Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, gennaio 20, 2021

Romain Rolland: Jean-Christophe

Jean-Christophe
Romanzo ciclico di Romain Rolland

Rolland, Romain. Scrittore francese (Clamecy 1866 - Vézelay 1944). Autore di molte opere di storia e di critica musicale, oltre che drammaturgo, ha legato la sua fama soprattutto al romanzo ciclico Jean-Christophe (1904-12), grande affresco dell'Europa tra Otto e Novecento, in cui, unendo motivi autobiografici a spunti tratti dalla vita di Beethoven narrò le vicende di un giovane musicista in lotta contro una tradizione soffocante.

Il romanzo, che si dispiega in 10 volumi, fu insignito del Prix Femina nel 1905 e del Nobel Prize for Literature nel 1915. I primi quattro volumi sono raggruppati sotto il titolo Jean-Christophe, i successivi tre in Jean-Christophe à Paris e gli ultimi tre in La fin du voyage.

Jean-Christophe ("Gian-Cristoforo")
1. L'Aube, 1904 ("L'Alba", pagine 259)
2. Le Matin, 1904 ("Il Mattino", pagine 249)
3. L'Adolescent, 1904 ("L'Adolescenza", pagine 276)
4. La Révolte, 1905 ("La Rivolta", pagine 271)

Jean-Christophe à Paris ("Gian-Cristoforo a Parigi")
1. La Foire sur la place, 1908 ("La Fiera in piazza", pagine 269)
2. Antoinette, 1908 ("Antonietta", pagine 207)
3. Dans la maison, 1908 ("In casa", pagine 238)

La fin du voyage ("La fine del viaggio")
1. Les Amies, 1910 ("Le Amiche", pagine 227)
2. Le Buisson ardent, 1911 ("Il Roveto ardente", pagine 260)
3. La Nouvelle Journée, 1912 ("La nuova giornata", pagine 239)

In Italia il romanzo, tradotto sotto la direzione di Jacques Mesnil, è stato pubblicato nel corso degli anni '20 dalla Casa Editrice Sonzogno.
Il romanzo fu anche sceneggiato per la televisione in 9 episodi di 55 minuti cadauno con la regia di François Villiers; furono trasmessi a decorrere dal 2 marzo 1978. Il personaggio di Jean-Christophe è interpretato dall'attore Kluas Maria Brandauer.
Heinrich von Trotta

domenica, gennaio 10, 2021

Monteverdi: "Il Nono Libro" (1651) & "Scherzi Musicali" (1632)

Le ultime opere raccolte: gli Scherzi musicali e l'opera postuma
In quest'ultima registrazione delle opere complete profane, desideriamo accostare due lavori di Claudio Monteverdi, che non furono editi personalmente dall'autore, ma che vennero “raccolti” da altri promotori. La pratica di pubblicare una scelta di opere di varia estrazione, offriva la possibilità a musicisti "minori" di completare le proprie composizioni musicali con altre di autori celebri. In questi due casi monteverdiani, invece, un editore offre le composizioni di un celebre autore a un nobile dedicatario: lo stampatore quindi "raccoglie", come fossero fogli sparsi miracolosamente sopravvissuti all'ingiuria del tempo, quelle composizioni che un musicista non aveva stampato durante la sua vita. Monteverdi probabilmente le aveva ritenute meno urgenti o, relativamente, meno importanti per essere inserite in un libro proprio.
Nel doppio CD dedicato al Sesto Libro (Naxos 8.555312-13), abbiamo già proposto alcuni dei lavori che furono inseriti in pubblicazioni "miscellanee", ossia non dedicate a un unico compositore. In quella pubblicazione abbiamo raccolto opere caratterizzate dalla compresenza di diversi “eccellenti musici” o “eccellentissimi spiriti”; al contrario, in questo disco proponiamo due raccolte esclusivamente dedicate a opere monteverdiane, ma curate da altri autori. L'Ottavo, il Nono libro e gli Scherzi musicali sono accomunati da madrigali che si ripropongono e dal ricorrente tema della guerra per amore. Ricordiamo che, nonostante l'importanza dell'Ottavo libro nella cultura del tempo e nella nostra epoca, l'opera non fu mai ristampata a causa della sua monumentalità e della difficoltà oggettiva di reperire organici così vasti come quelli desiderati da Monteverdi. Nei due volumi presentati in questo CD, al contrario, sono presenti e si riespongono alcuni dei madrigali che limitano gli organici a due voci con l'accompagnamento dell'ormai onnipresente basso continuo. Sono comuni a queste due pubblicazioni, rispettivamente del 1632 e del 1651, alcuni lavori appartenenti all'Ottavo libro: non appartenenti a quest'ultima opera, ma ricorrenti nei due volumi, segnaliamo i brani "Zefiro torna" e "Armato il cor". Quest'ultimo madrigale è presente nell'Ottavo Libro "Madrigali guerrieri e amorosi" insieme ad "Ardo, e scoprir, ahi lasso" e "O sia tranquill’il mare". Sono quindi quattro i madrigali presenti nell'Ottavo libro ed esibiti anche nel Nono. Un filo sottile lega dunque queste tre pubblicazioni dell'ultimo Monteverdi.
Come abbiamo già sottolineato nella corposa prefazione al precedente box in quattro CD, l'Ottavo libro non fu mai più ripubblicato, ma a distanza di diversi anni si ritenne di rinnovare la memoria di alcuni lavori giustamente famosi anche nel libro postumo. Quest'ultimo raccoglie poi quanto di più variegato poteva offrire il mercato dei manoscritti monteverdiani ancora inediti.
Abbiamo scelto di evitare al nostro ascoltatore di ripresentare quei madrigali che sono già stati da noi eseguiti in precedenza: questa decisione permette di ascoltare tutti i nuovi brani di queste due raccolte (completando i madrigali del nostro musicista) e offre nuove versioni dei brani che vengono così cantati integralmente. Evitando le melodie da noi già pubblicate, abbiamo ritenuto prioritario eseguire tali brani nella completezza originale, con tutti i ritornelli e tutte le strofe, così come desiderato dall'autore (vedi l'ultimo madrigale "Ed è pur dunque vero" degli Scherzi, che è sempre eseguito senza considerare i ritornelli scritti in partitura).
In quest'ultimo volume dell'opera profana di Monteverdi vogliamo dunque riunire le opere "tarde", sperando di offrire l'opportunità di ascoltare l'ultima produzione del "divino Claudio" nella sua integralità.

Gli Scherzi musicali, 1632
Pubblicata a Venezia nel 1632 (quando Claudio Monteverdi era a Venezia e non aveva ancora pubblicato il suo testamento musicale profano, l'Ottavo libro, del 1637) questa raccolta di Bartolomeo Magni sopravvive solo grazie all'unica copia conservata in Polonia. Magni ebbe una grande ammirazione per Monteverdi e, dopo aver ereditato la stamperia di Angelo Gardano, ripubblicò i primi sette libri, la Lettera amorosa e il Lamento d'Arianna. Infine ecco questo piccolo volume di sole 52 pagine (quindi poco costoso e alla portata di tutti): “Da preghiere de virtuosi son stato necessitato dar alle stampe queste poche Ariette”. In effetti, confrontato con i "Madrigali guerrieri e amorosi”, è sicuramente un “picciol libretto, grande però rispetto all'animo mio et di molta stima, essendo compositioni del Signor Claudio Monteverde Maestro di cappella di questa Serenissima Repubblica”. Magni definisce “ariette” queste composizioni, non tanto per la loro forma, ma per la mancanza “di complessità o di impegno compositivo dei brani radunativi (...) Tutto concorre a mettere in evidenza la 'minorità' di questa raccolta: le dimensioni tutt'altro che rilevanti, la leggerezza del genere prescelto 'lo scherzo' ” (Paolo Fabbri, Monteverdi, 1985). Tranne i due brani per due tenori (veri e propri madrigali), cinque brani sono a voce sola con accompagnamento di basso continuo; unica anomalia all'uso del solo basso continuo come accompagnamento è il madrigale "Ed è pur dunque vero" che necessita anche della partecipazione di un violino al quale affidare alcuni ritornelli strumentali.
Le “ariette”, forma musicale che evolve la “canzonetta”, vennero di moda all'inizio del Seicento e furono assai amate dai cantanti, sia professionisti sia dagli amatori, per la loro facilità di ascolto (che ricorda la nostra cosiddetta “musica leggera”). Molte le pubblicazioni che si offrivano sul mercato con questa forma: da Cifra a Kapsberger, da Stefani a Milanuzzi, erano molti i libri che contenevano “ariette”.
Storicamente, in quel 1632, Venezia usciva dall'epidemia di peste che aveva mietuto moltissime vittime. Ammirevole, ed economicamente mirato da parte di Bartolomeo Magni, aver pensato di offrire qualcosa di “leggero”; il fatto che le opere contenute fossero firmate dal più celebre e ammirato musicista ormai naturalizzato veneziano, avrebbe potuto tradursi in un successo editoriale.
Come abbiamo già evidenziato, queste ariette non sono veri e propri “madrigali”, in quanto la presenza di ritornelli strofici non permette tale definizione: il madrigale musicale (quale “forma senza forma”) esige che la musica sgorghi dal testo che lo genera e dalla parola che lo ispira.
"Ecco di dolci raggi il sol armato", in questa stampa del 1632, è disgiunto dal successivo "Io che ho armato sin hor di duro gelo": Bartolomeo Magni intercala questi due brani con "Ed è pur dunque vero" probabilmente per ragioni editoriali. L'identità fra i due frammenti è offerta dal medesimo metro usato e dal refrain che conclude allo stesso modo i due brani, “arda dunque d'amor, arda ogni core”. Abbiamo ritenuto di unire i due brani gemelli anche perché, nel successivo “Madrigali e arie” di Giovan Battista Camarella pubblicato nel 1633, furono pubblicati accoppiati. “Quel sguardo sdegnosetto” è particolarmente affascinante: gli ostinati che vengono proposti al basso si fondono mirabilmente con l'espressività del canto, che esplode in vorticose note sulle parole “nembi” e “ardo”, per acquietarsi su “ma'l labbro non sia tardo”: ultimi madrigalismi più che mai presenti in questa raccolta.
Prima della ciaccona “Zefiro torna”, troviamo “Ed è pur dunque vero” che si basa anch'esso su un basso ostinato (alla maniera della ciaccona). Questo madrigale, nel quale il pastore Fileno lamenta l'abbandono dell'amata ninfa Lidia (ancora una volta un personaggio maschile che ha la voce di soprano: controtenore o castrato), è solitamente eseguito senza i necessari ritornelli. Nell'edizione della Fondazione Claudio Monteverdi che pubblicò gli “Scherzi musicali” nel 2002, il revisore Frank Dobbins (ricercando storicamente alcune soluzioni) si arrampica sugli specchi, inseguendo soluzioni improbabili per tali ritornelli. Probabilmente tali ripetizioni non sono chiare nella partitura di Monteverdi-Magni, ma in accordo con la linea sostenuta dal citato Paolo Fabbri, abbiamo ritenuto di eseguire il brano come se fosse di destinazione teatrale (con le ripetizioni collocate dove sono inserite nell'edizione del 1632), cioè come se tali ritornelli strumentali fossero quei “passeggi” scenici necessari al cantante per cambiare posizione sul palcoscenico. Questa soluzione dissente totalmente dall'edizione di Dobbins, e rende il brano molto più lungo delle interpretazioni proposte fino a oggi, ma offre una completezza esecutiva che non è stata mai considerata nelle esecuzioni moderne. Tale completezza è sempre stata per noi un imperativo, un modus operandi, al quale crediamo sia corretto adeguarsi al fine di offrire un'esecuzione coerente ai moderni criteri della cosiddetta ”autenticity music”, secondo gli studi della prassi esecutiva oggi consolidata.

Un libro postumo: il Nono Libro, 1651
Claudio Monteverdi morì nel 1643 a 76 anni. Venezia gli offrì una sepoltura da uomo illustre: fu tumulato nella Chiesa dei Frari in una cappella laterale del transetto, a fianco della celeberrima e ammirata "Assunta" di Tiziano, capolavoro indiscusso della pittura Rinascimentale.
Alessandro Vincenzi aveva già pubblicato l'Ottavo libro e, nella dedica del 27 giugno 1651 a Gerolamo Orologio, scrisse “il Signor Claudio Monteverde, uno dei primi lumi del nostro secolo della musica, m'onorò mentre visse, d'alcuni suoi musicali concerti”. Le musiche quindi sembrerebbero essere già state consegnate a Vincenzi in precedenza (forse all'epoca dell'Ottavo libro), ma probabilmente non avevano avuto spazio sufficiente in quell'edizione già corposa. Nei madrigali riproposti dal precedente volume, notiamo pure una assomiglianza tipografica: in pratica, in tali madrigali, la matrice generante è sempre la stessa. Tale caratteristica avvalora la tesi, anteriormente esposta, che questo libro sia uscito per conferire una maggiore snellezza all'Ottavo. Al termine dei libri-parte (ogni esecutore aveva il proprio volume per cantare o suonare), l'editore scriverà anche: "cortese lettore, non vi maravigliate se in questa opera vi trovarete alcuni madrigali già stampati nel Libro ottavo solo li ho stampati in quest'opera per più comodità de vertuosi".
Le sedici composizioni sono suddivise in base alla diversa struttura testuale: le prime sei sono a due voci e sono madrigali veri e propri, mentre le altre dieci sono canzonette in quanto utilizzano un testo strofico.
La nostra scelta di preannunciare l'iniziale scena amorosa "Bel pastor" con una sinfonia avanti la scena di Biagio Marini (1594-1663), la Sinfonia I a tre, op.8, 1629, potrebbe risultare arbitraria. La decisione è però in linea con le precedenti conclusioni operate nei libri monteverdiani che abbiamo pubblicato. Il "Bel pastor" è un soggetto intimamente legato al teatro e, come tale, sembra realmente una scena estratta da un'opera: infatti, più che essere un madrigale, sembra un vero e proprio duetto in cui interagiscono due personaggi. Nel precedente libro monteverdiano, abbiamo imparato quanto labile sia il terreno del madrigale: basta la rappresentazione perché un'ansiosa pastorella con voce di soprano e un puntiglioso pastore (tenore o baritono) possano trasformare il madrigale in un duetto scenico amoroso che ancora oggi fa commuovere, sorridere e intenerire. Il loro idillio amoroso “muove agli affetti” come il grande maestro sa sempre fare, ma questi sono sdrammatizzati da refrain ricorrenti: come che? come te, pastorella tutta bella” e dalla facile cantabilità interna. Anche in questo caso, la frase iniziale che deve essere ripetuta nell'originale (e non si sa mai come eseguire perché meramente ripetitiva) entra in contatto con la sinfonia iniziale che giustifica la funzione scenica di tale replica.
Fra i brani più celebri di Monteverdi, di questo Nono libro e degli Scherzi, “Zefiro torna” è incontestabilmente un vero capolavoro che, giustamente, conquista una sua collocazione nella storia della musica. Rifiutando le varie fantasiose e inverosimili esecuzioni a cui è spesso soggetto questo brano, vittima della propria notorietà, abbiamo scelto di offrire l'essenzialità con il sicuro effetto di proporre un brano che, a nostro parere, non necessita di orpelli esecutivi e fantasiose addizioni. Due tenori scorrono le loro melodie su un basso ostinato a forma di ciaccona, che si ripete per ben sessanta volte.
La ciaccona è una forma di danza in tempo ternario su un basso sincopato ostinato, con un carattere vivace e scherzoso. Nell'ambiente italiano romano e meridionale, la ciaccona aveva affascinato autori come Girolamo Frescobaldi e Andrea Falconieri, ma poi era stata esportata al nord e successivamente anche in Francia, dove divenne forma protagonista in alcuni balletti, suite e opere. Più tardi questa forma conquistò anche Heinrich Schütz e Johan Sebastian Bach (celebre la ciaccona nella Seconda Partita per violino solo). Il testo di Rinuccini, che riecheggia il testo di Petrarca "Zefiro torna e'l bel tempo rimena" (già musicato da Monteverdi nel Sesto Libro: Naxos 8.555312-13, CD 1, Track 5), ripercorre alcune sensazioni liete del risveglio della natura e della primavera imminente, in contrasto con la desolazione dell'animo del poeta.
L'editore Vincenzi, che probabilmente aveva nel suo cassetto altri manoscritti del maestro scomparso, termina la dedica affermando: "presto se piace a Dio avrete altre (sue) opere nove". Purtroppo la promessa non fu mantenuta e quindi completiamo questa integrale monteverdiana con un velo di tristezza, ma appagati per l'onore di essere gli esecutori di questo grande progetto della Naxos e nella speranza di avervi regalato ore di musica, tanto affascinanti quanto indimenticabili.
Marco Longhini
(note al cd Naxos 8.555318)

venerdì, gennaio 01, 2021

Tristan und Isolde: L'alchimia dell'anima

Richard Wagner, "Tristan und Isolde" (Atto secondo)
Teatro comunale di Bologna - gennaio 2019

La pozione d’amore rimane uno degli elementi più affascinanti e più popolari di Tristan und Isolde. Ma di preciso di cosa si tratta? Di un afrodisiaco o di una droga? O forse, usando le parole di Alfred Hitchcock, di un “McGuffin”, vale a dire un espediente che fa sviluppare la trama ma il cui contenuto è irrilevante?
La musica di Wagner evidenzia tuttavia che la pozione d’amore è tutt’altro che una finzione. Al contrario, quel filtro magico funziona davvero! Quando Tristan e Isolde bevono la pozione alla fine del primo atto, tutto cambia improvvisamente. Si può addirittura percepire dalla potenza della musica come la sostanza estranea si insinui nei corpi dei protagonisti, prendendone possesso e stravolgendoli. E' come se fossero stati contagiati da un virus sconosciuto.
Noi sappiamo che Tristan e Isolde consideravano la pozione da bere un veleno mortale, assunto con lo scopo di morire insieme. Ma ciò che avviene dopo è più che un semplice smarrimento dovuto al mancato sopraggiungere della morte: dopo un iniziale tumulto interiore - reso da Wagner in maniera suggestiva, con suoni che toccano la sensibilità del pubblico - Tristan e Isolde raggiungono un altro livello di coscienza. Un’esperienza che descrivono subito come un risveglio da un brutto sogno. La pozione ha catapultato i due in un’altra realtà, con tutte le conseguenze felici e ineluttabili. Perché questa nuova realtà palesa quello che era fino a quel momento più o meno latente: l’amore corrisposto, che così raggiunge l’estasi e il bisogno di estinguersi insieme.
Non solo il comportamento e i gesti dei due innamorati cambiano a causa della pozione, ma anche il mondo che li circonda così come suggerisce la musica, diventa improvvisamente incantato. Il cambiamento interiore sembra ripercuotersi sull’ambiente esterno e pare di essere arrivati in un universo parallelo insieme a Tristan e Isolde, nel quale i richiami di una realtà preesistente riecheggiano come voci di fantasmi.
Cosa sta succedendo di preciso? Sotto l'influenza di questa misteriosa sostanza, loro vedono, ascoltano e sentono il mondo, l’un l’altra e se stessi in modo diverso dagli altri. E' questa sensazione che Wagner ha sviluppato in modo magistrale: il cambiamento o il distacco della percezione individuale dalla realtà. Nel secondo atto Wagner rende ancora più chiara la percezione alterata dei protagonisti. Quello che all’inizio dell’atto sembra uno squillo di corno di avvertimento, Isolde comincia a percepirlo in un altro modo. Infatti il suono che allarma Brangäne rende invece felice Isolde. Lei non sente ciò che Brangäne vede come realtà convenzionalmente vissuta. A questo punto, Wagner ci porta nella realtà alternativa di Isolde: il suono del corno si trasforma nel sussurro e nella trama di una natura incantata e affascinante.
Gli avvertimenti di Brangäne, “che vaga solitaria nella notte”, si sovrappongono meravigliosamente al grande duetto d’amore nel Secondo atto e compongono uno dei passaggi più incantevoli dell’intera partitura, sviluppando un’atmosfera veramente magica. Mentre le parole di Brangäne preannunciano una disgrazia imminente, la musica diventa di una bellezza straordinaria. Tristan e Isolde integrano questo avvertimento di Brangäne nel loro viaggio.
E' bello immaginare l’esperienza sensoriale che vive la coppia attraverso questo viaggio. Peraltro fantasia e realtà non sono molto lontane, perché le pozioni d’amore esistono davvero. Da sempre ne sono state preparate e diffuse diverse, con molteplici conseguenze: estasi, allargamento della coscienza ed effetti collaterali compresi, dai funghi allucinogeni a concentrati di piante di belladonna fino alle moderne droghe ricreative. Wagner stesso ha avuto esperienze con droghe di tutti i tipi, e sappiamo inoltre che Wagner faceva anche molto uso di tabacco e alcol. Nel circolo di amici di Franz Liszt, di cui Wagner faceva parte, andava di moda il Laudanum: nella Symphonie fantastique Hector Berlioz ha anche reso un vibrante tributo alle vertigini procurate da questa tintura alcolica di oppio.
Wagner stesso aveva un’ossessione particolare per i tessuti morbidi, come il velluto e la seta. Già solo toccando questi materiali entrava in trance, come se il tessuto avesse delle proprietà stranianti. Cosima, la moglie di Wagner, ha scritto nelle sue lettere che Wagner passava tanto tempo ad annusare le sete profumate quanto a scrivere musica.
La musica di Wagner è sempre stata descritta come particolarmente inebriante e persino euforica. E' quasi impossibile non vedere una coincidenza: Wagner ha scritto le sue opere sotto l'influenza di droghe, come ha fatto Berlioz?
In Tristan und Isolde Wagner porta l’estasi ad un livello mai realizzato prima, creando in qualche modo un’opera d’arte totalmente “psichedelica”. La musica ci fa capire che l’effetto della pozione d’amore per Tristan e Isolde non solo era stimolante, ma anche in grado di aumentare lo stato di coscienza.
Delle sperimentazioni scientifiche condotte con sostanze psicotrope hanno dimostrato che ciò che consideriamo realtà si basa su una fragile configurazione neurochimica all’interno del nostro cervello e del nostro sistema nervoso. Il più piccolo squilibrio ci porta ad una percezione della realtà alterata. Aggiustamenti artificiali con psicofarmaci o droghe portano ad una percezione della coscienza, danno la possibilità al cervello di percepire altre realtà, il che ci porta a riflettere sulla nostra “normale” percezione del mondo. Non si tratta forse solo di una delle tante possibilità?
Cosa ci dicono gli stati di coscienza alterati? Wagner gioca con i diversi livelli dell’inconscio e anticipa molto di ciò che la psicologia classica descriverà in seguito. Sembra che, sotto l'effetto della pozione magica, Tristan e Isolde penetrino sempre più a fondo nel loro subconscio e si avvicinino a un livello di coscienza esterno all’io.
Il viaggio di Tristan nel subconscio lo riporta ai ricordi dell’infanzia, poi della prima infanzia, fino addirittura a quelli antecedenti la sua nascita. In un’audace interpretazione, Nike Wagner vede in ciò il simbolo della filogenesi della specie umana: il subconscio come fonte di tutte le esperienze che noi, i nostri progenitori e i nostri antenati evolutivi abbiamo vissuto, dall'organismo unicellulare all’Uomo. E se spingessimo ancora più in là il ragionamento? Non potremmo estendere questo simbolo alla genesi dell’intero cosmo? Passato e futuro non si confondono allora misteriosamente? Al culmine dell’estasi, Tristan e Isolde pongono fnalmente le grandi domande relative alle nostre origini e alla nostra meta finale.
Nell’allargamento della loro coscienza, Tristan e Isolde sono in grado di vedere quest’altra verità, forse più profonda? E' la loro ebbrezza la fonte di questa “chiaroveggenza universale”, come verrà definita in seguito da Wagner in Parsifal? Cosa succede loro quando, durante il loro grande duetto, dichiarano di essere il mondo? E soprattutto, la risposta è l'amore?
Ralf Pleger
(Note di regia)