Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, luglio 21, 2007

L'ultima dei Wagner: Katharina

Il maestro e i suoi eredi.
C’è una signora di nome Katharina che da giovedì potrebbe diventare l’ultima regina della dinastia.

Molti di loro li si riconoscono ancora oggi per la pronunciata forma del naso e del mento e per le palpebre degli occhi un po’ cadenti. Gli altri, invece, quelli con le guance leggermente incavate e la carnagione pallida hanno preso più da Cosima, la figlia di Franz Liszt. Sono gli eredi di Richard Wagner: nella saga di questa famiglia arte e rancori privati, storia tedesca e provincialismo francone diventano un tutt’uno. Dal geniale avo hanno ereditato l’istinto per la teatralità e una volontà indomita. Nella vita di tutti i giorni ripropongono quasi compulsivamente quello che Richard aveva pensato per le sue opere: come Fafner custodiscono il tesoro di Bayreuth, come Wotan costruiscono il loro potere stilando contratti. Ci sono figlie e figli ripudiati alla maniera di Brünnhilde, rotture coniugali e tradimenti ferali alla Hagen. Il loro è un infinito “crepuscolo degli dei” così scrive Claus Spahn sulla Zeit, per introdurre un nuovo capitolo della saga dei Wagner. Una sorta di preludio che da anni ormai, anticipa il Festival di Bayreuth, uno dei più importanti appuntamenti musicali al mondo. Assistervi è un privilegio riservato a pochi. Per i prossimi dieci anni i biglietti sono già esauriti. Per i wagneriani sfegatati e fortunati, tra questi la cancelliera Angela Merkel, ogni anno si ripete il miracolo di quei primi suoni che sembrano provenire dagli inferi. Un effetto voluto dal maestro quando commissionò la costruzione del Festivalhaus e diede precise disposizioni riguardo alla buca dell’orchestra: doveva essere sotto il palcoscenico e chiusa da un coperchio. Bayreuth può essere una meta ambita o no, a seconda dei gusti musicali. Ma nessuno si perde certo le novità sul clan, le indiscrezioni che trapelano da Villa Wahnfried, la maison privata, Fort Knox, dove vive Wolfgang Wagner, nipote longevo del Maestro, con la moglie. E l’appuntamento di quest’anno promette poi particolari emozioni. Ad aprire il festival, tra meno di una settimana, il 25 luglio, sarà, infatti, Katharina Wagner, figlia di secondo letto di Wolfgang. L’ottantottenne patriarca, che da oltre mezzo secolo amministra l’eredità dell’illustre nonno, ha designato lei la sua erede al trono.
Occhi puntati dunque sulla ventinovenne, che per la sua prima volta sul palco di Bayreuth ha scelto (ma lei sostiene che è una questione di rotazione e basta) la regia de “I maestri cantori”, unico dramma musicale del bisnonno con vero happy end. L’ultima messa in scena di quest’opera l’ha firmata, peraltro, dieci anni fa proprio suo padre. Se andrà bene, e deve andare bene, Wowa, Wolfgang Wagner, potrà imporre il suo successore, anziché veder passare lo scettro, magari dall’alto dei cieli – il suo contratto è a vita – a chi negli ultimi anni ha cercato di sottrarglielo, cioè la figlia di primo letto Eva e la nipote Nike. Una corsa al trono che non ha escluso colpi bassi. C’è chi ha gufato sulla sua età, chi ha ritirato fuori quell’amicizia particolare che legava sua madre Winifred al Führer. Se Wowa la spunta, sarebbe peraltro di nuovo una donna a diventare custode dell’Oro del Reno, del Tesoro dei Nibelunghi, del Santo Graal, dell’eredità di Richard Wagner. E così dev’essere, visto che la Dinasty wagneriana, ha avuto soprattutto nelle donne guardiani irremovibili, capaci di battersi come leonesse. Leonessa, questo anche il soprannome dato a Winifred Wagner, moglie di Siegfried, terzo e ultimogenito di Richard e Cosima. Leonessa perché come una belva Winifred ha difeso il lascito dell’illustre suocero. Lupo, Wolf – Onkel Wolf per i bambini – veniva invece chiamato, perché così volle Winifred, il Führer. Lei lo venerava e segretamente, non è da escludersi, lo amava. E’ vero che Siegfried era il suo sposo, è vero che con lui aveva messo al mondo quattro figli, ma Siegfried non era istintivamente attirato dalle donne, anzi il suo cuore batteva per gli uomini. Un tratto, se si vuol dar credito a quanto racconta Nietzsche nel “Caso Wagner”, ereditato peraltro dal nonno. Le sue intuizioni il filosofo le rende pubbliche solo a rottura consumata, una rottura dolorosissima, vista la venerazione che già al loro primo incontro aveva provato, Nietzsche era ancora studente, e che poi si era mantenuta viva per anni. “Nei giorni passati” scrive Nietzsche ricordando alcuni momenti passati insieme “Wagner era assolutamente feminini generis”. Nonostante il noto dongiovannismo di Wagner, c’era in lui sicuramente anche un tratto femmineo che non poteva sfuggire al suo attento e sensibile discepolo. Nietzsche sapeva poi – da Cosima, che ne era molto irritata – della predilezione di Wagner per gli abiti femminili appariscenti, della sua passione per tessuti preziosi e profumi. Che avesse anche altre inclinazioni non è testimoniato da alcuna parte, certo però godeva nel vedersi circondato da uomini giovani e innamorati di lui, caduti nella sua tela di ragno. Wahnfried, così si chiama la casa che Richard Wagner volle far costruire a Bayreuth, paesino incassato nella regione della Franconia, Baviera settentrionale, dove Wowa risiede con la famiglia e riceve chi del parentado non è ancora stato scacciato dall’Olimpo. La parola Wahn, per Wagner significava ancora attesa, speranza, ma anche sospetto. Friede invece vuol dire pace. Oggi Wahn sta più comunemente per delirio, per vaneggiamento. Un adattamento semantico che rispecchia, a dire il vero, più propriamente l’indole dei suoi eredi. Volere e potere, dominio e onnipotenza. Le faide dei Wagner sul Grünen Hügel, la collina verde, dove si trova la villa, hanno segnato quel luogo tanto quanto la musica che ogni anno vi riecheggia. A Bayreuth, questo voleva Wagner, dovevano essere rappresentate solo le sue opere. Dal 1876 quando per la prima volta il Festivalhaus aprì i battenti e venne messa in scena la sua maestosa tetralogia dell’“Anello dei Nibelunghi”, mai nessun altro suono che non fosse stato concepito dal Maestro ha riempito quello spazio. Solo i dieci drammi musicali da lui composti riecheggiano in questa sala. Null’altro. Anzi a voler dar credito a una fonte, Wagner avrebbe voluto, che rappresentate tutte e dieci le opere una volta, partiture e Festivalhaus venissero messi al rogo. Magari, il non aver rispettato questa volontà, equivale un po’ alla maledizione che il nano Alberich impresse all’anello dei Nibelunghi. Sarà per questo che si perpetua quel Wahn, quella sorta di mito/delirio, che dura da centotrent’anni e alimenta gli intrighi di palazzo. Nessuno è mai retrocesso nella battaglia per aggiudicarsi l’eredità, amministrarla e custodirla come una sacra reliquia. In nome di questo, per tornare ai giorni nostri, sono stati banditi figli e nipoti che avevano avuto l’ardire di mirare al tesoro o di criticare la storia di famiglia. Prima fra tutti Nike Wagner, che a 60 e passa anni è diventata la fotocopia di sua nonna Cosima. Nike è figlia di Wieland, fratello maggiore di Wolfgang. I due fratelli, nel 1954 quando viene ripreso il festival, si dividono la gestione. Wieland si occupa della parte creativa, Wolfgang di quella organizzativa e amministrativa. Wieland muore però già nel 1966 per un tumore ai polmoni. Da allora Wowa dirige da solo Bayreuth. Ne diventa signore e padrone indiscusso. E a poco serve che nel 1974 si decida di costituire una fondazione, con consiglieri e direttorio che in teoria avrebbero anche voce in capitolo sull’organizzazione. Lì per lì, e a dire il vero fino a oggi, la fondazione è servita solo a trovare la somma di 12,4 milioni di marchi per garantire la sopravvivenza del festival e l’acquisto dei possedimenti della famiglia Wagner – Festivalhaus e Villa Wahnfried – diventati anche fuori stagione mete turistiche, luoghi di pellegrinaggio. Ma Repubblica federale, Baviera, città di Bayreuth e gli amici/sostenitori, che compongono direttorio e consiglio, nulla hanno potuto sino a oggi contro il diritto veto del “vecchio”. Già nel 2000 si pensava che Wowa, allora ottantunenne, avesse fatto il suo tempo e che il festival aveva bisogno di una mente più fresca per rinnovarsi. Nike e la figlia di primo letto di Wowa, Eva Wagner Pasquier si fanno avanti. Entrambe già note nel mondo dell’arte e dei festival. Nike è conosciuta soprattutto come “storica” di Wagner, Eva come direttrice del Festival di Aix-en-Provence. Ma Wowa non ne vuole sapere di loro due. Nike ha la colpa di aver criticato sempre apertamente lo zio, osando a un certo punto addirittura chiedere pubblicamente di tagliare le sovvenzioni al Festival finché lo dirigeva lui. Eva, che mai ha partecipato alle polemiche e agli intrighi di Villa Wahnfried e dintorni, semplicemente quella di appartenere a un’altra vita, a un’altra relazione. Le due sono bandite dalla frequentazione del Grünen Hügel, ma continuano ad avere l’abbonamento di famiglia al Festival. Assai più dura la punizione inflitta a Gottfried, fratello di Eva. Musicologo e regista d’opera, da anni stabilitosi in Italia, Gottfried ha avuto l’ardire di ritornare una volta ancora nel suo libro “Il crepuscolo dei Wagner” sulle simpatie della nonna e non solo per il Führer. Di scrivere sul New York Times “certo Wagner fu un artista, ma un artista del male”. E di dire, anni prima al padre “forse faresti meglio a partecipare a una manifestazione anziché continuare a fare il pasticciere di corte di una borghesia disumana”. Gottfried oggi non possiede nemmeno più l’abbonamento al Festival. Wowa per un certo periodo aveva coltivato l’idea di cedere lo scettro alla seconda moglie, Gudrun, sua ex segretaria, sfilata all’editore delle memorie di Cosima Wagner. Nonno Richard docet. Cosima era sposata in prime nozze con il direttore d’orchestra Hans von Bülow, e i primi figli che fece con Wagner, vennero riconosciuti da Hans per evitare lo scandalo. Wagner a sua volta era maritato a Minna Planer, dalla quale, per non spezzarle il cuore, mai si separò legalmente, tanto da poter sposare Cosima solo dopo la morte della prima consorte. Tornando all’indole vendicativa, anche le donne della dinastia Wagner (dirette discendenti o acquisite) ne hanno sempre avuto in abbondanza. Basta ricordare quanto accadde alla morte di Cosima nel 1934. La figlia Eva che aveva sposato Houston Stewart Chamberlain, il più famoso teorico della razza dei suoi tempi, si era allora appropriata dei documenti della madre, anche dei diari, 5000 pagine, dedicati al figlio Siegfried. Quattro mesi dopo era morto anche lui e Winifred, sua moglie, aveva denunciato il furto della cognata. Eva allora che pensò di fare? Rediviva Kriemhild, si lasciò accecare dalla furia e bruciò l’intero carteggio tra Cosima e Richard. I diari li consegnò invece nel 1935 al sindaco di Bayreuth con la clausola che restassero sotto chiave per altri 30 anni. Quando nel 2000 divampa poi la prima grande faida di successione, i consiglieri della Fondazione appoggiano le candidature di Nike ed Eva, in questo modo il Festival si sarebbe rinnovato restando però nelle mani di una Wagner. Al no deciso di Wolfgang l’unica cosa che il consiglio può fare è rendergli la pariglia dicendo a sua volta no a Gudrun. Eva Wagner Pasquier a quel punto annuncia che per lei il capitolo Bayreuth è chiuso. Nike non si trattiene invece dalla battuta velenosa “L’idea di Gudrun in quel posto è la barzelletta dell’anno”, ma anche lei lì per lì si ritira e nel 2004 accetta la direzione del Festival di Weimar. Noto, sotto la precedente direzione, come un appuntamento artistico a tutto tondo, Nike decide di dargli un’impronta più marcatamente musicale, e un “patrono” d’eccezione: Franz Lizst, padre di Cosima. Vista l’indole wagneriana non è detto che si tratti solo di un tributo al bisnonno che alla corte di Weimar fu anche direttore d’orchestra. Ma c’è un’altra curiosa coincidenza con Weimar. Sopra la collina che domina la città si trova Villa Silberblick, ultima dimora di Nietzsche. La sorella Elisabeth l’aveva trasformato in un luogo di pellegrinaggio, mentre lui stesso, nei sempre più rari momenti di lucidità, si definiva un “povero Lazzaro”. Luogo d’esilio emblematico dunque, anche se Nike, così dicono le lingue biforcute, la cacciata dall’Olimpo di Bayreuth la vive solo come temporanea. Le ultime indiscrezioni sullo zio Wowa parlano di uscite pubbliche sempre più diradate, che l’udito lo sta abbandonando e anche la testa non è più tanto lucida. Forse c’è del vero. Sette anni fa a questi veleni lui stesso replicava: “Per molti sono già andato di testa da anni” – ora invece non ci sono commenti. Sempre nel 2000 per dimostrare che era l’esatto contrario di un vecchio decrepito aveva chiamato a Bayreuth registi d’avanguardia. Ricordandosi del successo ottenuto nel 1976 dall’enfant prodige Patrice Chereau con la regia dell’“Anello dei Nibelunghi”, chiama per il testamento artistico religioso di Wagner, il “Parsifal”, Christoph Schlingensief, l’enfant terrible della scena teatrale tedesca. Una scelta più che azzardata come Wowa stesso poi avrebbe realizzato. Schlingensief voleva installare sul palco anche video. Ci volle la furia del “vecchio” per decidere di lasciar perdere. Infine, aveva chiamato Lars von Trier per l’“Anello dei Nibelunghi” da mettere in scena nel 2006. Sarebbe stato un colpo da maestro se il regista, di punto in bianco, non avesse dato forfait, preferendo un film con Nicole Kidman. Claus Peymann, uno dei più noti registi teatrali tedeschi, lui stesso famoso per “scandalose” messe in scena al Burgtheater di Vienna, aveva commentato queste scelte con “il vecchietto non c’è più tanto con la testa. E comunque, a me non mi ci porterebbero dieci cavalli a Bayreuth, anche se come amante dell’opera avrei certo i migliori requisiti”. Forse un po’ gli rodeva anche di non essere stato preso in considerazione.
Katharina la Valchiria, così qualcuno la chiama, studia da una vita da sovrintendente. Dopo Ragioneria si è iscritta a Scienze teatrali a Berlino. Preparazione a tutto tondo per l’erede designato del Santo Graal. Per il primo debutto come regista nel 2002 a Würzburg, sceglie un’opera del bisnonno, l’“Olandese volante”, ma non va bene. Meglio i lavori successivi, il “Lohengrin” a Budapest e il “Trittico” di Puccini a Berlino. Ora le tocca la prova del fuoco. Nelle interviste ha sempre tenuto un profilo basso. Le malelingue dicono però che da tempo agisce dietro le quinte e che la scelta dei registi d’avanguardia è farina del suo sacco. Lei non se ne cura,
così come glissa sulle rivali anche se sa che Nike e Eva non hanno affatto deposto le armi, nonostante l’età giochi a loro sfavore. Ma se con i “Maestri Cantori” non dimostrerà la sua maestria, Katharina sa che quella “commedia dell’assurdo”, definizione che Nietzsche usò per la vita di Richard Wagner, ma che si adatta benissimo anche alla storia del clan, continuerà. E’ vero che Wowa di anni ne ha 88, ma la moglie Gudrun 62, come Eva e Nike. Insomma la soap opera wagneriana potrebbe continuare. Anche perché gli esperti della saga dei Nibelunghi sanno che Gudrun è l’altro nome del personaggio Kriemhild, la cui furia per vendicare lo sposo Siegfried, è diventata leggendaria.
Andrea Affaticati
("Il Foglio", sabato 21 luglio 2007)

venerdì, luglio 13, 2007

Il Mahler di Adorno

Introduzione a cura di Ernesto Napolitano. Nuova edizione. Piccola Biblioteca Einaudi. Torino 2005, 198 pp..
In nuova edizione, e non più in gemellaggio con l'altro storico Versuch (über Wagner), sempre da Einaudi (PBE) è stato riproposto il Mabler di Adorno, cui è premessa un'introduzione di Ernesto Napolitano. Questa «costellazione di singole analisi» musicali - sottolinea il curatore citando una definizione dello stesso Adorno - non mostra agli occhi del lettore contemporaneo tracce d'invecchiamento o inattualità imponendosi, viceversa, alla sua attenzione come il saggio «più meritevole, fra quelli che ci ha lasciato in questo campo». A riprova conta il primato, in esso, attribuito all'oggetto sul soggetto, la percezione sensibile dell'Altro, il traguardo estetico riconosciuto a quanto, altrimenti, suole considerarsi gratuito, estraneo, «scarto».
Gli otto capitoli del libro, dai titoli emblematici, annunciano prospettive di analisi i cui punti di riferimento essenziali sono individuati in una concezione formale orientata in tre categorie. Adorno le cita esplicitamente all'inizio del III capitolo (Caratteri): irruzione, sospensione, adempimento. Per ognuna di esse, fornisce chiavi di lettura ed esemplificazioni, rintracciabili un po' ovunque nell'ampio saggio. Così, riferendosi al secondo movimento della Quinta Sinfonia, «la fanfara dell'irruzione prende corpo musicalmente in forma di corale, che non rimane estraneo, bensì va a collegarsi tematicamente al tutto». Tale categoria, liberata dalla sua «ingenuità e ignoranza» e strutturata musicalmente, diventa immanente alla forma. Delegata, invece, a rivestire il ruolo di quanto potrebbe genericamente indicarsi "senza tempo", la sospensione assume carattere «extraterritoriale», come nell'episodio con il corno da postiglione nella Terza. Ancora, nella stessa Sinfonia, alla fine dell'esposizione, nel primo movimento, l'epodo (Abgesang), equivalente alla terza sezione della forma strofica prediletta dai Meistersinger, si configura come adempimento; qualcosa, tuttavia, che «estraneo all'immanenza formale e alle previsioni esatte diventa a sua volta principio formale».
Nel capitolo intitolato "Romanzo", Adorno riconosce a Mahler l'intuizione che fu di Nietzsche sull'insincerità del sistema nella sua integrità. La sua musica si proietta nell'interezza
dell'esistenza, lasciandone inalterata l'oggettività, senza adottare «una metafisica di ricambio» Il procedimento è inverso a quello intrapreso dai classici. Il riferimento a Beethoven è esplicito, laddove quei «concentrati sinfonici sono sempre affiancati da opere la cui durata coincide con quella di una vita felice, piena di moto, paga in sé stessa».
Ma l'affinità più evidente tra la natura del romanzo e la scrittura mahleriana si riscontra sul versante dei Lieder che si «evolvono» nelle sinfonie e che, con esse, spartiscono il medium omogeneo dell'«oggettività stilizzata». Nel Lied von der Erde Adorno riconosce a Mahler un'autonomia stilistica, nella storia del genere, paragonabile solo agli esiti ottenuti da Musorgskij, Janácek o, in alcuni casi, Hugo Wolf, per la capacità di «travalicare il limite consueto di un testo per musica» e per la sensibilità peculiare verso un «est slavo inteso come mondo preborghese». La lettura dell'insuperato saggio, per chi non ne avesse ancora contezza, ma anche la rilettura, per tutti quelli che ne abbiano già scorso le pagine, sono oggi indotte, persuasivamente, da quest'ultima edizione che si avvale anche dell'intelligente revisione effettuata da Elisabetta Fava sulla traduzione di Giacomo Manzoni.

Maina Mayrhofer (il giornale della Musica, 07/07)

venerdì, luglio 06, 2007

Pierre Boulez: "da me a me"

L'autore dialoga "da sé a sé" qui e più avanti dandosi del voi. Per evitare sgradevoli armonici al lettore e non incappare nella cerimoniosità del lei ho preferito il più colloquiale tu.

- Il musicista è sempre sospetto, appena manifesta l'intenzione di dedicarsi a un'introspezione analitica.
- D'accordo, si è considerata volentieri la riflessione sotto l'angolo etereo delle speculazioni «poetiche», posizione prudente, dopo tutto.
- Che ha il vantaggio supremo di rimanere nel vago e di cullarsi in poche formule sperimentate. Gli infimi compiti tecnici non sono giudicati degni di figurare nelle stanze di gala; devono restarsene modestamente nei locali di servizio, e non si privano di rimproverarvi la vostra incongruenza se vi vien voglia di comportarvi altrimenti.
- Effettivamente qualche eccesso c'è stato, riconoscilo: talvolta si è passato nei locali di servizio piú tempo del dovuto; ci sono state mostrate le bollette del gas, della luce, che altro ancora... Si sono passate in rassegna, generosamente, tutte le fatture! Ma tutto questo non risolve meglio il problema! E chi, del resto, può gloriarsi di poterlo mai risolvere?
- Non saresti tuttavia corretto a non costatarlo, si rifiuta in genere l'introspezione sia dalla parte dei Guermantes... dove il regime matrimoniale dei suoni è regolato secondo una tradizione sociale intoccabile, sia dalla parte di Swann... dove l'amore libero è di rigore fra le note. Il che, in fondo, denota una sfiducia molto sintomatica nei riguardi dell'intelligenza, da entrambe le parti. E' il caso di citare Baudelaire?
- Non sarà lui a impedirtelo.
- Certo! ... Ascolta: «Compiango i poeti guidati dal solo istinto; li ritengo incompleti... E' impossibile che un poeta non contenga un critico». Ascolta ancora!
- Ancora Baudelaire?
- «Voglio illuminare le cose con la mia mente e proiettarne il riflesso sulle altre menti». Ascolta sempre!
- Sempre Baudelaire?
- «Lo scopo divino è l'infallibilità nella produzione poetica». Naturalmente si può giocare a lungo con le citazioni...
- E qualche volta a vinciperdi!"
- Ma insomma, non si ha il diritto di tenere in alta stima la propria opinione...
- Ha «fatto le sue prove», non è vero?
- ... specialmente quando rifiuta di confondere poesia e «pascolo della ragione», e «ebrezza del cuore»? Quando esige una metafora «matematicamente esatta»?... Bene, chiudiamo Baudelaire!
- Nessun garante giustificherà mai alcunché...
- Non l'avevo affatto preso come garante; in lui il dono di scrivere è superiore al mio: ha formulato l'esigenza fondamentale meglio di quanto io speri di farlo a parole.
- La modestia, questo peccato capitale!
- Pensavi fosse una professione di fede? Personale, addirittura? Devo proprio aprirti gli occhi.
- Ancora la modestia!
- Mi credi il portavoce, l'alfiere...
- Quale orgia di metafore militari! Stai forse per dire... «dell'avanguardia»?
- ... di una scuola?
- Molti la ritengono aberrante, questa scuola!
- Come? Lasciami di nuovo fare una citazione!
- La necessità è cosí urgente ... ?
- Voglio mostrarti la mia cultura! Ecco il testo: «Dovrei pregarlo di notare, su questo argomento, che quando un'opinione viene abbracciata da parecchie persone dotte, non va tenuto conto delle obiezioni che sembrano demolirla, se molto facili da prevedere; va invece considerato che chi le sostiene le ha già valutate ed essendo facili da scoprire, ne ha trovato la soluzione, visto che persevera in quel pensiero». Da chi viene questa opinione ironica e tagliente?
- Polemica pura!
- Polemica? E' un po' poco... Pascal scripsit.
- Parlava della scienza e di «persone dotte»...
- Voler circoscrivere a questo caso particolare il pensiero di Pascal, sarebbe limitarlo singolarmente. Non vi sono forse mille modi di essere «dotti»?
- Torniamo a «scuola».
- Non potrei proprio!.
- Questa parola ti ferisce?
- La trovo derisoria. E' da bottegaio voler classificare tutto per scuole; questa ripartizione su scaffalature, con etichette e prezzi, denota soprattutto un abuso di autorità, di diritto, di fiducia, insomma, di tutto quel che vuoi!
- Le divergenze di personalità ti indurranno tuttavia a costatare...
- Ahimè! Mi inducono a costatare questo: che le forze vive della creazione si sono convogliate in massa nella stessa direzione.
- Sei oltraggiosamente parziale!
- Ammettiamo pure! La critica deve essere passionale per essere esatta. Che m'importa di quel che pensa il tal raccoglitore di relitti? La mia opinione conta mille volte piú della sua; e sarà quella a rimanere.
- Ogni discussione è francamente impossibile!
- Come per me è impossibile credere in questa bottega dove le «tendenze» vengono repertoriate a maggior gloria della tolleranza. Mi vanto di essere antidilettante, sovranamente antidilettante.
- Ah! Ecco una reminiscenza sconcertante!
- Antidilettante?
- Non dimentichi che quel signore dalla «testa piccola e asciutta» diffidava molto delle variazioni brillanti sull'aria «lei sbaglia dal momento che non fa come me»...
- Sí, ma il mio caso è diverso...
- ... ed egli cercava «di vedere, attraverso le opere, i molteplici movimenti che le hanno fatte nascere e quel che esse contengono di vita interiore». Riteneva tutto ciò «diversamente interessante dal gioco che consiste nello smontarle come strani orologi».
- Occorre però saperli fabbricare questi orologi per poi darli in pasto ai «bricoleurs» dello smontaggio! Del resto il signor Croche aveva un certo dono per le formule ambigue. Che ne pensi di questa, fra le altre: «Occorre cercare la disciplina nella libertà... »? Ma se vi sono due termini antinomici, sono appunto: disciplina e libertà!
- Il signor Croche vuol brillare, fare del paradosso, ostentare la sua disinvoltura.
- Ho l'impressione che tu offenda profondamente la sua memoria. Dopo tutto, lasciami dire che non credo affatto nelle scuole; ritengo che un linguaggio sia un fatto di eredità collettiva del quale si tratta di prendere a carico l'evoluzione, e che questa evoluzione si muove in un senso ben determinato; ma vi possono essere correnti laterali, si possono produrre slittamenti, rotture, ritardi, riscoperte...
- Basta! Ti stai forviando in una «corrente» di parole pericolose che mi darebbero ragione senza troppa fatica.
- Senza troppa fatica? Un momento! In tal caso dovrei accettare come danaro contante malintesi accumulati - coscientemente o inconsciamente - dagli storici della musica. Si sono abbandonati mani e piedi legati al culto degli eroi! La reazione si è manifestata naturalmente: non si può piú parlare che di «necessità ineluttabile del linguaggio», di «leggi intrasgredibili dell'evoluzione». Come se la continuità storica non dovesse venire «rivelata» dalla personalità di eccezione!
- Sei dunque sicuro che nessuna «personalità di eccezione» salterà fuori dai dati storici implicati da un determinato periodo?
- La nascita di Atena, in un certo senso? A meno che non trovi piú seducente quella di Afrodite?
- Sii piú riservato! Dopo la tua «rivelazione», mi aspettavo già le lingue di fuoco...
- Lasciamo la mitologia, e ammetti che ti sarebbe difficile trovare questo masso erratico - «avanzo di un disastro oscuro»? - non «condizionato» dall'ambiente, come si dice. Del resto, sai che gli storici e gli esteti possono con tre colpi di penna ricollegare tutto a tutto e niente a niente: questi ragionamenti sottili sono la sostanza fondamentale di innumerevoli opuscoli... E va bene! Astraiamo i sofisti! Ti proverò che questo «condizionamento» per me non è un tabú. Pronto quasi a sottoscrivere: «l'entusiasmo dell'ambiente mi guasta un artista, tanto è il mio timore che diventi in seguito soltanto l'espressione del suo ambiente».
- Ancora una citazione?
- Indovina!
- Baudelaire, forse? Il dandy Baudelaire?
- No, Croche l'antidilettante! E poiché torniamo a lui riprendo la sua formula: «Occorre cercare la disciplina nella libertà», e sostengo, di ritorno, che non si può trovare la libertà che con la disciplina!
- Forse non sarebbe per niente d'accordo con te? Forse ti lancerebbe quel suo sorriso «lungo e insopportabile»?
- Tanto peggio! Ne sarei afflitto; ma viviamo a cinquant'anni di distanza...
- Il «condizionamento», insomma!
- Perfetto! La situazione è lungi dall'essere simile, occorre reagire diversamente: l'intuizione si applica a obiettivi differenti. Per questo è necessario esibire qualche bolletta del gas e della luce, e smontare qualche orologio...
- La tua coscienza non è tranquilla? Il capogiro ti assale! Proprio io dovrò farti coraggio?
- Coraggio? Niente affatto! Quanto al capogiro... Occorre confessarlo: il crinale è cosí stretto che talvolta si procede a passo a passo. Com'è difficile essere libero e disciplinato!
- La malinconia ti coglie, e poi l'intenerimento su te stesso! Se continui con questo tono mi costringerai a condividere le tue opinioni, perfino quelle piú estreme! Il tuo scrupolo aumenta i miei, e quasi mi rimprovero di averti preso per un settario...
- Non preoccuparti! Sono abbastanza settario da non temere il capogiro.
- Colpo di tallone e rieccoti alla superficie! E così mi ridiventi terribilmente sospetto!
- Che ti dicevo: il musicista...

di Pierre Boulez (da "Pensare la musica oggi", Nuovo Politecnico 112, Einaudi)