Gustav Mahler (1860-1911) |
Si può decifrare una vita dalle parole in punto di morte? Si può, da una strozzata successione di lettere fare come il genetista molecolare, risalire da un frammento di Dna alla specie d’uomo cui appartiene? Verso la mezzanotte del 18 maggio 1911, Gustav Mahler esala due ultime parole “Mozartl! Mozartl!”. A sentirle fu la moglie Alma, prima di essere allontanata dall’orribile rantolo agonico, nemmeno coperto dalla tempesta che quella notte stava assordando Vienna. Siano enfatiche, criptiche o banali, il rispetto per i morti – soprattutto se sono celebrità – ci fa tenere in grande stima le parole in punto di morte, anche quando dovremmo diffidare di un cervello poco ossigenato. Tuttavia, come ben sanno anestesisti ed etilisti, la resa dei freni inibitori schiude epifanie che sono nelle orecchie di chi ascolta, medici, parenti o assassini non sempre disinteressati. Se alla nostra domanda non risponde la scienza, ci prova il cinema. L’esempio più riuscito è “Citizen Kane - Quarto potere”, creato nel 1941 da Orson Welles alla veneranda età di venticinque anni (a proposito di Mozart). All’inizio del film il dolly indugia sul recinto in fil di ferro avvinto come spirali di Dna, con la scritta “No trespassing”, più un avvertimento agli esegeti che ai ladri. Nella monumentale stanza da letto del castello di “Xanadu” sta trapassando Charles Foster Kane. Ha in mano una sfera di vetro con la neve dentro: il piccolo mondo è un cottage innevato con un bambino. Il vecchio magnate con l’ultimo respiro esclama “Rosebud”. La parola avvia un’inchiesta giornalistica per svelare il cittadino Kane, il tycoon dell’editoria morto in solitudine. Si scopre che, quando la madre di Kane eredita una miniera d’oro, affida il figlio a un tutore perché lo educhi al riparo dal padre, un fallito. Charles viene strappato dall’infanzia mentre sta giocando con la sua slitta. I testimoni costruiscono un puzzle bifronte: bambino violento, direttore straordinario, megalomane, marito anaffettivo, mezzo matto (descrizioni che ritroveremo per un musicista boemo). Quando Kane avrà il controllo dei suoi beni collezionerà di tutto, ma nella sfera affettiva fioccherà solo cenere. Alla fine del film, gli spettatori – ma non gli attori – scopriranno il mistero della parola Rosebud. Mentre la roba di Kane brucia, ecco che ricompare la slitta, appena prima di ardere: è lei, Rosebud. Il film di Welles è un giallo metafisico sull’inconoscibilità dell’uomo, soggetto come una particella subatomica al principio di indeterminazione di Heisenberg: esistono tanti Kane quanti sono i testimoni che lo raccontano. Tuttavia tra la chimica degli affetti e la meccanica dei legami ci sono punti fermi: l’infanzia spezzata è il maggior determinante psichico, è lì che va ricercata l’ineffabile incompatibilità tra successo e amore. L’acqua del rivo strozzato che gorgoglia è la stessa della sorgente, più o meno azzurra e chiara.
Kane, come molti uomini baciati dal successo, non sapeva baciare. E Mahler? L’avevamo lasciato in una stanza del sanatorio Loew a Vienna, nel bel mezzo di un temporale. Quel 18 maggio 1911 era ormai mezzanotte quando la sua gola smise di gorgogliare. Aveva cinquant’anni. Era uno dei direttori d’orchestra più famosi del suo tempo e un compositore affermato. Otto mesi innanzi, il 12 settembre 1910 a Monaco di Baviera, aveva eseguito per la prima volta la sua Ottava
sinfonia in Mi bemolle maggiore, l’ultima creatura che potrà dirigere, davanti al principe di Baviera e musicisti come Richard Strauss e Anton Webern, scrittori come Thomas Mann, Arthur Schnitzler e Stefan Zweig. Un trionfo. La sinfonia verrà detta “dei Mille”, per il gigantismo di 858 coristi e 171 orchestrali (si noti la fissa numerologica di Mahler nell’8 che steso è simbolo d’infinito e nel numero palindromico dei musicisti). Quel 12 settembre Mahler è già malato, la sua valvola mitralica ha un soffio sinistro, l’eco amplificata di una cardiopatia infantile. Sinistra è anche la parola Mozartl! (non Mozart e basta): cosa voleva dire il musicista mentre moriva? Alludeva al Genio musicale, morto
a Vienna 120 anni prima? Era uno dei suoi giochi di parole con cui sposava Amadeus e la moglie (Mozartl era un nomignolo comune a Vienna) o ancora, una regressione ai Mozart-Konfekt di una rinomata pasticceria di Salisburgo (come se oggi un rocker morisse gridando “Nutella!” e un regista “Sacher!”)? L’indagine sulla parola passa per la biografia mahleriana e per la fiorentissima Mitteleuropa, l’ombelico del mondo delle due culture a cavallo tra il secolo lungo e quello breve. Era lì che, con pochissimi gradi di separazione, si poteva abbracciare il mondo intero; se Alma Schindler fosse stata Covid positiva avrebbe potuto contagiare Klimt, Mahler, Freud, Mann, Strauss, Britten, Schönberg, Toscanini, Gropious, Werfel, Kokoschka e tanti altri Vip. Gustav era nato il 7 luglio 1860 al confine tra Boemia e Moravia in una famiglia ebrea, secondogenito di 14 figli. Il padre vendeva, non prima di averli testati, liquori. Sette fratellini moriranno prima di compiere i due anni, uno si suiciderà in giovane età. I Kindertotenlieder sono già scritti. A sei anni Mahler compone musica, a otto la insegna ad allievi ammaliati, ma non solo, dai sui modi maneschi. Ha avuto una buona scuola. Come per Charles Kane anche per Gustav Mahler c’è un giorno dei giochi proibiti che segna il carattere: durante uno dei violenti litigi dei genitori scappa in strada e sente una melodia tzigana. Quel suono gitano e sensuale, lo stesso che squarcia le sue sinfonie, si imprime nella mente. Come altri suoni presi da matrimoni e funerali e dai böhmische Musikanten che passavano. La passione per gli strumenti bandistici si consolida in una caserma vicino a casa, dove la dada lo portava per distrarsi: mentre le trombe di Falloppio e i bottoni fremevano alla vista dei soldatini boemi, il piccolo
Gustav si innamorava delle marcette gonfie di ottoni. Nella sua opera tramano citazioni sfacciate o subliminali di Beethoven, Wagner e Bruckner, al pari di suoni bucolici e campanelli da slitta, campanacci alpestri e martelli, che ritroviamo un secolo dopo nelle copertine e nelle musiche dei Pink Floyd sotto forma di mucche, maiali, elicotteri ed echi di guerra: anche qui c’è un bambino, il leader Roger Waters, che la Seconda guerra mondiale strappa dal padre e dall’infanzia.
Gustav si innamorava delle marcette gonfie di ottoni. Nella sua opera tramano citazioni sfacciate o subliminali di Beethoven, Wagner e Bruckner, al pari di suoni bucolici e campanelli da slitta, campanacci alpestri e martelli, che ritroviamo un secolo dopo nelle copertine e nelle musiche dei Pink Floyd sotto forma di mucche, maiali, elicotteri ed echi di guerra: anche qui c’è un bambino, il leader Roger Waters, che la Seconda guerra mondiale strappa dal padre e dall’infanzia.
Nel cuore boemo non c’era posto solo per la musica. Gli streptococchi scorrazzavano per l’Europa dell’era pre-antibiotica, prediligendo famiglie numerose e case malsane; son batteri che di solito causano mal di gola, ma i cui anticorpi possono mirare il cuore, in particolare uno degli strumenti cardiaci, la mitrale, la valvola che separa l’atrio sinistro dal ventricolo sinistro e che ha una trentina di corde, come l’arpa (quella dell’Adagietto della Quinta). Si chiama malattia reumatica, la stessa patita dalla madre di Mahler, e colpisce anche il piccolo Gustav (ah, i geni) in modo ancora asintomatico. Maria Mahler come esito della cardiopatia portava una zoppia che il piccolo Gustav introietta e riproduce nell’andatura aritmica, stranissima, che faceva ridere i bambini per le strade di Vienna.
Il giovane Mahler dallo sguardo ardente erra per i teatri più importanti. Budapest, Lipsia, Praga, Vienna. E’ un innovatore intransigente che vuole "conservare il fuoco, non adorare le ceneri", con i legni che trova nel golfo mistico. L’ascesa di questo uomo di bassa statura, dal bel naso che erompe dall’alta fronte è inarrestabile. Vederlo dirigere – scansione dei tempi e cura dei dettagli maniacale – è un’esperienza religiosa. Due mani non gli bastavano. Immaginate Ezio Bosso 120 anni fa. Alla svolta del secolo Mahler è un quarantenne famoso, il re della musica viennese. E’ un single, non un libertino ma nemmeno uno che si tira indietro con le cantanti. Il 7 novembre 1901 in un salotto di Vienna incontra Alma Schindler, ventenne rampolla di una famiglia di artisti, precoce femme fatale in quell’ansa del Danubio per essere stata con Gustav Klimt. Alma è orfana di padre dall’età di tredici e si innamora di un uomo che ha tutte le doppiezze del Giano e del genio: direttore e compositore, ebreo e cattolico, boemo e viennese, tragico e ironico, passionale e algido, workaholic e flaneur, egotista e altruista, mistico e spregiudicato, filosofo e superstizioso, lirico e cacofonico. Nemmeno la sua mitrale era univoca: da un lato troppo stretta (stenosi mitralica) dall’altro troppo lassa (insufficienza mitralica), ma tutto questo Alma non lo sa. Le trombe di Falloppio però squilleranno presto, come nell’attacco della Quinta – una marcia funebre – e dopo quattro mesi di fidanzamento i due si sposano, in tre. Alma, versata per la musica e la vita sociale, diventa la fantesca di una star che non si è mai fatta una valigia da sola e che le imporrà di fare un pacco solo di tutte le sue aspirazioni artistiche. La donna è ambivalente, a volte detesta il piccolo uomo psicorigido che la incatena, altre si compiace di immolarsi all’altare di un genio, apparecchiando tuttavia la tavola di un bovarysmo d’alta classe. Un vero artista è un veggente. Nel 1903, all’apogeo, con la figlia Maria appena nata e un’altra, Anne, in arrivo, sposato con la donna più desiderata di Vienna, Mahler inizia la sua sinfonia più cupa, la Sesta, la Tragica. L’umbratile partitura è rischiarata solo dal tema scintillante di Alma, che appare nel primo movimento. Nel terzo si vedono i
giochi aritmici e vertiginosi delle bambine: le loro voci si fanno sempre più sinistre fino a spegnersi in gola. Nel finale deflagrano i tre colpi del destino. Anche Alma è un’artista e, cardiologa a sua insaputa. Di notte il suo orecchio finissimo ausculterà il cuore malato del marito “per anni fui spaventata dal sibilo che sentivo forte intorno al secondo tono del cuore di Gustav”. E’ il soffio al cuore, la diagnosi di steno-insufficienza mitralica, ma tutto questo Alma non lo sa. Nell’estate del 1907 a Maiernigg, sulle sponde del lago Worthersee, la primogenita Maria, occhi blu e riccioli neri, muore a 5 anni di difterite dopo un’orribile tracheotomia. E’ il primo colpo del destino. Alma sviene di continuo. Gustav piange. Il dottor Blumenthal, va e viene dalla residenza estiva. Un giorno Mahler per distrarre la moglie chiede al medico di essere visitato, lui che soffre solo di emorroidi. La diagnosi lo pugnala: vizio mitralico severo. Alma l’aveva presentito, Mahler è cardiopatico, come confermerà un luminare di Vienna. E’ il secondo colpo del destino. Mahler, ebreo in un mondo antisemita, innovatore nella culla della tradizione, viene licenziato dall’Opera di Vienna. E’ il terzo colpo del destino. Il matrimonio si raffredda, inizia il termalismo di Alma. Gustav emigra nel Nuovo Mondo, accolto dalle orchestre di New York. Al Met troverà come rivale il virile e longevo Arturo Toscanini. Saranno due anni di successi ma anche di forti tensioni con l’establishment musicale americano. Mahler è spossato dai continui mal di gola. La sua ultima sinfonia compiuta, la Nona, è un lungo addio al mondo, ultimato a Dobbiaco nel 1909. Nell’estate del 1910 alle terme di Tobelbad entra una donna piacente. Ha 31 anni. Un architetto di 27 anni va fuori piombo per la giunonica moglie di Mahler. Oggi gli amanti di whatsapp si tradiscono facilmente, basta sbagliare invio; all’epoca, Walter Gropius, il futuro cofondatore del Bauhaus, riesce a spedire una lettera d’amore al marito dell’amata, a Dobbiaco. Un lapsus da archistar. Mahler affonda ma affronta e dissuade il concorrente, perdona la moglie riconoscendo di essere stato un marito anaffettivo e impotente. La sua missione creativa si è presa tutto. “Ho vissuto in un mondo di carta” ammetterà. Diventa un maritino, lascia bigliettini ovunque, riempie Alma di nomignoli, la chiama “il mio soffio vitale”, suona i Lieder scritti da lei. Cerca Freud e lo incontra il 26 agosto 1910 a Leyden. Il papà della psicanalisi lo ascolta, per concludere che se Alma cerca nel musicista attempato il padre – complesso di Elettra –, Mahler dal suo canto è impotente per il complesso di Maria (“Marienkomplex”, Maria è il nome della madre, della figlia e il secondo nome di Alma). Il tradimento porta Mahler alla realtà e all’arte d’amare, troppo tardi. Come il cittadino Kane, ereditare miniere d’oro e talento non basta, anzi distrae. Lo stress lavorativo e coniugale deprime il sistema immunitario. Nel febbraio 1911 il cuore malato di Mahler diventa il covo dello streptococco viridans, che prima abbatte la valvola mitrale, poi infetta tutto il corpo. E’ l’endocardite batterica, praticamente un tumore maligno, in era pre-antibiotica. Mahler sa, chiede che post mortem gli venga trafitto il cuore e poi, di essere sepolto affianco la figlia Maria. “Il mio tempo verrà”, dirà. La discesa nel gorgo termina la notte del 18 maggio con due battute “Mozartl ! Mozartl!”. Mahler non parla della sua bambina morta: l’ha già scritto nella Sesta. Non parla del suo cuore fibrillante: l’ha messo nel tremolio iniziale della Nona. Non parla del tradimento di Alma, forse l’ha detto con le ultime parole: temeva che Alma si risposasse, come Constanze, la moglie di Mozart. Infatti, mentre gli streptococchi entravano nel cuore di Mahler, gli artisti entravano in quello di sua moglie per uscirne da cardiopatici. Un cuore d’artista e d’artisti. Alma si risposò con l’architetto Gropius, che non aveva mai lasciato, neanche durante la tempestosa relazione col pittore Kokoschka. Poi venne lo scrittore Werfel, che morì d’infarto. Come nel chiasma di una partitura mahleriana, contorta come un cromosoma X, Mahler muore nel giorno natale di Gropius e 58 anni dopo Gropius muore di endocardite batterica due giorni prima del compleanno di Mahler. Nel fondo del cuore covano diverse endocarditi. Quella batterica, a volte, è una metafora.
Gabriele Bronzetti
("Il Foglio Quotidiano", Anno XXV, numero 128, sabato e domenica 31 maggio 2020)
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