Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, febbraio 25, 2018

La Critica Musicale: un mestiere, un arte o un atteggiamento?

Maurits Cornelis Escher (1898-1972)
 "Drawing hands" (1948)
Mi hanno affidato l’incarico di scrivere questa rubrica... a me... proprio a me... ultimo scribacchino del "banchetto"! Maledizione... Chiamo il boss e glielo dico: "Gabrieleeee... (le grida invadono la stanza). Si presenta un po’ scocciato. Gli dico: "Sicuro che non ci sia un’altra persona che voglia pelarsi questa gatta della critica?". Smorfia disgustata. Attimi eterni di silenzio. Il suo indice indica me. Porca miseria. Dunque la critica! Che scriverò. Ho dei fedeli amici critici però... eh... eh: Masellotto che spara fuochi di artificio ammirevoli; il buon Cellacchio d’oro, che sbava parole piene di vecchiume; Zerlino, calmo, posato e contadinotto; il simpatico e pacioccone dell’"Elogio alla Pazzia"; il corriere del Corriere; la lesta pazza che vuol controllare l’incontrollabile. Inviterò tutti al caffé della Malva a bere un goccetto di grappa. (Ma che dici!? Ti vuoi rovinare la carriera? Oh! quelli sono i potenti della critica. Non ti rendi conto?). Che faccio? Sapete che vi dico? Fatela voi ’sta benedetta critica. (geniale quanto banale democraticismo). Sì, mi sembra proprio una illuminazione... (poi dicono che gli Dei non ci proteggono). Aspettate però... e io che faccio? Be’ critichiamo insieme (non ti sembra di essere prolisso?) ... almeno mi rendo utile, no? Un momento... dubbi mi assalgono... criticare o non criticare? (un luogo comune più bieco non lo potevi trovare, vero?). Scusa. Intanto che si puo criticare? Forse un’incisione storica, un’esecuzione in concerto, un pezzo di musica nuovo o Vecchio che sia, un’interpretazione? (Bravo, ci sei arrivato!). Che dici se gli faccio leggere queste prime righe il boss mi licenzia subito? (E' ovvio). Insomma Mozart, Bach, Cage, Delius, Frommel? Stiedry, Rosbaud, Bernstein, Muti? Pollini, Milstein, Erdmann? Il Quartetto Italiano o il Trio di Milano? Parlo della mia musica? (Mi vergogno di te, non lasci passare occasione per far sapere che scrivi quella robaccia che chiami musica). Scusa. Ci vuole un tema che permetta di parlare e di composizione e di direzione e di esecuzione... (giusto). Ecco, ecco, ecco... ci sono. Il concerto di Stockhausen alla Rai di Roma. Programma: Telemusik e Michaels Reise um die Erde. Facciamo così, io vi racconto i fatti, le impressioni e cercherò di darvi anche qualche informazione tecnica (ma che ne sai tu!). Sta zitto. Ecco dunque la storiella o cronaca del concerto (mah!): Era il giorno 4 novembre presso la santa sede Rai al foro italico: Stockhausen compositore-direttore, il figlio esecutore solista ed un’altra parente, ci hanno allietato con una buona oretta di splendidi suoni. Ricorda che lo Stockhausen ci ha anche vietato di far l’intervallo). Certo. Era insomma al completo la premiata industria Stockhausen & Company. Ciak, si gira: il divo cntra seguito dal fascio di luce del riflettore ed annuncia il suo primo pezzo: Telemusik. Che dico adesso? (Di(lle) pur tutto... il quadro non è tondo). Si spengono le luci, tacciono le voci e nel buoio senti sussurrar... scusi vuol ballare con me... grazie preferisco di no. (Oh! poi, questa la conosco purtroppo). Dunque questo primo pezzo é una vecchia cosa; musica elettronica. Accidenti sul programma di sala si spiegava tutto, ma non mi ricordo nulla. Capperi. Be'... durava 17 minuti... era bella... (dì qualcosa di meno ovvio), strana, singolare anche violenta. Non ho seguito il consiglio del führer, cioè di chiudere gli occhi, anzi osservavo qualche fila più in là, Masellotto e il Compositore agitarsi nelle loro poltrone, dopo tale sgradevole richiesta... Aspettate è pronto il caffè, ritorno subito....... era acquoso e caldo... naturalmente non Stockhausen anche se questi aggettivi calzerebbero bene il personaggio... adesso ci si mette anche il mio stomaco... mi fa male (stai scrivendo una critica, che ti salta in mente?... parlare della tua salute e del caffe. Che orrore). Scusa. Riprendo il filo. Dove ero rimasto. Be’, passiamo al secondo pezzo. Michaels Reise um die Erde per tromba e piccola orchestra. Che delizia, che splendore che surgelato spirito tedesco. Se lo sentisse l’infuocato Hölderlin questo pezzo, anche lui si ghiaccerebbe. Tra pagliacciate e bordelli, il nostro magnifico istrione si muove con disinvoltura ed eleganza. (bravo). Masellotto e il Compositore gesticolano, cincischiano. Hanno ragione. Non si sopporta. In scena luci multicolori si alternano, le clowneries continuano imperterrite. Due clarinetti che corrono in mezzo all'orchestra, il trombettista che sale gli scalini di un mondo simbolizzato da un cassone a forma di cerchio, un personaggio femminile vestito di candido bianco ecc. Wagner si rivolta nella tomba: quale minestrone scozzese di simboli ha combinato, certo, contornato pur sempre dalle sue folgoranti, calcolate precipitazioni sonore, alla fin fine perö, rimane tutto sullo stomaco. (Bravo ti si sta sciogliendo la penna). Oh, io non ce la faccio più... esco... c'è l’ultimo bel sole dell’anno e non voglio perdermelo... Continuerò stasera. (Vieni qui, dove vai, adesso che promettevi bene lasci tutto). Lascio tutto... si... abbandono... mi licenzio. Stockhausen è molto più bravo di me. Mi dò all'ippica (banalissimo). Adesso me ne vado all’Arco di Giano (quello sta crollando, è recintato), va bene, allora al Campidoglio (anche li è recintato, ci hanno messo una bomba); porca... al Palatino (non ci sono tanti custodi e allora qualche giorno rimane chiuso). Ho capito, signorsì, chino il capo e resto qui, giacché a voi piace così. Non mi va più di parlare del concerto. (ma devi scrivere la critica). Me ne frego. Parliamo del dopo concerto allora, visto che devo finire questa cartella. (Fa come vuoi io non mi prendo responsabilità). Dunque dopo il concerto... ah, si, siamo andati a festeggiare l’alemanno e la sua terra, in una buona birreria di tipo bavarese... no... qualcuno mi faceva notare che era viennese. Ed in linea con il nord abbiamo banchettato con crauti, patate fritte e wurstel. (Che racconti ridicoli, mamma mia che vergogna; tutti si aspettano da te mari e monti). Va bene. Allora ti confesserò che gli ultimi minuti del Viaggio di Michele intorno al mondo mi hanno affascinato. Sei contento? Volevi strapparmi questo dalla bocca, no? Dillo, dillo. (Ah, ah... proprio così). Tutto quel dissolversi lievissimo di sonorità mosse e vivaci prima, quel perdersi del suono tra strumento e strumento e l'elaborazione elettronica (C’era uno strato sonoro fatto con nastro?). Boh!... (Sei matto. Non puoi dirlo se non c’era). Cavolo, mi ricordo mica. Telefonerò a don Bartolo lui sa sempre tutto.
Ecco questo è il materiale per farvi entrare nel bizzarro mondo della critica: aiutatemi scrivendo insulti e invettive: vi pagherò da bere.
 
Pietro Gallina ("Banchetto Musicale", Numero I, Anno I, dicembre 1979)

sabato, febbraio 03, 2018

Trio di Trieste: dal Concerto di Bologna al Concorso del Sindacato Nazionale Musicisti

Trio di Trieste
Inizi difficili senza il seppur minimo aiuto. Quante volte l’ho sentito dire da De Rosa e Zanettovich. Certo, ribadirlo qui e oggi - abituati come siamo a considerare ormai normale una spintarella (e anche qualcosa in più) - non può che rendere la storia del Trio ancor più ammirevole, una storia della quale parlare con orgoglio. Ma non risulterà certo elemento di sorpresa per chi li conosce e per tutti quei giovani che, come me, hanno studiato con loro e soprattutto hanno imparato da loro a ragionare in termini musicali, e a giudicare e scegliere in base alla luce impressa alle cose dalla loro integerrima professionalità. Qualcuno la considererà fuori dal tempo e ormai poco calata nella realtà, ma non si è detto che stiamo parlando di un’esperienza “unica”?
Vivere l’esperienza cameristica come impostata dal Trio di Trieste, anche con il passare degli anni, è talmente raro che non può certo essere compreso con facilità né da profani né da tanti celebrati musicisti che confondono l’assieme cameristico con l’incontro estemporaneo di personalità diverse, che fanno musica per stimolare una sorta d’utopico divertissement, piuttosto che per ricercare un raffinato musizeren. Per tacere poi delle sortite a fini celebrativi e pubblicitari: una prova e via sul palcoscenico. Tutto questo per dire che sarà sempre troppo poco capito e ricompensato il lavoro cameristico, continuo ed infinito (e pure anti-economico), di un Trio di Trieste. Che poi i ritmi moderni e le odierne esigenze, strettamente connesse alla maggior offerta (anche economicamente più allettante, perché no?), rendano l’esperienza del Trio un po' sui generis e fuori dal tempo, è un altro degli elementi che impediscono la nascita di un nuovo Trio di Trieste. La differente mentalità e la fretta, come ha dimostrato per anni il panorama concertistico, non possono produrre buoni gruppi stabili. Ma bisogna anche aggiungere che oggi qualcosa sta cambiando, e in meglio, per fortuna. Ne riparleremo nel capitolo incentrato sulle attuali esperienze didattiche del Trio.
Considerazioni e digressioni a parte, torniamo alla “storia”, documentata dai “grandi libri” di De Rosa che, oltre a raccogliere le critiche, evidenziano ogni dato relativo a tutti i concerti fin dall’inizio, le frequenze raggruppate per città e in base alle opere maggiormente eseguite. Dopo aver scandagliato con pazienza la nascita di questa vita in fieri, riprendiamo il discorso dallo spiraglio apertosi per Dario, Renato e Libero quando Cesare Nordio, allora direttore del Conservatorio di Bologna, diede fiducia ai giudizi riportatigli, e “rischiò”: propose loro un concerto per il 18 febbraio del ’39. Era Carnevale e il pubblico ammontava a quattordici persone, nella Sala del Dopolavoro Professionisti e Artisti di Bologna.
Ma tra quelle quattordici persone ce n'era una che sarebbe divenuta importante per il Trio: il critico Gaianus (al secolo, l’avvocato Cesare Paglia), temutissimo ed assai considerato.
De Rosa, Zanettovich e Lana attesero con enorme trepidazione per tutta la notte l’apertura dell’edicola antistante l’albergo per leggere la critica. Gaianus era rimasto impressionato dal loro talento, come traspariva dalle sue parole:


Lo so. Sabato grasso. Si balla. I concerti di musica da camera non passano neanche per la controcassa del cervello. D’accordo. Però, è un costume da correggere; anzi possibilmente, da rifare. Quello di ieri sera era un concerto che meritava un gran pubblico: il pubblico musicale bolognese che una volta - in fatto di opere e di operisti, di concerti e di concertisti - era sempre presente, giudicava con sentenze inequivocabili e decideva: mettendo in trono o togliendo dalla circolazione.
Ieri sera si trattava di ascoltare tre giovinetti diciassettenni, i quali da quattro anni stanno dedicando i giorni e le ore della loro giovinezza allo studio appassionato del concertismo triistico; per dare l’assalto ad una quota d’onore sulla quale piantare la bandiera di una conquista. Cosa che non so se per gli altri ma certo per me è ammirevole, non solo, ma veramente toccante. Se invece di essere un critico qualunque fossi un uomo di potere e di autorità, non ci penserei su neanche un secondo e mi darei un gran da fare per creare intorno ai giovani, che lavorano al lume di una fede purissima e di una speranza palpitante, della considerazione, dell’interesse e della fama e per dare il via alla loro fortuna.
Il trio De Rosa-Zanettovich-Lana è già così preparato e pronto e agguerrito che è capace di presentare i suoi programmi a memoria. Alla maniera del più grande quartetto del nostro tempo: il Kolisch. I nostri triisti suonano ognuno da concertista e tutti insieme, con una tecnica e una stilistica interpretativa veramente rara. E questo dico senza affatto ricordare che sono dei ragazzi.
Sono stato attento e ho raccolto tutto - ciò che il loro concertismo ha già raggiunto e ciò che raggiunto è in via di esserlo -, ebbene, allo stato presente dei valori in potenza e in atto, è non solo legittimo ma doveroso dichiarare che questo Trio triestino merita di essere segnalato al mondo musicale italiano. Segnalazione che per mio conto faccio senz’altro con enorme piacere. Sì, perché i giovani per i quali l’esercizio di un'arte non è uno spasso, non un
modus ludendi, ma un modo di vivere dello spirito, una funzione realizzatrice e volgarizzatrice di bellezza, meritano non incoraggiamento (che può modificare), ma valorizzazione (che conforta sostiene esalta)...

Le parole anche affettuose di Gaianus spinsero i nostri tre a cercarlo. Il severo critico del "Resto del Carlino" si rivelò assai disponibile, al punto da offrirsi per alcune lettere di presentazione ad amici forse in grado di inserire il Trio nei programmi concertistici di altre città. Così scrisse a Guido Guerrini, direttore del Conservatorio di Firenze, al conte Guido Chigi Saracini ed a Giuseppe Mule, direttore del Conservatorio di Roma. Le lettere di presentazione vennero recapitate dal Trio, che ad ognuno dei tre destinatari fece ascoltare pagine del suo repertorio. Con il pane in borsa (e formaggio e acciughe, da consumarsi in camera), Renato, Libero e Dario si spostarono tra Firenze, Siena e Roma. L’incontro con Guerrini e Chigi si concretizzò subito in un'accoglienza stimolante, un ottimo giudizio sulle esecuzioni e la proposta di un concerto per il Lyceum di Firenze e per l’Accademia Chigiana di Siena. Il contatto romano fu, invece, molto deludente, vennero trattati alquanto freddamente e l’incontro non portò a nessun risultato.
Piccola parentesi di vita spicciola. In quel periodo il Trio non aveva alcun concerto in programma, le “entrate” erano nulle ed i soldi, come sempre, assai pochi. Erano andati a Roma, in treno e in terza classe, usufruendo di una riduzione del cinquanta per cento che si otteneva per visitare una certa mostra (in Via Nazionale). Dopo l’audizione e dopo aver pagato il conto della pensione (una stanza a tre letti), si ritrovarono in stazione bloccati dal personale - allora non si poteva accedere ai treni liberamente - perché non avevano vidimato il biglietto, cosa che implicava necessariamente l’esser stati a visitare la mostra. Problema non da niente, poiché si trattava di pagare e le loro finanze ormai assommavano a due lire. Senza perdersi d’animo, ritornarono velocemente alla pensione e, raccontando alla padrona che avevano smarrito il portafoglio, riuscirono a farsi prestare trenta lire; poi corsero alla mostra, ottennero la vidimazione e si ripresentarono in stazione per la partenza. Con le tre lire rimaste riuscirono a prendersi tre cappuccini a Cervignano dove passarono al mattino e dove ormai la vicinanza a casa li faceva sentire sicuri anche senza soldi in tasca.
Quindi, tornando alla storia del Trio: il mezzo-concerto alla Società dei Concerti di Trieste (al termine del quale il “tesoriere” Guido Hermet si presento loro sventolando tra pollice ed indice mille lire e dicendo: "Ve le regala la Società dei Concerti", un episodio che per De Rosa resta ancora oggi una ferita nella memoria... Come, non avevano lavorato per ottenerle?), il concerto di Bologna con la critica di Gaianus e la successiva opportunità al Lyceum di Firenze furono le tappe più gratificanti di un periodo difficile, per nulla remunerativo.
Sulla "Nazione" Valentino Bucchi parla di loro come di tre giovani "seri, precisi ed efficaci" e coglie, tra le pagine proposte, come maggiormente significativa la lettura degli “Spettri” e soprattutto dell’intenso Largo centrale. A quel concerto al Lyceum era presente anche Sergio Lorenzi, e da qui ebbe inizio una preziosa amicizia per il Trio.
Ma sarà ancora Gaianus, nel marzo del ’40, ad esprimere i concetti e gli auspici più intensi, allorché il Trio si ripresenta nella stessa sede dell’anno precedente. Questa volta la sala è piena ed il pubblico "ammirato". Prima di giungere alla segnalazione esplicita del Trio triestino a tutti gli enti concertistici italiani, Gaianus dichiara: "Il Trio triestino suona già come potrebbe suonare il migliore trio d’Italia. E l’eccellente musicalità dei tre protagonisti permette loro di suonare tutto a memoria: con spontaneità, con un istinto infallibile e con gusto singolarissimo. C'è in questi ragazzi qualcosa di eccezionale". E poi, commentando le musiche di Dvorak, Longo e Schubert in programma: "Hanno dimostrato di sapersi avvicinare ai loro autori con profondo rispetto (usanza che oggi il novanta per cento dei concertisti trascura), di sapere esprimere con devozione, lucidezza e passione il loro pensiero e con coscienza gli stili".
Un linguaggio chiaro e sostanzioso, quello di Gaianus, capace di cogliere con estrema lungimiranza le doti più manifeste del Trio di Trieste di ieri (ma anche di oggi) e nel contempo capace di sottolineare nel giusto modo la particolarità del suonare a memoria, elemento da inquadrarsi nella serietà di preparazione e sul quale riflettere... Venticinque anni di concerti a memoria (tutto il periodo in cui il Trio vide la presenza di Lana) è un fatto che ha dell’incredibile, se si pensa alla difficoltà del memorizzare una partitura formata da tre parti distinte ed eseguita contemporaneamente da tre diverse persone, il che determina un equilibrio in cui la titubanza di uno può essere fatale per tutti. Ma per il nostro Trio queste difficoltà erano talmente risolte da divenire una chance per essere liberi, per ascoltarsi meglio, per concentrarsi sulla musica e non sull’elemento visivo della partitura.
Il ’40 si sarebbe concluso con un’eccezionale affermazione, in grado di rivoluzionare e dare slancio all’attività del Trio: la vittoria al Concorso Nazionale del Sindacato Musicisti.
Il Concorso del Sindacato era allora l’unico ed era perciò molto importante. Tutti i grandi nomi vi presero parte, da Michelangeli a Janigro, dalla Carmirelli alla Santoliquido e via dicendo. Oggi, in un panorama fin troppo ricco di competizioni di varia qualità - sarebbe meglio dire di varia serietà -, riesce difficile pensare ad un unico concorso che offra la possibilità di farsi conoscere.
Nel ’40 le prove si tennero a Napoli (la sede variava di anno in anno) e la rassegna era alla sua quinta edizione. Il Trio De Rosa-Zanettovich-Lana vinse eseguendo il Trio in do maggiore di Martucci (pezzo d’obbligo che durava quaranta minuti), l’op. 70 n. 1 di Beethoven e il Trio in re minore di Turina.
A vittoria ottenuta si acquisiva la possibilità di tenere un concerto sul posto, di venire segnalati per le più importanti stagioni concertistiche italiane e di creare i presupposti per interessare qualche agente straniero.
L'incremento d’attività in Italia del Trio conseguente a questa affermazione è ben evidente e chiaramente documentato dai “grandi libri” di De Rosa. Infatti da maggio lo scarto è notevole, sicuramente propiziato anche dall’unanimità dei consensi positivi da parte della critica.
Si cominciano così a constatare le prime riconferme, i ritorni in città dove l’impressione precedente era stata di incredulo stupore, e l’anno si conclude con un tour che tocca Trento, Modena, Perugia, Rovigo, Firenze, Napoli e Roma.
 
Fedra Florit, da "Il Trio di Trieste", Edt, 1992