Il simbolo del direttore d'orchestra è la bacchetta. Attrezzo fatidico e accessorio: per molto tempo il direttore non la usò, pare che l'uso si sia affermato nella seconda metà dell'Ottocento: si favoleggia di bastoni da maresciallo o di qualcosa di simile in personaggi un po' pomposi, da Lully a Spontini... In genere però i direttori si accontentavano delle mani nude, o, se suonavano anche il violino, dell'archetto. Molti, soprattutto in esecuzioni con complessi piccoli o con la presenza del coro, preferiscono ancora il gesto affidato alle sole mani. E probabile che l'utilità della bacchetta venga dalla complessità delle partiture ad orchestre ampie e percorsi molto articolati all'intemo di esse, che consigliano al direttore di battere il tempo con la destra, cioè con la bacchetta, e suscitare colori, fraseggi, insomma dare indicazioni di tipo "espressivo" con la sinistra (se non è mancino; perché normalmente il direttore mancino tiene la bacchetta con la sinistra, affidando anch'egli alla mano "forte" il battere del tempo).
La bacchetta comunque è l'unico oggetto che il direttore porti sul podio, e pertanto la metonimia si applica per estensione a tutti. "Leopold Stokowsky ha deposto la bacchetta" era un tipico titolo per annunciare la morte del leggendario direttore americano (del tipo di quelli per la morte di Fellini "L'ultimo ciak", "Buio su Cinecittà"); in realtà Stokowsky non dirigeva mai con la bacchetta, come sanno tutti quelli che hanno visto Fantasia di Walt Disney. Però, in quel film, la usava Topolino, nell'Apprendista stregone di Dukas: ed era una bacchetta da mago, tanto per farci sentire come l'idea di bacchetta si leghi alla magìa, e dunque ad una componente irrazionale o superrazionale, molto pertinente al lavoro del direttore d'orchestra. Così come, ogni volta che si usino frasi del tipo "comandare a bacchetta", possono venire in mente le bacchettate sulle dita date dalle maestre severe d'un tempo, ma soprattutto Toscaníni, Karajan e colleghi.
Alla bacchetta poi si aggiungono attributi con facili fantasie immaginifiche. "Bacchetta di fuoco", si dice a volte per lodare i direttori che l'usano come attizzatoio di musica ardente, o forse soprattutto sbrigativamente energica, del genere, con rispetto parlando, da Georg Solti a Francesco Molinari Pradelli. "Bacchetta rosa" fu un altro titolo, per lodare Denise Fedeli dopo che aveva diretto il Requiem di Fauré l'estate scorsa, peraltro senza bacchetta: è donna e dunque il colore attribuitole si opponeva a quello maschile, che al momento della nascita e del fiocco del portone è azzurro, poi non si sa. Normalmente le bacchette sono, nella concretezza materiale, di legno o di vetroresina o di plastica. Ma "direttore di legno" significherebbe direttore molto rigido, magari un po' burattinesco e certamente poco duttile, "direttore di plastica" vorrebbe dire certamente artificioso e futile, senza cuore per il pubblico e, per la critica intellettuale, senza serio background e senza Weltanschauung; e fermiamoci qui, tanto basta per sospettare che, quando parliamo del direttore d'orchestra, più che esaminare una professione, proiettiamo, senza pensarci due volte, noi stessi, il nostro mondo, le nostre esigenze, i nostri parametri culturali e nativi.
La bacchetta comunque è l'unico oggetto che il direttore porti sul podio, e pertanto la metonimia si applica per estensione a tutti. "Leopold Stokowsky ha deposto la bacchetta" era un tipico titolo per annunciare la morte del leggendario direttore americano (del tipo di quelli per la morte di Fellini "L'ultimo ciak", "Buio su Cinecittà"); in realtà Stokowsky non dirigeva mai con la bacchetta, come sanno tutti quelli che hanno visto Fantasia di Walt Disney. Però, in quel film, la usava Topolino, nell'Apprendista stregone di Dukas: ed era una bacchetta da mago, tanto per farci sentire come l'idea di bacchetta si leghi alla magìa, e dunque ad una componente irrazionale o superrazionale, molto pertinente al lavoro del direttore d'orchestra. Così come, ogni volta che si usino frasi del tipo "comandare a bacchetta", possono venire in mente le bacchettate sulle dita date dalle maestre severe d'un tempo, ma soprattutto Toscaníni, Karajan e colleghi.
Alla bacchetta poi si aggiungono attributi con facili fantasie immaginifiche. "Bacchetta di fuoco", si dice a volte per lodare i direttori che l'usano come attizzatoio di musica ardente, o forse soprattutto sbrigativamente energica, del genere, con rispetto parlando, da Georg Solti a Francesco Molinari Pradelli. "Bacchetta rosa" fu un altro titolo, per lodare Denise Fedeli dopo che aveva diretto il Requiem di Fauré l'estate scorsa, peraltro senza bacchetta: è donna e dunque il colore attribuitole si opponeva a quello maschile, che al momento della nascita e del fiocco del portone è azzurro, poi non si sa. Normalmente le bacchette sono, nella concretezza materiale, di legno o di vetroresina o di plastica. Ma "direttore di legno" significherebbe direttore molto rigido, magari un po' burattinesco e certamente poco duttile, "direttore di plastica" vorrebbe dire certamente artificioso e futile, senza cuore per il pubblico e, per la critica intellettuale, senza serio background e senza Weltanschauung; e fermiamoci qui, tanto basta per sospettare che, quando parliamo del direttore d'orchestra, più che esaminare una professione, proiettiamo, senza pensarci due volte, noi stessi, il nostro mondo, le nostre esigenze, i nostri parametri culturali e nativi.
da "Seguitemi: capirete perchè" di Lorenzo Arruga (Musica Viva, Anno XVII n.12, dicembre 1993)
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