Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

lunedì, marzo 13, 2006

Rameau o la disgrazia di saper troppo la musica

"Ma gli dicevo, avete mai sentito qualcosa della nostra musica? Sapete cosa sono le nostre opere, di Lully, di Campra, di Destouches? Avete dato almeno un'occhiata all'Hippolyte del nostro Rameau?", "No? Io no, rispose Hasse, mi guardi il cielo dal vedere e dall'udire mai altra musica che l'italiana! Non vi è lingua cantabile se non l'italiano, non vi può essere altra musica se non l'italiano". A questo punto vidi Hasse che stava per soffocare, era diventato paonazzo e se la Faustina sua moglie non si fosse messa di mezzo mi avrebbe uncinato con una biscroma e schiacciato sotto una serie di diesis.

Mentre Hasse, tedesco ma massimo rappresentante dell'opera italiana del pieno Settecento, disprezzava in questi termini l'opera francese, la stella di Rameau giungeva allo zenit per poi declinare fin troppo rapidamente. Con Hippolyte et Aricie Rameau si era gettato di punto in bianco nell'opera con l'effetto di un tornado, scompigliando le carte di un mondo tranquillo ed appagato della propria tradizione. Il compositore allora più celebre, Campra, commentò perplesso "Ecco un uomo che ci eclisserà tutti; in quell'opera c'è abbastanza musica per scrìverne dieci".
In quel 1733 Rameau non era un giovane baldanzoso; era invece un uomo già cinquantenne che dopo anni di studi teorici e dopo aver composto alcune bellissime pagine cembalistiche aveva voluto cimentarsi con l'opera lirica. Trent'anni dopo, più che ottuagenario, avrebbe avuto ancora l'energia per creare una tragédie lyrique straordinaria per ricchezza musicale e intuizione drammatica: Abaris ou Les Boréades, scritta nel 1764, l'anno stesso della sua morte, opera mai rappresentata che resta tuttavia a noi quale testimonianza di una eccezionale vitalità artistica, simile soltanto a quella che l'anziano Verdi infonderà nel suo Falstaff.
Sotto la quantità di musica riversata nella sua prima opera, Rameau aveva d'un sol colpo seppellito Lully - il fondatore dell'opera francese - e gli oltre quarant'anni di musica che nel frattempo erano trascorsi. Ma "dopo aver seppellito il fiorentino, Rameau sarà sepolto dai virtuosi italiani, ciò che egli presagiva e lo rendeva cupo, triste, litigioso perché nessuno ha tanto cattivo umore, nemmeno una bella donna che si sveglia con un foruncolo sul naso, quanto un autore che rischia di sopravvivere alla propria fama". La profezia di Diderot, facile perché scritta ne Il nipote diRameau quando ormai si era già avverata, ci ricorda la prima, momentanea, vittoria degli italiani e di Hasse sull'opera francese, di cui alla fine della propria vita Rameau era il simbolo più celebre.
Aveva cominciato la propria carriera di operista con una polemica - quella tra ramisti e lullisti - e l'avrebbe chiusa a trent'anni di distanza con un'altra polemica, quella più celebre querelle des bouffons che avrebbe rotto gli argini all'invasione degli italiani nell'incontrastato regno autarchico dell'opera francese.
In entrambi i casi, tuttavia, Rameau vide le polemiche accendersi e bruciare attorno a lui senza mai prendervi esplicitamente parte, se non con la propria musica.
Lully e Rameau, musicisti celebri, occuparono alternativamente la scena lirica: ognuno aveva i propri partigiani: gli ignoranti e i parrucconi tenevano per Lully, i giovani e i virtuosi erano per Rameau. La gente di gusto, sia giovani che parrucconi, seguiva attentamente entrambi. Prima di Rameau nessuno aveva mai distinto i livelli delicati che separano il tenero dal voluttuoso, il voluttuoso dal passionale, il passionale dal lascivo. La natura conduceva Lully per le vie della armonia, lo studio e l'esperienza hanno svelato a Rameau le origini dell'armonia. Lully è semplice, naturale, uniforme, troppo uniforme talvolta. Rameau è brillante, composto, sapiente, troppo sapiente qualche volta. Rameau il sapiente, l'artificioso, lo scientifico, il sinfonista era allora contrapposto al naturale, delicato, equilibrato Lully ed un impossibile accordo Doremifasollasidododo ne segna lo pseudonimo nei Bijoux Indiscrets di Diderot in opposizione al naturale Domidosol-Lully. Voltaire, poi collaboratore di Rameau, non usa mezzi termini: Ho visto ieri la prima di Hippolyte. La musica è di un certo Rameau, un uomo che,ha la disgrazia di sapere più di musica dello stesso Lully. E' un pedante in musica, è preciso e noioso. In fondo, se il secolo del Re Sole era stato il secolo del génie, di Lully che in forza della sua sola sensibilità musicale intravedeva, per dono di intuizione, la capacità espressiva della musica, quello di Luigi XV era il secolo dell'esprit, di Rameau che grazie alla ragione giungeva fino alle più profonde pieghe dell'espressione.
Rameau era davvero nato come teorico, autore della prima vera teoria dell'armonia, ricalcata nelle sue linee essenziali dai manuali scolastici fino ad Ottocento inoltrato. Quella sua teoria ambiva inoltre ad essere la prima sistemazione razionale delle capacità espressive della musica, come arte fondata sulle medesime ed immutabili leggi naturali che governano anche le passioni dell'uomo. Ma il valore artistico che raggiungeva Rameau nel mettere in pratica tale teoria era all'inizio ampiamente in discussione. La reazione al Castor e tPollux del 1737 è significativa:

Si le difficile est beau,
C'est un grand homme que Rameau
Mais si le beau, per aventure,
N'étoit que la simple nature
Dont l'art doit etre le tableau
C'est un pauvre homme que Rameau.


Molti vi trovano troppa scienza, troppa poca naturalezza e troppe difficoltà nell'esecuzione. A tutti sembra vi sia troppo lavoro, troppa ricercatezza. Per distinguere radicalmente l'opera di Rameau da quella di Lully, si provarono con tutti i mezzi. Talvolta Rameau eccelle per i cori, talaltra per le sinfonie: Come sinfonista, Rameau non ebbe modelli né rivali e non temiamo di affermare ad alta voce che dopo tutte le rivoluzioni che l'arte potrà subire quando anche sarà portata alla più alta perfezione da un popolo qualunque, anche allora sarà molto difficile eguagliare il nostro artista in questo campo. Quasi sempre deve però cedere di fronte ai recitativi: trascurava troppo questa parte. Temeva evidentemente le contestazioni a cui una innovazione espone sempre. Dopo aver scritto le belle scene di Dardanus e Castor et Pollux, non gli restava che un passo da fare per lasciarci il modello di un recitativo interessante. Si può rimproverargli di non aver avuto la forza di inventarlo. Sono parole scritte da un critico nel 1770 che ancora ricordano l'antico luogo comune.
Al di là delle mode dell'arte, al di là delle perenni polemiche tra conservatori e progressisti, il problema stava nella nuova dignità che Rameau affidava alla musica nell'opera. La tragédie lyrique ha sempre vissuto nel complesso e complessato rapporto con il modello letterario di Racine, da cui mutuava anche il nome. Era un mostro in fatto di poesia, aspirava alla tragedia di parola dove non vi era posto per la musica ma pretendeva di raggiungere quella nobiltà attraverso mezzi musicali. Rameau fu il primo a far esplodere il problema dando alla musica una tale forza e una tale verità di passione da innalzarsi allo stesso livello espressivo della parola. La maniera di Rameau è un recitativo che segue semplicemente la natura e che l'attrae con una spontaneità d'espressione e una freschezza d'invenzione continua.
Rameau riuscì a dare dignità nazionale - e pertanto piena legittimità - alla musica, e così quando i turbini di questa prima, violenta querelle si calmarono, mostrarono Rameau quale incontrastato padrone della scena lirica francese. Da d'Alembert a Grimm a Diderot, anche il circolo intellettuale che formerà il nucleo fondamentale della Encyclopédie lo omaggia in articoli, lettere e recensioni.
Non è d'altri che di Rameau la capacità di dare il giusto risalto a tutto ciò che "dipinge" (Grimm). Portando la pratica della sua arte ad un così alto grado di perfezione, M. Rameau è diventato un modello e un oggetto di gelosia per molti artisti; ma ciò che lo distingue maggiormente è di aver riflettuto con molto successo sulla teoria della sua arte. Colgo l'occasione di celebrare questo artista filosofo in un Discorso destinato all'elogio dei grand'uomini (D'Alembert).
L'idillio sarebbe però durato poco. La reciproca antipatia tra Rameau e Rousseau riuscì, per la gelosia del secondo e per le intemperanze del primo, a mettergli contro l'intero circolo della Encyclopédie. L'arrivo a Parigi delle troupes dell'opera buffa italiana fece il resto. Rameau è inalberato a vessillo della musica francese, a salvaguardia dei confini nazionali contro la dilagante moda italiana.
Sembra quasi che chi allora sosteneva Lully contro Rameau retroceda a far barriera attorno a Rameau difeso come ultimo baluardo della musica nazionale. Come la prima polemica, anche quest'altra era tuttavia alla ricerca di capri espiatori: si respingeva la brillante musica italiana in nome della verità drammatica e della naturalezza dell'espressione, ma in realtà ancora non si riusciva a risolvere l'antica questione del ruolo della musica nel dramma, una questione che avrebbe avuto soluzione solo alla fine del secolo, dopo che ci si fu liberati dalla soggezione del classicismo di Racine. L'operazione naturalmente fallì e Rameau con la sua musica venne travolto assieme a tutta la tragédie lyrique. Poi arrivò Gluck che ne oscurò definitivamente anche solo il ricordo. Rameau era morto nemmeno dieci anni prima e dovette attendere quasi un secolo prima di essere nuovamente riscoperto, studiato ed eseguito.
La polemica con Rousseau è al limite del reciproco insulto, ma durante la Querelle des Bouffons ben pochi azzardano critiche dirette contro l'autorevole musicista-filosofo. Prima di aver ascoltato le vostre opere (di Rameau) non credevo che si potesse andare oltre Lully e Campra; prima di aver ascoltato la musica degli italiani non ne immaginavo nessuna superiore alla nostra (d'Alembert). In fondo il suo nome era troppo carico di gloria e di prestigio. L'accesa rivolta contro il genere della tragédie lyrique, però, lo colpisce nei fatti ancor più gravemente. Il furore dei nostri musicisti francesi è di caricare parti su parti; è al rumore che essi affidano l'effetto; la voce è coperta e confusa dal loro accompagnamento al quale essa nuoce a sua volta (Rousseau).
Castil Blaze si rivolgerà però direttamente contro Rameau a cui nella sua storia dell'Académie Royale de Musique dedicherà solo poche e secche parole: Non aveva affatto gusto... non ha mai compreso la musica italiana. I suoi cori, e i suoi pezzi d'orchestra erano mal costruiti e spesso con armonie scorrette.
A cogliere il vero sapore della polemica sarà, pur in termini paradossali e non
privi di rivendicazioni nazionalistiche, il critico Pierre Lalo agli inizi del nostro
secolo: Rousseau aveva dichiarato ingenuamente che "è una grande fatica per me seguire una partitura troppo carica", condannava senza appello le opere di Rameau "dove si sentono diversi canti simultanei, che distruggono l'attenzione perché è impossibile per l'orecchio seguire diverse melodie contemporaneamente". E' così che un filosofo tracotante e candido fece di una mancanza del proprio spirito una legge dell'arte.

Paolo Russo (Musica Viva, Anno VII n.9, settembre 1993)

1 commento:

Anonimo ha detto...

una disamina chiara dei contenuti della querelle lullisti vs. ramisti
Sergio - Roma