La "Vienna-mito" si chiama Wiener. Una grande orchestra e una grande città ogni anno rinnovano il senso piacevole della tradizione.
E' superfluo ricorrere ai modelli e al lessico dell'antropologia. Ogni vivente avverte in sè che esistono nell'arco della vita e nei rapporti sociali due condizioni di cui l'una, tendenzialmente, esclude l'altra, due modi contrapposti (o forse complementari) con cui il corpo governa lo spazio che gli è concesso e lo spirito si adatta al tempo: la quaresima e la festa. Sono due condizioni che ricorrono a ciclo, ma la dura necessità vuole che la quaresima sia interminabile e la festa rara e uggevole: una lunghissima attesa e una breve fiammata.
Se c'è nel mondo un luogo in cui può avvenire che la festa invada lo spazio riservato alla quaresima, quel luogo è Vienna. In quella città , che la tradizione chiama non a torto Musikstadt, la musica è il canale privilegiato di comunicazione tra i due momenti ciclici.
Anche in altre capitali della cultura occidentale si è fatta e si fa musica, forse con maggiore dovizia che non a Vienna. La Vienna gaudente, la Vienna spumeggiante di champagne alla maniera della Fledermaus di Johann Strauss figlio, la Vienna in cui tutti cantano Lieder e danzano il valzer e in cui c'è un pianoforte in ogni casa, è una bella immagine, radicata nella nostra cultura e nella mappa dell'anima europea; "esiste" ed è vera come immagine. Nei fatti, è un mito, spesso degradato a luogo comune come nei film di Ernst Marischka o di Willi Forst. Quanti miti imprigionano Vienna!
L'idillio all'ombra del potere e il paradiso sociale della buona amministrazione, la paternalistica tolleranza, vino donne e canto... Scrittori chiaroveggenti, impietosi come i ferri del chirurgo, ci hanno offerto raggelanti letture: Schnitzler ci ha rivelato le ombre di miseria e di squallore, Musil le ottuse caricature che vestono i panni del poliziotto, dell'alto ufficiale, del magistrato, e già Griliparzer, nel romanzo Il povero musicante, aveva messo a nudo la perfidia, l'avidità, la grettezza e l'ignoranza dei poveri contro altri ancora più poveri. Anche il mito opposto, il contromito di una Vienna incubatrice culturale della crisi e della nevrosi, livido soggiorno di alienati, maniaci assassini alla Moosbrugger, nevrotici e depressi cronici, è un'aura poetica piuttosto che una realtà in atto.
Ma un dato è reale, ed è ciò che fa di Vienna il luogo in cui la festa travalica i suoi limiti di momento ciclico e redime il grigiore della quaresima. Nella metropoli danubiana, che un destino benefico ha salvato dal pericolo di trasformarsi in megalopoli, la musica non è mai stata e probabilmente non sara' mai decoro mondano, occasione di snobismo culturale, nè soltanto prestigioso contrassegno professionale (l'inimitabile prestigio della Musikhochschule e dei Wiener Philharmoniker) o terreno di ricerca scientifica vissuta con amore e non con vanità (l'inimitabile tradizione della musicologia viennese all'ombra dell'Università). A Vienna la musica è un bene culturale per il quale tutti trepidano; il prediletto e più prezioso gioiello di famiglia, cui provvedono concordi - almeno questa concordia non è un mito - la municipalità (die Gemeinde), il Land e lo Stato federale. Oh, certo, la politica che si fa nei locali neoclassici del Parlamento viennese, lungo quella deliziosa insalata di stili architettonici che è l'arco di cerchio tra il Renner Ring e l'Opern Ring costeggiato da edifici barocchi, rococò , neogotici, leopoldini e franco-giuseppini, la politica che spesso sospinge alla nevrosi la VP e SPD e gli ultranazionalisti di Haider e i decimati liberali in un gioco di romanzeschi intrighi, non è molto meno avvelenata della politica italiana. Ma su un punto nessuno discute: guai a toccare la Wiener Staatsoper, guai a porre in pericolo l'esistenza del Burgtheater o del Theater an der Wien o dei Wiener Philharmoniker o dei Wiener Symphoniker o del Wiener Konzerthaus, guai a profanare con maldestre velleità legislative la struttura didattica, tradizionale, collaudata e sempre innovativa per qualità di docenti, del Conservatorio. Sarebbe come, in Italia, mettere in discussione il campionato di calcio. Agli austriaci si possono imporre dolorosi risparmi e tagli drastici sulla spesa pubblica, ma non uno Schilling può essere sottratto a ciò che dell'Austria e di Vienna è insieme midollo intellettuale e immagine redditizia da esportare.
Questo è lo spirito con cui i viennesi e i loro ospiti invernali si accostano alle feste tradizionali della musica, al Silvesterkonzert (serata del 31 dicembre) e al Neujahrskonzert o Concerto di Capodanno (mattinata del 1° gennaio). Non l'eccezione festiva, dopo la quale si rivestono i poveri panni quotidiani, ma il culmine festoso della consuetudine, anzi, della norma. Trovandomi d'inverno a Vienna, viaggiando sui tram, ho udito bambini di età inferiore ai dieci anni parlare con lieta sovreccitazione del concerto di Capodanno e pregustarne, da piccoli conoscitori, le delizie. Qui da noi, i loro coetanei parlerebbero con pari eccitazione di un cartone animato giapponese e di una partita alla televisione. C'era un connotato comune, a quelle conversazioni infantili: il premio atteso con gioia era anche, lo si intuiva benissimo, la consapevolezza che "i viennesi fanno così", e quindi, andando a godere due ore di musica notissima e magari scontatissima ma incantevolmente rituale nella sala dei Wiener Philharmoniker, "noi siamo viennesi".
E' banale ma non inesatto dire che Natale e Capodanno hanno a Vienna un fascino "corporeo" che non possiedono in Italia. Il senso sacrale di queste festività appartiene a una minoranza degna di rispetto, addirittura eroica; per il resto, che le due settimane tra Natale e l'Epifania siano ampiamente desacralizzate, lo sanno anche i neonati al primo vagito, anche le traversine delle ferrovie. Ma se, come scrisse Eduard Morike, "ciò che è bello ci si rivela sacro e santo in sè proprio perchè bello", allora ascoltare Wiener Blut o l'Anna-Quadrille o il Radetzky-Marsch o An der schonen blauen Donau o l'ouverture per Die schone Galathee o quella, divina, per Die Fledermaus, ossia il bello allo stato puro, è un atto sacro: è la riconsacrazione di un periodo festivo volgarmente secolarizzato in tutto il mondo occidentale. Già, il bello allo stato puro: "amabili dispensatori di gioia", "gli ultimi capaci di creare una musica assolutamente primitiva e originale" dissero degli Strauss di Vienna il sassone Richard Wagner, l'amburghese Johannes Brahms, il monacense Richard Strauss. Estendiamo volentieri il giudizio ai Lanner, a Suppè, al nostro prediletto Reznicek.
Di questo connubio serioso-festivo fu consapevole il povero Otto Nicolai dalla breve vita (1810-1849), che fondò i Wiener Philharmoniker nel 1812. Giustizia storica vuole che gli attribuiamo la prima idea del Neujahrskonzert. Ma la gloriosa orchestra era in fase sperimentale, e dopo la morte di Nicolai rischiò d'esser sciolta. Dopo il 1860, i Wiener divennero un'istituzione stabile.
Tuttavia, il Concerto di Capodanno non fu creatura prediletta dei successivi direttori, Otto Dessoff, Hans Richter, Gustav Mahler. Chi eternò la consuetudine, dal 1951, fu il simpatico e brillante Willi Boskovsky (1909-1991), sostituito nel 1980 dal meno simpatico e anzi alquanto poseur Lorin Maazel. Ma l'ellenica sympatheia di quella musica travalica quella degli uomini. Il Concerto di Capodanno ci offre una Vienna-mito; i Wiener lo sanno, e sanno che noi lo sappiamo. Questo è sublime divertimento, e può darsi che il Paradiso sia divertente, almeno altrettanto. Lo speriamo.
E' superfluo ricorrere ai modelli e al lessico dell'antropologia. Ogni vivente avverte in sè che esistono nell'arco della vita e nei rapporti sociali due condizioni di cui l'una, tendenzialmente, esclude l'altra, due modi contrapposti (o forse complementari) con cui il corpo governa lo spazio che gli è concesso e lo spirito si adatta al tempo: la quaresima e la festa. Sono due condizioni che ricorrono a ciclo, ma la dura necessità vuole che la quaresima sia interminabile e la festa rara e uggevole: una lunghissima attesa e una breve fiammata.
Se c'è nel mondo un luogo in cui può avvenire che la festa invada lo spazio riservato alla quaresima, quel luogo è Vienna. In quella città , che la tradizione chiama non a torto Musikstadt, la musica è il canale privilegiato di comunicazione tra i due momenti ciclici.
Anche in altre capitali della cultura occidentale si è fatta e si fa musica, forse con maggiore dovizia che non a Vienna. La Vienna gaudente, la Vienna spumeggiante di champagne alla maniera della Fledermaus di Johann Strauss figlio, la Vienna in cui tutti cantano Lieder e danzano il valzer e in cui c'è un pianoforte in ogni casa, è una bella immagine, radicata nella nostra cultura e nella mappa dell'anima europea; "esiste" ed è vera come immagine. Nei fatti, è un mito, spesso degradato a luogo comune come nei film di Ernst Marischka o di Willi Forst. Quanti miti imprigionano Vienna!
L'idillio all'ombra del potere e il paradiso sociale della buona amministrazione, la paternalistica tolleranza, vino donne e canto... Scrittori chiaroveggenti, impietosi come i ferri del chirurgo, ci hanno offerto raggelanti letture: Schnitzler ci ha rivelato le ombre di miseria e di squallore, Musil le ottuse caricature che vestono i panni del poliziotto, dell'alto ufficiale, del magistrato, e già Griliparzer, nel romanzo Il povero musicante, aveva messo a nudo la perfidia, l'avidità, la grettezza e l'ignoranza dei poveri contro altri ancora più poveri. Anche il mito opposto, il contromito di una Vienna incubatrice culturale della crisi e della nevrosi, livido soggiorno di alienati, maniaci assassini alla Moosbrugger, nevrotici e depressi cronici, è un'aura poetica piuttosto che una realtà in atto.
Ma un dato è reale, ed è ciò che fa di Vienna il luogo in cui la festa travalica i suoi limiti di momento ciclico e redime il grigiore della quaresima. Nella metropoli danubiana, che un destino benefico ha salvato dal pericolo di trasformarsi in megalopoli, la musica non è mai stata e probabilmente non sara' mai decoro mondano, occasione di snobismo culturale, nè soltanto prestigioso contrassegno professionale (l'inimitabile prestigio della Musikhochschule e dei Wiener Philharmoniker) o terreno di ricerca scientifica vissuta con amore e non con vanità (l'inimitabile tradizione della musicologia viennese all'ombra dell'Università). A Vienna la musica è un bene culturale per il quale tutti trepidano; il prediletto e più prezioso gioiello di famiglia, cui provvedono concordi - almeno questa concordia non è un mito - la municipalità (die Gemeinde), il Land e lo Stato federale. Oh, certo, la politica che si fa nei locali neoclassici del Parlamento viennese, lungo quella deliziosa insalata di stili architettonici che è l'arco di cerchio tra il Renner Ring e l'Opern Ring costeggiato da edifici barocchi, rococò , neogotici, leopoldini e franco-giuseppini, la politica che spesso sospinge alla nevrosi la VP e SPD e gli ultranazionalisti di Haider e i decimati liberali in un gioco di romanzeschi intrighi, non è molto meno avvelenata della politica italiana. Ma su un punto nessuno discute: guai a toccare la Wiener Staatsoper, guai a porre in pericolo l'esistenza del Burgtheater o del Theater an der Wien o dei Wiener Philharmoniker o dei Wiener Symphoniker o del Wiener Konzerthaus, guai a profanare con maldestre velleità legislative la struttura didattica, tradizionale, collaudata e sempre innovativa per qualità di docenti, del Conservatorio. Sarebbe come, in Italia, mettere in discussione il campionato di calcio. Agli austriaci si possono imporre dolorosi risparmi e tagli drastici sulla spesa pubblica, ma non uno Schilling può essere sottratto a ciò che dell'Austria e di Vienna è insieme midollo intellettuale e immagine redditizia da esportare.
Questo è lo spirito con cui i viennesi e i loro ospiti invernali si accostano alle feste tradizionali della musica, al Silvesterkonzert (serata del 31 dicembre) e al Neujahrskonzert o Concerto di Capodanno (mattinata del 1° gennaio). Non l'eccezione festiva, dopo la quale si rivestono i poveri panni quotidiani, ma il culmine festoso della consuetudine, anzi, della norma. Trovandomi d'inverno a Vienna, viaggiando sui tram, ho udito bambini di età inferiore ai dieci anni parlare con lieta sovreccitazione del concerto di Capodanno e pregustarne, da piccoli conoscitori, le delizie. Qui da noi, i loro coetanei parlerebbero con pari eccitazione di un cartone animato giapponese e di una partita alla televisione. C'era un connotato comune, a quelle conversazioni infantili: il premio atteso con gioia era anche, lo si intuiva benissimo, la consapevolezza che "i viennesi fanno così", e quindi, andando a godere due ore di musica notissima e magari scontatissima ma incantevolmente rituale nella sala dei Wiener Philharmoniker, "noi siamo viennesi".
E' banale ma non inesatto dire che Natale e Capodanno hanno a Vienna un fascino "corporeo" che non possiedono in Italia. Il senso sacrale di queste festività appartiene a una minoranza degna di rispetto, addirittura eroica; per il resto, che le due settimane tra Natale e l'Epifania siano ampiamente desacralizzate, lo sanno anche i neonati al primo vagito, anche le traversine delle ferrovie. Ma se, come scrisse Eduard Morike, "ciò che è bello ci si rivela sacro e santo in sè proprio perchè bello", allora ascoltare Wiener Blut o l'Anna-Quadrille o il Radetzky-Marsch o An der schonen blauen Donau o l'ouverture per Die schone Galathee o quella, divina, per Die Fledermaus, ossia il bello allo stato puro, è un atto sacro: è la riconsacrazione di un periodo festivo volgarmente secolarizzato in tutto il mondo occidentale. Già, il bello allo stato puro: "amabili dispensatori di gioia", "gli ultimi capaci di creare una musica assolutamente primitiva e originale" dissero degli Strauss di Vienna il sassone Richard Wagner, l'amburghese Johannes Brahms, il monacense Richard Strauss. Estendiamo volentieri il giudizio ai Lanner, a Suppè, al nostro prediletto Reznicek.
Di questo connubio serioso-festivo fu consapevole il povero Otto Nicolai dalla breve vita (1810-1849), che fondò i Wiener Philharmoniker nel 1812. Giustizia storica vuole che gli attribuiamo la prima idea del Neujahrskonzert. Ma la gloriosa orchestra era in fase sperimentale, e dopo la morte di Nicolai rischiò d'esser sciolta. Dopo il 1860, i Wiener divennero un'istituzione stabile.
Tuttavia, il Concerto di Capodanno non fu creatura prediletta dei successivi direttori, Otto Dessoff, Hans Richter, Gustav Mahler. Chi eternò la consuetudine, dal 1951, fu il simpatico e brillante Willi Boskovsky (1909-1991), sostituito nel 1980 dal meno simpatico e anzi alquanto poseur Lorin Maazel. Ma l'ellenica sympatheia di quella musica travalica quella degli uomini. Il Concerto di Capodanno ci offre una Vienna-mito; i Wiener lo sanno, e sanno che noi lo sappiamo. Questo è sublime divertimento, e può darsi che il Paradiso sia divertente, almeno altrettanto. Lo speriamo.
di Quirino Principe (Il Sole 24 Ore, 31/12/1995)
Nessun commento:
Posta un commento