicologici con l'ambiente. Inoltre, malgrado le somme enormi guadagnate, non è un uomo ricco: ha molto speso, ha molto regalato. E la sua musica non gli rende come si potrebbe pensare.
Il matrimonio con la Wittgenstein potrebbe sistemare molte cose, e da tempo la principessa Carolyne è a Roma per seguire le pratiche per il divorzio. Più volte progettato, e più volte rimandato, il matrimonio dovrebbe avvenire il 22 ottobre 1861, giorno del cinquantesimo compleanno di Liszt, il quale giunge a Roma per prepararsi alla cerimonia. Ma durante la notte precedente il mattino delle nozze, un messo del papa avvisa che la cerimonia deve essere nuovamente rimandata, perché, su istanza del principe Wittgenstein, la pratica di divorzio deve essere ancora studiata. Carolyne si immerge nella lettura di testi religiosi, e soprattutto nell'Imitazione di Cristo, e scrive ponderose opere di religione e filosofia; ma Liszt si trova solo, senza un'attività precisa, in una città straniera che conosce poco di lui. Si mette a frequentare il Vaticano e la nobiltà romana legata alla Chiesa: i cardinali Luciano Bonaparte e Hohenlohe, il dantista Caetani, i Rospigliosi, i Pignatelli, nel cui palazzo organizza mattinate musicali. Diventa bibliotecario di Pio IX, il quale gli dice bonariamente: «Mio caro Liszt, per voi, qui a Roma, non ci sono che io e i lazzaroni». Nel 1864 la principessa è rimasta vedova, ma ormai non si parla più di nozze: il 25 aprile 1865 Liszt riceve gli ordini minori, riceve l'abito talare e si trasferisce in Vaticano, di fronte alle Stanze di Raffaello.
Un autorevole studioso di Liszt, Jean Chantavoine, cercando di spiegare la trasformazione del virtuoso in abate, ha scritto: «Alla fine di un concerto che aveva dato a Praga nel 1840, poiché il pubblico, entusiasta, chiedeva come bis la sua trascrizione dell'Ave Maria di Schubert, Liszt suonò prima l'Hexaméron [variazioni sulla marcia dei Puritani di Bellini], ma siccome gli ascoltatori insistevano, li sfidò ancora attaccando uno dei suoi più vertiginosi pezzi di bravura, il Galop chromatique. Ma parve pentirsi all'improvviso di questo rifiuto, e, senza interrompersi affatto, con un passaggio rapido ed elegante, continuò con l'Ave Maria. Si può affermare, in un certo senso, che in questo brusco passaggio c'è tutto Liszt. Quando si prova a raccotare e a spiegare la sua vita, bisognerebbe avere un virtuosismo come il suo per saper passare, con la stessa naturalezza, dalle avventure romantiche all'adesione al sacerdozio. Non si può giungere a questo: il fascino della sua personalità sta proprio nel fatto che egli solo poteva passare dal Galop chromatique all'Ave Maria, senza modulazioni di cattivo gusto e senza note false».
C'è, se si vuole, una critica sorridente, ma anche un grande attestato di stima: l'alta professionalità e l'umanità del musicista non possono venire messe in discussione, anche se a volte passano attraverso gesti un poco spettacolari. Bisogna comunque intendersi sull'abito talare di Liszt: egli aveva ricevuto soltanto i quattro ordini minori, e quindi non poteva dire messa né distribuire i sacramenti, e inoltre poteva tornare in qualsiasi momento alla sua precedente condizione di laico. D'altronde, fin dai giovanili anni parigini, al tempo delle Harmonies poétiques et réligieuses (1834) e dell'infatuazione per Lamartine, si può parlare di una religiosità lisztiana, intesa come partecipazione dell'uomo a una natura che è sua consolatrice.
Infine, c'è forse anche un elemento di carattere economico, o per lo meno professionale: la cordiale amicizia col papa, le ottime relazioni con molti alti prelati gli possono permettere un nuovo genere di attività, quella di autore di musica sacra, che può offrirgli una più stabile sicurezza economica. Non è un lavoro del tutto nuovo: era iniziato fin dal 1848 con la Missa per coro maschile e organo, ed era proseguito nel 1855 con la cosiddetta Messa di Gran; inoltre, nel 1855 aveva iniziato l'oratorio Christus e nel 1857 la Leggenda di Santa Elisabetta. Ma ora passa molte ore a colloquio con Pio IX, progetta una grande riforma della musica sacra, e si avvicina con grande interesse alla sua antica fonte e anzi alla fonte di tutta la musica europea colta, il canto gregoriano. Così, mentre la Messa di Gran è ancora per molti aspetti una specie di poema sinfonico sul tema divino, la Leggenda, che termina nel 1862, è già ampiamente pervasa di un più disincarnato misticismo gregoriano, mentre il Christus, concluso nel 1866, vede una grande semplificazione dei mezzi espressivi alla luce di un arcaismo critico. Sulla stessa linea, anche se con risultati a volte artisticamente inferiori, si pongono altre messe composte successivamente, come la Missa choralis (1865), la Messa per l'incoronazione ungherese (1867), il Requiem (1867-68), e un numero imponente di altre composizioni minori, cui bisogna aggiungere anche pagine pianistiche di ispirazione religiosa, di cui in parte si è già detto.
Negli ultimi anni, vedrà morire due dei suoi figli, Daniel e Blandine, e Marie d'Agoult, che non gli ha risparmiato le critiche; e vedrà anche morire il suo idolo, Wagner, al quale ha dato gran parte di se stesso. Anche la sua morte sarà un peccato d'amore: il 25 luglio 1886, sebbene malato, vuole assistere a una rappresentazione del Tristano, e morirà sei giorni dopo. Gli sarà accanto la figlia Cosima, la vedova di Wagner, che dal tempio di Bayreuth saprà orchestrare una campagna di indifferenza nei confronti del padre, senza il quale Wagner, forse, non sarebbe esistito.
Ora è, se si può accettare la parola, un artista disoccupato; in realtà potrebbe dedicarsi serenamente alla composizione, in condizioni di assoluta libertà; ma la sua personalità gli nega questo privilegio, Liszt è soprattutto un uomo d'azione, e certamente non è in grado di svolgere un'attività se questa non è inserita in un contesto di relazioni umane, di rapporti spirituali e psicologici con l'ambiente. Inoltre, malgrado le somme enormi guadagnate, non è un uomo ricco: ha molto speso, ha molto regalato. E la sua musica non gli rende come si potrebbe pensare.
Il matrimonio con la Wittgenstein potrebbe sistemare molte cose, e da tempo la principessa Carolyne è a Roma per seguire le pratiche per il divorzio. Più volte progettato, e più volte rimandato, il matrimonio dovrebbe avvenire il 22 ottobre 1861, giorno del cinquantesimo compleanno di Liszt, il quale giunge a Roma per prepararsi alla cerimonia. Ma durante la notte precedente il mattino delle nozze, un messo del papa avvisa che la cerimonia deve essere nuovamente rimandata, perché, su istanza del principe Wittgenstein, la pratica di divorzio deve essere ancora studiata. Carolyne si immerge nella lettura di testi religiosi, e soprattutto nell'Imitazione di Cristo, e scrive ponderose opere di religione e filosofia; ma Liszt si trova solo, senza un'attività precisa, in una città straniera che conosce poco di lui. Si mette a frequentare il Vaticano e la nobiltà romana legata alla Chiesa: i cardinali Luciano Bonaparte e Hohenlohe, il dantista Caetani, i Rospigliosi, i Pignatelli, nel cui palazzo organizza mattinate musicali. Diventa bibliotecario di Pio IX, il quale gli dice bonariamente: «Mio caro Liszt, per voi, qui a Roma, non ci sono che io e i lazzaroni». Nel 1864 la principessa è rimasta vedova, ma ormai non si parla più di nozze: il 25 aprile 1865 Liszt riceve gli ordini minori, riceve l'abito talare e si trasferisce in Vaticano, di fronte alle Stanze di Raffaello.
Un autorevole studioso di Liszt, Jean Chantavoine, cercando di spiegare la trasformazione del virtuoso in abate, ha scritto: «Alla fine di un concerto che aveva dato a Praga nel 1840, poiché il pubblico, entusiasta, chiedeva come bis la sua trascrizione dell'Ave Maria di Schubert, Liszt suonò prima l'Hexaméron [variazioni sulla marcia dei Puritani di Bellini], ma siccome gli ascoltatori insistevano, li sfidò ancora attaccando uno dei suoi più vertiginosi pezzi di bravura, il Galop chromatique. Ma parve pentirsi all'improvviso di questo rifiuto, e, senza interrompersi affatto, con un passaggio rapido ed elegante, continuò con l'Ave Maria. Si può affermare, in un certo senso, che in questo brusco passaggio c'è tutto Liszt. Quando si prova a raccotare e a spiegare la sua vita, bisognerebbe avere un virtuosismo come il suo per saper passare, con la stessa naturalezza, dalle avventure romantiche all'adesione al sacerdozio. Non si può giungere a questo: il fascino della sua personalità sta proprio nel fatto che egli solo poteva passare dal Galop chromatique all'Ave Maria, senza modulazioni di cattivo gusto e senza note false».
C'è, se si vuole, una critica sorridente, ma anche un grande attestato di stima: l'alta professionalità e l'umanità del musicista non possono venire messe in discussione, anche se a volte passano attraverso gesti un poco spettacolari. Bisogna comunque intendersi sull'abito talare di Liszt: egli aveva ricevuto soltanto i quattro ordini minori, e quindi non poteva dire messa né distribuire i sacramenti, e inoltre poteva tornare in qualsiasi momento alla sua precedente condizione di laico. D'altronde, fin dai giovanili anni parigini, al tempo delle Harmonies poétiques et réligieuses (1834) e dell'infatuazione per Lamartine, si può parlare di una religiosità lisztiana, intesa come partecipazione dell'uomo a una natura che è sua consolatrice.
Infine, c'è forse anche un elemento di carattere economico, o per lo meno professionale: la cordiale amicizia col papa, le ottime relazioni con molti alti prelati gli possono permettere un nuovo genere di attività, quella di autore di musica sacra, che può offrirgli una più stabile sicurezza economica. Non è un lavoro del tutto nuovo: era iniziato fin dal 1848 con la Missa per coro maschile e organo, ed era proseguito nel 1855 con la cosiddetta Messa di Gran; inoltre, nel 1855 aveva iniziato l'oratorio Christus e nel 1857 la Leggenda di Santa Elisabetta. Ma ora passa molte ore a colloquio con Pio IX, progetta una grande riforma della musica sacra, e si avvicina con grande interesse alla sua antica fonte e anzi alla fonte di tutta la musica europea colta, il canto gregoriano. Così, mentre la Messa di Gran è ancora per molti aspetti una specie di poema sinfonico sul tema divino, la Leggenda, che termina nel 1862, è già ampiamente pervasa di un più disincarnato misticismo gregoriano, mentre il Christus, concluso nel 1866, vede una grande semplificazione dei mezzi espressivi alla luce di un arcaismo critico. Sulla stessa linea, anche se con risultati a volte artisticamente inferiori, si pongono altre messe composte successivamente, come la Missa choralis (1865), la Messa per l'incoronazione ungherese (1867), il Requiem (1867-68), e un numero imponente di altre composizioni minori, cui bisogna aggiungere anche pagine pianistiche di ispirazione religiosa, di cui in parte si è già detto.
Negli ultimi anni, vedrà morire due dei suoi figli, Daniel e Blandine, e Marie d'Agoult, che non gli ha risparmiato le critiche; e vedrà anche morire il suo idolo, Wagner, al quale ha dato gran parte di se stesso. Anche la sua morte sarà un peccato d'amore: il 25 luglio 1886, sebbene malato, vuole assistere a una rappresentazione del Tristano, e morirà sei giorni dopo. Gli sarà accanto la figlia Cosima, la vedova di Wagner, che dal tempio di Bayreuth saprà orchestrare una campagna di indifferenza nei confronti del padre, senza il quale Wagner, forse, non sarebbe esistito.
di Eduardo Rescigno (da "Grande Storia della Musica", Fratelli Fabbri 1978)
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