The Hilliard Ensemble, direttore Paul Hillier; Orchestra della Beethovenhalle di Bonn, direttore Dennis Russell Davies
Ecm New Series 847 539
Risuona qui il più elementare e agghiacciante Dies Irae dopo Mozart e Verdi, in questo Miserere d'un compositore senza tempo, che viene da prima degli stili, uscito con la sua barba e gli occhi chiari, puliti, dalla caverna degli archetipi. In quest'ultimo testo sacro di Arvo Pärt (1989), che a leggerlo sembra un trattato di antiquitates con le sue triadi perfette, il suo canto fisso, i quieti canoni, i pochi strumenti sparsi come il sale in un rito della fecondità, ancora scopriamo con gelato stupore di quali spaventosi contrasti e interne varietà siano capaci gli elementi primigeni, per alcuni primitivi, della musica, quando a usarli con verginità consapevole è un compositore che ridà loro senso col mezzo piú antico che la musica conosca: lasciarli come colombi nel cielo, lasciarli vibrare nell'aria, insomma collocarli nello spazio. Che per Pärt è ovviamente la chiesa.
Nel Miserere le voci nette e taglienti del solito miracolo corale chiamato Hilliard Ensemble cominciano a intonare i versi del Salmo 51 come una preghiera in lenta processione di note ben distanziate. Le pause, come nei maestri del Medio Evo, hanno qualcosa di musicale e insieme di didascalico: servono alla riflessione di chi ascolta forse piú che a comporre i vuoti della forma. Un clarinetto e un fagotto infilano qualche ripieno. Poi, col clarinetto basso il cielo s'annuvola e il Dies Irae ci investe con un magmatico ripieno di voci e strumenti che gela il sangue. Certo, all'Hilliard Ensemble si aggiunge il Western Wind Choir, ai clarinetti e al fagotto anche una tromba, un organo, una chitarra e un basso elettrici, e le percussioni. Ma è poca cosa rispetto a un'orchestra vera. Eppure quel ripieno, preparato dai dolci e spaziati canoni delle voci soliste, ci schiaccia come un meteorite che viene da un altro mondo. L'orecchio abituato al bisbiglio ne è come deflorato. Nessun Orff alla Philharmonie di Berlino sembra suonare piú grande di questo passo, che, piú ritmicamente spianato, ricorda il motto dei cavalieri teutonici per la battaglia sul ghiaccio del Nevsky di Prokofiev.
Il Miserere è solo il primo dei tre pezzi di quest'album sublime, ed è stato registrato ovviamente in una chiesa, alla St. Judes-on-the-Hill di Londra.
Festina Lente (qualcosa come Affrettati con calma) è un contrappunto orchestrale di grande semplicità e pulizia che sembra far da ponte verso lo choc vero di questo album-preghiera: Sarah Was Ninety Years Old, pagina che sembra abbia segnato la fine, per Arvo Párt, di un periodo di afasìa, nel 1977. Riveduto fino al 1990, Sarah Was Ninety Years Old (Sara aveva novant'anni, e Sara è ovviamente la primipara attempata delle Sacre scritture, colei che diede un figlio ad Abramo) è ancora piú scolvolgente nella sua scheletricità.
La processione introduttiva qui è per una percussione poverissima che avanza come persa nel vuoto. Tre voci soliste l'interrompono tre volte, poi di nuovo il tamburo non intonato ci conduce alla stanza di un organo che con quattro accordi spalanca un'altra finestra corale da far tremare i polsi: una scala ascendente che sconfina nell'urlo. Venuti mano nella mano di quella innocua percussione, la colonna di suono che ci investe è ancor piú stordente che nel Miserere, perché più a sbalzo è il contrasto, più sorprendente il suo arrivo, ed emozionante nella sua nudità.
Mai prima, come in questo Pärt, abbiamo creduto di vedere la luce del sepolcro scoperchiato.
Nel Miserere le voci nette e taglienti del solito miracolo corale chiamato Hilliard Ensemble cominciano a intonare i versi del Salmo 51 come una preghiera in lenta processione di note ben distanziate. Le pause, come nei maestri del Medio Evo, hanno qualcosa di musicale e insieme di didascalico: servono alla riflessione di chi ascolta forse piú che a comporre i vuoti della forma. Un clarinetto e un fagotto infilano qualche ripieno. Poi, col clarinetto basso il cielo s'annuvola e il Dies Irae ci investe con un magmatico ripieno di voci e strumenti che gela il sangue. Certo, all'Hilliard Ensemble si aggiunge il Western Wind Choir, ai clarinetti e al fagotto anche una tromba, un organo, una chitarra e un basso elettrici, e le percussioni. Ma è poca cosa rispetto a un'orchestra vera. Eppure quel ripieno, preparato dai dolci e spaziati canoni delle voci soliste, ci schiaccia come un meteorite che viene da un altro mondo. L'orecchio abituato al bisbiglio ne è come deflorato. Nessun Orff alla Philharmonie di Berlino sembra suonare piú grande di questo passo, che, piú ritmicamente spianato, ricorda il motto dei cavalieri teutonici per la battaglia sul ghiaccio del Nevsky di Prokofiev.
Il Miserere è solo il primo dei tre pezzi di quest'album sublime, ed è stato registrato ovviamente in una chiesa, alla St. Judes-on-the-Hill di Londra.
Festina Lente (qualcosa come Affrettati con calma) è un contrappunto orchestrale di grande semplicità e pulizia che sembra far da ponte verso lo choc vero di questo album-preghiera: Sarah Was Ninety Years Old, pagina che sembra abbia segnato la fine, per Arvo Párt, di un periodo di afasìa, nel 1977. Riveduto fino al 1990, Sarah Was Ninety Years Old (Sara aveva novant'anni, e Sara è ovviamente la primipara attempata delle Sacre scritture, colei che diede un figlio ad Abramo) è ancora piú scolvolgente nella sua scheletricità.
La processione introduttiva qui è per una percussione poverissima che avanza come persa nel vuoto. Tre voci soliste l'interrompono tre volte, poi di nuovo il tamburo non intonato ci conduce alla stanza di un organo che con quattro accordi spalanca un'altra finestra corale da far tremare i polsi: una scala ascendente che sconfina nell'urlo. Venuti mano nella mano di quella innocua percussione, la colonna di suono che ci investe è ancor piú stordente che nel Miserere, perché più a sbalzo è il contrasto, più sorprendente il suo arrivo, ed emozionante nella sua nudità.
Mai prima, come in questo Pärt, abbiamo creduto di vedere la luce del sepolcro scoperchiato.
Carlo Maria Cella (Musica Viva, Anno XV n.11, novembre 1991)
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