Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

martedì, gennaio 17, 2006

Gianni Brera e le sue esperienze musicali


Avevo un padre melomane che mi ha reso antipatica l'opera lirica. Poi, riflettendoci da più provveduto, ho capito che l'opera era l'unica manifestazione culturale del popolo italiano. Per noi è stata il modo, teatrale e riduttivo, di partecipare al grande movimento romantico; era la nostra unica forma culturale autonoma. Così abbiamo fagocitato tutti i testi romantici (perfino Schiller coi Masnadieri) e li abbiamo messi sul palcoscenico, con libretti osceni che manifestavano il livello di idiozia degli italiani. Mio padre ha avuto anche la crudeltà mentale di portarmi alla Scala a sentire la Butterfly con Tanaki Miura; mi ricordo che aveva il phisique du role, ma non so se fosse buona a cantare no, perché mi sono addormentato. Giocavo al football, e alla sera ero stanco.
Per molti anni sono stato prevenuto nei confronti della musica seria, senza avere coscienza di tutto quanto esisteva al di fuori dell'opera lirica. Mi arrivava alle orecchie Beethoven: lo trovavo davvero un musicista per sordi. Ascoltavo Mozart: mi sembrava lezioso. Era colpa anche della scuola: sono uscito dal liceo senza sapere che cos'era un trumeau, figurarsi se sapevo chi era Vivaldi. Purtroppo non possiamo scegliere il padre e, la madre, e nemmeno la patria... il mio status sociale era a livello di riva padana.
La musica l'ho scoperta quando ho cominciato a comprarmi dei 45 giri, che penso siano stati fondamentali per l'accultazione musicale di tutto il mondo. Una notte stavo ascoltando una pila di 45 giri portati dall'America. In uno c'erano due notturni di Chopin. Era notte, stavo lavorando. Chopin mi era sempre stato antipatico: e invece, improvvisamente, mi si è spalancata una finestra dentro... Pian pianino si è come aperto un diaframma: mi sono accorto che passavano gli angeli, ma non ero in grado di riconoscerli.
Una volta avevo una buona discoteca. Purtroppo i miei figli mi hanno rubato tutte le incisioni migliori. Mi hanno fatto sparire un Bach che trovavo sublime e di cui non ricordo assolutamente il titolo... Poi avevo dei madrigali di Monteverdi strepitosi. E altre banalità, Albinoni, Vivaldi... Sceglievo i dischi per riempire le mie lacune. Haydn, chi era Haydn? Andavo a cercare delle sinfonie di Haydn. Compravo musiche di Liszt, ungherese, mio connazionale per un quarto. E tutte le sinfonie di Beethoven dirette da Toscanini. Compro ancora dischi, e molti mi vengono regalati. Li compro per riconoscere qualche angelo.
Alla Scala vado per esigenze culturali ma non mondane, perché in smoking mi sento travestito. Comunque va quasi sempre a finire che scappo a metà. Sono andato a sentire Mosé e Aronne: mi ha atterrito, musica e teatralità erano ridotte all'essenza, Mosé sbraitava in tedesco e io capivo una parola su dieci. Sono fuggito. In quasi tutte le opere, poi sento delle sfasature terribili. E tutti i salamelecchi dei miei colleghi che fingono di andare in brodo di giuggiole per le diseguaglianze geniali di Verdi... Prendiamo la Cavalleria rusticana, ad esempio: c'è una sfasatura tremenda tra la musica e il senso del dramma. La novella di Verga ha una prosa veloce e asciutta; leggo il libretto e mi sembra drammaticamente aderente all'esprit della novella. Ma poi arriva questo toscano rugiadoso e mette delle belle melodie orecchiabili in un drammone. Non riesco a sopportarlo. Invece trovo che la musica dei Pagliacci sia un miracolo di aderenza.
Mi fa rabbia pensare che qualsiasi imbecille abbia studiato musica ha dentro degli squarci di universo che mi saranno sempre preclusi. A volte sento musiche che mi farebbero rotolare per terra, poi dopo due giorni me le dimentico, non so più neppure che cosa siano. Ho avuto degli amici pianisti ma purtroppo erano tutti pederasti. Una cosa sconcertante.
Eppure penso di essere abbastanza musicale. Ad esempio Cocteau ha scritto che l'usignolo è stonato. L'avevo notato anch'io. Lui poteva scriverlo perché suonava il piano (e anche lui era omosessuale): detto da lui, era un paradosso. Io invece non potevo dirlo perché la musica non la so. Ma me n'ero accorto. L'usignolo è stonato. Il merlo invece è intonatissimo e pieno di humour. Ho perfino inventato la parola: merlitudine.

Gianni Brera (Musica Viva, Anno II n.9, novembre 1978)



Biografia di Gianni Brera
Nato l'8 settembre del 1919 a San Zenone Po, in provincia di Pavia, da Carlo e da Marietta Ghisoni, Gianni Brera è stato probabilmente il più grande giornalista sportivo che l'Italia abbia avuto.
Lasciato il paese natale a quattordici anni per trasferirsi a Milano presso la sorella Alice (di professione maestra), e iscriversi al liceo scientifico, giocò a calcio nelle squadre giovanili del Milan, sotto la guida dell'allenatore Cina Bonazzoni, e fu un promettente centromediano. Ma la passione calcistica gli faceva trascurare gli studi, così il padre e la sorella gli imposero di smettere di giocare e di spostarsi a Pavia, dove terminò il liceo e si iscrisse all'Università.
Nel 1940 il ventenne Gianni Brera frequenta dunque Scienze politiche a Pavia, svolgendo vari lavori allo scopo di pagarsi gli studi (la famiglia di origine era molto povera). Non fa in tempo a laurearsi che scoppia la seconda guerra mondiale. Costretto a partire soldato, diventa prima ufficiale e poi paracadutista, scrivendo in questa veste alcuni memorabili articoli per diversi giornali di provincia.
In questo modo ha comunque l'opportunità di crescere professionalmente. Notata negli ambienti del giornalismo la sua bravura, viene chiamato per alcune collaborazioni giornalistiche al "Popolo d'Italia" e il "Resto del Carlino", testate decisamente importanti anche se controllati dal regime fascista. E Brera, non bisogna dimenticarlo, fu sempre un fervente antifascista. Il suo disagio all'interno delle redazioni, dunque, è forte e palese. E lo diventa ancora di più quando, fra il 1942 e il 1943 le operazioni militari intraprese dal regime cominciano ad andare decisamente male.
In quei due anni nella sua vita avvengono diverse cose: muoiono la madre e il padre, lui si laurea (con una tesi su Tommaso Moro), e in seguito si sposa. Inoltre, parte per la capitale per assumere il ruolo di redattore capo di "Folgore", la rivista ufficiale dei paracadutisti. A Roma fa, secondo le parole che userà alla fine della guerra in una memoria, "il vero e proprio comunista in bluff. Il teorico, il poveraccio che non era in contatto con nessuno".
Intanto, in Italia gli oppositori del regime vanno organizzandosi sempre meglio facendo un lista sempre più nutrita di proseliti. Qualche esponente della resistenza contatta anche Brera che, dopo non poche esitazioni, decide di collaborare. A Milano partecipa con il fratello Franco alla sparatoria della stazione Centrale, uno dei primi atti di resistenza contro i tedeschi. Insieme catturano un soldato della Wehrmacht, e lo consegnano ad altri estemporanei ribelli, i quali prendono il soldato a pugni e calci. Ma, racconta Brera, "non volli lo uccidessero". Segue qualche mese di clandestinità. Brera si nasconde, a Milano presso la suocera, a Valbrona dalla cognata. Di tanto in tanto va a Pavia, a trovare l'amico Zampieri, l'unico traballante contatto che ha con le organizzazioni clandestine. In piena resistenza, però, parteciperà attivamente alla lotta partigiana in Val d'Ossola.
Il 2 luglio del '45, a guerra finita, riprende l'attività di giornalista per la "Gazzetta dello Sport", dopo la soppressione del giornale da parte del regime fascista, avvenuta due anni prima. In pochi giorni comincia a organizzare il Giro d'Italia di ciclismo, che avrebbe preso l'avvio nel maggio successivo. Doveva essere il Giro della rinascita, il ritorno del Paese alla vita dopo i tragici avvenimenti bellici. Direttore del giornale era Bruno Roghi, dalla prosa dannunziana. Tra i giornalisti Giorgio Fattori, Luigi Gianoli, Mario Fossati e Gianni Brera, che fu nominato responsabile del settore atletica leggera.
Occuparsi di questo sport lo indusse a studiare a fondo i meccanismi neuro-muscolari e psicologici del corpo umano. Le competenze così acquisite, unite a un linguaggio fantasioso e geniale, avrebbero contribuito a sviluppare la sua straordinaria capacità di raccontare il gesto sportivo con passione e trasporto.
Nel 1949 scrisse il saggio "Atletica leggera, scienza e poesia dell'orgoglio fisico". Nello stesso anno, dopo essere stato corrispondente da Parigi e inviato per la Gazzetta alle Olimpiadi di Londra del '48, fu nominato, a soli trent'anni, condirettore del giornale assieme a Giuseppe Ambrosini. In tale veste assisté alle Olimpiadi di Helsinki del '52, tra le più belle del secondo dopoguerra, dominate nel calcio dall'Ungheria di Puskas e nell'atletica dal ceco Zatopek, che vinse una gara memorabile nei cinquemila metri, stabilendo il record del mondo. Sebbene avesse ereditato dal padre le idee socialiste, Gianni Brera esaltò l'impresa di Zatopek per ragioni tutte sportive, con un titolo in prima pagina a nove colonne. Questo gli attirò, nel clima politico di allora, l'ostilità degli editori, i Crespi, contrariati che si fosse dato tanto risalto alle prodezze di un comunista.
Nel 1954, dopo aver scritto un articolo poco compiacente sulla regina britannica Elisabetta II, provocando una polemica, Gianni Brera si dimise, con una decisione irrevocabile, dalla Gazzetta. Un suo collega ed amico, Angelo Rovelli, così commenta la direzione breriana del mitico giornale rosa: "Va pur detto che dirigere, nel senso che definirei tecnico o strutturale, non era nelle sue corde. La "vecchia" Gazzetta esigeva modelli avveniristici, riconversioni, rinnovamenti. Gianni Brera era giornalista-scrittore, nel significato e nella personificazione del termine, le sue aspirazioni non coincidevano con un futuro tecnologico".
Lasciata la Gazzetta, Brera compì un viaggio negli Stati Uniti e al suo ritorno fondò un settimanale sportivo, "Sport giallo". Di lì a poco Gaetano Baldacci lo chiamò al "Giorno", il giornale appena creato da Enrico Mattei, per assumere la direzione dei servizi sportivi. Iniziava un'avventura che avrebbe cambiato il giornalismo italiano. Il "Giorno" si distinse subito per l'anticonformismo, non solo politico (il fondatore Mattei, presidente dell'ENI, auspicava un'apertura a sinistra che rompesse il monopolio della Democrazia Cristiana e favorisse l'intervento statale in economia). Nuovi erano infatti lo stile e il linguaggio, più vicini al parlare quotidiano, e l'attenzione dedicata ai fatti di costume, al cinema, alla televisione. Grande, inoltre, lo spazio dedicato allo sport.
Brera qui mise a punto il suo stile e il suo linguaggio. Mentre l'italiano comune oscillava ancora tra un linguaggio formale e l'emarginazione dialettale (dieci anni prima degli interventi di Pasolini e don Milani), Gianni Brera si serviva di tutte le risorse della lingua, allontanandosi al tempo stesso dai modelli paludati e dalle forme più banalmente usuali, e ricorrendo in più a una straordinaria inventiva, inventò dal nulla miriadi di neologismi. Tale era la sua fantasiosa prosa che è rimasta famosa la dichiarazione di Umberto Eco, che definì Brera come un "Gadda spiegato al popolo".
Per "Il Giorno" Brera seguì le grandi corse ciclistiche, il Tour de France e il Giro d'Italia, prima di dedicarsi completamente al calcio, senza smettere però di amare profondamente il ciclismo, su cui ha scritto, tra l'altro, "Addio bicicletta" e "Coppi e il diavolo", stupenda biografia del "Campionissimo" Fausto Coppi, del quale fu amico fraterno.
Nel 1976 Gianni Brera tornò come editorialista alla "Gazzetta dello sport". Intanto, continuava a curare sul "Guerin Sportivo" la rubrica "Arcimatto" (il cui titolo sembra fosse ispirato all'"Elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam), mai interrotta e mantenuta fino alla fine. Qui Brera scriveva non solo di sport, ma anche su temi di storia, letteratura, arte, caccia e pesca, gastronomia. Questi articoli, oltre che mostrare la sua cultura, si distinguono per l'assenza di retorica e di ipocrisia. Alcuni di essi sono oggi raccolti in un'antologia.
Chiusa la parentesi di editorialista alla "Gazzetta", il giornalista di San Zenone Po fu di nuovo al "Giorno" e passò poi, nel '79, al "Giornale nuovo", fondato da Indro Montanelli dopo la sua fuoruscita dal "Corriere della sera" di Piero Ottone. Montanelli, per aumentare la tiratura del suo giornale, le cui vendite languivano, lanciò il numero del lunedì, dedicato soprattutto ai servizi sportivi affidati a Gianni Brera. Il quale tentò anche l'avventura politica e si candidò alle elezioni politiche del '79 e dell'83, nelle liste del Partito Socialista, da cui si allontanò in seguito, presentandosi nell'87 con il Partito Radicale. Non fu mai eletto, anche se nel '79 ci andò molto vicino. A quanto si dice, gli sarebbe piaciuto tenere un discorso a Montecitorio.
Nell'82 fu chiamato da Eugenio Scalfari alla "Repubblica", che aveva ingaggiato altre grandi firme, come ad esempio Alberto Ronchey ed Enzo Biagi. Precedentemente, comunque, aveva iniziato anche una collaborazione saltuaria e poi fissa, alla trasmissione televisiva "Il processo del lunedì", condotta da Aldo Biscardi. Il quale ricorda: "In tv ci sapeva fare. La sua ruvidezza espressiva bucava il video, anche se aveva una sorta di diffidenza per le telecamere: "Ti bruciano facilmente", sentenziava.". Moltissime in seguito sono state le apparizioni televisive di Brera, come ospite e opinionista in programmi sportivi, e perfino come conduttore sull'emittente privata Telelombardia.
Il 19 dicembre 1992, al ritorno dalla rituale cena del giovedì, immancabile appuntamento con il gruppo dei suoi amici, sulla strada tra Codogno e Casalpusterlengo, il grande giornalista perse la vita in un incidente. Aveva 73 anni.
Brera rimane indimenticabile per molte cose, una delle quali è la sua nota la sua teoria "biostorica", per cui le caratteristiche sportive di un popolo dipendevano dall'etnos, cioè dal retroterra economico, culturale, storico. Così i nordici erano per definizione grintosi e portati all'attacco, i mediterranei gracili e quindi costretti a ricorrere all'arguzia tattica.
Inoltre, è quasi impossibile elencare tutti i neologismi entrati nel linguaggio comune, tuttora in uso presso redazioni e bar sport: la palla-gol, il centrocampista (nome di conio elementare ma a cui nessuno aveva mai pensato), il cursore, il forcing, la goleada, il goleador, il libero (proprio così, il nome al ruolo lo ha inventato lui), la melina, l'incornata, il disimpegno, la pretattica, la rifinitura, l'atipico... Il tutto "governato" nella sua mente da una bizzarra musa "mitologica", Eupalla, colei che gli dava l'ispirazione per scrivere gli articoli. Celebri anche i nomi di battaglia che appioppò a molti protagonisti del calcio italiano. Rivera fu ribattezzato "Abatino", Riva "Rombo di tuono", Altafini "Conileone", Boninsegna "Bonimba", Causio "Barone", Oriali "Piper" (e quando giocava male "Gazzosino"), Pulici "Puliciclone", e così via. Oggi come oggi il suo nome è tenuto vivo da siti Internet, premi letterari e giornalistici. Inoltre, da poco la gloriosa Arena di Milano è stata ribattezzata come "Arena Gianni Brera".

Bibliografia:
Atletica leggera. Scienza e poesia dell'orgoglio fisico, Milano, Sperling & Kupfer, 1949.
Il sesso degli Ercoli, Milano, Rognoni, 1959.
Io, Coppi, Milano, Vitagliano, 1960.
Addio bicilcletta, Milano, Longanesi, 1964. Altre edizioni: Milano, Rizzoli, 1980; Milano, Baldini & Castoldi, 1997.
Atletica leggera. Culto dell'uomo (con G. Calvesi), Milano, Longanesi, 1964.
I campioni vi insegnano il calcio, Milano, Longanesi, 1965.
Coppa del mondo 1966. I protagonisti e la loro storia, Milano, Mondadori, 1966.
Il corpo della ragassa, Milano, Longanesi, 1969. Altra edizione: Milano, Baldini & Castoldi, 1996.
Il mestiere del calciatore, Milano, Mondadori, 1972.
La pacciada. Mangiarebere in pianura padana (con G. Veronelli), Milano, Mondadori, 1973.
Po, Milano, Dalmine, 1973.
Il calcio azzurro ai mondiali, Milano, Campironi, 1974.
Incontri e invettive, Milano, Longanesi, 1974.
Introduzione alla vita saggia, Milano, Sigurtà Farmaceutici, 1974.
Storia critica del calcio italiano, Milano, Bompiani, 1975.
L'Arcimatto, Milano, Longanesi, 1977.
Naso bugiardo, Milano, Rizzoli, 1977. Ripubblicato con il titolo La ballata del pugile suonato, Milano, Baldini & Castoldi, 1998.
Forza azzurri, Milano, Mondadori, 1978.
63 partite da salvare, Milano, Mondadori, 1978.
Suggerimenti di buon vivere dettati da Francesco Sforza pel figliolo Galeazzo Maria, pubblicazione del Comune di Milano, 1979.
Una provincia a forma di grappolo d'uva, Milano, Istituto Editoriale Regioni Italiane, 1979.
Coppi e il diavolo, Milano, Rizzoli, 1981.
Gente di risaia, Aosta, Musumeci, 1981.
Lombardia, amore mio, Lodi, Lodigraf, 1982.
L'arciBrera, Como, Edizioni "Libri" della rivista "Como", 1990.
La leggenda dei mondiali, Milano, Pindaro, 1990.
Il mio vescovo e le animalesse, Milano, Bompiani, 1984. Altra edizione: Milano, Baldini & Castoldi, 1993.
La strada dei vini in Lombardia (con G. Pifferi ed E. Tettamanzi), Como, Pifferi, 1986.
Storie dei Lombardi, Milano, Baldini & Castoldi, 1993.
L'Arcimatto 1960-1966, Milano, Baldini & Castoldi, 1993.
La bocca del leone (l'Arcimatto II 1967-1973), Milano, Baldini & Castoldi, 1995.
La leggenda dei mondiali e il mestiere del calciatore, Milano, Baldini & Castoldi, 1994.
Il principe della zolla (a cura di Gianni Mura), Milano, Il Saggiatore, 1994.
L'Anticavallo. Sulle strade del Tour e del Giro, Milano, Baldini & Castoldi, 1997.

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