Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, agosto 22, 2021

Claudio Monteverdi & Marco Longhini

Frai
Claudio MONTEVERDI
(1567-1643)

Musicista (Cremona 1567 - Venezia 1643), figlio del medico Baldassarre. Studiò contrappunto e viola con M. A. Ingegneri. Passò poi, ventiduenne, alla corte di Mantova quale violista e, dal 1603, maestro di cappella. Dal 1613 alla morte ebbe tale titolo a S. Marco a Venezia. Compì viaggi in Ungheria, nelle Fiandre (importante quest'ultimo per le sue esperienze artistiche) oltre che a Roma, Milano, Bologna, ecc. Dalla moglie Claudia Cattaneo, morta nel 1607, ebbe due figli: Francesco, che fu musicista, e Massimiliano. Carattere dell'arte monteverdiana è l'estrema, quasi ostentata (ma non mai fine a sé stessa) libertà da ogni teoria, in vista della massima intensità espressiva nella più ridotta semplicità dei mezzi. Servire l'espressione del testo (dell'"oratione" com'egli diceva), valendosi per questo della melodia e del ritmo e, in modo ancora inusitato, dell'armonia, fu il suo segreto. Il quale determinò contro di lui le più acri animosità da parte dei tradizionalisti e, in particolare, del canonico G. M. Artusi. Pure richiamandosi ai modi tonali medievali. M. contribuiva con le sue dissonanze non "preparate" a sviluppare il senso delle funzioni che si congegnano nella tecnica tonale moderna. Sempre in regime di polifonica compattezza, già il I libro dei Madrigali a 5 voci (pubbl. 1587) mostra audacia armonica (quinte e ottave parallele, dissonanze, ecc.) e melodica (salti di nona e undecima) che serve però all'espressione musicale delle parole più importanti. Nel II libro (1590) compaiono musiche mai più superate da altri compositori per la immateriale loro perfezione, e stilisticamente interessanti per la frequente adozione della struttura ternaria in seguito tanto fortunata. Un primo saggio di rottura della compattezza polifonica mediante ricorso a passi in stile recitativo, il rilevarsi di una sulle altre voci e l'annuncio della tonalità moderna si notano nel III libro (1592) e ancor più nel IV (1604) e nel V (1605). Le "false relazioni", gli accordi di 5ª, di 9ª, gli intervalli di tritono, di 5ª minore, di 7ª diminuita, non preparati, si risolvono in cadenze tonali moderne. Recitativi e "concertati" (dialoghi o monologhi commentati da voci e da strumenti) si aprono spesso qua e là. Novità di grandissimo rilievo, anche per la disposizione delle parti in concorso, conducono dal VI (1614) al VII (1619) e all'VIII libro (Madrigali guerrieri ed amorosi, 1638) a suprema varietà e libertà di atteggiamenti, ove il contrappunto è spesso ridotto per favorire il coro ad accordi verticali tra i quali si inquadrano passi monodici o dialoghi a 2 o a 3 voci. Nascono in tale ambiente composizioni come il dialogo concertato a 7 Presso un fiume tranquillo, libro VI (ove il coro racconta la vicenda e i solisti rappresentano i personaggi, come accadrà nel corso del Seicento con la cantata) o alcuni concertati che saggiano vari strumenti (VII, VIII), balletti melodrammatici in stile rappresentativo quali Il Ballo delle ingrate e Il combattimento di Tancredi e Clorinda, il secondo con una voce (quasi di Storico da oratorio) per narrare la vicenda e una per ciascuno degli attori. Qui M., per completare l'effetto dell'"oratione", si giova anche di uno "stile concitato" a mo' del tempo pirrichio dei Greci, rendendovi il tremolo degli archi. Altri madrigali e arie in recitativo, canzonette e madrigali a 2 e a 3 voci apparvero poi sotto vari titoli nel 1632 e, postumi, nel 1651. Il genio di M., per eccellenza drammatico, aveva già nei madrigali e nelle diverse musiche sacre che veniva producendo affermazioni chiarissime. Anche più deciso il tratto drammatico, o comunque il rappresentativo (che è tratto barocco) nelle opere che M. scrisse per il teatro. Già nell'Orfeo (testo di A. Striggio junior, Mantova 1607) il melodramma raggiunge, pochi anni dopo la sua nascita, vette difficilmente superabili, specie per l'equilibrio tra i momenti esplicitamente narrativi (ossia d'azione) e lirici, risolti gli uni negli altri senza sensibile discontinuità. Ingagliardita l'espressione nei recitativi; rivolto il declamato più che alla singola parola all'empito affettivo dell'intera frase e situazione drammatica; ricchezza, sino allora inaudita, di moti musicali, dal canto a solo a quello a più voci, dal monologo ai cenni di dialogo, dalla strumentalità alla vocalità. Della seconda opera, Arianna (Rinuccini, Mantova 1608), rimane la musica del celebre Lamento scritta nell'impressione della morte della moglie Claudia; essa testimonia della purezza ellenica cui era giunta la pur intensa e fervidissima espressione dell'arioso monteverdiano; la fortuna che arrise a questo lamento indusse M. a comporne anche una versione polifonica. Dalle ricchezze dell'orchestra mantovana si passa, con Il ritorno di Ulisse in patria (G. Badoaro, Venezia 1642), a ridotte schiere strumentali e vocali. Dopo questa opera in parte affrettata si arriva all'ultima, L'incoronazione di Poppea del 1643 (perdute sono andate le musiche di La finta pazza Licori, Mercurio e Marte, Vittoria d'Amore, Adone, Le nozze di Enea e Lavinia e tutta l'Andromeda [in collaborazione] tranne un minuscolo frammento del prologo), nella quale M. seppe compensare le veneziane deficienze di mezzi vocali e strumentali sia con il geniale partito tratto dal materiale disponibile (per es., alla morte di Seneca, con l'ascendente implorazione dei discepoli, che supplisce a una massa corale) sia con una nuova varietà tra forme chiuse e recitativo, con un'audacissima intensificazione del linguaggio (specialmente in fatto di armonia) e soprattutto con la più ricca e intimamente drammatica invenzione melodica. Introduceva il maestro nella storia dell'arte musicale un capolavoro, specie per la complessità di vita nel personaggio, giustificante il raffronto, spesso proposto dagli studiosi, con il dramma shakespeariano. E l'Incoronazione può esser considerata una delle pietre miliari del dramma musicale attraverso i secoli. Molto ricca è anche la produzione monteverdiana di genere sacro e religioso, che dalle Sacrae Cantiunculae a 3 voci (1582), attraverso la raccolta del 1610 giunse a quella del 1651. La raccolta raduna musiche di diverso carattere: una Messa, per es., in onore della B. Vergine, a 6 voci, ultima riassunzione (con l'altra Messa del 1641) di stilistiche già dissuete, e i concerti sacri, ben più liberi nello slancio impetuoso del ritmo, nel sorprendente mutarsi delle disposizioni foniche, nel vivace gioco coloristico delle voci e degli strumenti: pagine ferventi d'un lirismo di tono barocco. Dopo una lunga parentesi d'oblio, M. è stato ripreso in considerazione (basti pensare alla riedizione di tutta la sua musica, a cura di G. F. Malipiero) quale uno dei più grandi maestri della civiltà musicale. (Treccani)

Delitiae Musicae
voci: Costa, Carmignani, Fanciulacci, Fùrnari, Scavazza, Testolin
strumenti: Piantelli, Leoni, Contadin, Colonna
Marco Longhini
Chiesa di Novaglie (VR) - 6-10 giugno 2001
Naxos Early Music 8.555307 DDD 1 CD (63:47) | (p) 2002
Delitiae Musicae
voci: Costa, Carmignani, Fùrnari, Fanciulacci, Scavazza, Vargetto
strumenti: Eguez, Gato, Leoni, Colonna
Marco Longhini
Chiesa di San Briccio, Verona - 27-31 luglio 2001
Naxos Early Music 8.555308 DDD 1 CD (62:24) | (p) 2003
Delitiae Musicae
voci: Carmignani, Schofrin, Ghiringhelli, Fùrnari, Fanciulacci, Scavazza, Testolin
strumenti: Piantelli, Leoni
Marco Longhini
Chiesa di San Pietro in Vincoli, Azzago (VR) - 26-31 maggio 2002
Naxos Early Music 8.572136 DDD 1 CD (69:06) | (p) 2004

Delitiae Musicae
voci: Carmignani, Costa, Fùrnari, Fanciulacci, Scavazza, Testolin
strumenti: Piantelli, Leoni
Marco Longhini
Chiesa di San Pietro in Vincoli, Azzago (VR) - 28 luglio / 2 agosto 2002
Naxos Early Music 8.555310 DDD 1 CD (73:46) | (p) 2005

Delitiae Musicae
voci: Carmignani, Costa, Fùrnari, Fanciulacci, Scavazza, Testolin, Arrivabene, Allegrezza, Benetti
strumenti: Piantelli, Leoni, Bonetti, Contadin, Prada, Angilella Dell'Agnello, Colonna
Marco Longhini
Chiesa di San Pietro in Vincoli, Azzago (VR) - 5-10 aprile 2003
Naxos Early Music 8.555311 DDD 1 CD (78:34) | (p) 2006

Delitiae Musicae
voci: Carmignani, Costa, Arrivabene, Fùrnari, Fanciulacci, Scavazza, Testolin
strumenti: Bonetti, Piantelli, Leoni, Zanon, Mares, Cagnetta, Contadin, Bovo, Colonna
Marco Longhini
Chiesa di San Pietro in Vincoli, Azzago (VR) - 21-25 luglio 2003 (Sesto Libro)
Chiesa di San Pietro in Vincoli, Azzago (VR) - 14-18 maggio 2006 (altro)
Naxos Early Music 8.555312-13 DDD 2 CD's (68:48 & 76:32) | (p) 2007

Delitiae Musicae
voci: Carmignani, Costa, Fùrnari, Fanciulacci, Scavazza, Radaelli, Testolin
strumenti: Bonetti, Piantelli, Leoni, Gugole, Mares, Cabrio, Pedronetto, Contadin, Pasetto, Prada, Galligioni, Sbrogiò, Rosasalva, Favaro, Dellisanti
Marco Longhini
Chiesa di San Briccio, Verona - 29 aprile / 5 maggio 2004
Naxos Early Music 8.555314-16 DDD 3 CD's (58:14, 61:20 & 43:11) | (p) 2008

Delitiae Musicae
voci: Carmignani, Costa, Fùrnari, Fanciulacci, Scavazza, Longo, Testolin, Benetti, Borciani
basso continuo: Graziolino, Prosser, Piantelli Contadin, Leoni, Zanon, Rossi, Prada, Yacus
viole da gamba: Contadin, Prada, Croce, Cernuto
archi barocchi: Mares, Baldan, Pedronetto di Vincenzo, Bovo,Sbrogiò Rosasalva, de Ziller, Dellisanti 
Marco Longhini
Chiesa di San Briccio, Verona - 3-10 giugno & 11-20 luglio 2005
Naxos Early Music 8.573755-58 DDD 4 CD's (55:57, 58:37, 59:12 & 47:55) | (p) 2017

"Scherzi musicali" (1632)
Delitiae Musicae
voci: Carmignani, Costa, Fùrnari, Fanciulacci, Scavazza, Testolin
strumenti: Mares, Baldan, Bovo, Piantelli, Prosser, Leoni, Zanon
Marco Longhini
Chiesa di San Pietro in Vincoli, Azzago (VR) - 14-18 maggio 2006
Naxos Early Music 8.555318 DDD 1 CD (74:37) | (p) 2019

Marco Longhini
Si diploma in Direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano e si laurea in Architettura a Venezia (con una tesi dedicata al rapporto fra spazio urbano e spettacolo), dopo o diplomi in Composizione, Canto, Musica Corale e Direzione di Coro al Conservatorio di Padova
Ha diretto orchestre italiane (Pomeriggi Musicale, Angelicum, Milano Classica, Orchestra da Camera di Mantova) e straniere (Enschede Opera House Netherland, Orquesta Ciudad de Granada).
Un lungo itinerario culturale nella musica antica italiana del XVI e del XVII secolo, insieme alla passione verso la ricerca musicologica, lo porta a fondare nel 1992 Delitiæ Musicæ, per l'esecuzione di capolavori del passato, spesso inediti. Vent'anni in questo repertorio, presentandosi in tutta Europa, ne fanno uno dei direttori più seguiti ed amati per il repertorio vocale, l'opera e l'oratorio. Con ricercata tecnica gestuale, a disposizione della sua innata espressività tutta italiana, indaga quell'antica possibilità di una certa musica barocca d'essere emotivamente coinvolgente.
A causa del suo naturale istinto verso la teatralità, Marco Longhini è un direttore molto ricercato nel repertorio operistico pre-Romantico e nella direzione di lavori scenico-rappresentativi: ricordiamo la rappresentazione dell'Orfeo di Monteverdi registrato per la RAI, la Rappresentatione di anima et corpo di Emilio de’ Cavalieri e una produzione, accolta da grande successo, dell'Orfeo di Antonio Sartorio con la regia di Pierluigi Pizzi.
Vanta una vasta discografia (che attualmente raggiunge 25 cd) fra cui spicca l'imponente integrale dei Madrigali di Monteverdi (15 cd) e l'integrale delle Opere profane di Gesualdo da Venosa (5 cd) prodotta dalla casa discografica multinazionale Naxos.
Le sue registrazioni includono inoltre Rappresentatione di anima et corpo di Emilio de' Cavalieri, premiata nel 1999 dalla critica francese con "5 Diapason" e "10 de Répertoire", i Madrigali Pazzia senile e Saviezza giovenile di Adriano Banchieri scelti dalla rivista "CD Classica" quale miglior disco nell'aprile 1999; la Messa e Litanie della Beata Vergine di Claudio Monteverdi, la Cantata e Messa Sciolto havean dell'alte sponde di Giacomo Carissimi che ha ricevuto il Premio italiano "Musica" Cinque Stelle.
Nel 2010 ha aperto il Fribourg Festival registrato dalla Radio Switzerland, eseguendo l'edizione "romana" del Vespro di Claudio Monteverdi, 1610.
Marco Longhini è docente di ruolo al Conservatorio "Luca Marenzio" di Brescia dal 1992 e insegna Direzione di Coro alla Scuola Diocesana Santa Cecilia, di Brescia.
Nel 2010 e nel 2016 è stato invitato in Russia, al Conservatorio di Mosca per tenere una serie di lezioni su Claudio Monteverdi e l'interpretazione della Musica Italiana.

Delitiae Musicae
Si presenta come una plausibile ricostruzione di una cappella musicale del Rinascimento italiano. Fondato nel 1992 da Marco Longhini, l’ensemble si è fatto rapidamente apprezzare dal pubblico internazionale come uno dei più interessanti e innovativi gruppi vocali maschili di musica antica italiana.
Richiesti da alcuni dei più importanti Festival di musica antica fra cui San Maurizio di Milano, Festival Monteverdi di Cremona, Oude Musik di Utrecht Delitiae Musicae è sempre stato accolto con entusiasmo sia dal pubblico che dalla critica.
Particolare successo hanno riscosso Il Pastor fido di Gianbattista Guarini al “Festival Claudio Monteverdi” di Cremona e al Festival “Oude Musik” di Utrecht, oltre a all’oratorio Jephte di Giacomo Carissimi in varie città spagnole.
Il percorso artistico e musicologico dell’ensemble è testimoniato da un gran numero di registrazioni discografiche che includono opere di Philippe Verdelot, Adrian Willaert, Adriano Banchieri e quattro volumi dedicati alle Messe di Pierluigi da Palestrina.
Delitiae Musicae è ora in contratto esclusivo con la casa discografica Naxos, per la quale ha registrato l’integrale dei Madrigali di Claudio Monteverdi e di Gesualdo da Venosa.
Molti i premi discografici ricevuti dall’ensemble: “Choc-Le monde de la Musique”, “9 de Répertoire” e il Premio 5 stelle della critica spagnola per il disco “Palestrina Jacquet de Mantua” Delitiae Musica. Il Vespro di Natale di Adrian Willaert e i Madrigali La Pazzia senile e la Saviezza giovenile di Adriano Banchieri sono stati scelti quali migliore produzione discografica dalla rivista “CD Classica” nel mese di aprile 1999. 

giovedì, agosto 12, 2021

Dmitrii Dmitriyevich Shostakovich nel suo 60° compleanno

Maria Yudina, pianista russa, è stata tra gli interpreti più significative delle musiche di D. Shostakovich.

Il valore, l’importanza, e la misura di Dmitrii Dmitriyevich Shostakovich come artista creativo non conoscono confini, pur tuttavia egli è innanzitutto un uomo e un compositore profondamente russo. E’ del tutto possibile che questa consapevolezza dell’avere numerosi attributi, che sono il cuore della cultura e tradizione russe e che lo avvicinano a Andrei Rublev, Pushkin, Dostoevsky e Lenin, ci aiuti a capire la sua arte e la sua vita.
Esistono, tuttavia, altri legami non deducibili.
Le composizioni di Dmitrii Dmitriyevich Shostakovich si elevano davanti a noi come radiose vette di montagna, e ci richiamano alla mente l’arte shakespeariana. Fortunatamente, Dmitrii Dmitriyevich è ora all'apice del suo genio e del suo enorme potere creativo; e noi, suoi grati contemporanei, ci rallegriamo con lui per il suo compleanno, e per la guarigione da una malattia recente che gli ha colpito il cuore, un cuore che ha spazio per tutti noi; e noi preghiamo e speriamo che sia ancora presto per fare un compendio della sua arte. La speranza di essere testimoni della nascita e realizzazione di molte opere da parte di questo famoso compositore ci riempie di felicità.
Se proseguiamo nell'analogia con Shakespeare, associamo l’arte di Shostakovich ad immagini abissali, sommovimenti del terreno, rapide, che consumano nella loro corsa inesorabile l’uomo e la natura, come in “Lady Macbeth di Mtzensk”, o nel dolore insopportabile della Decima Sinfonia, accanto alle vette quasi irraggiungibili della maggior parte delle sue sinfonie, dei quartetti, dei preludi e fuga, la seconda sonata per solo pianoforte, il ciclo vocale sulle poesie di Pushkin.
Facendo risuonare le ultime parole di Alexander Blok: “Impara attraverso la sofferenza!” - dal suo “‘KingLear’ di Shakespeare, discorso agli attori“ (Petrograd, 1920), inevitabilmente richiamiamo l’antica saggezza, quando percepiamo che la scossa emotiva vissuta nello spirito è una sorta di dono della sua musica tragica. Ci trascina nella vastità degli accadimenti storici: la Settima, l’Ottava e la Tredicesima Sinfonia, i corali, dedicati agli eventi del 1905, il Trio per Pianoforte, Violino e Violoncello. Il realismo narrativo senza precedenti di queste due composizioni, trasformate e portate a un livello mai sentito, supera a volte in potenza e verità accecante le cronache di Shakespeare come quelle di Pushkine il “Boris Godunov” di Mussorgsky. Dovremmo aggiungere che Shostakovich non si sforza di ottenere l’equilibrio di un’epopea, ma ci coinvolge direttamente nelle catastrofi dei tempi moderni.
Tuttavia, si conoscono anche esempi di incomparabile umorismo, vivacità di ingegno, inesauribile creatività, come nel “Il Naso“ (basata su un’opera di Gogol’), nei cicli vocali su testi inglesi e sui poemi di Sasha Chernyi; scintille di questo umorismo si sprigionano in tutte le sue composizioni, polverizzando qualsiasi traccia di indolenza spirituale.
Shostakovich e Pushkin sono geni della Russia europea. Il compositore denuncia i peccati dell’uomo e dell’umanità, come Dostoevsky e Mahler, scoppiando in lacrime di compassione, come Shakespeare; egli avvolge tutto e tutti. Eppure, sotto molti importanti aspetti, la sua arte ha legami con Mozart e Schubert. E’ giusto ricordare al lettore che ogni relazione o analogia con altri autori deve essere intesa solo come un confronto tra atmosfere spirituali affini; Dmitrii Dmitriyevich Shostakovich è sempre sé stesso, non “prende mai in prestito”, è traboccante dei suoi stessi tesori, che lui da solo porta in essere, ma per quanto geniale sia un creatore, egli non vive sempre in un vuoto interplanetario, piuttosto nella storia dell’uomo e dell’umanità! Shostakovich ha un linguaggio preciso, un proprio pensiero implicito, formule proprie di ritmo e di tonalità, segni, simboli e immagini.
Riprendiamo alcune analogie: Mozart e Schubert. Che cosa sono? Oh, sono nell'intero mondo, magnifico, luminoso e trasparente, di Shostakovich. Questi “finali illuminati “ - finali di molte delle sue composizioni, le code nei finali, “le ultime parole di un morente”, o le parole di un servizio funebre, la conclusione dei finali, l’incontro dell’uomo con l’Eternità, perla quale i Cristiani pregano per l’intera vita, “termine ultimo di pace, assenza di dolore e vergogna“...
Non chiederemo all'autore se questa fosse la sua linea di pensiero, che rappresenta il suo segreto e intimo mistero. Ciò che importa è la presenza di uno spirito angelico nelle pagine delle sue composizioni, e l’influenza di questa musica sugli ascoltatori.
In queste ultime parole dell’autore, quando sopraggiunge il sollievo alla fine del percorso intrapreso da lui stesso e dall'ascoltatore, il dolore si placa, giungono pace e tranquillità, brilla la purificazione dell’uomo, a volte persino un sorriso, o la sua trasformazione in un’essenza diversa, che non sempre è accessibile alla nostra comprensione; questa è,certamente, Trasfigurazione! Permetteteci di utilizzare le parole di Vladimir Solovyev: “Il Male passato \ Annega nel sangue \ Si innalza trasformato \ Sole dell’Amore”, o di Boris Pasternak:“La mano dell’artista è la più potente \ E lava il sudicio da ogni cosa” (“Dopo un temporale”).
Di conseguenza, concedendoci di commentare alcuni finali di Shostakovich, ora ne affronteremo alcuni, quelli che ci sembrano più significativi a questo proposito: il finale della Sonata per Violoncello, il finale del Quintetto con Pianoforte, il finale della Tredicesima Sinfonia (non parleremo del finale dell’Ottava Sinfonia - questa si distingue per argomento ed essenza). Il finale della sonata per violoncello ricorda vagamente una canzone popolare. E’ canticchiata a bocca chiusa da un personaggio leggermente brillo che in qualche modo richiama i protagonisti di Gor’ky, Hemingway, Andrei Platonov - un operaio ingenuo, che ha il proprio posto, necessario e irriducibile nella vita, con un ruolo lievemente filosofico, che ha attraversato grandi e piccoli guai a modo suo, che è ora in pace sia con il proprio passato che con l’oscuro futuro...
Il finale del quintetto è di gran lunga più complesso: dopo le prime esplosioni di felicità e l’inquietante asprezza del suo culmine che visualizza il sentiero percorso con le sue avversità - che riassumono l’eccezionale e significativa profondità e diversità dei quattro movimenti precedenti; l’inizio Gotico, spigoloso del preludio e a seguire il suo carattere elegiaco e pensoso, la grandiosità della fuga e dell’intermezzo che meditano sul significato della cultura medievale, si fondono con essa, le vanno incontro, per poi realizzarsi nella modernità. Dopo tutto ciò, tutte queste contraddizioni scompaiono nella coda: l’uccellino cinguetta gioiosamente, con leggerezza e felicità. Non è forse simile alla famosa e misteriosa gazza di Peter Bruegel il Vecchio presente presso le rovine carbonizzate tra quel che resta dopo l’ultima totale distruzione? No, l’uccello del Quintetto è più gentile e più saggio. E’ gioioso con tutti noi; la gazza di Breugel è “natura senza emozione”, enuncia solo i fatti, è del tutto ignara. L’intera composizione insiste sulla luce trasparente della gentilezza. La coda del finale della Tredicesima Sinfonia fa da corona a queste idee, combinate all'incredibile ed incomprensibile bellezza delle sue formule ritmiche e tonali.
Se passiamo ora ad alcuni dei movimenti lenti presenti nelle composizioni da camera di Shostakovich, cosa ci troveremo? Nel Largo della sonata per violoncello, come nella fuga del Quintetto, troviamo l’artista e l’Eternità che dialogano.Questa musica riordina il mondo interiore dell’ascoltatore (e di qui la sua vita e le sue azioni), allo stesso modo dell’arte russa, dei tesori della pittura delle icone, della cultura corale della musica religiosa, di Bach nelle “Passioni”...
Un breve commento: una volta ho scritto a Dmitrii Dmitriyevich a riguardo della coda della fuga: “Lei non sa cosa ha scritto. Ciò succede agli artisti geniali... Questa è la ‘Pietà’di Michelangelo. Persino nelle sue formule ritmiche...”
Ci siamo avvicinati ora al punto decisivo: il sentimento dell’amore e il cuore umano. Ci sono molti scritti sull'umanesimo, che tuttavia presentano parecchi errori, come le sue radici rinascimentali (non possiamo ora dilungarci su una analisi storica che non è in relazione diretta in questo articolo con l’arte e la vita di Dmitrii Dmitriyevich). Questa teoria e le fonti da cui è tratta sono astratte e fredde. E noi, popolo di cultura russa, non abbiamo né la capacità né la volontà di creare nell'insensibile indifferenza. L’immagine esterna della vita di Dmitrii Dmitriyevich circola nei viaggi, congressi e premières, nella sua cura per i compositori minori, nel battito del suo cuore appassionato. Egli porta nel suo cuore e nel suo intelletto un’immagine unificata di tutto il genere umano e l’unicità di ciascun essere umano, e quella di un genio; nella sua arte egli affronta l’Eternità. Porta in sé tutta la complessità dell’uomo e dell’artista moderni.
da "Moskovskii Komsomolets", Quotidiano Popolare del Partito della Gioventù, 1966
pubblicato su "transatlantico" n.1 - Estate 2008 - trimestrale dell'associazione Diabolus in Musica

domenica, agosto 01, 2021

Il cuore di Gustav Mahler

Gustav Mahler (1860-1911)
Si può decifrare una vita dalle parole in punto di morte? Si può, da una strozzata successione di lettere fare come il genetista molecolare, risalire da un frammento di Dna alla specie d’uomo cui appartiene? Verso la mezzanotte del 18 maggio 1911, Gustav Mahler esala due ultime parole “Mozartl! Mozartl!”. A sentirle fu la moglie Alma, prima di essere allontanata dall’orribile rantolo agonico, nemmeno coperto dalla tempesta che quella notte stava assordando Vienna. Siano enfatiche, criptiche o banali, il rispetto per i morti – soprattutto se sono celebrità – ci fa tenere in grande stima le parole in punto di morte, anche quando dovremmo diffidare di un cervello poco ossigenato. Tuttavia, come ben sanno anestesisti ed etilisti, la resa dei freni inibitori schiude epifanie che sono nelle orecchie di chi ascolta, medici, parenti o assassini non sempre disinteressati. Se alla nostra domanda non risponde la scienza, ci prova il cinema. L’esempio più riuscito è “Citizen Kane - Quarto potere”, creato nel 1941 da Orson Welles alla veneranda età di venticinque anni (a proposito di Mozart). All’inizio del film il dolly indugia sul recinto in fil di ferro avvinto come spirali di Dna, con la scritta “No trespassing”, più un avvertimento agli esegeti che ai ladri. Nella monumentale stanza da letto del castello di “Xanadu” sta trapassando Charles Foster Kane. Ha in mano una sfera di vetro con la neve dentro: il piccolo mondo è un cottage innevato con un bambino. Il vecchio magnate con l’ultimo respiro esclama “Rosebud”. La parola avvia un’inchiesta giornalistica per svelare il cittadino Kane, il tycoon dell’editoria morto in solitudine. Si scopre che, quando la madre di Kane eredita una miniera d’oro, affida il figlio a un tutore perché lo educhi al riparo dal padre, un fallito. Charles viene strappato dall’infanzia mentre sta giocando con la sua slitta. I testimoni costruiscono un puzzle bifronte: bambino violento, direttore straordinario, megalomane, marito anaffettivo, mezzo matto (descrizioni che ritroveremo per un musicista boemo). Quando Kane avrà il controllo dei suoi beni collezionerà di tutto, ma nella sfera affettiva fioccherà solo cenere. Alla fine del film, gli spettatori – ma non gli attori – scopriranno il mistero della parola Rosebud. Mentre la roba di Kane brucia, ecco che ricompare la slitta, appena prima di ardere: è lei, Rosebud. Il film di Welles è un giallo metafisico sull’inconoscibilità dell’uomo, soggetto come una particella subatomica al principio di indeterminazione di Heisenberg: esistono tanti Kane quanti sono i testimoni che lo raccontano. Tuttavia tra la chimica degli affetti e la meccanica dei legami ci sono punti fermi: l’infanzia spezzata è il maggior determinante psichico, è lì che va ricercata l’ineffabile incompatibilità tra successo e amore. L’acqua del rivo strozzato che gorgoglia è la stessa della sorgente, più o meno azzurra e chiara.
Kane, come molti uomini baciati dal successo, non sapeva baciare. E Mahler? L’avevamo lasciato in una stanza del sanatorio Loew a Vienna, nel bel mezzo di un temporale. Quel 18 maggio 1911 era ormai mezzanotte quando la sua gola smise di gorgogliare. Aveva cinquant’anni. Era uno dei direttori d’orchestra più famosi del suo tempo e un compositore affermato. Otto mesi innanzi, il 12 settembre 1910 a Monaco di Baviera, aveva eseguito per la prima volta la sua Ottava 
sinfonia in Mi bemolle maggiore, l’ultima creatura che potrà dirigere, davanti al principe di Baviera e musicisti come Richard Strauss e Anton Webern, scrittori come Thomas Mann, Arthur Schnitzler e Stefan Zweig. Un trionfo. La sinfonia verrà detta “dei Mille”, per il gigantismo di 858 coristi e 171 orchestrali (si noti la fissa numerologica di Mahler nell’8 che steso è simbolo d’infinito e nel numero palindromico dei musicisti). Quel 12 settembre Mahler è già malato, la sua valvola mitralica ha un soffio sinistro, l’eco amplificata di una cardiopatia infantile. Sinistra è anche la parola Mozartl! (non Mozart e basta): cosa voleva dire il musicista mentre moriva? Alludeva al Genio musicale, morto
a Vienna 120 anni prima? Era uno dei suoi giochi di parole con cui sposava Amadeus e la moglie (Mozartl era un nomignolo comune a Vienna) o ancora, una regressione ai Mozart-Konfekt di una rinomata pasticceria di Salisburgo (come se oggi un rocker morisse gridando “Nutella!” e un regista “Sacher!”)? L’indagine sulla parola passa per la biografia mahleriana e per la fiorentissima Mitteleuropa, l’ombelico del mondo delle due culture a cavallo tra il secolo lungo e quello breve. Era lì che, con pochissimi gradi di separazione, si poteva abbracciare il mondo intero; se Alma Schindler fosse stata Covid positiva avrebbe potuto contagiare Klimt, Mahler, Freud, Mann, Strauss, Britten,  Schönberg, Toscanini, Gropious, Werfel, Kokoschka e tanti altri Vip. Gustav era nato il 7 luglio 1860 al confine tra Boemia e Moravia in una famiglia ebrea, secondogenito di 14 figli. Il padre vendeva, non prima di averli testati, liquori. Sette fratellini moriranno prima di compiere i due anni, uno si suiciderà in giovane età. I Kindertotenlieder sono già scritti. A sei anni Mahler compone musica, a otto la insegna ad allievi ammaliati, ma non solo, dai sui modi maneschi. Ha avuto una buona scuola. Come per Charles Kane anche per Gustav Mahler c’è un giorno dei giochi proibiti che segna il carattere: durante uno dei violenti litigi dei genitori scappa in strada e sente una melodia tzigana. Quel suono gitano e sensuale, lo stesso che squarcia le sue sinfonie, si imprime nella mente. Come altri suoni presi da matrimoni e funerali e dai böhmische Musikanten che passavano. La passione per gli strumenti bandistici si consolida in una caserma vicino a casa, dove la dada lo portava per distrarsi: mentre le trombe di Falloppio e i bottoni fremevano alla vista dei soldatini boemi, il piccolo
Gustav si innamorava delle marcette gonfie di ottoni. Nella sua opera tramano citazioni sfacciate o subliminali di Beethoven, Wagner e Bruckner, al pari di suoni bucolici e campanelli da slitta, campanacci alpestri e martelli, che ritroviamo un secolo dopo nelle copertine e nelle musiche dei Pink Floyd sotto forma di mucche, maiali, elicotteri ed echi di guerra: anche qui c’è un bambino, il leader Roger Waters, che la Seconda guerra mondiale strappa dal padre e dall’infanzia.
Nel cuore boemo non c’era posto solo per la musica. Gli streptococchi scorrazzavano per l’Europa dell’era pre-antibiotica, prediligendo famiglie numerose e case malsane; son batteri che di solito causano mal di gola, ma i cui anticorpi possono mirare il cuore, in particolare uno degli strumenti cardiaci, la mitrale, la valvola che separa l’atrio sinistro dal ventricolo sinistro e che ha una trentina di corde, come l’arpa (quella dell’Adagietto della Quinta). Si chiama malattia reumatica, la stessa patita dalla madre di Mahler, e colpisce anche il piccolo Gustav (ah, i geni) in modo ancora asintomatico. Maria Mahler come esito della cardiopatia portava una zoppia che il piccolo Gustav introietta e riproduce nell’andatura aritmica, stranissima, che faceva ridere i bambini per le strade di Vienna.
Il giovane Mahler dallo sguardo ardente erra per i teatri più importanti. Budapest, Lipsia, Praga, Vienna. E’ un innovatore intransigente che vuole "conservare il fuoco, non adorare le ceneri", con i legni che trova nel golfo mistico. L’ascesa di questo uomo di bassa statura, dal bel naso che erompe dall’alta fronte è inarrestabile. Vederlo dirigere – scansione dei tempi e cura dei dettagli maniacale – è un’esperienza religiosa. Due mani non gli bastavano. Immaginate Ezio Bosso 120 anni fa. Alla svolta del secolo Mahler è un quarantenne famoso, il re della musica viennese. E’ un single, non un libertino ma nemmeno uno che si tira indietro con le cantanti. Il 7 novembre 1901 in un salotto di Vienna incontra Alma Schindler, ventenne rampolla di una famiglia di artisti, precoce femme fatale in quell’ansa del Danubio per essere stata con Gustav Klimt. Alma è orfana di padre dall’età di tredici e si innamora di un uomo che ha tutte le doppiezze del Giano e del genio: direttore e compositore, ebreo e cattolico, boemo e viennese, tragico e ironico, passionale e algido, workaholic e flaneur, egotista e altruista, mistico e spregiudicato, filosofo e superstizioso, lirico e cacofonico. Nemmeno la sua mitrale era univoca: da un lato troppo stretta (stenosi mitralica) dall’altro troppo lassa (insufficienza mitralica), ma tutto questo Alma non lo sa. Le trombe di Falloppio però squilleranno presto, come nell’attacco della Quinta – una marcia funebre – e dopo quattro mesi di fidanzamento i due si sposano, in tre. Alma, versata per la musica e la vita sociale, diventa la fantesca di una star che non si è mai fatta una valigia da sola e che le imporrà di fare un pacco solo di tutte le sue aspirazioni artistiche. La donna è ambivalente, a volte detesta il piccolo uomo psicorigido che la incatena, altre si compiace di immolarsi all’altare di un genio, apparecchiando tuttavia la tavola di un bovarysmo d’alta classe. Un vero artista è un veggente. Nel 1903, all’apogeo, con la figlia Maria appena nata e un’altra, Anne, in arrivo, sposato con la donna più desiderata di Vienna, Mahler inizia la sua sinfonia più cupa, la Sesta, la Tragica. L’umbratile partitura è rischiarata solo dal tema scintillante di Alma, che appare nel primo movimento. Nel terzo si vedono i
giochi aritmici e vertiginosi delle bambine: le loro voci si fanno sempre più sinistre fino a spegnersi in gola. Nel finale deflagrano i tre colpi del destino. Anche Alma è un’artista e, cardiologa a sua insaputa. Di notte il suo orecchio finissimo ausculterà il cuore malato del marito “per anni fui spaventata dal sibilo che sentivo forte intorno al secondo tono del cuore di Gustav”. E’ il soffio al cuore, la diagnosi di steno-insufficienza mitralica, ma tutto questo Alma non lo sa. Nell’estate del 1907 a Maiernigg, sulle sponde del lago Worthersee, la primogenita Maria, occhi blu e riccioli neri, muore a 5 anni di difterite dopo un’orribile tracheotomia. E’ il primo colpo del destino. Alma sviene di continuo. Gustav piange. Il dottor Blumenthal, va e viene dalla residenza estiva. Un giorno Mahler per distrarre la moglie chiede al medico di essere visitato, lui che soffre solo di emorroidi. La diagnosi lo pugnala: vizio mitralico severo. Alma l’aveva presentito, Mahler è cardiopatico, come confermerà un luminare di Vienna. E’ il secondo colpo del destino. Mahler, ebreo in un mondo antisemita, innovatore nella culla della tradizione, viene licenziato dall’Opera di Vienna. E’ il terzo colpo del destino. Il matrimonio si raffredda, inizia il termalismo di Alma. Gustav emigra nel Nuovo Mondo, accolto dalle orchestre di New York. Al Met troverà come rivale il virile e longevo Arturo Toscanini. Saranno due anni di successi ma anche di forti tensioni con l’establishment musicale americano. Mahler è spossato dai continui mal di gola. La sua ultima sinfonia compiuta, la Nona, è un lungo addio al mondo, ultimato a Dobbiaco nel 1909. Nell’estate del 1910 alle terme di Tobelbad entra una donna piacente. Ha 31 anni. Un architetto di 27 anni va fuori piombo per la giunonica moglie di Mahler. Oggi gli amanti di whatsapp si tradiscono facilmente, basta sbagliare invio; all’epoca, Walter Gropius, il futuro cofondatore del Bauhaus, riesce a spedire una lettera d’amore al marito dell’amata, a Dobbiaco. Un lapsus da archistar. Mahler affonda ma affronta e dissuade il concorrente, perdona la moglie riconoscendo di essere stato un marito anaffettivo e impotente. La sua missione creativa si è presa tutto. “Ho vissuto in un mondo di carta” ammetterà. Diventa un maritino, lascia bigliettini ovunque, riempie Alma di nomignoli, la chiama “il mio soffio vitale”, suona i Lieder scritti da lei. Cerca Freud e lo incontra il 26 agosto 1910 a Leyden. Il papà della psicanalisi lo ascolta, per concludere che se Alma cerca nel musicista attempato il padre – complesso di Elettra –, Mahler dal suo canto è impotente per il complesso di Maria (“Marienkomplex”, Maria è il nome della madre, della figlia e il secondo nome di Alma). Il tradimento porta Mahler alla realtà e all’arte d’amare, troppo tardi. Come il cittadino Kane, ereditare miniere d’oro e talento non basta, anzi distrae. Lo stress lavorativo e coniugale deprime il sistema immunitario. Nel febbraio 1911 il cuore malato di Mahler diventa il covo dello streptococco viridans, che prima abbatte la valvola mitrale, poi infetta tutto il corpo. E’ l’endocardite batterica, praticamente un tumore maligno, in era pre-antibiotica. Mahler sa, chiede che post mortem gli venga trafitto il cuore e poi, di essere sepolto affianco la figlia Maria. “Il mio tempo verrà”, dirà. La discesa nel gorgo termina la notte del 18 maggio con due battute “Mozartl ! Mozartl!”. Mahler non parla della sua bambina morta: l’ha già scritto nella Sesta. Non parla del suo cuore fibrillante: l’ha messo nel tremolio iniziale della Nona. Non parla del tradimento di Alma, forse l’ha detto con le ultime parole: temeva che Alma si risposasse, come Constanze, la moglie di Mozart. Infatti, mentre gli streptococchi entravano nel cuore di Mahler, gli artisti entravano in quello di sua moglie per uscirne da cardiopatici. Un cuore d’artista e d’artisti. Alma si risposò con l’architetto Gropius, che non aveva mai lasciato, neanche durante la tempestosa relazione col pittore Kokoschka. Poi venne lo scrittore Werfel, che morì d’infarto. Come nel chiasma di una partitura mahleriana, contorta come un cromosoma X, Mahler muore nel giorno natale di Gropius e 58 anni dopo Gropius muore di endocardite batterica due giorni prima del compleanno di Mahler. Nel fondo del cuore covano diverse endocarditi. Quella batterica, a volte, è una metafora.
Gabriele Bronzetti
("Il Foglio Quotidiano", Anno XXV, numero 128, sabato e domenica 31 maggio 2020)