Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, luglio 30, 2017

Nikolaus Harnoncourt: L'evoluzione perpetua di un genio inquieto

Nikolaus Harnoncourt
(6/12/1929 - 5/3/2016)
A un anno dalla scomparsa di Nikolaus Harnoncourt, un grande cofanetto discografico permette di ricostruire l'estetica di un musicista sempre rigoroso verso se stesso e disposto a mettersi continuamente in discussione.
 
Ad un anno esatto dalla sua morte, avvenuta il 5 marzo del 2016, l'eredità che Nikolaus Harnoncourt lascia è a dir poco monumentale: non solo in termini di idee e di originalità di approccio ai diversi repertori affrontati nel corso di una carriera lunghissima, che fin dall'inizio degli anni Sessanta lo impose come uno dei precursori della moderna prassi esecutiva su strumenti d’epoca; ma anche - e forse ancor più - per i suoi innumerevoli scritti e soprattutto per le incisioni discografiche e le registrazioni video. Pochi artisti hanno potuto incidere quanto Harnoncourt. Con il suo Concentus Musicus Wien, da lui fondato nel 1953, fu tra i primi a porsi il problema dell'esecuzione del repertorio barocco e prebarocco attraverso lo studio della prassi dell’epoca e l'utilizzo di strumenti originali, aprendo strade pionieristiche rispetto alle tendenze esecutive di quegli anni, talvolta addirittura ponendosi in contrasto rispetto ai primi approcci filologici e agli indirizzi di certa musicologia del tempo. Senza tuttavia alcuna volontà dimostrativa e sempre con quel senso etico e quella profonda umanità che lo portarono, per tutta la sua carriera, a rifuggire dai condizionamenti dello star system. La sua posizione, portata avanti con assoluto rigore, si poneva contro una visione della musica antica di derivazione romantica convinto che un musicista non potesse limitarsi alla riproduzione e alla ricerca del bel suono, ma dovesse, prima di tutto, comunicare idee e vita: concetto che non poteva che risuonare all’epoca come una provocazione.
Qualcuno a ragione ha scritto che "non è un caso che l’esperienza di Harnoncourt si collochi negli stessi anni delle contestazioni della musica contemporanea: quasi fosse anch’essa un urlo liberatorio contro un certo conformismo rassicurante, come se il superamento di un barocco ridotto al suo mero aspetto salottiero e garbato, fosse il corrispettivo delle battaglie di Boulez, Messiaen, Henze, Stockhausen intorno alla nuova musica. Rivoluzionare l’approccio alla musica antica attraverso sé stessa".
Da allora il recupero della prassi esecutiva antica ha conosciuto uno sviluppo impensabile, divenendo una vera e propria scuola, ricca di anime, approcci differenti, scontri, resistenze, talvolta anche degenerazioni e mode.
Innumerevoli i progetti musicali da lui condotti in una carriera lunghissima. Il grande e pionieristico lavoro su Bach, di cui fu il primo - insieme a Gustav Leonhardt - a rivedere l’approccio esecutivo: un Bach de-monumentalizzato e desacralizzato, per portarne alla luce l’ossatura musicale (e anche oggi la sua integrale delle Cantate è una pietra miliare). E dopo Bach, Monteverdi: Harnoncourt per primo ne studio l’opera, valorizzandone la singolarità e non cercando di ricondurla ai più ristretti canoni dell’opera seria o, peggio, del melodramma. Le sue incisioni di Orfeo, Ritorno d’Ulisse in Patria e Incoronazione di Poppea hanno aperto la via alla rinascita dell’interesse attuale per Monteverdi, culminata nelle esecuzioni nei teatri e nel geniale connubio con Ponnelle (anche alla Scala). E poi Mozart, depurato da certi autocompiacimenti romantici che ancora ne fraintendevano il significato, a costo di scelte difficili che nulla concedevano all’edonismo dell’ascoltatore. Giù giù fino a Beethoven, a Schubert, a Schumann, a Dvorak, a Bruckner, a Brahms, sino al Verdi umanissimo di un’Aida unica per rigore musicale e profondità, al Gershwin catapultato tra i grandi del ‘900 di Porgy and Bess e ai Valzer di Strauss del Concerto di Capodanno.
Direttore libero da pregiudizi e da rigidi assolutismi, amò guidare compagini moderne ed antiche - dai Berliner ai Wiener, dalla Chamber Orchestra of Europe al suo Concentus - mescolandone gli approcci, sperimentando sempre vie nuove, tanto da potersi esprimere criticamente contro le degenerazioni di certo rigido filologismo. Affermava: "Attraverso la coscienza storica è possibile spaziare nel nostro passato e crearci una coscienza critica 'libera', ma allo stesso tempo mette in guardia, ricordando che 'la prospettiva storica' è per definizione assolutamente estranea a un’epoca culturalmente vivace". Ossia: tutte le esecuzioni sono autentiche e figlie del loro tempo o dell'idealità del suo esecutore, cosi come non esistono esecuzioni "storicamente informate" perché - logicamente - dovrebbero esistere esecuzioni "disinformate", e questo era per lui un'assurdità.
Oggi, grazie al suo immenso lascito, siamo in grado di seguire tutte le fasi della sua carriera: se si includono le prime registrazioni in veste di violoncellista, la discografia del maestro berlinese copre un periodo di sessantacinque anni, solo un anno in meno di quella di Artur Rubinstein, che però visse fino a novantacinque anni. Nel corso della sua vita Harnoncourt ci ha lasciato oltre 500 incisioni e video che, viste nel suo insie
me, rappresentano uno dei più completi e sorprendenti viaggi musicali che un interprete abbia mai potuto compiere in un repertorio che dal primo ‘600 arriva fino a Gershwin.
Il cofanetto, ora messo in commercio dalla Sony Classical, raccoglie le registrazioni che Harnoncourt realizzò dal 2001 alla sua scomparsa: quindici anni di indefesso lavoro e di inesauribile desiderio di esplorare, ancora una volta, nuovi terreni musicali o di ritornare sulle partiture di una vita. Così si spiegano certe scelte che sembrarono affatto sorprendenti, come la decisione di dirigere l’Aida (non presente nel cofanetto) e il Requiem di Giuseppe Verdi, autore che difficilmente si potrebbe associare ad un direttore come Harnoncourt; oppure, ancor più sorprendentemente, il Porgy and Bess di George Gershwin, che sembrò davvero un "capriccio" di tarda età. Eppure, anche in queste eccentricità rispetto ad un percorso di indagine musicale incentrato prevalentemente nei confini della Mitteleuropa, sempre presenti rimasero la tensione interpretativa e il costante rifuggire da qualsiasi approccio routinario. Studio approfondito delle partiture scelte - Harnoncourt fu per tutta la sua carriera un instancabile frequentatore di biblioteche di mezz'Europa dove si recava per consultare le fonti e trascrivere di proprio pugno un’enorme quantità di musica - e attenzione massima alla dimensione architettonica della composizione, intesa come un complesso edificio di cui mettere in risalto le diverse componenti, sono alcune delle peculiarità del suo approccio alle partiture scelte. "Era importante per lui la trasparenza - ricorda, nel bel volume che accompagna la pubblicazione Sony, Martin Sauer, produttore di lunga data di Harnoncourt assieme a Friedmann Engelbrecht - e dedicò sempre grande sforzo per assicurarsi che tutte le linee contrappuntistiche fossero udibili e perché risaltasse ogni particolarità della strumentazione". Illuminanti le parole di un altro artista che ha lavorato a lungo con lui, il baritono Christian Gerhaher: "Harnoncourt era una figura faustiana. Uno scettico, uno che viveva con senso dell'ironia in una sorta di crisi istituzionalizzata, un artista che, senza essere mai pago, era sempre al servizio del dubbio. Tuttavia era anche una figura mefistofelica, accesa dallo spirito di contraddizione, anche verso se stesso. Per questo aspetto Faust e Mefistofele permeavano tutto il suo essere, formando un'entità inscindibile. Non credo che l’armonia spirituale e intellettuale fossero qualcosa che egli avrebbe mai potuto tollerare".
L'omaggio della Sony - 61 CD e 3 DVD - si apre con otto dischi dedicati a due autori capitali del repertorio del direttore viennese: Bach e Handel. Del primo troviamo una finora inedita registrazione delle Cantate BWV 36 "Schwingt freudig euch empor" e BWV 26 "Ach wie fluchtig, ach wie nichtig", risalente al 2007 e mai comparsa sul mercato, assieme alle tre Cantate BWV 140, 61 e 29, già uscite per Deutsche Harmonia Mundi, con grande ammirazione da parte della critica. Rispetto all’incisione completa delle Cantate bachiane condotta a quattro mani con Gustav Leonhardt tra gli anni ’70 e ’80 (completata solo nel 1990), che prevedeva l'impiego delle voci bianche e di un’orchestra a ranghi ridotti, qui emergono il mutare dell’approccio e l’evoluzione del pensiero del direttore Viennese, più libero nell'accostarsi - pur sempre in maniera filologica - al repertorio antico. Cosa che si nota, qui e altrove, fin dalla scelta di cantanti non necessariamente specializzati nella musica barocca, con una preferenza spiccata per interpreti di provenienza liederistica o addirittura operistica, dotati di una vocalità piena, evitando i falsettisti, che spesso funestavano le precedenti prove. Qui i solisti, tra cui la Schäfer, la Fink, Güra, Finley, Gerhaher, sono davvero eccellenti. Maggiore libertà, più naturale il senso del far musica e la ricerca degli affetti, uguale il rigore e l'attenzione al dettato musicale. Un’edizione di riferimento è poi l’incisione dell’Oratorio di Natale (2007), raggiante, luminosa, sensibile nel ritrarre il paesaggio pastorale della natività e nel mettere in evidenza certi andamenti popolareschi che si insinuano tra le note del m
aestro di Eisenach. Aspetto questo, che pare una costante nelle interpretazioni di Harnoncourt, e che emerge con evidenza nella bella registrazione dal vivo (Graz, 2007) dell’oratorio Die Jahreszeiten (Le Stagioni) di Haydn, di cui ci si ammira la serenità e gioiosa condotta delle arie e dei cori intonati ad una radiosa luminosità. Un compositore, Haydn, cui Harnoncourt ha dedicato non poca attenzione, incidendone una altrettanto intensa versione de La Creazione, un Orlando Paladino di riferimento, portato all’altezza dei capolavori teatrali mozartiani, e il ciclo delle Sinfonie "Parigine" (nn. 82-87): lontano dalla bonomia inappropriata di molte esecuzioni, semmai sottolineando la retorica degli affetti e i vividi contrasti ritmici e coloristici che percorrono queste pagine, facendoci finalmente dimenticare il polveroso ritratto di papà Haydn. Il Concentus Musicus in stato di grazia asseconda le mille suggestioni delle partiture haydniane tra umori cangianti, tenerezze e sfaccettature di colori abbaglianti.
Da Haydn a Mozart il passo è breve: ben 20 sono i CD dedicati al genio di Salisburgo, cui si aggiungono i 2 DVD della rappresentazione salisburghese del Flauto magico (2012) per la regia di Jens-Daniel Herzog.
Il gruppo delle Sinfonia giovanili si distingue per un approccio corrusco e talvolta nervoso, ma sempre messo al servizio di una visione chiara, che intende togliere qualsiasi patina di stantio e risaputo anche su queste pagine, a prezzo di risultare talvolta eccessivo e spiazzante rispetto a più "educate" esecuzioni. Simili sono le esecuzioni delle ultime tre Sinfonie (K 543, K 550 e K 551), che riunisce sotto il titolo "Instrumental Oratorium", considerando questi capolavori, composti nell’estate del 1788, non come una trilogia ma come "un singolo vasto lavoro", che in realtà non presenta la forma dell’oratorio, ma "l’idea generale". A sostegno di questa singolare tesi, Harnoncourt spiega che l’unitarietà delle tre Sinfonie si basa sul "sofisticato impiego degli stessi tre temi e motivi nelle tre sinfonie", sul fatto che né la Sinfonia n. 39 né la n. 40 presentano un proprio finale. Sorprendono gli stacchi dei tempi per la loro lentezza o al contrario per la rapidità, non tutto si tiene ma le idee certo non mancano. Ed è sorprendente come un musicista di 83 anni voglia ancora mettersi in gioco, percorrendo strade per nulla scontate. Una miniera di idee sono anche le altre esecuzioni mozartiane, come videoregistrazione di Die Zauberflöte catturata dal vivo al Festival di Salisburgo nel 2012, dove per la prima volta approdava un’esecuzione di un’opera di Mozart su strumenti originali: una prova di profonda umanità, di gioia teatrale con una particolare attenzione agli aspetti maggiormente popolareschi del capolavoro mozartiano. Convincono meno la registrazione della rarissima Zaide K 344, Singspiel rimasto incompiuto, per la pesantezza di alcuni passaggi e la ruvidezza generale dell’approccio nonostante un cast di rara bravura (eccezionale la Zaide di Diana Darnrau); o l’insolita
abbinata con il vulcanico e molto glamour Lang Lang.
C’è poi il capitolo Beethoven, un autore su cui per oltre vent’anni è ritornato a più riprese, dalla prima esecuzione, nel 1988, del Fidelio e della Missa Solemnis fino agli ultimi concerti. Del progettato nuovo ciclo delle Sinfonie e di altri lavori, compreso un nuovo Fidelio, restano le registrazioni della Quarta e Quinta con il Concentus Musicus (2015) e della Missa Solemnis (2015). Rispetto al ciclo sinfonico con la Chamber Orchestra of Europe (1992), risalta la trasparenza della conduzione, 1’evidenza data alle soluzioni strumentali, l’elettricità vibrante che corre nei movimenti veloci, l’urgenza del dire che appare ancora più sorprendente in un musicista ultraottantenne. Vero testamento spirituale l'interpretazione della Missa, di cui riesce a mettere in risalto le derivazioni bachiane, chiudendo in una sorta di cerchio perfetto l’inizio e la fine della propria parabola artistica.
Ma le sorprese non mancano e gli interessi enciclopedici del direttore tedesco si spingono oltre. A Schumann con una superba registrazione dell’oratorio Das Paradies und die Peri, che guarda dritto a Bach passando per Mendelssohn. A Bruckner con una Quinta Sinfonia non del tutto riuscita e un invece illuminante approccio alla Nona - in entrambe insuperabili appaiono i Wiener Philharnioniker -, di cui esegue i primi tre movimenti, mentre del Finale incompiuto fa ascoltare circa 18 minuti di frammenti, palesando la difficoltà del compositore a dar corpo definitivo a questo straordinario edificio musicale.
Arrivando a Smetana con l’intero ciclo Ma vlast affrontato all’insegna della malinconia e della tristezza e con un’attenzione particolare nel rievocare le voci della natura; al Brahms del Deutsches Requiem tratteggiato come fosse un vasto affresco corale barocco o lo Stabat Mater di Dvorak dipinto come una drammatica scena d’opera.
Del suo accostamento a Verdi è testimone il Requiem proposto in una versione fedelissima alla lettera, ma lontana dallo spirito verdiano (il cast non è dei meglio assortiti). C’è poi l’approdo al Novecento con un’interpretazione irrisolta della Musica per archi, celesta e percussioni di Béla Bartok, per finire con quel Porgy and Bess, che avremmo dovuto sentire anche alla Scala, e che rappresenta un omaggio ad una delle composizioni di cui - veniamo a scoprire con grande sorpresa - Harnoncourt era innamorato fin da bambino, grazie all’influenza dello zio, René d’Harnoncourt, che era emigrato negli Stati Uniti nel 1933 e aveva stretto amicizia con i Gershwin e Picasso (sarebbe poi divenuto direttore del Museum of Modern Art di New York). Gershwin gli aveva donato una copia della partitura che era stata spedita in Austria al padre di Harnoncourt, che la cantava accompagnandosi al pianoforte. Con la stessa acribia e maniacale attenzione al testo che lo ha sempre contraddistinto, egli si immerge nel mondo del capolavoro del teatro americano che ripropone in una versione - manco a dirlo - filologica che ripristina l’originale del 1935. Affascinato dai legami di Gershwin con le avanguardie culturali e musicali europee, Harnoncourt aveva fortemente voluto riportare alla luce la ricchezza musicale della prima Versione, che alle suggestioni della musica popolare americana univa una viva consapevolezza degli sviluppi del linguaggio musicale del Novecento. Non a caso Gershwin, che incontrò Alban Berg a Vienna nel 1928, pensava che Porgy and Bess dovesse assomigliare a un Wozzeck americano.
Harnoncourt non si limita alla fedeltà alla partitura, ma si sforza di ricreare le intenzioni d’autore analizzando gli spartiti della prima edizione e ricercando i timbri giusti, incluse le percussioni africane richieste da Gershwin (djembe e dum dum) in luogo degli strumenti occidentali utilizzati di solito. La Versione rivista e diretta da Harnoncourt è andata in scena a Graz nel 2009 (e pubblicata da Sony) come pannello centrale di un trittico novecentesco aperto nel 2008 con The Rake's Progress al Theater an der Wien, e che avrebbe dovuto chiudersi Con una Lulu al Festival di Salisburgo (e le atmosfere jazzistiche di Lulu sarebbero state il contraltare di quelle viennesi su Porgy, a dimostrazione della reciprocità delle influenze tra i due compositori) cui Harnoncourt dovette rinunciare per ragioni di salute.
Non c'è migliore conclusione per questa carrellata attraverso tre secoli di musica che riportare le parole rivolte dallo stesso Hanorncourt al suo pubblico allorché decise improvvisamente di ritirarsi: "Caro pubblico, le mie forze fisiche mi costringono a rinunciare ai progetti futuri. Subentrano in me grandi pensieri: una relazione incredibilmente profonda si è stretta tra noi, sulla scena, e voi, nella sala - noi siamo divenuti una felice comunità di pionieri! Di questo, resterà molto". Grazie, Maestro.
Stefano Pagliantini
("MUSICA", n. 284, marzo 2017)