Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, luglio 30, 2011

Gustav Mahler a Roma


Gustav Mahler si recò a Roma in due occasioni: nel 1907 e nel 1910. Alma Mahler, col suo solito stile, riporta così quelle due discese in Italia.
 
Roma, 25 marzo 1907 - ore 16.00
Santa Cecilia, Sala Accademica di via dei Greci

    Beethoven: Symphonie Nr. 3
    Wagner: Vorspiel und Liebestod aus "Tristan und Isolde"
    Wagner: Vorspiel zu "Die Meistersinger"
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Roma, 1 aprile 1907 - ore 16.00
Santa Cecilia, Sala Accademica di via dei Greci

    Weber: Ouvertüre zu "Der Freischütz"
    Mahler: Symphonie Nr. 5, Adagietto
    Tschaikowsky: Romeo und Julia, Fantasie-Ouvertüre
    Beethoven: Symphonie Nr. 7
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Roma, 28 aprile 1910 - ore 21.00
Santa Cecilia, Augusteo

    Bach-Mahler: Orchestersuite
    Strauss: Till Eulenspiegels lustige Streiche
    Wagner: Siegfried-Idyll
    Wagner: Vorspiel zu "Tannhäuser"
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Roma, 1 maggio 1910 - ore 17.00Santa Cecilia, Augusteo
    Tschaikowsky: Symphonie Nr. 6
    Wagner: Vorspiel zu "Die Meistersinger"
    Wagner: Siegfried-Idyll
    Beethoven: Leonore III, (Ouvertüre)
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1907
(...) Da quel momento Montenuovo si mostrò mal, disposto e irritato verso Mahler e aspettava la prima occasione propizia per licenziarlo. E questa si presentò! Mahler aveva l'abitudine di segnare nella grande agenda dell'Opera anche i suoi impegni personali. E cosi nella rubrica «dopo Pasqua» scrisse imprudentemente: Roma, tre concerti. Ma il permesso era valido solo per le vacanze di Pasqua e Mahler voleva chiedere da Roma un piccolo prolungamento del permesso (per il terzo concerto). Senonché qualche impiegato della segreteria che voleva danneggiarlo portò direttamente l'agenda al principe, che chiamò Mahler, e prese a rimproverarlo perché, con tutti i permessi che si prendeva, gli incassi diminuivano. Mahler gli poté portare immediatamente le prove contrarie, ma la conversazione si inasprì a tal punto che convennero, tutti e due, di prender in esame l'eventualità delle dimissioni di Mahler. E così partimmo per Roma! In parte felici di esser finalmente liberi e svincolati dall'Opera, in parte preoccupati per il futuro immerso nel buio. Perché, anche se i debiti erano stati pagati, non avevamo messo nulla da parte, e Mahler era molto stanco. A Roma non ne parlammo con nessuno.
Partimmo per Roma il martedi 19 marzo. Al Semmering prima panne. Il treno rimase fermo sulla linea. Scesi dal letto, come pure tutti gli altri viaggiatori, ci fu una certa agitazione perché il treno si era fermato con uno scossone improvviso, Mahler, invece, felice di poter finalmente dormire ora che il treno non scuoteva più, ordinò di esser lasciato in pace e non si interessò per nulla al guasto della macchina. Così dormì tre ore mentre tutti gli altri ,si agitavano. Ma come sempre, anche questa volta il suo disinteressamento per i lati pratici della vita si ritorse contro di lui. Tra Bologna e Roma ci fu il secondo guasto alla macchina e alle porte di Roma il terzo. Perdemmo la coincidenza della nostra vettura-letto, molto denaro e tutte le valigie, che erano rimaste chissà dove. Dovemmo andare in giro per intere settimane con biancheria comperata in tutta fretta. Mahler che era abituato a portare solo camicie morbide e fini, dovette cacciarsi in una camicia inamidata e convenimmo tutti e due che faceva la figura di un cresimando.
Il lato tragico dell'avventura comica era che nei bagagli perduti erano rimasti chissà dove tutti i materiali d'orchestra e Mahler dovette dirigere quel che trovò casualmente a disposizione a Roma.
Lo storico Spiro che conosceva «per nome» ogni pietra del Foro Romano, ci fece da guida. Così, tra una prova e l'altra, passammo ore stupende. Più di tutto piaceva a Mahler uscire in carrozza sulla Via Appia.
Potei constatare, ancora una volta, che Mahler vedeva ogni cosa dal punto di vista storico-letterario piuttosto che dal lato naturale, vero e diretto.
Per il primo concerto, per cui c'era una straordinaria aspettativa, Mahler dovette prendere in prestito un frac. Questo frac era stato confezionato per un uomo alto e Mahler vi si perdeva dentro come un bambino nella vestaglia del nonno. Il proprietario tedesco della pensione in cui eravamo scesi (perché era a buon prezzo) gli offerse il suo frac. Ma vi era cucita, proprio davanti, sul petto, un'enorme stella (distintivo di una società di ginnastica) com'è uso dei buoni tedeschi di Colonia, stella che avrebbe fatto un effetto un po' strano sul podio. Fu difficile persuadere il proprietario che quel distintivo rendeva impossibile l'uso del frac e se ne andò offeso. Allora mi diedi da fare intorno al frac lungo. Feci delle pieghe ai calzoni e alle maniche per accorciarli e volevo ricucire lo spacco che rimaneva completamente aperto (non voglio precisare dove) ma Mahler non me lo permise. Allora appuntai lo spacco dall'interno con una grande spilla d'oro, non avendo a mano un altro spillo. Raccomandai a Mabler di non toccarla prima del concerto. Mi precedette, gome al solito, per vedere se tutto era in ordine, il materiale, l'orchestra, la disposizione dei posti, ecc., e io arrivai quando il concerto stava per cominciare, ma in tempo per evitare una terribile brutta figura: la spilla si era spostata ed era visibilissima. Rimesso in ordine, Mahler salì sul podio ridendo.
La regina Margherita era in un palco e vi fece venire Mahler durante l'intervallo. Scherzando si offerse di aiutarlo a trovare i bagagli, ma né lei, né l'organizzatore conte di San Martino, nè l'ambasciatore austriaco conte Lützow, nè nessun altro potè esserci d'aiuto. (...)

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1910
(...) Da Parigi questa volta ci recammo a Roma. Vi trovammo il nostro amico Mengelberg che aveva già terminato i suoi concerti ed era rimasto a Roma solo per poter passare qualche giorno con Mahler. Questo buon amico fu la, causa, del tutto involontaria, di un incidente spiacevole.
Avvertì Mahler di esser molto severo con l'orchestra, perché questa volta si trattava di un complesso raccogliticcio e indisciplinato, che poteva venir strappato dal suo letargo solo con la severità, anzi con le minacce e gli insulti; ma non aveva fatto i conti con le maniere di Mahler già di per sé non troppo delicate. Mahler non se lo fece dire due volte. Col vocabolario alla mano si mise a ingiuriare l'orchestra, a dir il vero, pessima. (La buona orchestra che Mengelberg aveva diretto nei suoi concerti precedenti era già in permesso e in tournée per l'America, data la stagione avanzata.) Alle parole di Mahler che egli non sapeva se si trattasse di «stupidità» o di «indolenza» alcuni orchestrali si alzarono e abbandonarono la sala delle prove. Mahler potè portare in fondo il concerto, solo a fatica, perché tutta l'orchestra faceva resistenza passiva. Perciò anche il successo fu modesto e subito dopo il primo concerto, Mahher disdisse il secondo. Tornammo a Vienna di malumore e trovammo che l'incidente, completamente travisato, era stato riportato da tutti i giornali e correva su tutte le bocche.

Alma Mahler (da "Gustav Mahler. Ricordi e lettere", Il Saggiatore, 1976)
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Fra i direttori d'orchestra che oggi si distinguono nella loro arte, Gustavo Mahler riesce ad attrarre una speciale attenzione tanto è originale la sua figura prettamente tedesca che sembra balzar fuori tagliente e caratteristica da una novella d'Hoffmann. Egli rivela subito un temperamento artistico e vibrante di musica, educato e nutrito di quanto v'è di più strettamente nazionale, tutto chiuso nella sua Germania resa attraverso la sua espressione fisica e morale un mondo di tradizioni passate e quasi una meraviglia di trovarsi lungi dai tempi in cui l'arte della sua patria effondeva in una meravigliosa fioritura musicale l'essenza rigogliosa di nuovi ideali e di nuove forme ancor oggi eloquenti per la loro intima e naturale robustezza.
Mahler ha ricercato nella musica sinfonica da lui composta, di non lasciare sfuggire il magico spirito che da Bach fino a Schumann e Wagner ha sviluppato e reso gigante l'arte tedesca, egli lo vuol rendere a qualunque costo suo prigioniero, ma l'età d'oro è già passata e lo spirito sembra più che mai riluttante a concedere i suoi doni misteriosi.
Eppure Gustavo Mahler non può ristare dallo sperimentare in prove sempre più ardue le sue forze in questa lotta disuguale, ed egli sembra ricercare e scrutare con avidità nervosa le pagine musicali dei maestri passati e moderni con l'incontentabilità di chi non è mai soddisfatto.
Così le sue interpretazioni assumono un aspetto singolarissimo e interessante perchè egli fa seguire or l'entusiastica fiducia, or il sensibile abbandono che gli suggerisce il vario svolgimento della musica ch'egli va interpretando.
Ieri egli eseguì una Suite di Bach capricciosamente composta da due tempi della suite in si min. e da due altri di quella in re magg. dello stesso Bach. Pur non approvando affatto questa arbitraria fusione di elementi diversi sotto uno stesso titolo, bisogna riconoscere che l'esecuzione è stata molto interessante. Il Mahler ha interpretato in modo speciale i quattro tempi riuscendo ad esprimere con soli balzanti e vividi quella parte gioviale, serena e fulgida come un'alba coronata dalla pompa di nuvole rosee; che Bach sapeva leggiadramente spandere nei suoi tocchi di titano in riposo.
L'Ouverture, il Rondeau della Suite in si min. furono espresse con tale spirito gaio, l'Aria della suite in re magg. fu resa con profondo e largo sentimento, un po' sconvolta in fine la Gavotte.
Alla Suite di Bach, il pezzo meglio riuscito del concerto e apprezzato singolarmente dal pubblico, fece seguito il Till Eulenspiegel di Riccardo Strauss. Il breve poema, esuberante di grottesca ispirazione, fu come inciso e disegnato dalla bacchetta di Mahler. Il caparbio eroe popolare, che attraverso l'immagine musicale dello Strauss si contorce, ride, schiamazza e attraverso i flauti e i violini turba la gravità degli accordi severi che lo rimbrottano, l'inseguono in tutta la gamma delle note basse, risultò in più luoghi con molta evidenza. Fra il colore un po' grave dell'esecuzione, il bizzarro omuncolo pareva ridere e sgambettare con maggiore ironia, e se l'interpretazione del Mahler non suscita un entusiasmo soverchio, pur lascia un ricordo molto vivo attraverso la sua personalità.
Il Siegfried Idyll, la soave composizione di Wagner, che attraversa in un limpido ricordo l'intima poesia della sua vasta opera, non si librò sempre su ali di piume, e non rese perfettamente il carattere poetico della composizione, ma nell'insieme sortì un buon effetto. Infine il preludio del Tannhauser mise termine al concerto procurando i migliori applausi al maestro direttore Mahler, uno dei musicisti che con passione e serietà coltivano la loro arte.
 
articolo di Giorgio Barini "Gustavo Mahler al Corea" (La Tribuna, 28 aprile 1910)

sabato, luglio 23, 2011

Mahler: L'esecuzione della Seconda Sinfonia a Monaco

La sera del 15 ottobre 1900 Justi e io accompagnammo Mahler a Monaco per le prove e l'esecuzione della sua Seconda Sinfonia in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'Hugo Wolf Verein.
Mahler, così poco abituato a sentirsi richiedere le proprie opere, che continuavano a essere eseguite molto raramente (o a non esserlo affatto, nella maggioranza dei casi), fu molto felice quando gli si presentò quell'occasione, e non lesinò alcun sacrificio o spesa pur di dare il suo contributo. Eppure ogni volta per lui era un supplizio dover dare vita alla propria opera in un posto nuovo, affrontando tutte le sofferenze dovute al fatto di agire su un terreno estraneo, poco preparato, e imporla a un pubblico diffidente e refrattario.
Anche in quell'occasione, tuttavia, si dedicò all'impresa con tutta l'energía e lo zelo di cui era capace. Dovette letteralmente raccattare i solisti in tutta la città, perché Possart, invidioso e furente per i suoi successi all'Opera di Víenna (dove era stato introdotto anche un palcoscenico girevole), non gli concesse una cantante in grado di fare da soprano solista, e l'altra cantante era cosi scadente che Mahler dovette «sbarazzarsene». Fra tutte queste ricerche e tentativi si giunse all'ultima prova, in cui finalmente la Stavenhagen si disse disponibile a subentrare. Mahler dovette allora prepararla in fretta e furia, e lei cantò nonostante tutto in modo incantevole. L'altra cantante, la Feinhals, eseguì il ben più importante assolo del soprano (in «Urlicht») con una voce di rara bellezza, ma in modo così poco espressivo e musicale che non rese a Mahler un gran servizio. «Per quel ruolo» ci disse lui in quell'occasione «mi occorrono la voce e l'immediatezza di un fanciullo, perché immagino che al rintocco della campanella l'anima, che in cielo si trova nella condizione di una crisalide, prenda vita nelle vesti di un bambino.»
A destare le preoccupazioni maggiori era il coro. Le donne, per quanto non fossero brave come a Berlino, erano comunque molto meglio che a Víenna, e fin dal primo momento, conquistate da Mahler e dalla sua opera, si impegnarono al massimo. Ma le condizioni dei tenori erano disperate: erano pochi e scadenti, e in più sempre diversi nelle varie prove; in quella generale, cantarono talmente male, sbagliando ripetutamente e mostrandosi del tutto incapaci di eseguire una complessa sequenza di note, che persino Mahler, che sapeva sempre come cavarsela, rimase per un attimo sconcertato. Dopo aver interrotto l'esecuzione di quel passaggio per tre volte, esclarmò sconsolato: «No, cosi non va!» e io compresi dal modo in cui chinava il capo, profondamente assorto, che - non volendo mettere a repentaglio la sua opera - stava considerando se non fosse preferibile annullare il concerto o se ci fosse ancora la possibilità di salvare la situazione. Ma un attimo dopo rialzò la testa e disse con un tono gentile e rassicurante, con il quale sapeva infondere coraggio quando tutto vacillava, che aveva trovato una soluzione e che l'avrebbe comunicata loro in seguito (perché in quel momento in sala erano presenti diversi spettatori). Al termine della prova, conclusa tralasciando provvisoriamente quel passaggio, Mahler illustrò la sua strategia di salvataggio: nelle battute più insidiose avrebbe fatto suonare i clarinetti (che aggiunse immediatamente anche nelle partiture), che erano collocati accanto ai tenori. In questo modo, sebbene a malincuore, fu costretto a rinunciare al coro a cappella, da lui auspícato, Inoltre, subito dopo quella prova durata tre ore e mezza, ne fece un'altra solo per i tenori, che convocò anche per a mattino seguente, nel giorno del concerto, pagandoli di tasca propria.
Quel giorno provò a lungo con l'orchestra anche lo Scherzo, che nella prova generale sembrava ancora troppo confuso e poco scorrevole.
A proposito della Seconda Sinfonia, il professor Guido Adler, che era venuto a Monaco per l'esecuzione di Mahler, raccontò che in un punto del primo movimento Muck, Strauss e Kienzl, che avevano assistíto a un'altra esecuzione, si erano comportatí come segue: il primo aveva riso a crepapelle, Kienzl si era commosso e Strauss aveva esclamato di aver imparato qualcosa di nuovo, di cui - come aveva affermato lo stesso Mahler - si era servito anche nelle sue opere, con l'unica differenza che lui utilizza la cacofonía, che in Mahler è rigidamente condizionata dalla polifonia, senza alcuna necessità, per il puro piacere di risultare stravagante. «Mentre io mi sforzo in ogni modo di evitare le asprezze, e di eliminarle anche in seconda battuta, per quanto mi è possibile (come per esempio in questo passaggio, dove sono riuscito a rimuoverle del tutto), lui inventa dei suoni stridenti in modo intenzionale, solo per attirare l'attenzione e sembrare spinto.»
In quei giorni Mahler disse di nuovo che avrebbe voluto spostare l'Andante della Seconda Sinfonia, perché troppo discordante rispetto all'atmosfera generale. «Avevo già pensato di mettere lo Scherzo dopo il primo movimento, seguito dall'Andante, che verrebbe quindi a trovarsi prima dell'"Urlich". Ma l'economia dell'opera non reggerebbe questo spostamento, perché con questa disposizione l'Andante e I"'Urlicht" verrebbero eseguiti l'uno di seguito all'altro e non sono sufficientemente contrastanti. In quel modo anche le tonalità che si avvicendano sarebbero troppo legate mentre ora si trovano nel giusto rapporto. Con la Terza e la Quarta Sinfonia non mi sarebbe più potuto succedere niente del genere perché adesso, oltre alla successione dei movimenti, abbozzo fin dal principio anche le sequenze delle tonalità. E stato principalmente a causa dell'eccessíva somiglianza delle tonalità in movimenti contigui che ho deciso di eliminare l'Andante "Blumine", dalla Prima Sinfonia.»
Mahler, che ci portò con sé solo alle prove conclusive, ci disse subito, già dopo la prima prova: «L'orchestra non è paragonabile ai Wíener Philharmoniker, quindi l'esecuzione sarà inferiore alla loro. Ma qui sentirete la cosa più importante: la conclusione, che a Vienna non avete praticamente potuto ascoltare a causa del pessimo livello del coro e dell'assenza dell'organo (che non si riusciva a distinguere). Qui, dunque, sebbene un dito del piede sinistro o la punta del pollice della mano destra siano meno belli, vedrete la statua con la testa, che a Vienna mancava del tutto».
A proposito dell'organíco dell'orchestra di Monaco, Mahler si lamentava del ridotto numero di archi (dodici primi violini). «Non c'è alcuna proporzione con i fiati, che in quest'opera sono così potenti. Una volta mi piacerebbe avere trenta violini, diciotto violoncelli e sedici contrabbassi, e poi vedreste quanto ne risulterebbe potenziato l'effetto».
Nonostante le difficoltà con il coro, i solisti e l'orchestra, il successo dell'esecuzione fu immenso, e molto superiore rispetto a Vienna grazie alla conclusione. Il primo movimento venne se non altro compreso, il secondo fu molto applaudito e durante i tre movimenti successivi, che Mahler eseguì senza interruzione, la tensione e la suggestione crebbero al punto che, nel momento in cui si spegne il verso dell'uccello della morte, non si sentiva volare una mosca. Con l'entrata del coro, che Mahler fece iniziare da seduto per poi farlo alzare nell'ultima strofa, in modo che si sentisse più forte, corse un brivido per tutta la sala. Ma quando attaccarono l'organo e l'accompagnamento delle campane fu davvero come se il cielo si fosse spalancato e le schiere angeliche rapissero gli ascoltatori per condurli nell'eternità.
A proposito della conclusione Mahler disse: «Comprendo ora per la prima volta quali immense onde sonore si liberino e quanto potrebbero risultare devastanti se la progressione non fosse così graduale, e non riprendesse sempre da capo, e se non fosse così intimamente radicata, al punto che è l'orecchio a sollecitarla come massimo piacere. Se si rivelasse a qualcuno che i passaggi più potenti del primo movimento non sono che un bambino in confronto a quelli dell'ultimo, questi avrebbe ragione di temere per i suoi timpani».
Poi aggiunse: «L'estrema importanza che in un'opera come questa riveste il senso della misura potrà essere compresa soltanto da chi ne domini la struttura e l'organizzazione. Chissà che effetto avrei potuto ottenere se avessi inserito prima il coro e l'organo! Ma volevo tenerli in serbo per il momento culminante e ho quindi rinunciato a essi nelle altre fasi dell'opera».
I festeggiamenti e i ringraziamenti entusiastici del pubblico nei confronti di Mahler non accennavano a spegnersi. Tutti si accalcavano verso il podio e lui dovette rientrare almeno una decina di volte. Le signore sventolavano i loro fazzoletti e non volevano lasciare la sala.
Quando quell'onda sì fu calmata e l'assembramento di persone disperso, ci riunimmo con Mahler e un piccolo gruppo di conoscenti al Park Hotel. Lui, eccitato per l'esito positivo della serata, era in uno stato d'anirno gioìoso ed espansivo, si informò calorosamente sugli sviluppi di qualunque cosa e si fece carico delle spese del rinfresco. Si espresse soprattutto contro ogni sorta di musica a programma e contro i fraintendímenti e gli equivoci, negando decisamente che le sue opere avessero qualcosa a che spartire con quel genere di musica. A incoraggiare quei sospetti era stato un articolo scritto con le migliori intenzioni da Arthur Seidl, che si trovava fra i presenti. Vi era inclusa una lettera che Mahler gli aveva scritto anni prima, nella quale, più per delicatezza nei confronti di Seidl e Strauss che per esprimere la sua reale opinione, egli sembrava stimare le opere di quest'ultimo più di quanto non le reputasse in verità. Spiacevolmente sorpreso di ritrovarsi davanti quella lettera, mi disse: «Vedi come ti si ritorce contro il non essere completamente sincero e il fare anche la minima concessione in nome dell'affetto che hai per qualcuno! Adesso mi prendono in parola e passo per essere un sostenitore di Strauss e della sua musica a programma, che dovrei invece osteggiare nella maniera più aperta e aspra possibile».
Per rimediare, almeno a posteriori, confessò che riteneva l'impresa di scrivere musica seguendo un programma un gravissimo errore dal punto di vista musicale e artistico. «Uno che riesce a fare una cosa del genere non è un artista! Altra cosa è quando la composizione di un maestro ci appare così brillante e vivace che involontariamente crediamo di scorgervi una trama, un evento; o quando l'artista a posteriori, tenta di spiegare a se stesso la propria opera ricorrendo a questa o a quell'ímmagine, come accade sempre a me; oppure quando la propria materia si innalza ad altezze eccelse e assume forme tali che al compositore non bastano più le note ed egli tende dunque alla massima forma di espressione, che può conseguire solo con il ricorso alla voce umana e alla parola poetica, articolata, come accade nella Nona di Beethoven o nella mia Sinfonia in Do minore. Ma tutto questo non ha niente a che vedere con il proposito banale e ingannevole di scegliersi una trama limitata e ben circoscritta e seguirla passo dopo passo, programmaticamente.»
Mahler si era addirittura rífiutato di prendere in considerazione un programma per la sua Seconda Sinfonia, che alcuni dei suoi «amici» avevano scritto e fatto stampare in occasione di questo concerto, senza nemmeno conoscerne il contenuto (perché non aveva voluto leggerlo). «Le cose devono parlare da sole» disse; «tutto ciò che, ascoltandole, ci passa per la mente di alto e universale, si comunica già così, come nelle parole alla fine della Seconda Sinfonia. E ciò che c'è da capire - almeno a grandi linee - apparirà sempre più chiaro, specie quando uno è morto. Prima di tutto, però, dovrebbero considerarla solo ed esclusivamente musica!».

Natalie Bauer-Lechner (da "Mahleriana", Il Saggiatore, 2011)

sabato, luglio 16, 2011

Eco, Trovesi & Coscia: Round About Weill

Contaminando nel dormiveglia.

Quando Gianni Coscia e Gianluigi Trovesi mi avevano annunciato che avrebbero fatto un disco dedicato a Kurt Weill, io avevo molto temuto per la loro salute musicale. Weill, mi dicevo, non si tocca, e soprattutto non lo si tocca se non si è tedeschi della repubblica di Weimar, non lo si suona in un cabaret fumoso della Berlino tra le due guerre, non si è presi da nostalgie spartachiste e altri eroici furori brechtiani. Kurt Weill, mi dicevo, va gridato, e Coscia e Trovesi non sono urlatori esagitati. Di solito divagano sottovoce.
Volevo capire come avrebbero risolto Weill questi due errabondi maestri del missaggio di diverse memorie musicali che, presentandoli in un disco precedente, avevo definito come musicisti che, partendo dall'omaggio a tanti loro maggiori, mescolando temi colti e temi popolari, avevano elaborato «una gioiosa poetica della cadenza». Come avrebbero sviluppato su temi di Weill quella cadenza che - come è loro costume - avrebbe dovuto prendere il posto dell'intero concerto?
Non si trattava di chiedere a Trovesi e a Coscia (né di attendersi da loro) una rivisitazione filologica dell'epoca di Weill. Tra l'altro (e forse dico un'eresia, ma così ho ascoltato i brani 21 e 22 di questo disco), i nostri due vagabondi tematici sono più affini al sarcasmo espressionistico di Weill proprio quando fanno spericolati e inquietanti esercizi sulla «Cumparsita» e su «Fra' Martino Campanaro», osando disattendere alla buona regola dei modi. Quando invece viene evocato direttamente, Weill, come ogni altro tema o eredità musicale, è per loro un ricordo, una passione - certo - una nostalgia, ma proprio per questo, liberato dai suoi riferimenti storici, si trasforma in fatto personale, memoria d'adolescenza, e come tale viene mormorato, talora rimemorato in modo quasi letterale, talora e più spesso soltanto accennato, ripreso e abbandonato, inserito nel flusso di altri ricordi melodici o armonici.
Un Weill vissuto in un dormiveglia musicale dominato da un principio (quasi onirico) della contaminazione, dove si mescola ad altre fonti d'ispirazione, e accetta talora di farsi persino padano o addirittura monferrino - come accade, mi pare, in Divagazioni su «Youkali» e in Ein Taifun!... Tifone?- poi di colpo riappare, riconferma i suoi diritti - tale gloriosamente si dipana nelle due variazioni su Alabama Song, che non a caso è la più sussurrata delle melodie di Weill e di nuovo svanisce, si perde nelle brume create da questi due fabulatori impenitenti, magari compiendo una fuga adulterina col Rodgers di « My Funny Valentine» o di « Blue Moon»...
Il problema di questo disco è che ha un inizio e una fine, mentre questi tipi di dormiveglia dovrebbero durare senza limiti perché, a lasciarli fare, Coscia e Trovesi non finirebbero mai di lanciarsi le loro provocazioni sornione, spostandosi sempre là dove l'ascoltatore non se li attende - ma ciascuno dei due è sempre lì, pronto a rilanciare di contropiede.

Umberco Eco (note al CD "Round About Weill", ECM 1907)

sabato, luglio 09, 2011

Concorso "Paolo Borciani" 2011

Brunello: «Concorso “Borciani” già la finale è un premio»
Come ormai tutti sanno (e bene lo sappiamo noi), il Premio Borciani ha raggiunto la fama di "più importante Premio Internazionale" dedicato al Quartetto d'archi. Lo dimostrano la sua storia e l'attenzione che gli viene dedicata da organizzatori di concerti e giornali specializzati di tutto il mondo.
Proprio la sua unicità ha generato l'idea di distinguerlo dalle usuali "competizioni" musicali e rendere così il premio Borciani e chi se lo aggiudica, degno di essere paragonato a una sorta di "Nobel" del Quartetto. Di conseguenza arrivare ad essere candidati al Premio Borciani (indivisibile), cioè raggiungere la Prova Finale, è in sé un premio, come dimostra anche la cospicua somma di denaro destinato, in ogni caso, a qualsiasi quartetto finalista.
Per poter sostenere il peso di una così importante decisione, la Giuria deve rappresentare, al massimo livello, varie modalità di pensiero musicale ed essere trasversale su più generazioni per avere le basi nel passato, ma essere aperte al futuro. Una indubbia personalità del mondo del Quartetto come Günter Pichler a presiedere la Giuria del Premio Borciani 2011, ha garantito che i lavori della Giuria stessa non perdessero di vista i valori musicali sui quali misurare le prove dei quartetti concorrenti. La decisione del risultato finale è stata raggiunta dalla Giuria in pieno accordo con i regolamenti del Premio Borciani che, come in ogni edizione passata, sono stati applicati anche quest'anno. La Giuria non ha dovuto cercare né compromessi né attestarsi su rigide posizioni, in quanto l'evidenza del regolamento non dava possibilità alcuna.
A soddisfazione di noi organizzatori, la constatazione che il mondo del quartetto cresce e il livello medio si alza di edizione in edizione. Le capacità strumentali dei singoli componenti hanno superato le aspettative e la qualità e la preparazione dei quartetti ne beneficia. L'entusiasmo e la tenacia che hanno dimostrato fanno ben sperare nella loro continua ricerca e approfondimento del pensiero e dello stile musicale, lezione lasciataci dal Quartetto Italiano e dal suo fondatore Paolo Borciani.
Questa edizione del Premio Borciani si è arricchita della presenza massiccia del pubblico di appassionati della città e anche molte presenze straniere durante tutte le prove e soprattutto nella serata finale a teatro esaurito. Il pubblico è fondamentale per qualsiasi esecuzione musicale; mette in moto l'elemento emozionale che in genere in un concorso viene tralasciato. Per questo è stato scelto di presentare la Prova Finale come un concerto vero e proprio. Serve però ricordare che il giudizio finale della Giuria si basa, anche per regolamento, sulle votazioni delle prove seconda, terza e di finale e questo può provocare delle discrepanze. Il Premio del Pubblico è nato anche per dare soddisfazione a esecutori e pubblico sul risultato di un evento, che non può però avere la visione generale che un percorso di varie prove e su diversi repertori può dare.
Sicuramente una attenzione alla comunicazione con il pubblico avrebbe spiegato tutto ciò, me ne assumo la responsabilità, ma non avrebbe cambiato nè il risultato nè avrebbe risparmiato i dissensi.
Il futuro del Premio Borciani, al di là delle diverse valutazioni, non può che essere rafforzato nel suo prestigio e serietà dopo una prova di grande intensità come quella appena vissuta, ne sono certo, da pubblico, quartetti, organizzatori, tutti accomunati da vera passione per il Quartetto.

Mario Brunello (direttore artistico Concorso Borciani)

sabato, luglio 02, 2011

Nessun premio Borciani 2011: eccellenza penalizzata

Nessuna assegnazione del Premio Borciani 2011, (come accaduto nel 1987, 1994 e 2000) questo il clamoroso verdetto della giuria dopo oltre due ore di camera caritatis al termine di una serata densa di emozioni per l’esibizione ad altissimo livello dei tre quartetti finalisti e di fronte a un pubblico attonito che è letteralmente sbottato in esclamazioni di dissenso e di veemente protesta. Nessuna assegnazione per eccesso di eccellenza, questa l’amara verità, certo non pubblicamente ammessa ma evidente ad ognuno nel corso di una settimana di ascolti, dalle eliminatorie alla finale di domenica sera, che hanno raccolto un totale di 4mila spettatori e passa; eccellenza giustamente enfatizzata dalla stessa direzione artistica, da indiscrezioni trapelate dalla giuria e ribadita all’inizio della finale.
Uno smacco grave per una giuria che non è riuscita a mettersi d’accordo e all’interno della quale hanno prevalso, con alta probabilità, faziosità, risentimenti e interessi personali a tutto discapito della musica, del talento e dell’impegno di tanti giovani interpreti. Vulnus tanto più profondo in quanto giunto al termine di una settimana perfetta, di musica esercitata ai più alti livelli da giovani provenienti da tutto il mondo, con la partecipazione di un pubblico meraviglioso, vivacizzato dalla importante presenza di molti bambini e dove tutto ha funzionato a meraviglia.
Un‘ingiustizia che offusca l’operato di una giuria, nonostante la levatura dei singoli componenti. Mario Brunello, sul palco insieme ai membri della giuria e ai tre quartetti finalisti, visibilmente imbarazzato e crediamo profondamente dispiaciuto, in qualità di direttore artistico dovrà lavorare non poco per sanare la ferita, per non compromettere l’esito della prossima edizione tra tre anni, per mantenere alto il prestigio di una manifestazione afflosciatasi proprio nella sua fase conclusiva. La novità di eliminare secondo e terzo posto, fatta, sembra (ma non è chiaro il perché), per agevolare i gruppi, ha, alla resa dei conti, radicalizzato lo scontro restringendo la rosa dei premiabili e impedendo di stemperare i contrasti. Inoltre, la excusatio non petita del presidente di giuria, Günter Pichler, primo violino del mitico Quartetto Berg, a sua volta visibilmente imbarazzato e teso, relativa al non voto nei confronti dei quartetti in concorso, allievi nel corso degli ultimi due anni, ha messo in luce un possibile fattore di disequilibrio nella composizione della giuria.
Sei musicisti su otto, di cui cinque membri di quartetti, un solo musicologo e critico musicale (ma anche organizzatore), e un compositore, l’autore del pezzo commissionato. E se è giusto dare peso a chi la musica la pratica in prima persona, soprattutto se si tratta di personalità del calibro di un Pichler o di un Isomura (viola del Quartetto di Tokio), è altrettanto vero che chi è direttamente coinvolto a livello personale può, pur non votando nel caso specifico, creare impasse nella conta finale. Dunque solo tre finalisti, Meccorre (Polonia), Amaryllis (Germania- Svizzera) e Voce (Francia) ed essendo il premio unico e assoluto, nessuna divisone del premio in denaro e soprattutto nessuna tournée, fattore qualificante del concorso, con la tremenda conseguenza che il mondo non avrà la possibilità di conoscere musicisti straordinari. E se giusta, tutto sommato, appariva la scelta dei tre finalisti, su di essa, a ben vedere, gravava l’ombra di una esclusione, già dalla rosa dei sei semifinalisti, incomprensibile, quella del Quartetto Kelemen.
Dei premi di consolazione, per così dire, quello del pubblico, novità di questa edizione, è andato al Quartetto Voce (1000 euro), mentre il premio speciale Kancheli, il compositore a cui era stato commissionato il quartetto contemporaneo, ai Quartetti Meccorre e Cavaleri (2500 euro); Qundi due borse di studio, Premio Jeunesses Musicales Deutschland e Premio ProQuartet, assegnate rispettivamente ai Quartetti Schumann e Linden.

Daniela Iotti (Giornale di Reggio, 21 giugno 2011)