Parcheggiare una macchina nelle grandi città è diventata un'impresa pressoché impossibile, ma trovare posto a Parigi, alla Place de l'Opéra, è più che un'utopia.
Quella sera dovevo vestire i panni dello Zar assassino Boris Godunov ed ero un po' in ritardo, data la complessità del trucco per la mia trasformazione.
Quindi, abbandonando in fretta l'automobile fuori dagli spazi previsti per gli artisti, corsi in teatro per dare inizio alla creazione del personaggio.
Quando fui finalmente pronto e mancavano pochi minuti alla scena dell'incoronazione, un "flic" di bassa statura, alquanto smarrito tra le quinte, fece la sua apparizione dietro il palcoscenico e rivolgendosi allo "straccione" che sosteneva il ruolo di Varlaam chiese chi era il proprietario della macchina che portava un numero italiano.
Naturalmente quella macchina non poteva essere che mia, visto che ero l'unico straniero che prendeva parte allo spettacolo.
Il vigile, irritatissimo, aveva già in mano il libretto delle contravvenzioni, volendo ad ogni costo mostrare all'indisciplinato automobilista "macaroni", venuto d'oltralpe, la sua autorità.
Quando Varlaam indicò con il dito il "colpevole", il povero flic rimase pietrificato. Davanti a lui si ergeva un personaggio inquietante: altissimo, su degli stivali rialzati da tacchi inverosimili, in una veste regale piena di "pietre preziose" e con una barba imponente, su di una faccia feroce, sovrastata da una corona d'oro cosparsa di "diamanti".
Afferrato il disagio del buon tutore dell'ordine, decisi lì per lì di entrare subito nel mio personaggio e con fare maestoso e voce tonante gli chiesi cosa volesse da me, guardandolo fisso negli occhi, con lo sguardo di chi non ammette discussioni. Il vigile si fece allora ancor più piccolo e, balbettando, rimise in tasca il libretto e scusandosi disse: "Mon Seigneur, si vous voulez bien me donner les clefs de votre voiture, je tacherai de trouver une place libre, sans vous deranger".
Mai come quella volta capii come sia inesatto l'adagio popolare che recita: "l'abito non fa il monaco".
Quella sera dovevo vestire i panni dello Zar assassino Boris Godunov ed ero un po' in ritardo, data la complessità del trucco per la mia trasformazione.
Quindi, abbandonando in fretta l'automobile fuori dagli spazi previsti per gli artisti, corsi in teatro per dare inizio alla creazione del personaggio.
Quando fui finalmente pronto e mancavano pochi minuti alla scena dell'incoronazione, un "flic" di bassa statura, alquanto smarrito tra le quinte, fece la sua apparizione dietro il palcoscenico e rivolgendosi allo "straccione" che sosteneva il ruolo di Varlaam chiese chi era il proprietario della macchina che portava un numero italiano.
Naturalmente quella macchina non poteva essere che mia, visto che ero l'unico straniero che prendeva parte allo spettacolo.
Il vigile, irritatissimo, aveva già in mano il libretto delle contravvenzioni, volendo ad ogni costo mostrare all'indisciplinato automobilista "macaroni", venuto d'oltralpe, la sua autorità.
Quando Varlaam indicò con il dito il "colpevole", il povero flic rimase pietrificato. Davanti a lui si ergeva un personaggio inquietante: altissimo, su degli stivali rialzati da tacchi inverosimili, in una veste regale piena di "pietre preziose" e con una barba imponente, su di una faccia feroce, sovrastata da una corona d'oro cosparsa di "diamanti".
Afferrato il disagio del buon tutore dell'ordine, decisi lì per lì di entrare subito nel mio personaggio e con fare maestoso e voce tonante gli chiesi cosa volesse da me, guardandolo fisso negli occhi, con lo sguardo di chi non ammette discussioni. Il vigile si fece allora ancor più piccolo e, balbettando, rimise in tasca il libretto e scusandosi disse: "Mon Seigneur, si vous voulez bien me donner les clefs de votre voiture, je tacherai de trouver une place libre, sans vous deranger".
Mai come quella volta capii come sia inesatto l'adagio popolare che recita: "l'abito non fa il monaco".
da "I ricordi teatrali" di Raffaele Arié
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