Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, agosto 25, 2006

Mahler a Monaco: "Ottava Sinfonia", 12 settembre 1910

L'attesa di tutta Monaco e di quelli che erano venuti di fuori per assistere a questa première era enorme. Già la prova generale aveva estasiato tutti quanti. Ma all'esecuzione l'entusiasmo superò ogni limite. All'apparire di Mahler sul podio tutto il pubblico si alzò in piedi. Un perfetto silenzio. Fu l'omaggio più commovente che sia mai stato fatto a un artista. Io ero in un palco, sul punto di svenire per l'emozione.
In questa sinfonia Mahler, assurto ad altezze sovrumane, soggioga masse immani e le trasforma in fonti di luce. Indicibile fu l'emozione di tutti coloro che ebbero la fortuna di assistere all'avvenimento. Indicibile anche il successo esteriore. Tutti si precipitarono verso Mahler. Io aspettai dietro le scene, profondamente emozionata, che il delirio si calmasse. Poi ci recammo all'albergo con gli occhi pieni di lacrime. Nell'atrio ci aspettavano i nostri amici: Reinhardt, Roller, i Neisser, Erler, Berliner, i Clemenceau, Paul Stefan.
Dentro, accanto alla porta, stava J. L., un ricco pazzo di New York. «Dopo ... dopo ... dopo ... Brahms non è stato scritto nulla di così grande.» Ansimava e ostacolava il passaggio. Dovemmo ricorrere alla violenza. Passammo, per così dire, sul suo corpo. Mahler non sopportava nessun genere di adulazione. Lodi da parte di persone che non capivano niente di musica lo rendevano duro.
Una grande sala era riservata per gli ospiti di Mahler. Mahler e io volevamo metterci a sedere, quando tutta la sua famiglia ci circondò. Allora mi passò un biglietto su cui aveva scritto che quella non era una festa di famiglia, che mi alzassi e andassi a sedere da qualche altra parte, egli mi avrebbe seguita subito. Lo feci e mi misi a sedere vicino al consigliere segreto Neisser e sua moglie che erano insieme con Erler, Berliner e Klenau. Mi ero appena seduta che arrivò Mahler ridendo. E continuammo così tutta la sera, ci sentivamo liberi e leggeri, e Mahler ricevette da tutti omaggi e rallegramenti.
Meravigliosa fu quella tepida notte che passammo discorrendo, fino all'alba, mentre accanto a noi dormiva la nostra cara bambina.
Il giorno dopo il fisico Berliner, amico di Mahler, mi disse: «Tutti, Almschi, si rallegrano con Mahler, ma tu hai sofferto per l'Ottava. Meriti un premio anche tu. Vieni doniani mattina con Gustav all'Hotel "Vier Jahrcszeiten" nella stanza della signora Neisser, ci sarà una sorpresa per te.»
La mattina dunque, andammo ubbidienti all'albergo e trovammo una grande esposizione di gioielli. Erano tutti disegnati da Fritz Erler; ma non mi piacevano. Erano troppo legati allo stile del tempo. Teste di S. Giovanni in avorio, infilate l'una accanto all'altra a formare una collana! Oppure una testa di Cristo come ciondolo! Da una parte, discoste, c'erano tre perle barocche appese a una catena d'oro e scelsi quelle.
Subito dopo Mahler e io uscimmo di città in automobile per fare un giro in campagna. Ma Mahler era di malumore. Era invidioso di Berliner, che aveva avuto quell'idea e voleva ricomperargli le perle, per potermele regalare lui. Ma io non volli. Il gentile pensiero doveva rimanere di Berliner che l'aveva avuto. Mahler continuava a domandarmi: «Ti piace davvero? Ti fa veramente tanto piacere?» Mi faceva proprio piacere, non c'era niente da fare. Era il primo gioiello che io avessi ricevuto in vita mia.
Mahler non aveva la minima idea di che cosa potesse far piacere a una giovane donna. Quando ci fidanzammo disse: «C'è un uso di cattivo gusto, per queste occasioni, di regalarsi degli anelli, ma tu sei come me, vero? Non lo vuoi?» Dissi subito che quegli usi mi sembravano sciocchi.
Ci sposammo, ma Mahler non sapeva affatto che si deve fare un regalo di nozze alla moglie, e nessuno lo informò. Nacquero le bambine e non fù più questione di cose del genere. Io amministravo le entrate e dovevo star attenta a nsparimare per estinguere i debiti, non si poteva certo pensare a gioielli o a qualsiasi ornamento della vita. Dopo i guadagni americani certo, sarebbe stato possibile ... E ora Berliner!
Alla prima prova d'insieme s'era verificato un penoso incidente. L'organizzatore per desiderio di Mahler si era preso l'incarico di informare l'orchestra che Rosé voleva rendere omaggio a Mahler prendendo parte all'esecuzione dell'Ottava, come violino di spalla. Ma, per vigliaccheria, non aveva fatto questa comunicazione. Mahler credeva che la faccenda fosse regolata e telegrafò a Rosé, che venne subito da Vienna. Andammo con lui alla prova, ignari di tutto. L'orchestra prese la cosa come un affronto verso il suo violino di spalla e quando Rosé si mise a sedere, tutti gli orchestrali si alzarono e abbandonarono i loro posti. Mahler rimase impietrito. Rosé si alzò lentamente, pregò Mahler di non agitarsi, scese dal podio col suo violino e attraversò posatamente tutta la sala per venire a raggiungerci. Era una situazione umiliante e imbarazzante, ma l'atteggiamento dignitoso che seppe conservare mise gli altri dalla parte del torto.
Arrivati a Vienna, la nostra prima preoccupazione fu la gola di Mahler, dopo il nuovo attacco del male. Poiché Mahler era molto sensibile al dolore, il dott. P. non osava togliergli le tonsille, ma si limitò a cauterizzarle come aveva fatto a me, con buon successo l'anno prima. Con ciò credevamo di averlo protetto, e Mahler stesso non desiderava sottoporsi a un intervento più profondo.
Eravamo alloggiati, come sempre, in casa di mia madre. Una sera avevamo invitato di nuovo Schönberg e Zemlinsky. Schönberg mi prese da parte e disse: «Le prometto di non bisticciare mai più con Mahler ... e da oggi in poi può inveire contro di me quanto vuole, non mi offenderò mai più!» più che rallegrarmi, mi spaventai. «Sono fermamente deciso a comportarmi così da oggi in poi, perché gli voglio bene!».
Mi ricordo di una conversazione tra Mahler e Schönberg, in cui Schönberg dimostrava la possibilità di creare una melodia facendo suonare una sola nota da diversi strumenti (creando cioè una scala di vibrazioni), cosa che Mahler negava vivacernente.".
All'inizio del mese di novembre dell'anno 1910 ci incontrammo a Cherbourg sul transatlantico, per quello che sarebbe stato l'ultimo viaggio. Egli proveniva da Brema, io da Parigi. La traversata non costituiva più nulla di straordinario per noi. Si partì il 15 novembre e il 25 novembre si arrivò a New York. Era un gioco da ragazzi. Godemmno di quei dieci giorni come di un periodo di riposo. Erano giorni meravigliosi - ogni volta!
Ho preso due fotografie di Mahler in quel viaggio. Sono le sue ultime. Dall'estate precedente rivolgeva molte cure al suo aspetto esteriore. Panciotti alla moda, bei vestiti, belle scarpe. Il suo viso era tanto bello! Il suo corpo elastico e proporzionato - era facile per lui aver un bell'aspetto.
Ora diceva: "Non occorre sputare sotto la tavola per essere Beethoven!".
Quell'anno in America le tournées dovevano comprendere nuove località. Seattle, Buffalo, Springfield. Dunque: la prima settimana studio, la seconda settimana concerti a New York e Brooklyn, la terza settimana questi piccoli viaggi, il tutto con un solo programma, così bastava studiare pezzi nuovi solo ogni tre settimane. Dunque un maggior sfruttamento del programma studiato. Questo sarebbe stato un agevolamento per molti direttori, ma non per Mahler, perché egli sopportava male i viaggi.
Il 7 dicembre Mahler parti con l'orchestra per Springfield e io il 9 per Buffalo, dove dovevamo incontrarci. Arrivai la mattina presto. Come d'accordo mi aveva mandato incontro alla stazione il suo violino di spalla Spiering. Andai a prendere Mahler all'albergo, dove si fece una breve sosta e partimmo poi con un treno locale per Niagara, e da lì ci recammo alle cascate con una carrozza antidiluviana.
Un freddo sole invernale brillava su tutti i rami rivestiti di ghiaccio e quando fummo arrivati proprio alle cascate e poi, con l'ascensore, sotto le cascate, gli occhi ci facevano male per la fortissima luce verde. Il rombo dell'acqua che precipita sotto la coltre di ghiaccio, tutti gli alberi sulle sponde coperti di ghiaccio per il continuo pulviscolo, l'immensa pianura bianca, erano una bellezza di sogno!
Poi ci riscuotemmo e cercammo un luogo qualsiasi dove mangiare, ma strano, non c'era nulla di confortevole, nulla di attraente. Alla fine entrammo in una piccola trattoria riscaldata da una stufa di ferro e che odorava di soprascarpe e di vestiti bagnati. Tutta la gente si era recata colà e noi ci eravamo semplicemente accodati. Un vecchio cameriere si avvicinò al nostro tavolo, il suo volto si illuminò: "Sono felice, Mr. Mahler, di poterLa servire qui. L'ultima volta fu a Vienna, da Hartmann (un grande ristorante del Ring), ma è passato tanto tempo!". E ora eravamo salvaguardati, perché, nella sua gioia, il vecchio non sapeva più cosa fare per rendere omaggio a Mahler.
Non era facile per un uomo come Mahler, che in Europa era conosciuto e popolare dovunque, vedersi piombato laggiù improvvisamente nell'anonimo. Era dimenticata la giovinezza trascorsa in povertà, per cui ora rimaneva difficile essere una figura senza rilievo nella massa.
Poi di nuovo la carrozzella, di nuovo il treno locale e finalmente Buffalo, con mani e piedi gelati. Mahler si mise subito a letto, perché la sera doveva dirigere. Dopo un riposo di un'ora si alzò perfettamente ristorato. Io avevo sentito già quattro volte il programma di quel concerto e rimasi all'albergo. Inoltre avevo viaggiato tutta la notte ed ero arrivata molto presto la mattina.
Subito dopo il concerto Mahler venne a raggiungermi all'albergo, dove lo attendeva la sua cena frugale; era di ottimo umore. «Senti,» mi disse «oggi ho visto chiaramente che l'arte articolata è più grande della natura inarticolata.» Aveva diretto la Sinfonia Pastorale. La natura gli era sembrata più grande, più elevata nella musica di Beethoven che non in tutte le cascate del Niagara!
Il giorno dopo Mahler doveva dirigere il suo terzo concerto in qualche posto nei dintorni. Perciò la mattina ripartii sola, perché non volevo lasciare troppo a lungo la bambina con la governante. Durante il viaggio rilessi, per suo desiderio, I fratelli Karamazov. Gli telegrafai da New York: «Viaggio con Almioscia stupendo.» Mi rispose subito: «Viaggio con Almjoscia ancora molto più stupendo.»
Mahler aveva l'abitudine di ripetere continuamente per giorni, settimane e anche mesi un'idea che lo aveva particolarmente colpito, di rimeditarla e di farvi continue variazioni. Così ora ripeteva sempre: «Tutte le creature della natura si adornano costantemente a gloria di Dio. Tutti gli uomini hanno dunque un solo dovere, di farsi belli quanto più possono, in tutte le maniere, davanti a Dio e agli uomini. La bruttezza è un'offesa fatta a Dio!».
All'inizio, quando era stato fondato il comitato, avevo messo in guardia Mahler dal lasciare alle signore troppa voce in capitolo nella formazione dei programmi. Ma Mahler aveva riso e aveva detto che a lui andava molto bene se altri facevano il programma per lui, che così avrebbe avuto ancor meno da fare. Ma ebbe a pentirsene amaramente.
A New York, come del resto purtroppo anche a Vienna, Mahler aveva una spia in orchestra. Qui si chiamava Jonas, era malato di polmoni e si era cattivato la fiducia di Mahler con la descrizione dei suoi mali. Ma ben presto le conversazioni ebbero per oggetto solo i membri dell'orchestra e i loro maligni apprezzamenti su Mahler. E ora Mahler tornava a casa tutti i giorni irritato, perché Jonas lo accompagnava sempre e dappertutto come un'ombra. Mahler lo fece ispettore dell'orchestra e il disappunto degli orchestrali, che intuivano i rapporti che correvano tra Mahler e Jonas, si mostrava nel loro comportamento sempre meno amichevole e meno volonteroso verso Mahler. Può essere che Jonas abbia agito per amore, ma allora si è trattato di un amore che rendeva cattivi servizi. Mahler diventò aggressivo verso l'orchestra, irritabile e impaziente. Diversi orchestrali si lamentarono presso il comitato. L'orchestra esigeva, unanime, l'allontanamento di Jonas. Mahler si oppose. Io lo consigliai di acconsentire a qualsiasi costo, ma niente servì. Era il suo unico amico, non voleva perderlo, altrimenti sarebbe rimasto solo e abbandonato. Tutto il resto dell'orchestra lo odiava. A tal punto dunque erano arrivate le cose!
Prima di Natale ci fu una lieve ricaduta dell'angina, la malattia sparì presto e non ci preoccupò, eppure avrebbe dovuto preoccuparci molto.
 
Alma Mahler ("Ricordi elettere", ed. il Saggiatore, 1960)

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