Operare un taglio in una partitura musicale è un'operazione non sempre così lineare come il profano crede. Partiamo dal gradimento del taglio: che è sempre al suo massimo presso gli orchestrali. Un'opera può durare quattro o cinque ore, ed anche un taglio di sei battute avvicina il desiderato momento della fine: infatti quando si programma un'opera sconosciuta, la maggior parte dei professori d'orchestra si preoccupa di sapere per prima cosa quanto dura. Il minimo gradimento si riscontra invece presso due categorie: i critici/musicologi, di cui Sergio Sablich è un rappresentante testardo, e gli archivisti dei teatri. Ad essi spetta riportare tutti i tagli operati dal direttore su tutte le parti d'orchestra: operazione tediosa che occupa diverse giornate di lavoro. Il taglio ha gradimento oscillante presso i maestri collaboratori - combattuti fra il desiderio di finire presto e la paura che qualche interprete si imbrogli, proseguendo a diritto - e presso i cantanti: indignati quando si taglia loro una parte nella quale ritengono di poter fare bella figura, e costernati quando debbono misurarsi in una edizione critica superiore alla loro resistenza vocale. Per molti registi il taglio è poi il toccasana: può risolvere tutti i problemi di movimento delle masse, di difficoltà di invenzione, di cambiamento di scena.
Le motivazioni del taglio sono molteplici, e da esse discendone i diversi tipi di taglio:
- il taglio inderogabile: il tale cantante non ha l'acuto necessario, oppure infligge la sua arte già troppo a lungo agli spettatori, oppure più semplicemente non è più quello di una volta; tagliare qualche cosa è una dolorosa necessità, ma l'esecuzione integrale comporterebbe problemi, magari di natura legale, insormontabili;
- il taglio opportunista: tagliando con oculatezza qualche cosa si possono risparmiare effetti speciali costosi, o addirittura personaggi (un classico è il taglio tradizionale nel I atto di Butterfly, con cui si sopprime il personaggio della Cugina;
- il taglio cronometristico: l'opera semplicemente dura troppo, o si ripete troppe volte; qualche colpo di forbice, se non di ascia, la riporta nei canali della normalità;
- il taglio di tradizione: certi tagli si sono sempre fatti, sempre si faranno, e questo basta a giustificarli. Del resto, se si cerca di riaprirli, a torto od a ragione, ci si imbarca la maggior parte delle volte in tanti di quei problemi da far passare la voglia di riaprirli;
- il taglio mobile: capita talvolta che un taglio, o anche una trasposizione di tono, si faccia o non si faccia a seconda dello stato di salute di un interprete: vale a dire che alla prima si esegue tutto per intero, alla seconda il tenore è stanco, e allora si taglia, alla terza canta il sostituto che esegue tutto, e così via;
- il taglio ballettistico: quando la musica, come accade nei balletti, non è la componente primaria dello spettacolo, allora il festival dei tagli diventa turbinoso: interi brani si spostano da un atto all'altro, se non si taglia un'intero atto, come a volte succede;
- il taglio storico: alcune opere esistono in più versioni; talvolta se ne esegue una ben precisa e determinata dall'autore, altre volte si fa un collage di brani provenienti da edizioni diverse, spesso in alcuni incompatibili tra loro, da cui la necessità di tagliare alcuni brani (per esempio nel Don Giovanni di Mozart viene eseguito normalmente un montaggio di brani della versione di Praga e di quella di Vienna, ma alcuni brani di quest'ultima non possono trovare posto nella versione mista).
Le modalità di effettuazione del taglio sono molteplici:
- la più semplice è la vecchia e cara soppressione dei ritornelli. Già negli esami di Conservatorio il presidente della commissione urla sempre al candidato: "Senza ritornelli" (che significa: "il tuo esame deve durare il meno possibile");
- il taglio integrale di una scena o di un atto; in caso di sciopero anche tutta l'opera;
- la giustapposizione di due frammenti, suonando fino ad un certo punto e saltando ad un altro, tagliando quindi le battute intermedie. Si tratta di una vera e propria operazione di chirurgia musicale: bisogna studiare dove si possono trovare due frammenti che si possono connettere, e come effettuare la sutura. Nell'opera italiana non è difficile: da qualunque battuta di una cabaletta, per esempio, si può saltare alla corrispondente della ripetizione; in un'opera di Wagner o Strauss può essere problematico trovare i punti adatti, e talvolta bisogna ricorrere a vere e proprie riscritture di passaggi di collegamento, che per fortuna si fanno sempre più rare, tranne che nei balletti ed in generale nella musica "di servizio".
Un caso particolare è il taglio in un recitativo secco. Le difficoltà nell'operare contemporaneamente su un testo discorsivo e sulla musica sono proibitive. Un tempo i direttori intervenivano con mano pesante, unendo l'arditezza delle armonie a curiosi stiramenti verbali. Oggi i recitativi non si tagliano più; sono la riserva di caccia del regista, che li vivacizza con le sue trovate, cui il direttore assiste impavido.
Una produzione lirica è il risultato della interazione fra numerosi soggetti: compositore, librettista, editore, regista, scenografo, interpreti, impresario o direzione artistica, pubblico. Il taglio è sempre il sintomo di uno scollamento fra questi fattori: il compositore, ad esempio, che pretende troppo in termini di pazienza del suo pubblico, l'interprete che pretende troppo dalle sue capacità effettive, e così via. Oltre ad essere un sintomo, il taglio è anche il rimedio più economico e veloce - in pratica quasi sempre l'unico - a queste situazioni: non per nulla non viene generalmente ammesso nelle incisioni discografiche, dove la produzione è curata con un lavoro preliminare più attento (per esempio studiando il pubblico dei possibili acquirenti), non ci sono problemi di palcoscenico, sono disponibili mezzi tecnici che facilitano l'esecuzione; e con l'avvento del CD sono anche spariti i problemi di durata del supporto.
Luca Logi (Musica Viva, Anno XIV n.12, dicembre 1990)
1 commento:
Perche non:)
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