Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

lunedì, settembre 12, 2022

Pinchas Zukerman: ho sposato il mio violino

Maestro Zukerman, quando si è avvicina
to per la prima volta alla musica?
Il mio primo approccio con la musica fu con mio padre in Israele. Prima col flauto dolce, poi col clarinetto e a circa 6 anni cominciai a suonare il violino. Mio padre fu anche il mio primo insegnante, e credo di avere sviluppato il mio orecchio musicale per merito suo. Avrei voluto lavorare con lui molto più spesso per "accordare" il mio violino. Allora fu un processo molto lento ed accurato.
C’è nella Sua vita la figura di un musicista o di una persona che sia stata fondamentale per le Sue future scelte artistiche?
All’età di otto anni cominciai a studiare con Ilona Fehher al Conservatorio di Israele. Lei è stata sicuramente molto importante nella mia vita. Non è necessario ricordare quanto sia fondamentale la tradizione violinistica in Israele: sento il dovere di dire che se non ci fosse stata la sua abnegazione ed il suo tremendo gran cuore, io non suonerei così...
Poi, con l’aiuto di Isaac Stern e Pablo Casals ed il sostegno finanziario della Fondazione Culturale Israelitica-Americana, all’età di 13 anni andai a studiare con Ivan Galamian alla Juilliard School. Credo che il mio successo sia certamente legato al rigoroso training di studio tecnico del violino che mi fece fare Galamian ed alla sua dedizione al metodo che egli creò. Ho studiato con lui alla Juilliard School e poi ogni estate a Meadowmount. Può sembrare strano, ma anche se è morto ormai da anni, io lo vedo e lo sento come se fosse proprio vicino a me.
Anche Lei si è mai dedicato all’insegnamento?
Proprio per il mio rapporto con la signora Fehher ed il M° Galamian, sento il dovere imperativo di insegnare appena è possibile. A causa dei miei impegni però non posso legarmi stabilmente a nessuna istituzione scolastica, ma proprio in questi giorni sto lavorando per aiutare a fondare due progetti violinistici a Dallas nel Texas e a Holon in Israele. Quando sono in giro faccio di tutto per tenere master classes nelle università dove suono. Talvolta do anche lezioni private ma in questo momento mi è molto difficile a causa della mia frenetica attività concertistica. Alla base di tutto pongo il metodo pedagogico di insegnamento dello strumento di Ivan Galamian. Nel mio piccolo cerco di perpetuare una tradizione mitteleuropea di suonare il violino.
E’ costantemente in contatto con Daniel Barenboin , Itzhak Perlman e Zubin Mehta?
Preferisco non parlare delle mie relazioni private. Dirò solamente che suonerò proprio con Daniel a Chicago, ho appena inciso un disco in duo con Itzhak ed ho finito di registrare il concerto per violino di Beethoven con Zubin e la Los Angeles Philarrnonic.
Ci parli del suo primo incontro can Jaqueline du Pré.
I miei ricordi e sentimenti nei riguardi di Jaqueline du Pré sono estremamente importanti per me e nella stesso tempo vorrei tenerli solo per me.
Ci può parlare del Concorso Leventritt dove si impose nel 1967? Chi c’era in giuria? Ricorda i violinisti in gara?
La giuria del Concorso Leventritt, per quello che ricordo, era costituita da George Szell, Arold Steinhardt, Galamir e Sydney Harth. I1 giorno del concorso fu molto stressante per me; questo è ciò che riesco a ricordare!
Con quali musicisti italiani ha mai avuto contatti artistici?
Mi sento molto vicino a Verdi, Puccini, Donizetti e, soprattutto, Rossini.
Riguardo invece i musicisti italiani viventi Luciano Berio è stato i1 primo compositore che ho incontrato e nutro un gran rispetto ed una grande ammirazione per lui. Ammiro enormemente Carlo Maria Giulini e certamente Claudio Abbado. Ammiro anche Uto Ughi che ho anche conosciuto un poco e Salvatore Accardo, che è un grande violinista.
Ci sono mai state pause o momenti di riflessione critica che L’hanno portata a non suonare più in pubblico per un certo periodo durante la carriera concertistica?
No, non c’è mai stato un attimo nella mia vita (per quello che ricordo) che non sia stato vicino al mio violino. Non c’è giorno che io non lo suoni. Io ho sposato i1 mio strumento, ecco la verità!
Quali sono i violinisti di oggi e del passato che ascolta più volentieri?
Per me Heifetz è il Re di tutti noi violinisti e lo rimarrà sempre. Quando un giovane mi domanda quale violinista ascoltare, gli rispondo Heifetz, e solo Heifetz. Lui è questo per me. Anche Isaac Stern è rnolto
importante naturalmente come ho già detto.
Cambia spesso violino durante le Sue tournée concertistiche?
Sì ho cambiato spesso violino nel corso della mia carriera. Ho suonato un Guarneri del Gesù del 1734 dal 1971 al '77; ma lo strumento è stato rimandato a Cremona. Ora suono un Guarneri del Gesù del 1742 "Dushkin" e una viola di Andrea Guarneri di Cremona datata 1670. Sono veramente sposato col mio Guarneri, comunque ci sono alcuni buoni liutai negli Stati Uniti: in particolare voglio ricordare Terry Michael Borman che vive e opera a Salt Lake City. Recentemente ho venduto il mio Borman, che era uno strumento eccellente.
Chi sono i suoi attuali collaboratori pianistici oltre a Mark Neikrug?
Suono sempre con Mark Neikrug. Suoniamo insieme da almeno 20 anni e siamo buoni amici. Quando posso, suono e dirigo persino la sua musica!
Intervista a cura di Luisa Longhi
("Symphonia", N° 20 Anno III, ottobre 1992)

giovedì, settembre 01, 2022

Sulla "Follia" di Corelli...

Sono d'accordo con Leone Tolstoi: la 
Sonata a Kreutzer di Ludwig van Beethoven è epica. Pongo questa definizione come assunto ad una mia breve dissertazione sincretica sulla Follia di Corelli.
Forse non tutti sanno che gli splendidi violini antichi dei grandi artefici cremonesi sono oggi privi, per esigenze di tecnica strumentale, del loro manico primigenio. Certo, dal sei-settecento ad oggi la meccanica violinistica, grazie agli insigni maestri dell'archetto, ha fatto tali passi da gigante tanto da spodestare il corto manico originale antico e costringerlo a cedere il passo al più lungo manico moderno. Vorrei far calzare questo paragone a proposito di una mia opinione circa una realizzazione pianistica della Follia medesima.
Ci sono alcune Sonate, come appunto la succitata Kreutzer, il Trillo del diavolo di Tartini, etc..., che esulano, secondo me, dal campo specifico della musica pura per entrare, quasi decisamente, nel "cimento armonico ed inventivo" della musica a programma o, comunque, di un mondo fantastico e favoloso. Questo è, sempre secondo me, pure il caso della Follia di Corelli.
Premetto tuttavia che non intendo assolutamente dissacrare la genuina ed omogenea proprietà della realizzazione del basso continuo.
Se Giuseppe Tartini, per ripetere una citazione già sfruttata di un mio precedente articolo, scriveva: "Discendendo al particolare intendo benissimo la convenienza delle nostre grazie musicali a moltissime cantilene; ma delle stesse grazie musicali a tutte le cantilene non l'ho intesa né la intenderò mai. Son troppo persuaso e convinto, che quando la cantilena fosse veramente adattata alla passione espressa dalle parole, ciascuna cantilena dovrebbe avere i suoi modi individuali, e particolari d'espressione, e in conseguenza il suo buon gusto individuo, e particolare"; ciò nonostante e proprio per questo io non intenderei mai la convenienza delle nostre grazie musicali, che sarebbero forse inutili ed inopportune, per quanto concerne una "diversa" realizzazione pianistica delle altre Sonate del Corelli, eccezion fatta per le Follie di Spagna.
Follie di Spagna: tema e variazioni tra i più belli di tutta la letteratura musicale di ogni tempo. Cherubini infatti ne inserì otto misure del tema nell'ouverture della sua opera in un atto "L'hotellerie portugaise".
Ignoro comunque se esso sia o non sia di Corelli o non piuttosto di Autore Anonimo spagnolo del Seicento. Cervantes, dice il Della Corte, già nominava la Follia, antica danza portoghese in 3/4, insieme con 'la Sarabanda e la Ciaccona. Simile all'Andante della beethoveniana Kreutzer la Follia di Corelli è invece tutta una Sonata a tema e variazioni, dalla quale fuoriescono alcune tipiche caratteristiche dei personaggi più famosi di Cervantes: l'epica maestà cavalleresca da "velut aegri somnia" oraziano di Don Chisciotte, l'umorismo un po' svagato e picaresco di Sancio Panza ed il venusto incedere di una Dulcinéa però ritratta, in tutta una sua particolare e sottile squisitezza, dalla penna del Matteo Maria Boiardo dei Sonetti d'Amore.
Vogliamo, di questi Sonetti, trascriverne qualche verso, tanto son belli presi e sparsi qua e là alla rinfusa?
"e chi non vide il volger dolce e tardo
del soave splendor tra 'l nero e 'l bianco;
non sa, né sente quel che vaglia amore".
"Il canto de li augei di frunda in frunda
e lo odorato vento per li fiori
e lo schiarir di lucidi liquori
che rendon nostra vita più jucunda,
son perché la natura e il ciel secunda
costei, che vuol che il mondo se inamori;
l'aer, la terra è già ripiena e l'unda".
"Datime a piena mano e rose e zigli,
spargeti intorno a me viole e fiori;
così di dolce voce e dolci odori",
Profumo di Spagna, di Rinascimento Italiano e di «Seicento fronzuto». «La vida es sueño».
Nel maggio del 1956, una domenica pomeriggio, in una piazza di Barcellona, vidi danzare la Sardana. Metallici squilli di tromba, come i muezzin dai minareti orientali, martellavano l'aria, ripetendo con ossessione, ostinatamente e sovrapponendosi ora nella mia memoria ai trionfali lamenti musicali dell'arena, sempre la stessa sequenza; domenica pomeriggio tristissima come le parole di Gesù nel Getsemani; la stessa sequenza musicale, iterazione e tàlea di un certo «modus» moresco-spagnolo, ritornello d'amore e di morte, che martella dal principio alla fine, con ossessione, ostinatamente, pure due battute del tema e delle variazioni della Follia, che presàghe, sembrano quasi cantare a Don Carlos, su una corda sola come le melodiose armonie del silenzio o del tempo perduto: «Il tuo destino è scritto sulle corde della chitarra», cui fa eco una voce tenuissima:
«Sul campanile di fronte
e sui primi timidi accordi
della dolce chitarra della sera
un orologio antico
sospira
in pianissimo
un'indecifrabile ballata di ricordi».
«Se si volesse applicare anche a proposito di Tartini la distinzione tra "naiv" e "sentimentalisch" proposta da Schiller nel suo celebre saggio», così incomincia un articolo di Pierluigi Petrobelli su «Tartini, le sue idee e il suo tempo» apparso nella Nuova Rivista Musicale Italiana del novembre-dicembre 1967.
«Naiv» e «sentimentalisch» sono precisamente i due vocaboli che ci interessano. Senza per questo voler prendere proprio alla lettera la distinzione tra «naiv» e «sentimentalisch» proposta appunto da Schiller direi che la «Naivität» ofeliana e la sentimentalità di marca amletica, comunque indiscriminatamente aleggianti nel Don Carlos del grande scrittore tedesco, si trovano parimenti nel pathos della Follia correliana, il quale pathos presenta, stranamente, alcune analogie scespiriane. Ho parlato pocanzi dell'epica maestà cavalleresca da «velut aegri somnia» oraziano di Don Chisciotte e dell'umorismo un po' svagato e picaresco di Sancio Panza che fuoriescono, contrastandone il carattere ed il significato, dal magniloquente andamento espressivo della Follia.
Ora vorrei proporre invece un pensiero di Schiller su Shakespeare: «Quando in una età molto giovanile imparai a conoscere il secondo poeta (Shakespeare), mi rivoltò la sua freddezza, la sua insensibilità che gli permetteva di scherzare nel più alto pathos ossia di turbare con un buffone le scene che straziano il cuore nell'Amleto, nel Re Lear, nel Macbeth, etc... ed ora lo arrestava là dove il mio sentimento correva innanzi ora lo trascinava via freddamente là dove il cuore si sarebbe così volentieri fermato». Questo, nel suo saggio «Ueber naive und sentimentalische Dichtung».
Per Shakespeare tuttavia pennellate da grande maestro per calcare ironicamente, senza illusione ed in chiave simbolica di disinganno la drammaticità nonché cantare, comparandole e sottolineandole, la tragedia e la vita; in una parola, per trasferire un concetto nicciano sull'Eros all'Estetica, direi che l'artista è veramente grande quando, come il pifferaio domatore di orsi, lusinga e fa danzare l'anima a colpi di frusta.
«Naiv»: aggettivo intraducibile in italiano che somma in sé i molti addendi di schietto, ingenuo, fresco, candido, semplice, naturale, spontaneo, per riunirli ed inserirli, monadizzandoli, semantica sinapsi plurima, in un solo, unico ed inesprimibile concetto: in una parola, per renderne approssimativamente l'idea, il significato del mondo di un Andersen, di un Mozart, di un Schumann delle Kinderszenen o di un Johann Ludwig Tieck; da non confondersi comunque, nel nostro caso, col «naiv» dell'arte primordiale dei popoli selvaggi o col primitivismo artistico. D'altronde lo stesso Schiller dice: «Non solo nel medesimo poeta ma anche nella medesima opera s'incontrano sovente i due generi uniti, come ad esempio nei "Dolori del giovane Werther" e simili prodotti faranno sempre il più grande effetto. Ed ancora Schiller osserva: «Nelle rappresentazioni "naiven", trattino esse ciò che vogliono, noi godiamo la verità, la presenza viva dell'oggetto nella nostra immaginazione ed anche non cerchiamo altro che questo».
L'ampio respiro del tema della Follia che ricorda implacabilmente l'austera dolcezza delle lasse di Turoldo sfocia poi in un alterno ed aleatorio gioco ritmico, melodico e armonico di una lunga e contrastante serie di variazioni. Penso comunque non sia il caso, in questa sede, ch'io mi soffermi su una particolareggiata e minuta descrizione delle medesime; dirò soltanto che su strappate pianistiche, onomatopeiche l'arciliuto e sul canto spiegato del violino, crudele e soave, amoroso e ribelle come la malinconica bellezza del cigno, si svolge ed incombe poi tutta la Sonata, o volendo, il destino di Don Carlos, che, fatali, vanno verso la drammatica ed epica tragicità conclusiva dell'ultima variazione o della morte. Dopo la drammatica ed epica tragicità conclusiva di quest'ultima variazione io personalmente vedrei la chiusa della Sonata in palinodìa stericorea (ché un conto è l'Accademia, un conto la Sala da Concerto) con la «ritrattazione» del tema (come del resto nella Ciaccona di Vitali-Respighi ed in parte in quella di Bach), del tema «in chiave» di violino in ottava e pianoforte in fortissimo: epicedio di campane a distesa salmodianti al sepolcro di Don Carlos:
«Da quando sei morto - il tempo si è fermato - sulle corde della chitarra - e piangono - di notte - gli ulivi - nel vento - che ne disperde - i sospiri - nel mare».
Franco Novello
("Rassegna Musicale Curci",  anno XXV n. 1 aprile 1972)