Si è svolto a Milano dal 18 al 31 maggio 1979 il "Festival Berg", un ciclo di concerti e rappresentazioni liriche che il Teatro alla Scala ha programmato, con la collaborazione del Théatre National Opéra de Paris.
Lei ha sempre vissuto profondamente e con passione i momenti fondamentali e gli sviluppi della musica del nostro secolo. In che misura questi hanno inciso sul/nel sociale? Nella formazione ed emancipazione dell'«uomo» dei nostri giorni?
E' una domanda molto difficile cui rispondere. L'evoluzione della musica non è per forza parallela all'evoluzione sociale. Ciò che tuttavia si può senz'altro constatare è che la musica ha enormemente ampliato il suo campo d'azione, il pubblico; gli ascoltatori poi sono molto più numerosi rispetto al passato. Ma anche la musica contemporanea resta, malgrado tutto, legata ad un certo numero di persone che vogliono fare uno sforzo per seguire anche questo genere. Per quanto ci si voglia impegnare, e sia detto senza allarmismi, rimarrà sempre ristretto il numero di coloro che seguiranno veramente, con uno spirito che va al di là dell'interesse, e ricco di maggior competenza. Il che non impedisce certo che le cose, più avanti, si estendano maggiormente e che, qualora raggiungessero un punto di diffusione sufficientemente grande, la musica contemporanea venga assorbita ...
La crisi morale, culturale, di valori che la nostra società (o il nostro sistema sociale) sta vivendo (ci riferiamo all'Italia e alle nuove generazioni, disgregazione intorno al privato, terrorismo ... ecc.), come viene recepita o sentita dal «mondo musicale»?
Il «mondo musicale» risente delle stesse crisi degli altri ambienti, non è un mondo a sé, ci sono gli stessi riferimenti. E' dunque certo che, anche qui, ci sia il timore del futuro, come sempre, e che questa paura del futuro si manifesti in diversi modi: conservatorismo nell'insegnamento, conservatorismo nel repertorio, conservatorismo nella forma del concerto e conservatorismo persino in tutto ciò che è implicato nella cultura musicale. E' evidente che esistono delle trasformazioni, ma queste trasformazioni sono molto lente e, in quanto molto lente, non si potrà parlare tanto di evoluzione. I programmi e la forma dei concerti si stanno evolvendo moltissimo e, probabilmente, in un certo numero di anni molte cose cambieranno.
E' una domanda molto difficile cui rispondere. L'evoluzione della musica non è per forza parallela all'evoluzione sociale. Ciò che tuttavia si può senz'altro constatare è che la musica ha enormemente ampliato il suo campo d'azione, il pubblico; gli ascoltatori poi sono molto più numerosi rispetto al passato. Ma anche la musica contemporanea resta, malgrado tutto, legata ad un certo numero di persone che vogliono fare uno sforzo per seguire anche questo genere. Per quanto ci si voglia impegnare, e sia detto senza allarmismi, rimarrà sempre ristretto il numero di coloro che seguiranno veramente, con uno spirito che va al di là dell'interesse, e ricco di maggior competenza. Il che non impedisce certo che le cose, più avanti, si estendano maggiormente e che, qualora raggiungessero un punto di diffusione sufficientemente grande, la musica contemporanea venga assorbita ...
La crisi morale, culturale, di valori che la nostra società (o il nostro sistema sociale) sta vivendo (ci riferiamo all'Italia e alle nuove generazioni, disgregazione intorno al privato, terrorismo ... ecc.), come viene recepita o sentita dal «mondo musicale»?
Il «mondo musicale» risente delle stesse crisi degli altri ambienti, non è un mondo a sé, ci sono gli stessi riferimenti. E' dunque certo che, anche qui, ci sia il timore del futuro, come sempre, e che questa paura del futuro si manifesti in diversi modi: conservatorismo nell'insegnamento, conservatorismo nel repertorio, conservatorismo nella forma del concerto e conservatorismo persino in tutto ciò che è implicato nella cultura musicale. E' evidente che esistono delle trasformazioni, ma queste trasformazioni sono molto lente e, in quanto molto lente, non si potrà parlare tanto di evoluzione. I programmi e la forma dei concerti si stanno evolvendo moltissimo e, probabilmente, in un certo numero di anni molte cose cambieranno.
La nostra scuola musicale sembra vivere al di fuori «del resto del mondo», anche se con importanti eccezioni ancora non capaci di diventare forza trainante. L'esperienza formativa del suo paese è diversa? Qual è? Quali sono gli elementi per una completa formazione del futuro musicista?
La situazione è la stessa anche in Francia. Certamente l'ambiente musicale è molto isolato dal resto. E un ambiente molto specializzato. E se si decide di analizzare in profondità un'azione sulla società, giustamente bisogna vederla attraverso il proprio mestiere e per mezzo della forza di cui si è portatori. Altrimenti ci si comporta da dilettanti in primo luogo e, secondariamente, si agisce senza alcuna forza in quanto si è al di fuori della competenza personale d'azione. E io credo fermamente che la capacità d'azione dipenda essenzialmente dalla professionalità di cui si è capaci.
La situazione è la stessa anche in Francia. Certamente l'ambiente musicale è molto isolato dal resto. E un ambiente molto specializzato. E se si decide di analizzare in profondità un'azione sulla società, giustamente bisogna vederla attraverso il proprio mestiere e per mezzo della forza di cui si è portatori. Altrimenti ci si comporta da dilettanti in primo luogo e, secondariamente, si agisce senza alcuna forza in quanto si è al di fuori della competenza personale d'azione. E io credo fermamente che la capacità d'azione dipenda essenzialmente dalla professionalità di cui si è capaci.
Una domanda al compositore più che all'organizzatore o al direttore d'orchestra. Non ritiene che per le nuove generazioni sia venuto a mancare un punto di riferimento quale è stato Darmstadt dei primi anni per lei e la sua generazione?
Certamente la situazione è cambiata ma non si è semplificata. La situazione non è mai semplice ma è certo che, dopo la guerra, molte cose erano migliorate in quanto l'anticultura, se così si può definire, che si era venuta a formare tra il '32 e il '45 aveva provocato un gran desiderio di rinnovamento e questo desiderio non doveva incontrare ostacoli di sorta. In quanto si era visto a che cosa l'ostacolo poteva condurre. Quindi, dal mio punto di vista, della mia generazione intendo, il terreno era molto «libero». Questa specie di visione globale ora non esiste; si ripresenterà probabilmente non tanto in occasione di un altro conflitto ma certamente in caso di crisi. Ritengo che le crisi permettano di avere una visione globale di una certa situazione mentre i periodi normali sono al contrario soggetti alla dispersione. E non si può certo dire di che crisi si possa trattare proprio perché, in quanto crisi, non la si può prevedere ...
Certamente la situazione è cambiata ma non si è semplificata. La situazione non è mai semplice ma è certo che, dopo la guerra, molte cose erano migliorate in quanto l'anticultura, se così si può definire, che si era venuta a formare tra il '32 e il '45 aveva provocato un gran desiderio di rinnovamento e questo desiderio non doveva incontrare ostacoli di sorta. In quanto si era visto a che cosa l'ostacolo poteva condurre. Quindi, dal mio punto di vista, della mia generazione intendo, il terreno era molto «libero». Questa specie di visione globale ora non esiste; si ripresenterà probabilmente non tanto in occasione di un altro conflitto ma certamente in caso di crisi. Ritengo che le crisi permettano di avere una visione globale di una certa situazione mentre i periodi normali sono al contrario soggetti alla dispersione. E non si può certo dire di che crisi si possa trattare proprio perché, in quanto crisi, non la si può prevedere ...
E più specificatamente Darmstadt?
Darmstadt è stata soprattutto un'esperienza internazionale. Quando sono arrivato a Darmstadt, cioè nel '52 la prima volta, poi nel '55, avevo già tutta una evoluzione musicale alle mie spalle, dal '45 a Parigi. Per cui Darmstadt ha rappresentato molto di più di un'esperienza personale perché è stato un incontro di persone di diversi paesi. E' stato probabilmente il primo incontro veramente internazionale che si è tenuto dopo la guerra. E, a mio parere, è questo un fatto molto importante, molto più del linguaggio musicale stesso. E' il confronto di persone che nascono da orizzonti musicali «diversi», da paesi che erano stati tenuti a lungo isolati gli uni dagli altri, che si sono infine incontrati e ciò ha dato la possibilità di raggiungere dei punti mai esistiti prima di allora. Chi dice confronto dice giustamente esperienza comune, finalmente, e esperienza comune significa in gran parte un nuovo linguaggio.
Che cosa ha rappresentato per lei questa esperienza musicale milanese?
Ne ricavo un'esperienza decisamente positiva, in tutti i sensi. So che Abbado ha fatto qui un grosso lavoro con la gente per cambiare i programmi. Non di meno Pollini. Esiste dunque una mentalità molto diversa da quello che avevo conosciuto venti, venticinque anni fa. Gli «animi» sono molto più aperti, più pronti, se si vuole, a ricevere la musica che si ascolta. Devo tuttavia riconoscere che il mio soggiorno a Milano non ha prodotto una musica attuale nel vero senso del termine. E' una musica che appartiene al passato, benché si tratti di un passato recente. Ma se mi si presentasse ancora l'occasione, vorrei andare più lontano, proporre la musica di oggi.
Darmstadt è stata soprattutto un'esperienza internazionale. Quando sono arrivato a Darmstadt, cioè nel '52 la prima volta, poi nel '55, avevo già tutta una evoluzione musicale alle mie spalle, dal '45 a Parigi. Per cui Darmstadt ha rappresentato molto di più di un'esperienza personale perché è stato un incontro di persone di diversi paesi. E' stato probabilmente il primo incontro veramente internazionale che si è tenuto dopo la guerra. E, a mio parere, è questo un fatto molto importante, molto più del linguaggio musicale stesso. E' il confronto di persone che nascono da orizzonti musicali «diversi», da paesi che erano stati tenuti a lungo isolati gli uni dagli altri, che si sono infine incontrati e ciò ha dato la possibilità di raggiungere dei punti mai esistiti prima di allora. Chi dice confronto dice giustamente esperienza comune, finalmente, e esperienza comune significa in gran parte un nuovo linguaggio.
Che cosa ha rappresentato per lei questa esperienza musicale milanese?
Ne ricavo un'esperienza decisamente positiva, in tutti i sensi. So che Abbado ha fatto qui un grosso lavoro con la gente per cambiare i programmi. Non di meno Pollini. Esiste dunque una mentalità molto diversa da quello che avevo conosciuto venti, venticinque anni fa. Gli «animi» sono molto più aperti, più pronti, se si vuole, a ricevere la musica che si ascolta. Devo tuttavia riconoscere che il mio soggiorno a Milano non ha prodotto una musica attuale nel vero senso del termine. E' una musica che appartiene al passato, benché si tratti di un passato recente. Ma se mi si presentasse ancora l'occasione, vorrei andare più lontano, proporre la musica di oggi.
Può suggerire un modulo per avvicinare il pubblico non acculturalizzato alla musica contemporanea che viene solitamente definita estremamente ostica?
La gente bisogna andarla a prendere, è quanto noi in Francia facciamo, bisogna andarla a trovare, tenere sempre i contatti con comitati, enti ... con chi organizza corsi o concerti ...
Come interpreta la differenza di giudizio, spesso opposta, tra la critica e il pubblico?
Direi che è un fatto del tutto normale. E' una situazione che esiste da sempre, non è per niente nuova. E' chiaro, il pubblico ha un'opinione più generale, e non c'è un solo pubblico, ma tanti così come non c'è una critica ma i critici. Costoro hanno opinioni personali, si esprimono su organi di stampa diversi. Ritengo del tutto normale che nell'«esistenza», esistano degli opposti.
La gente bisogna andarla a prendere, è quanto noi in Francia facciamo, bisogna andarla a trovare, tenere sempre i contatti con comitati, enti ... con chi organizza corsi o concerti ...
Come interpreta la differenza di giudizio, spesso opposta, tra la critica e il pubblico?
Direi che è un fatto del tutto normale. E' una situazione che esiste da sempre, non è per niente nuova. E' chiaro, il pubblico ha un'opinione più generale, e non c'è un solo pubblico, ma tanti così come non c'è una critica ma i critici. Costoro hanno opinioni personali, si esprimono su organi di stampa diversi. Ritengo del tutto normale che nell'«esistenza», esistano degli opposti.
Quali sono, secondo lei, le cause e a chi attribuire le responsabilità - oggettive e soggettive della suddivisione netta fra musica d'impegno, accademica, e musica di consumo?
La musica e anche «molte cose». C'è la musica che si può ascoltare, senza dover prestare troppa attenzione, una specie di sottofondo musicale e c'è anche la musica che, contrariamente, richiede concentrazione, attenzione, ascolto attivo che, tuttavia, non significa necessariamente entrare in profondità. Da parte mia non ritengo possibile un ascolto impegnato ventiquattrore su ventiquattro. Esistono quindi dei momenti che sono più adatti all'ascolto passivo degli altri al contrario, nei quali ci si può concentrare. Del resto, nella stessa musica «seria», troviamo delle opere che richiedono più attenzione di altre ... E un fenomeno che esiste anche nella letteratura, dove, per fare un esempio nella letteratura francese, ci sono poeti come Rimbaud o Mallarmé che sono sempre più difficili da leggersi che non Victor Hugo o la Sagan.
La musica e anche «molte cose». C'è la musica che si può ascoltare, senza dover prestare troppa attenzione, una specie di sottofondo musicale e c'è anche la musica che, contrariamente, richiede concentrazione, attenzione, ascolto attivo che, tuttavia, non significa necessariamente entrare in profondità. Da parte mia non ritengo possibile un ascolto impegnato ventiquattrore su ventiquattro. Esistono quindi dei momenti che sono più adatti all'ascolto passivo degli altri al contrario, nei quali ci si può concentrare. Del resto, nella stessa musica «seria», troviamo delle opere che richiedono più attenzione di altre ... E un fenomeno che esiste anche nella letteratura, dove, per fare un esempio nella letteratura francese, ci sono poeti come Rimbaud o Mallarmé che sono sempre più difficili da leggersi che non Victor Hugo o la Sagan.
da Laboratorio & Musica (Anno I m.2/3, lug/ago 1979)
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