Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

martedì, dicembre 27, 2022

Concerti 2022




Lunedì, 11 aprile 2022
Carpi (Modena), Sala delle Vedute (Palazzo dei Pio), ore 21,00
Corrado Sevardi - Intranima Lieder
Ciclo rappresentativo per voce recitante, mezzosoprano, pianoforte e violino
Su testi di Giorgio Bassani
Mezzosoprano: Cristina Calzolari
Voce recitante: Giuliano Brunazzi
Violino: Alessandro Sevardi
Pianoforte: Davide Finotti
(esecuzione in forma di concerto)

Domenica, 22 maggio 2022
San Possidonio (Modena), Palazzurro, ore 18,00
Gustav Mahler - Sinfonia n. 4 in sol maggiore
SPIRA MIRABILIS

Martedì, 28 giugno 2022
Mantova, Basilica di Sant'Andrea, ore 21,00
Claudio Monteverdi - Vespro della Beata Vergine
Sanctissimae Virgini missa senis vocibus ad ecclesiarum choros ac vespere pluribus decantandae cum nonnullis sacris concentibus ad sacella sive principum cubicula accomodata opera a Claudio Monteverde nuper effecta av beatiss. Paulo V pont. max. consecrata, Venezia 1610
Direzione: Antonio Greco
ORCHESTRA E CORO MONTEVERDI FESTIVAL - CREMONA ANTIQUA

Domenica, 10 luglio 2022
Modena, Cortile del Melograno (Istituto Venturi), ore 21,00
L'affare Vivaldi - Testo di Federico Maria Sardelli (ed. Sellerio)
Musiche di Antonio Vivaldi
- Concerto in re minore per violino, archi e basso continuo, RV 813
- Sonata in sol maggiore per violino, violoncello e basso continuo, RV 820
- In memoria aeterna, da "Beatus vir", versione strumentale
- Concerto in re maggiore per violino, archi e basso continuo RV 818, per Anna Maria
- Sonata in re minore per due violini e basso continuo, Op. I n.12 "La Follia", RV 63
- Sinfonia dall'opera "Il Farnace", RV 711-D
Direzione e voce narrante: Federico Maria Sardelli
ENSEMBLE MODO ANTIQUO

Martedì, 19 luglio 2022
Spilamberto (Modena), Cortile d'onore di Rocca Rangoni, ore 21,30
Musiche di
Franz Joseph Haydn - Quartetto per archi in sol minore, Op. 4 n. 3 "Il Cavaliere" (1793)
Johannes Brahms - Quintetto in si minore per clarinetto e archi, Op. 115 (1891)
Clarinetto: Giovanni Picciati
ENSEMBLE DEI SALOTTI MUSICALI PARMENSI
- Violini: Marco Bronzi, Antonio De Lorenzi
- Viola: Giancarlo Di Vacri
- Violoncello: Giuseppe Barutti

Venerdì, 16 settembre 2022
Modena, Chiesa di Sant'Agostino, ore 21,00
Musica proibita (l'inquisizione in un monastero femminile del '600)
musiche di:
Suor Raphaella Aleotti (1570c.-1640c.) - "Hor che la vaga aurora" (1593) - "Sancta et immaculata virginatas "Miserere mei Deus" (1593)
Andrea Falconieri (1585/6-1656) - La Suave Melodia (1650)
Giovanni Battista Strata (1579-1656) - "O gratiosa e bella Maria" (1610)
Agostino Soderini (?-1608) - "Ipsi sum desponsata" (1598)
Cosimo Bottegari (1554-1620) - "Qual fattura più degna" - "Caro dolce ben mio" - "Monicella mi farei"
Carlo Gesualdo (1566-1613) - "O tenebroso giorno" (1611)
Francesco Maria Guaitoli (1563-1628) - "Voi dal Castaglio Fonte" (1604)
Libby Larsen (1950) - "My Parents, as if Enemies" (1986)
Giovanni Maria Trabaci (1575-1647) - Consonanze stravaganti (1603)
Anonimo - "Madre non mi far monaca" Ciacona
Philipp Friedrich Böddecker (1607-1683) - Sonata sopra La Monica (1651)
Anonimo - "Lamento della Monaca Musica"
Sulpitia Cesis (1577-1619) - "Peccò signor (1619) - "Dolce nomen Iesu Christi" (1619)
Voce recitante: Francesca Ballico
Direzione: Candace Smith
CAPPELLA ARTEMISIA

Venerdì, 7 ottobre 2022
Reggio Emilia, Basilica della Beata Vergine della Ghiara, ore 21,00
Prima parte del concerto
Louis-Nicolas Clérambault - Plein Jeu / Caprice sur les Grands Jeux
Henry Purcell - Round o. ZT684
Baldassare Galuppi - Allegro
Giovanni Morandi - Rondò con imitazione dei campanelli
Organista: Luciano Zecca
Seconda parte del concerto
Johann Sebastian Bach:
- Cantata "Mein Herze schwimmt im Blut", BWV 199
- Concerto Brandeburghese n. 4 in sol maggiore, BWV 1049*
- Cantata "Jauchzet Gott in allen Landen", BWV 51
Maestri di concerto: Renato Negri, Simone Gramaglia*
CAPELLA REGIENSIS

Domenica, 9 ottobre 2022
Modena, Chiesa di Sant'Agostino, ore 21,00
L'ultimo Monteverdi, da Messa a quattro Voci et Salmi a Vna, Due, Tre, Quattro, Cinque, Sei, Sette, & Otto Voci, Concertanti, e Parte da Cappella, & con le Letanie della B. V. (op. post., Venezia, 1650)
- Dixit Dominus II a 8 voci (SV192)
- Lauda Jerusalem I a 5 voci (SV 195)
- Laudate Dominum per Basso (SV197)
- Laudate pueri a 5 voci (SV196)
- Laetatus sum a 5 voci (SV199)
- Lauda Jerusalem II a 3 voci (SV 202)
- Nisi Dominus a 6 voci (SV201)
- Dixit Dominus I a 8 voci (SV191)
Direttore: Alessandra Rossi Lürig
ACCADEMIA D'ARCADIA

Sabato, 22 ottobre 2022
Modena, Chiesa di San Carlo, ore 21,00
Amor Sacro & Amor Profani
musiche di:
Salomone Rossi - Sinfonia ottava a due violini e basso (Libro terzo, 1613)
Claudio Monteverdi - "Se i languidi miei sguardi" (Libro VII, 1619)
Salomone Rossi - Sonata terza sopra l'Aria della Romanesca (Libro terzo, 1623)
Barbara Strozzi - "Hor che Apollo", da Arie Op. VIII
Evaristo Felice Dall'Abaco - Concerto a quattro da chiesa n° 10 Op. II (178)
Antonio Vivaldi - Sinfonia in mi maggiore per archi e continuo RV 131
Antonio Vivaldi - "Nulla in mundo pax sincera", Mottetto RV 630
Soprano: Sophia Santiago
Direzione: Fabio Missaggia
I MUSICALI AFFETTI

Domenica, 4 dicembre 2022
Mantova, Basilica di Santa Barbara, ore 18,30
Concerto in onore di Santa Barbara nella sua festa
musiche di:
Ottavio Bargnani - Missa Octavi toni (Prima esecuzione moderna)
Ingressus
- Anonimo (sec. XVII) - Toccata, organo solo
Missa Octavi toni a sei voci
- Kyrie - Christe - Kyrie / Gloria
- Canzon prima "La Gonzaga" - (Ottavio Bargnani)
Missa Octavi toni a sei voci
- Credo
Canzon terza - (Ottavio Bargnani)
Missa Octavi toni a sei voci
- Sanctus
Ad consecrationem
- (Girolamo Frescobaldi) - Toccata XII dal I Libro, organo solo
Missa Octavi toni a sei voci
- Agnus Dei
Communio
- (Ottavio Bargnani) - Montes et colles, mottetto
Postcommunio
- (Ottavio Bargnani) - Canzon XIV
Andrea Gavagnin (cantus), Alessio Tosi (contratenor), Enrico Imbalzano (tenor), Alberto Spadarotto (bassus)
Benedetta Ceron (cornetto), Marisa Pasquali (violino), Susanna Defendi (trombone), Elena Bianchi (dulciana)
Organo e concertazione: Umberto Forni
CAPPELLA MUSICALE DI S. BARBARA

Giovedì, 8 dicembre 2022
Reggio Emilia, Chiesa di San Pietro, ore 20,30
Concerto dell'Immacolata
musiche di:
Benjamin Britten - Hymn to the Virgin (per doppio coro a cappella)
Antonio Vivaldi - Concerto in sol minore, RV 157 (per archi e basso continuo)
Antonio Vivaldi - Magnificat (per soli, coro e orchestra)
George Frideric Handel - Haec est Regina Virginum, HWV 235 (per soprano, archi e basso continuo)
Antonio Vivaldi - Gloria in re maggiore, RV 589 (per soli, coro e orchestra)
Soprani: Anna Simboli, Elena Bertuzzi
Contralto: Chiara Brunello
Tenore: Alessio Tosi
CORO DA CAMERA "RICERCARE ENSEMBLE"
Maestro del coro: Romano Adami
ORCHESTRA "ACCADEMIA DEGLI INVAGHITI"
Direttore: Federico Maria Sardelli


domenica, dicembre 11, 2022

Rameau, il pianoforte e il clavicembalo: parla Luca Ciammarughi

Oltre a essere 
un pianista apprezzato, Luca Ciammarughi - ben noto ai nostri lettori - è musicologo di vaglia, per cui era lecito attendersi un progetto culturale all'altezza, ancor prima di un disco ben suonato (e che lo sia è un qualcosa che i nostri pochi, garbati appunti, non vorranno negare, ma tuttavia il progetto a monte ci sembra ancora migliore della sua effettiva realizzazione): questo disco, realizzato lo scorso amo, si presenta come un omaggio a Rameau e a Saint-Saëns, legati certo non solo dalla nazionalità francese ma soprattutto da una certa affinità artistica e per così dire di visione, per quanto naturalmente radicata in epoche distanti e sensibilità differenti: un'affinità artistica incardinata, oltre che nel gusto per la sperimentazione virtuosistica, in un certo immaginario, come quella propensione per situazioni, temi e mondi esotici che in una certa misura caratterizzò entrambi; e pure da una certa teatralità, elemento opportunamente messo in risalto dal nostro interprete, segno anche di una lucida comprensione delle composizioni proposte: Ciammarughi mette a proprio agio l'ascoltatore, accompagnandolo, quasi fosse una conferenza-concerto, in questo intrigante percorso, davvero pieno di sorprese. I cento anni della morte di Saint-Saëns (1835-1921) ci riportano a Rameau a partire dal fatto che l'autore della Danse macabre realizzò la prima edizione critica completa delle Piéces de Clavecin, in tal modo contribuendo alla riscoperta del suo grande connazionale barocco: la “Rameau-renaissance” infatti, si deve, ancor prima che a Debussy, proprio all'autore de Il carnevale degli animali e del Sansone e Dalila. E come ci restituisce, Ciammarughi, il Rameau saint-saënsiano, in questo caso registrando le ultime tra le sopraccitate Pièces de Clavecin (oltre a una gavotta dello stesso Saint-Saëns, limpido omaggio al suo “predecessore")? Con gli occhi di Saint-Saëns appunto, cioè a dire con un'estetica e uno strumento fin de siècle (uno Steinway del 1888) con caratteristiche timbriche certo diverse rispetto al pianoforte odierno: uno strumento dai tratti un po' più flebili, ma forse in una certa misura anche più nitidi, e ci sembra che Ciammarughi abbia saputo mettere in risalto in modo adeguato tali caratteristiche, presumibilmente secondo il principio che questa musica ben s'attagli a qualsiasi strumento a tastiera e che la questione appunto non risieda tanto nel chiedersi quale sia lo strumento più adatto, quanto nel saper valorizzare queste composizioni sulla base delle caratteristiche dello strumento impiegato: non abbiamo dubbi sul fatto che, se avesse adoperato un cembalo o un pianoforte moderno, Ciammarughi avrebbe riconsiderato e riadattato ad hoc alcuni aspetti che attengono dinamiche, respiri, svolgimento degli abbellimenti e così via in modo altrettanto efficace e filologicamente scrupoloso. Da La Dauphine di apertura alla conclusiva LivriCiammarughi mostra generalmente chiarezza rispetto alle linee dei vari brani, ancorché non sempre ravvisiamo (scelte estetiche e drammaturgiche a parte) perfetta fluidità e scorrevolezza. E, Deo gratias, Ciammarughi ripete i ritornelli. Lo segnaliamo in accordo a quanto annotò Svjatoslav Richter, il quale deplorava il non ripeterli, ma anche richiamandoci all'autorità di Claudio Abbado, che con molta semplicità e immediatezza volle chiarire che i ritornelli si dovrebbero eseguire non perché lo prescrivono i musicologi, insomma non per pedanteria, ma perché la ripetizione fa parte del brano, sem-
plicemente! Bravo, Ciammarughi: sappia che da lui continueremo ad attenderci, più che, per dire, l'integrale delle Sonate di Beethoven o gli Studi di Chopin, dischi di questa fattura, capaci di svelare legami, di indicare percorsi e di stimolare la nostra curiosità. Il librettino guida, redatto dallo stesso interprete, è in italiano e in inglese.
Marco Testa

Come nasce l'idea di questo disco?
Da molti anni avevo in mente di incidere un album dedicato a Rameau, compositore che è sul mio leggio dal 2004. Cosciente dell'esistenza di incisioni pianistiche di gran pregio, a partire da quelle leggendarie di Marcelle Meyer degli anni '40 e '50, ho atteso a lungo prima di trovare una chiave di lettura che giustificasse una nuova registrazione. L'idea mi è balenata mentre, nel 2021, visitavo all'Opéra de Paris una stupenda mostra monografica su Camille Saint-Saëns, nei 100 anni dalla morte del compositore. Sapevo già che Saint-Saëns era stato un pioniere nella riscoperta di Rameau, fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Proprio sulle edizioni Durand curate da Saint-Saëns avevo iniziato vent'anni fa a leggere le Pièces de Clavecin di Rameau, prima di passare all`Urtext. E quindi ho pensato: perché non immaginare un Rameau “nello specchio di Saint-Saëns", ovvero suonato su un pianoforte della sua epoca e con un'idea estetica che provasse ad avvicinarsi a quel mondo oggi perduto? Intendo un mondo fatto di esprit de clarté, difficile da riprodurre sui potenti gran coda dei giorni nostri, ma anche il mondo delle fêtes galantes, in una Francia fin de siécle che guarda nostalgicamente alla grazia vagamente sensuale degli antenati settecenteschi. In quella stessa mostra parigina, ho notato da alcune foto che Saint-Saëns suonava spesso pianoforti Steinway: perciò la scelta è caduta su uno Steinway del 1888 (collezione di Marco Barletta), uno strumento che mi è parso molto adatto per dar voce all'immaginario di Rameau.
Quali problemi esecutivi pone l'esecuzione di Rameau al pianoforte, e particolarmente su uno strumento storico come quello che ha scelto?
In generale, la musica clavicembalistica francese pone il problema degli abbellimenti. Si tratta innanzitutto di un problema di notazione, che spesso fa perdere motivazione ai pianisti che provano ad affrontare questo repertorio: per decifrare tutti gli abbellimenti nella notazione originale francese (diversa da quella a cui siamo abituati) ci vuole pazienza. A livello esecutivo, invece, il problema sta nel fatto che la tastiera del pianoforte è più pesante rispetto a quella del cembalo, e quindi l'esecuzione della miriade di mordenti, trilli, coulés risulta più difficoltosa. Saint-Saëns, nella sua edizione, rende più “pianistici" alcuni abbellimenti: la sua edizione è oggi discutibile filologicamente, ma ha un'efficacia pianistica indubbia. Io ho cercato di trovare un punto d'incontro fra il punto di vista “filologicamente informato" e quello di Saint-Saëns. Il mio obiettivo era alla fine un dialogo a tre: fra il testo originale, l'adattamento pianistico di Saint-Saëns (che comunque non si allontana moltissimo dal1'originale) e la mia personale sensibilità di pianista del XXI secolo. Per quanto riguarda lo Steinway del 1888, devo dire che la sua tastiera più leggera rispetto a quella dei gran coda novecenteschi e attuali mi ha aiutato nel perseguire uno dei miei obiettivi, ovvero l'evitare una certa pesantezza che nuocerebbe terribilmente a questo repertorio. Non so se ci sono riuscito, ma desideravo che, nonostante le tante note, risultasse quella levità e ariosità che ritrovo anche nei quadri dei pittori contemporanei di Rameau, come Watteau
e Fragonard (incredibile il modo in cui quest`ultimo dipinge le nuvole!).
Quali, invece, i rischi in cui ci si può imbattere?
Secondo me ci sono due rischi principali. Il primo è romanticizzare in eccesso questa musica, che spesso è talmente espressiva e suadente (si pensi all'Allemande che apre la Suite in la minore oppure alla Livri) da portarci a un'esecuzione “col cuore in mano”, piena di rubati, crescendo ciclopici e estenuati diminuendo che ne tradirebbero il carattere. Il mondo di Rameau ha aspetti anche radicali, come ben mostra il suo teatro, ma vi è in esso una certa sprezzatura che è in parte legata all'eredità cartesiana e alla natura di scienziato-filosofo dei suoni. Le passioni ci sono, ma sono spesso vissute “dall'a1to": c'è qualcosa di fatalistico nella sua musica, che mal sopporta gli eccessi di soggettivismo da parte dell'interprete. In questo trovo dei punti di contatto con Schubert. Il secondo rischio, opposto, è quello di trasformare questa musica, come già avvenuto in passato con quella di Bach e Scarlatti, in uno “scioglidita" pianistico privo di qualsiasi pathos. Un tempo, troppi pianisti si avvicinavano al barocco come a un repertorio propedeutico al Grande Repertorio romantico: come se si trattasse di esercizietti piacevoli fatti per acquisire scorrevolezza (anche Mozart purtroppo è stato considerato spesso così). Si tratta di un equivoco imbarazzante, che ancor oggi infesta buona parte della didattica pianistica. E forse per tale ragione che a me piace sottolineare le inegalités (ineguaglianze) ritmiche in questo repertorio: detesto l'idea di eseguire questa musica in modo scorrevolmente omogeneo. In generale, non amo proprio l'omogeneità eccessiva, sia nei pianisti sia nei pianoforti.
Molte delle pagine che ha scelto hanno un evidente intento mimetico: il linguaggio musicale che usa Rameau per descrivere situazioni, personaggi, ambienti è ancora oggi perfettamente comprensibile o all'interprete spetta il compito di '“mediare”?
Direi che è ancora pienamente comprensibile. Il dilemma, per l'interprete, sta nel decidere quanto caratterizzare quei personaggi e quelle situazioni. Prendiamo Les Sauvages, brano clavicembalistico che ritroveremo poi orchestrato nelle Indes Galantes. Rameau evoca qui le danze di due capitribù indiani della Louisiana che aveva visto danzare a Parigi. Ora, la domanda è: quanto peso dare alla componente “selvaggia”, esotico-dionisiaca? Quanto considerare invece il fatto che Rameau filtra comunque quei ritmi venuti dalle Americhe con il gusto settecentesco francese? Io credo che si tratti di un'operazione di melting pot, e quindi tento di trovare un equilibrio, una fusione fra le due dimensioni. Rameau, che qualcuno oggi stupidamente potrebbe tacciare di “appropriazione culturale” di materiali indigeni, realizza in realtà un'integrazione straordinaria. Tornando al punto: secondo me è importante che l'interprete sia cosciente dell'immaginario presente in questi brani (la gallina, le lavoratrici a maglia, le tre mani, l'egiziana, l'indifferente, nonché tutta la galleria esotica delle Indie galanti), ma anche del fatto che non si tratta strettamente di “musica descrittiva": questi brani avrebbero una loro bellezza intrinseca, “assoluta” per così dire, anche se non sapessimo di cosa trattano.
Appare interessante il parallelismo tra Rameau e Saint-Saëns: due rivoluzionari che finirono per diventare (o essere visti come) reazionari. Una lettura giustificabile, storicamente e musicalmente?
Certamente sì. Saint-Saëns fu il fautore della prima grande edizione delle Oeuvres complètes di Rameau (incompleta solo a causa della morte del compositore di Samson et Dalila). Oltre a questo importante dato oggettivo, però, c'è un altro aspetto cruciale: Rameau divenne, non solo per Saint-Saëns ma anche per Debussy, l'emblema di una nitidezza e di un “gusto perfetto" da opporre a un wagnerismo di maniera, che in Francia portò in effetti a esiti spesso deludenti. Rameau è quindi anche una porta d'accesso al Novecento: una sorta di “viatico” per combattere gli eccessi di retorica, le fumosità, e riscoprire un`essenzialità che diviene poi una delle porte d`accesso al Novecento (non è affatto casuale che la grande ramista Marcelle Meyer fosse musa del Group des Six e di Cocteau). Per quanto riguarda la dinamica rivoluzione/reazione, credo sia normale, quando si ha una vita molto lunga (ed è il caso sia di Rameau sia di Saint-Saëns), non ritrovarsi sempre nelle mode e nelle tendenze della generazione più giovane.
Quali pianisti o cembalisti sono, a suo avviso, più interessanti nell'esecuzione della musica di Rameau?
Per il pianoforte resta imprescindibile Marcelle Meyer, piena di charme ma anche di febbrile concretezza. Sono molto affezionato anche al CD di Alexandre Tharaud, pieno di poesia ineffabile. C'è inoltre Sokolov, naturalmente, che stupisce per gli abbellimenti stratosfericamente nitidi e rapidi (ma in
lui non trovo quel gusto dell'inegalité che prediligo). Per quanto riguarda il clavicembalo, mi appassionano soprattutto Scott Ross e Christophe Rousset. Magistrali anche le incisioni di William Christie, Kenneth Gilbert, Trevor Pinnock, nonché, nelle generazioni più vicine a noi, quella di Blandine Rannou. Anche Jean Rondeau mi piace, sia come musicista sia per il suo lato trasgressivo nello scombinare i “codici” tradizionali della musica classica. Infine, un'ulteriore chicca pianistica d'antan: Le rappel des oiseanx suonato da Emil Gilels, in modo sublimemente nostalgico.
Nicola Cattò
("MUSICA", n.340, ottobre 2022"

sabato, dicembre 03, 2022

Francis Poulenc: Les dialogues des Carmélites

I tedeschi, che trovano sempre una parola per tutto, la chiamano
 Literaturoper. Che sarebbe come a dire un melodramma il cui testo non è più un libretto (un derivato, un surrogato) ma l’opera letteraria stessa. Il rifiuto di ogni mediazione librettistica corrisponde naturalmente a un gesto orgoglioso e liberatorio: abbandonati i complessi d’inferiorità del passato, l’opera si sente ora alla stessa altezza dei capolavori letterari. La prima Literaturoper a far scuola fu Pelléas et Mélisande (1902) in cui Debussy realizzò una versione musicale della famosa pièce di Maeterlinck. Seguì Wozzeck di Alban Berg (1925), un’intonazione del dramma di Büchner da poco riscoperto. Per capire il senso di questo nuovo incontro tra musica e letteratura, si legga quanto scrive lo stesso Poulenc a proposito dei Dialogues des Carmélites: «Conoscevo […] il dramma di Bernanos, che avevo letto, riletto e visto due volte, ma non avevo alcuna idea del suo ritmo verbale, particolare che per me è capitale» (corsivo mio). Dunque non è tanto nelle situazioni o nei personaggi che si trova la chiave della possibile trasformazione in opera, quanto piuttosto nelle parole, nel «ritmo verbale» di Bernanos. E sarà proprio la capacità di rendere il testo bernanosiano in modo così trasparente e discreto l’arma vincente di Poulenc. Va da sé che un intervento di modifica (già abbondantemente usato da Debussy) è ammesso nella Literaturoper: mi riferisco ai tagli di porzioni anche significative del testo originario. Così ad esempio Poulenc salta a piè pari il prologo di Bernanos (due scene di sole didascalie) col panico della folla, la nascita di Blanche e la morte della marchesa. Un antefatto recuperato poi per bocca del Marchese de la Force che nel primo quadro dell’opera racconta l’episodio di quindici anni prima usando sostanzialmente le parole della didascalia del prologo bernanosiano. Ma nonostante questa e altre varianti, il risultato è una musica che sembra scaturire dal testo stesso di Bernanos. Una musica che fonda la sua ragion d’essere in una speciale sensibilità letteraria. Non a caso, nel Journal de mes mélodies, Poulenc scrive: «Se sulla mia tomba comparisse l’epitaffio: Qui giace Francis Poulenc, il musicista di Apollinaire e di Éluard, credo che sarebbe il mio più bel titolo di gloria».
Fu il direttore della Ricordi, Guido Valcarenghi, a proporre i Dialoghi delle Carmelitane a Poulenc nel 1953. La première mondiale dell’opera sarebbe avvenuta, in italiano, al Teatro alla Scala il 26 gennaio 1957 sotto la direzione di Nino Sanzogno con un cast che comprendeva Virginia Zeani (Bianca), Gianna Pederzini (la prima Priora), Leyla Gencer (la seconda Priora), Gigliola Frazzoni (Suor Maria), Eugenia Ratti (Costanza). In francese, l’opera venne rappresentata per la prima volta all’Opéra di Parigi il 21 giugno 1957. Poulenc dedicò la sua partitura «Alla memoria di mia madre che mi ha rivelato la musica, di Debussy che mi ha dato il gusto di scriverla, di Monteverdi, Verdi e Musorgskij che mi sono stati, qui, di modello». Non è impossibile stabilire il lascito dei quattro musicisti citati: nelle lettere di Poulenc al baritono Pierre Bernac si capisce che Verdi fu tirato in ballo per il trattamento delle voci («I dischi di Aida mi incantano; ho capito la tessitura del contralto. Molto utile per la morte. I suoni filati della Tebaldi sono l’ideale per la seconda Priora [che sarebbe poi stata interpretata da Leyla Gencer]»). Quanto a Monteverdi e Musorgskij, è interessante citare un’altra lettera di Poulenc (a Henri Sauguet): «Nei Dialoghi è lo spirito di Monteverdi e Musorgskij che mi guida […]. Ho sempre pensato, ad esempio, che l’aria di soprano del Ballo delle ingrate sia proprio il modello di un’aria operistica d’una straordinaria intensità in cui era necessario far comprendere le parole a ogni costo». D’altra parte il modalismo e il clima sonoro dei canti religiosi (il Requiem per la morte della prima Priora, l’Ave Maria al termine della cerimonia di obbedienza alla nuova Superiora, l’Ave verum del Cappellano durante il suo ultimo officio per le carmelitane e il famoso Salve Regina cantato dalle Suore durante l’esecuzione) ha qualcosa di russo-ortodosso, come ha notato Gianfranco Vinay, il che rafforza ovviamente la presenza del modello musorgskiano. Ma è evidente che il vero riferimento, quello più profondo, non solo musicalmente ma anche drammaturgicamente, è Debussy. Il rifiuto dell’effetto che nasce dai contrasti drammatici, l’attenzione ossessiva al «ritmo verbale» del testo, la tematizzazione del silenzio e l’estetica del dépouillement stanno tutti sotto il segno di Debussy. A ciò si deve aggiungere l’uso (discreto ma fondamentale) dei Leitmotive di tipo simbolico-allusivo (non i “motivi conduttori” alla maniera di Wagner) che creano correspondances misteriose e formano un tessuto connettivo tanto musicale quanto narrativo. Così il primo tema che apre l’opera coi suoi staccati ascendenti (così ansiogeni), tema di solito associato al Marchese de la Force, ritorna durante il colloquio di Blanche col fratello (il Chevalier) nel parlatorio del convento, quando quest’ultimo dice alla sorella che «nostro padre ritiene che qui voi non siate al sicuro». Lo stesso tema ritornerà alla fine nella biblioteca del Marchese devastata e «completamente saccheggiata», durante la scena tra Blanche e Mère Marie, allorché la figlia sempre più ossessionata dalla paura («Je suis née dans la peur») – paura che è forse la vera protagonista dell’opera (e che viene sonorizzata in modo mirabile da Poulenc) – ricorda il padre morto ghigliottinato. Il tutto, però, senza troppo rilievo e come inserito in un continuum sonoro da cui i temi sembrano uscire e rientrare… Si sa, per lasciare l’ultima parola a Debussy, «la musica è per l’inesprimibile. Deve uscire dall’ombra ed essere discreta».
Emilio Sala
Milano, Teatro alla Scala, 17 maggio 2000

Atto primo
Quadro primo
La biblioteca del Marchese de la Force, a Parigi, nell’aprile del 1789. Il Cavaliere de la Force entra in modo irruente nella biblioteca, risvegliando il padre appisolato in una poltrona. Si è permesso di disturbarlo perché è preoccupato per la sorte di Blanche, sua sorella, la cui carrozza teme possa essere stata bloccata da una folla tumultuante. Una carrozza, un tumulto ridestano immediatamente nel Marchese il ricordo della moglie, morta dopo aver dato alla luce Blanche in seguito allo spavento provocato dalla folla che aveva preso d’assalto la carrozza. L’inquietudine del Cavaliere è accresciuta dal fatto che la sorella è per natura estremamente impressionabile e paurosa. Mentre il Marchese cerca di minimizzare le preoccupazioni del figlio, giunge Blanche sana e salva. Spossata dal timore che la folla potesse aggredirla ma anche dalla lunghezza di una funzione religiosa alla quale ha partecipato, chiede al padre il permesso di andarsi a riposare prima di cena. Padre e figlio, dopo aver scambiato qualche battuta, sono sorpresi da un grido di terrore: Blanche si è spaventata alla vista di un’ombra sul muro, proiettata dalla fiaccola del domestico. Ritorna quindi dal padre, e dichiarandosi inadatta e troppo fragile per affrontare la vita mondana, gli chiede il permesso di entrare nel Carmelo, con la speranza che, abbandonando e sacrificando tutto, Dio le restituisca l’onore macchiato dalla sua pavidità.
Quadro secondo
Il parlatoio del Carmelo di Compiègne, qualche settimana dopo. Dietro una grata che la separa dalla Madre Superiora, una suora anziana e malata, Blanche risponde alle domande che le vengono rivolte per saggiare la forza e la serietà della sua vocazione. Blanche risponde che ciò che la spinge a prendere gli ordini religiosi è l’attrazione esercitata da una vita eroica. Al che la Superiora, dopo aver denunciato la natura illusoria di un eroismo così concepito, afferma che l’unica ragion d’essere del Carmelo è la preghiera. Blanche si dichiara disposta ad affrontare le prove più dure pur di entrare in convento perché non le resta altro rifugio. La Madre Superiora le fa allora notare che la Regola non è un rifugio, che non è essa a salvaguardare le carmelitane, ma le carmelitane a osservare la Regola. Le chiede quindi se abbia pensato a un nome da religiosa se verrà ammessa come novizia. Blanche, con grande sorpresa della Superiora, risponde che vorrebbe chiamarsi Suor Blanche dell’Agonia di Cristo.
Quadro terzo
La dispensa all’interno del convento. Blanche e un’altra novizia, Constance, stanno occupandosi delle provvigioni. Constance, una giovane vivace e piena di gioia di vivere, chiacchiera incessantemente di argomenti frivoli e piacevoli, come della festa di matrimonio alla quale ha partecipato prima di entrare in convento. Blanche la rimprovera di tanta gaiezza mentre la Madre Superiora è in fin di vita. Constance, allora, in uno slancio di generosità, si dichiara disposta a offrire a Dio la sua vita in cambio di quella della Superiora, e sollecita a fare lo stesso Blanche, che bolla di infantilismo un atteggiamento simile. Constance dice di essere di parere contrario, di avere sempre desiderato di morire giovane, e di essere anzi certa che il suo desiderio sarà esaudito: la prima volta che l’ha incontrata, ha avuto il presentimento che sarebbero morte entrambe, ancora giovani, lo stesso giorno e la stessa ora, senza sapere di che giorno e di che ora si tratta.
Quadro quarto
Infermeria del convento. La Madre Superiora, a letto, è terrorizzata dalla morte che sente approssimarsi sempre più. Le assidue meditazioni nel corso dei decenni che ha passato in convento non le sono servite ad attenuare lo sconforto e la paura presente. A Suor Marie, che la sta assistendo, raccomanda Suor Blanche dell’Agonia di Cristo, la novizia per cui è maggiormente preoccupata. È rimasta colpita dal fatto che abbia scelto lo stesso nome da religiosa che avrebbe voluto scegliere lei stessa quand’era entrata in convento; ma poi vi aveva rinunciato, messa in guardia dalla Superiora di quel tempo che «chi entra nel Getsemani non ne esce più». A Suor Blanche, che ha mandato a chiamare, la Superiora dice che avrebbe volentieri sacrificato la vita per salvarla dai pericoli cui è esposta, ma nell’ora presente non può offrirle che la sua morte, una povera morte. Dopo averle raccomandato la semplicità e la fiducia in Dio, la benedice e la congeda. Ritorna Suor Marie con il medico al quale la Superiora chiede un altro po’ di tonico per poter trovare la forza necessaria a congedarsi dalle sue consorelle. Suor Marie la invita a non preoccuparsi più di altri all’infuori di Dio. Al che la Superiora replica che non sta a lei di preoccuparsi di Lui, ma a Lui piuttosto di preoccuparsi di lei. Suor Marie fa allora chiudere le finestre per evitare che le consorelle possano essere scandalizzate dalla Madre Superiora delirante, che subito dopo ha una visione della cappella del convento profanata e insanguinata. Suor Marie dispone che la vita conventuale si svolga come d’abitudine e fa avvertire le consorelle che non potranno vedere la Superiora nel corso della giornata. Solo Blanche rientra e si avvicina al letto della Superiora che, dopo averle fatto una raccomandazione e aver pronunciato ancora qualche parola sconnessa, muore. Blanche cade in ginocchio, singhiozzando.
Atto secondo
Quadro primo
Nella cappella. Blanche e Constance vegliano il corpo della Madre Superiora. Constance esce a cercare le consorelle che devono darle il cambio. Blanche, spaventata dal fatto di rimanere sola con il cadavere, rabbrividisce e si precipita verso la porta nell’esatto momento in cui entra Suor Marie. Cerca di scusarsi per aver abbandonato il suo posto, ma Suor Marie, imputando più al freddo che alla paura i brividi della novizia, la accompagna alla cella dispensandola dalle preghiere e consigliandola di dormire e di non pensare più all’inadempienza. Domani mattina ne proverà dolore e potrà allora chiedere perdono a Dio.
Interludio primo
Constance e Blanche portano delle composizioni di fiori sulla tomba della Madre Superiora. Constance coi fiori restanti propone di fare un mazzo da offrire alla nuova Superiora. Blanche si chiede se Suor Marie ami i fiori. Constance desidererebbe che proprio lei fosse eletta Superiora, al che Blanche la rimprovera della sua ingenua speranza che Dio esaudisca sempre i suoi desideri. Constance le risponde che magari la logica divina consiste proprio in ciò che gli uomini intendono per casualità. Riflette quindi sulla morte della Superiora. La sua agonia le è parsa troppo lunga e faticosa: come se avesse vissuto una morte che non era la sua, né più né meno come quando per sbaglio si indossa un vestito confezionato su misura per un altro. Quell’altro, al momento di morire, sarà colpito della serenità con cui andrà incontro alla morte: non si muore ciascuno per sé, ma gli uni per gli altri e anche gli uni al posto degli altri.
Quadro secondo
Sala capitolare. L’intera comunità è riunita per giurare obbedienza alla nuova Madre Superiora, che non è Suor Marie, come tutte si aspettavano, ma Suor Marie-Thérèse di Sant’Agostino (Madame Lidoine, secondo lo stato civile), di origini modeste, che con parole semplici predica le virtù essenziali di una carmelitana: la buona volontà, la pazienza e lo spirito di conciliazione. La preghiera è il loro compito principale e nulla deve distrarle da essa; neppure il pensiero del martirio: la preghiera è un dovere, il martirio una ricompensa. L’intera comunità intona quindi l’Ave Maria.
Interludio secondo
Qualcuno suona insistentemente alla porta del convento. È il Cavaliere de la Force che, prima di partire in terra straniera per combattere a fianco dell’esercito controrivoluzionario, vuole parlare a sua sorella. La Madre Superiora, vista l’eccezionalità della situazione e dei tempi, concede questo strappo alla Regola, ma desidera che Madre Marie assista al colloquio.
Quadro terzo
Il parlatoio del convento. Il Cavaliere de la Force cerca di convincere Blanche a ritornare a casa perché suo padre stima che non sia più sicura in convento. Blanche replica dicendo che non si è mai sentita così sicura come ora, ma il fratello, conoscendola a fondo, reputa illusorio questo senso di sicurezza, conseguenza non tanto della paura della realtà esterna, del mondo, ma della paura della paura: bisogna saper rischiare la paura come si rischia la morte; il vero coraggio sta in questo rischio. Blanche cerca di convincerlo che la vita monastica l’ha cambiata. È ormai una figlia del Carmelo che soffrirà anche per lui: anche lei ha una battaglia da combattere, con i suoi rischi e i suoi pericoli. Il Cavaliere de la Force, prima di uscire, la osserva con uno lungo sguardo indefinibile. Blanche, spossata da quel confronto, si sostiene alla grata per non cadere, assalita dal dubbio di aver peccato d’orgoglio. Suor Marie la invita a ricomporsi soggiungendo che l’unico modo per vincere il proprio orgoglio è di salire più in alto di esso.
Quadro quarto
La sacrestia del convento. Il Cappellano ha finito di officiare la sua ultima messa nel Carmelo. Intona l’Ave verum cantato da tutta la comunità. Ormai messo al bando, deve nascondersi e camuffarsi. Constance depreca la codardia dei francesi che permettono che i preti siano perseguitati. Le consorelle si sforzano di comprendere in qual modo la paura si impossessi a poco a poco di tutte le coscienze. La Madre Superiora interviene dicendo che, quando i sacerdoti vengono a mancare, i màrtiri abbondano, e così si ristabilisce l’equilibrio della Grazia. Suor Marie coglie la palla al balzo e propone che le carmelitane si votino al martirio perché la Francia possa ancora avere dei sacerdoti. La Superiora controbatte che è stata fraintesa, e che comunque non sta a loro decidere se i loro nomi debbano comparire sul breviario. Qualcuno suona e bussa violentemente alla porta del convento. Il Cappellano deve nascondersi per non compromettere le monache, le quali, spaventate, si ammassano tutte in un canto della stanza. Suor Marie va ad aprire e tiene testa con molta fermezza e sangue freddo ai commissari rivoluzionari che ordinano alle carmelitane di sgombrare il convento entro ottobre (1792). Alla fine del contraddittorio, il Primo commissario confida segretamente alla suora di essere un ex sacrestano, fratello di latte del vicario, costretto, di questi tempi, a «urlare con i lupi». Per dimostrare la sua buona fede, la avverte di diffidare del fabbro Blancart, un delatore. I commissari e la folla escono. Suor Jeanne avverte le consorelle che la Madre Superiora deve partire per Parigi. Quindi dà a Blanche, rimasta fino ad allora appollaiata su una seggiola come un uccello ferito, la statuetta del Piccolo Re Glorioso, dicendo che le infonderà coraggio. Spaventata dal canto del Ça ira intonato dalla folla, all’esterno del convento, lascia cadere la statuetta, che si fracassa al suolo, soggiungendo: «Oh! il Piccolo Re è morto! Non ci resta che l’Agnello di Dio».
Atto terzo
Quadro primo
La cappella del Carmelo completamente devastata. Alla presenza del Cappellano, l’intera comunità è riunita, tranne la Madre Superiora, occupata a Parigi. Suor Marie propone alle consorelle di votarsi tutte insieme al martirio «per meritare la sopravvivenza del Carmelo e la salvezza della Patria comune». Aggiunge però che, vista l’importanza dell’impegno e della responsabilità individuale, il voto avverrà a scrutinio segreto, e dovrà essere unanime: basterà un solo voto contrario a invalidarlo. Il Cappellano si presta a fare da scrutatore e, dopo aver raccolto i foglietti, comunica a bassa voce il risultato a Suor Marie, che dichiara esservi un voto contrario. Tutti gli sguardi si affissano su Blanche, al che Suor Constance afferma di esser responsabile del voto contrario, ma di volerlo ritirare associandosi alla decisione comune. Il Cappellano allora decide che, per sacralizzare la loro intenzione, tutte le carmelitane pronuncino il voto, due alla volta, giurando sul Vangelo, a cominciare dalle più giovani. Suor Blanche e Suor Constance giurano per prime, dopodiché, approfittando della confusione delle consorelle che compiono lo stesso rito, Blanche fugge via.
Interludio primo
Un Ufficiale rivoluzionario si felicita con le carmelitane, che stanno lasciando il convento in abiti civili, per il loro senso della disciplina. Le avverte che la nazione le terrà d’occhio e che non dovranno aver contatti con membri del clero e con controrivoluzionari. La Madre Superiora, rimasta sola con le consorelle, invia una di loro dal Cappellano per avvertirlo che sarebbe troppo pericoloso officiare la messa in segreto, com’era convenuto. Suor Marie, sollecitata a esprimere il suo parere, ricorda alla Superiora che tutte queste cautele mal si addicono a una comunità che si è votata al martirio. Al che la Superiora replica che, se ognuna di loro risponderà del suo voto di fronte a Dio, lei dovrà rispondere per tutte e che è sua abitudine tenere i conti in regola.
Quadro secondo
La biblioteca del Marchese de la Force, saccheggiata e trasformatasi in un grande ripostiglio multiuso. Blanche, in vesti civili, divenuta la serva dei nuovi inquilini, è ai fornelli. Entra improvvisamente Suor Marie. Anche lei in abiti civili, è venuta a cercarla per metterla in salvo. Blanche replica di sentirsi sicura dov’è perché, caduta così in basso, nessuno si occuperà più di lei. Nel rispondere a Suor Marie si è distratta, e rischia di far bruciare il ragù. Suor Marie interviene a tempo, ma Blanche è in preda a una crisi di nervi. L’unica persona che poteva capirla, suo padre, è stato ghigliottinato. Nata nella paura, trova giusto che ora sconti la sua debolezza di carattere con il disprezzo degli altri. Suor Marie replica che lo sconforto non deriva dal disprezzo degli altri, ma da quello di sé medesimi. Rivolgendosi a Blanche con il suo nome da religiosa, il che la scuote immediatamente dalla sua angoscia, la invita a rifugiarsi temporaneamente a Parigi da persone fidate di cui le lascia l’indirizzo. La voce della nuova padrona di casa ingiunge a Blanche di andare a fare le compere. Dopodiché, Suor Marie se ne va, convinta che Blanche seguirà il suo consiglio.
Interludio secondo
Una strada di Parigi. Voci di passanti, fra cui quella di una Vecchia che parla dell’arresto delle carmelitane di Compiègne e chiede poi a Blanche se abbia dei parenti laggiù. Blanche nega, visibilmente scossa dalla notizia. Poi, atteggiandosi come chi ha preso una decisione disperata, se ne va via veloce.
Quadro terzo
Una cella della Conciergerie. La Madre Superiora cerca di consolare le carmelitane dopo la prima notte di prigione. Afferma inoltre di condividere il voto di martirio che hanno pronunciato in sua assenza e di assumere ora su di sé la responsabilità del suo adempimento. Suor Constance le chiede se abbia notizie di Blanche. Ricevuta una risposta negativa, dice di esser sicura che Blanche ritornerà, perché durante la notte ne ha avuto la premonizione in sogno. Le consorelle, a eccezione della Madre Superiora, scoppiano a ridere. Entra quindi il Carceriere per avvertirle che il Tribunale rivoluzionario le ha condannate tutte a morte. Quando esce, la Madre Superiora le benedice e consacra a Dio il voto da cui tutte sono ora legate.
Interludio terzo
Il Cappellano incontra Suor Marie in una strada parigina e l’avverte che tutte le consorelle sono state condannate a morte. Suor Marie vuole allora raggiungerle subito per morire assieme a loro, al che il Cappellano replica ricordandole che non è lei, ma Dio che ha deciso per lei una diversa sorte, alla quale dovrà sottostare mortificando il suo orgoglio.
Quadro quarto
Piazza della Rivoluzione. Le carmelitane scendono dal carro dei condannati a morte e cantando il Salve Regina, salgono al patibolo. Ogni volta che la lama cade, il coro diminuisce di intensità. Constance, salita per ultima, scorge Blanche fra la folla. Si ferma un istante, il suo viso si illumina di felicità, per riprendere poi il suo cammino verso il patibolo. Blanche sale a sua volta riprendendo il canto, fra la folla ammutolita. Si ode per l’ultima volta la lama cadere, dopodiché la folla comincia a disperdersi.
Gianfranco Vinay