Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

martedì, aprile 01, 2025

Gavin Bryars: A man in a room, gambling (Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo)

Gavin Bryars (1943)
A man in a room, gambling
nasce dall’incontro tra il Gavin Bryars, contrabbassista e compositore di punta della scena inglese contemporanea, e lo scultore spagnolo Juan Muñoz, uno dei più importanti artisti degli ultimi decenni. La loro collaborazione è iniziata nel 1992 quando Artangel, nota associazione culturale londinese che dal 1985 produce importanti progetti artistici, gli ha proposto di comporre una serie di brani destinati alle trasmissioni radiofoniche britanniche. Il fatto che uno scultore possa interagire con un musicista stimola già una certa curiosità, tanto più se consideriamo la tipologia del mezzo di destinazione: la radio. Glenn Gould aveva già contribuito a valorizzare il potenziale creativo della radio nel 1967, in un programma sperimentale canadese, The Idea of  North, dove impiegò una tecnica che definì contrapuntal radio, che consisteva nel sovrapporre una serie di voci per creare un unico ambiente sonoro tra musica e parole. Nella sezione conclusiva, un soliloquio del narratore è accompagnato dall’ultima parte della Quinta Sinfonia di Sibelius, con gli accordi finali perfettamente aderenti alla cadenza verbale che contribuiscono ad enfatizzarne il senso.
In questa prospettiva, la radio può diventare un potente mezzo creativo: non solo perché stimola l’immaginazione ma anche per il suo impatto sull’ascolto, che può essere più o meno attivo in base al contesto e all’ambiente di riferimento. A questo proposito, in un’intervista rilasciata alla rivista musicale Parkett nel 1995, Bryars ha proposto alcune interessanti riflessioni sulle previsioni navali e metereologiche della BBC trasmesse sulla National Radio 4: la presentazione dei vari fenomeni atmosferici può essere descritta come una sorta di litania, alla quale la maggior parte degli ascoltatori di solito presta attenzione solo nel momento in cui si parla di una zona geografica di loro interesse. In alcuni casi, tuttavia, può accadere che certe informazioni metereologiche, che riguardano un’area di cui si percepisce a malapena l’esistenza, possano non solo destare interesse, ma anche generare uno spazio immaginario emotivamente molto potente. È in questo spazio immaginario che si moltiplicano interpretazioni, illusioni o semplici considerazioni, attraverso le quali è possibile stabilire la presenza o meno di un significato più profondo.  
L’idea iniziale di A man in a room, gambling fu di Muñoz, che scrisse dieci testi in cui descriveva come manipolare le carte da gioco o, meglio, quali trucchetti utilizzare in base alle circostanze. Parte di questi testi traggono ispirazione dal libro The Expert at the Card Table scritto nel 1902 da S. W. Erdnase, un manuale che ancora oggi viene considerato indispensabile per imparare giochi di prestigio e trucchetti di vario genere con le carte.  
L’intenzione era quella di registrare brani della durata di cinque minuti esatti, da collocare prima dell’ultimo giornale radiofonico della sera, in modo che potesse essere ascoltato con la stessa predisposizione con cui si ascoltano le previsioni metereologiche. Ovviamente la lettura di un testo segue un proprio ritmo: di conseguenza, fecero in modo di manipolarne la lunghezza affinché si adattasse al formato di cinque minuti. Inoltre, era necessario che esattamente dopo quattro secondi dall’inizio del programma Muñoz pronunciasse il suo «Good evening», così come a quattro minuti e cinquantadue secondi avrebbe detto «Thank you and good night». Bryars decise di accompagnare ogni testo con un quartetto d’archi, che avrebbero suonato utilizzando lo stesso tempo per ogni brano, ovvero ♩ = 60. La forma dei pezzi cerca di seguire la struttura del testo: un preambolo descrittivo, l’azione di prendere le carte e di mescolarle, la tecnica di manipolazione e la rivelazione del risultato. L’accompagnamento degli archi crea atmosfere suggestive con sonorità che esprimono un misto tra inquietudine e drammaticità, dalle quali spesso emerge una buona dose di suspence. Bryars riesce a combinare diverse formule compositive, spesso con funzione descrittiva, per accompagnare i testi di Muñoz: dai lunghi tappeti dissonanti ai più semplici ma non meno efficaci unisoni, dai compulsivi pizzicati ai lunghi tremoli. Tuttavia, sono piuttosto frequenti i passaggi in cui una frase melodica particolarmente accattivante distrae dalla narrazione, provocando un senso di smarrimento nell’ascoltatore che in quel momento realizza di aver perso il filo del discorso.  
Il primo episodio inizia con la frase «Welcome once again», come ad indicare un pregresso o un senso continuità con un passato che è fittizio, un voler porre l’ascoltatore dentro a qualcosa di già iniziato, di cui non conosce l’origine, ulteriormente rafforzato dalla frase «As we mentioned yesterday, we are going to explain the second part of some of the most common card tricks». In effetti è proprio questa la sensazione che si ha nel momento in cui si accende una radio: non si sa mai in cosa ci si può imbattere, una canzone, un notiziario, un messaggio promozionale. Si entra in un flusso continuo di suoni che in base alla predisposizione dell’ascoltatore può stimolare o meno delle reazioni. Alla fine dell’episodio il narratore anticipa l’argomento dell’episodio successivo, annunciando che sarà incentrato sul poker e sul bridge; in realtà queste aspettative verranno totalmente disattese, visto che nel secondo episodio si parla del Three Carded Man (corrispondente al nostro “Gioco delle tre carte”, sul quale si ritornerà anche nel nono episodio). Il senso di continuità è dunque spezzato da eventi disattesi che creano una sorta di disturbo, un lieve ma fastidioso disagio che ci impone una continua riorganizzazione mentale ed emotiva. Sembrerebbe quasi che nella meticolosa descrizione di trucchi e imbrogli l’ascoltatore stesso diventi in qualche modo vittima di un tentativo di raggiro, in cui la contraffazione del senso esprime un paradosso che suscita sorpresa e sconcerto. Da questo punto di vista è possibile cogliere una prospettiva estetica modulata sulla retorica dell’antìfrasi, in base alla quale le azioni predette puntualmente non si realizzano. 
Altri elementi contribuiscono ad aumentare il senso di dislocazione spaziale, come l’accento straniero del narratore, oppure la presenza di uno speaker giapponese che declama brevi frasi aggiuntive con ripetizioni di singole parole (in particolare nel quinto, settimo, nono e decimo episodio). In alcuni casi queste parole sono irrimediabilmente sbagliate, come quando lo speaker giapponese ripete ogni parola chiave di una frase («Little finger» - «Little finger», «Ring finger» - «Ring finger»), oppure occasionalmente scambia «Thumb» con «Little finger». Questo effetto di sconcerto è ancor più enfatizzato all’interno del nono episodio, presentato in modo apparentemente improvvisato, in cui il narratore afferma di aver perso il testo preparato e propone in alternativa la spiegazione del “trucco messicano delle tre carte”, già descritto in modo più formale nel secondo programma. La particolarità del nono episodio è la presenza di suoni ambientali, in particolare sonorità urbane, che in qualche modo ricreano l’ambientazione abituale di quel trucco, come se fosse eseguito nel suo luogo d’origine, cioè la strada. Come nella scultura, l’idea è quella di creare delle texture sonore attraverso la sovrapposizione di suoni, come se fossero strati e superfici di diversa densità e spessore, per creare una filigrana sonora.  
Rispetto al progetto originale, destinato alla trasmissione radio, l’opera si è evoluta per poter essere eseguita anche dal vivo. Bryars ha realizzato una nuova versione in cui l’orchestrazione è stata appositamente modificata, per ottenere una maggior malleabilità delle parti strumentali. In ogni caso è importante che durante l’esecuzione i musicisti, o quantomeno il direttore, siano provvisti di auricolari per l’ascolto del metronomo, affinché tutti siano perfettamente sincronizzati, voce narrante compresa, in modo da attenersi ai tempi tecnici della versione radiofonica. L’obiettivo è sempre quello di ricreare una determinata condizione d’ascolto che possa suscitare nell’ascoltatore l’impressione di un’attività che si sviluppa in uno spazio immaginario, teso a stimolare la ricerca di significati in un orizzonte popolato da ambiguità. Come nelle arti visuali, in cui la risposta viene data dal “doppio sguardo” dello spettatore, nel caso della radio l’ascoltatore viene invitato a sviluppare un “doppio ascolto” per decifrare e interpretare quell’elemento che lo stesso Bryars, traendo ispirazione da un termine coniato da Duchamp, definisce infrasottile: un aggettivo che qualifica quei fenomeni posti al limite della percezione, che sono al contempo materia ed esperienza, la coesistenza di due stati di fronte ai quali l’acuire dei sensi genera una combinazione alternativa, tangibile e possibile. L’infrasottile non trascende il reale, piuttosto ne determina un aspetto, imprime in esso un significato “altro” che l’artista vuole svelare, senza privare lo sguardo dello spettatore di quell’autonomia cognitiva che, dopo un appagante senso di consapevolezza, stimola i sensi e le emozioni pur mantenendo alta l’attenzione critica. Attraverso questo riferimento a Duchamp, Bryars recupera una traccia del passato da rielaborare in nuove forme di dialogo e di simbolismi.
Alessio Cortini
(programma di sala alla Chigiana,
10° International Festival & Summer Academy 2024 - Tracce) 


TESTO DEI 10 BRANI (originali in inglese)

I. Programme One - Bottom dealing (Distribuire dal fondo)
Buonasera. Benvenuti ancora una volta a "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Come abbiamo accennato ieri, oggi spiegheremo la seconda parte di alcuni dei trucchi con le carte più comuni che possono essere eseguiti a un tavolo da gioco. Forse uno dei più noti è la mossa apparentemente semplice del "bottom dealing" (distribuire dal fondo). Diciamo semplice perché la maggior parte delle persone che non giocano a carte professionalmente pensa che ci voglia poca abilità per prendere una carta dalla metà inferiore del mazzo senza essere notati. È vero che questa mossa non richiede un allenamento intensivo come il "double lift" o alcune operazioni di "palming" o il "Mexican three carded". Ma è importante ricordare che mentre si distribuiscono carte dal fondo, anche un solo movimento innaturale susciterà sospetti. 
Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo di carte e mescolatelo. Togliete circa metà delle carte perché distribuire dal fondo non viene solitamente fatto con un mazzo intero. È molto più facile ed efficace quando il mazzo è ridotto. I professionisti di solito aspettano gli ultimi round prima di distribuire dal fondo. Ora, mescolate metà mazzo. Ma questa volta, mentre lo fate, mettete una o più carte sul fondo del mazzo. 
Se vi sentite a vostro agio, usate un "riffle shuffle". Altrimenti, fate un "hand shuffle". Poi sarà sufficiente far scorrere le carte. Se avete già fissato il fondo del mazzo, passiamo all'argomento di oggi, che è distribuire carte dal fondo. Tenete il mazzo nella mano sinistra, ma non stringetelo. Il dito medio e il pollice faranno tutto il lavoro. Ora, spingete un po' fuori la carta superiore con il pollice, come se la steste offrendo alla vostra mano destra per distribuirla. Allo stesso tempo, piegate il dito anulare all'indietro finché l'unghia non si appoggia sul bordo della carta inferiore. Non preoccupatevi, questo sarà nascosto dalla carta che sporge in alto. Ora, forzate leggermente la carta inferiore verso l'alto e di lato con il pollice, spingendola un po' fuori. La carta superiore e inferiore sporge dal mazzo nello stesso modo. La carta superiore nasconderà perfettamente quella inferiore. Prestate molta attenzione perché ci vuole solo un secondo. Muovete la vostra mano destra come se steste per prendere la carta superiore. Nel momento in cui la vostra mano destra raggiunge la sinistra, in quel preciso momento, tirate indietro il pollice e riportate indietro la carta superiore mentre le dita della vostra mano destra prendono la carta inferiore. 
L'avete visto? L'avete visto? Domani vi insegneremo come distribuire dal fondo nello "statbucker" o quando state girando una "tramping breach". Grazie e buona notte.

II. Programme Two - Three card tricks (Il trucco delle tre carte)
Buonasera e benvenuti ancora una volta a "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Come abbiamo promesso ieri, spiegheremo come eseguire il trucco noto come "El Trile" o "three card". Avrete notato questo trucco alcune volte nelle strade del centro della vostra città. Il "Toledo", o l'uomo delle tre carte, mostra al suo pubblico tre carte a faccia in su su un tavolo pieghevole o una scatola di cartone. Una di queste è sempre un asso. Le carte sono generalmente piegate lungo la lunghezza in modo che possano essere facilmente prese per le estremità. L'esecutore mostra le tre carte una dopo l'altra. Poi le prende e le distribuisce di nuovo. Lentamente. A faccia in giù. Sul tavolo. In fila. Una dopo l'altra. In generale, non vi consiglieremmo di scommettere, ma se è quello che volete fare, spiegheremo nel programma di domani come battere l'uomo delle tre carte. 
Questa sera vi spiegheremo solo come viene eseguito il trucco. Come ogni sera, prima prendete un mazzo di carte. Non è necessario mescolare poiché useremo tre carte. Ricordate che una di queste deve essere un asso. Prendetele ora. Piegatele un po' lungo la linea della carta. Ora mettetele a faccia in giù sul tavolo, una accanto all'altra. Scegliete una delle carte a parte l'asso. Ora, usando il pollice e il dito medio della mano destra, prendetela per l'estremità lungo la linea della carta. Portatela delicatamente lungo la linea della carta e un po' a destra. Ora, senza lasciarla, posizionate questa carta esattamente sopra l'asso. Ricordate qual è? È facile perché avete solo due carte sul tavolo. Lasciate che le due carte si tocchino sul lato sinistro. E ora prendete l'asso con il pollice e il dito anulare. Rifate il movimento se volete. La vostra mano destra tiene entrambe le carte. La carta superiore sarà tenuta solo con il dito medio. La carta inferiore, l'asso, con il pollice e il dito anulare. Ora prendete la terza carta con la mano sinistra e prestate molta attenzione, perché tutto questo avviene in un attimo. Muovete la mano destra verso la mano sinistra. E con un leggero movimento verso il basso, lasciate cadere la carta superiore in modo che cada sul lato sinistro del tavolo. E poi riportate rapidamente la mano destra alla sua posizione originale. Nel momento in cui il vostro dito medio lascia cadere la carta superiore, prende il controllo della carta inferiore e il vostro dito anulare si distende completamente in modo che, quando la vostra mano torna a riposare nella sua posizione originale, gli spettatori possono vedere che il dito che teneva la carta superiore è lo stesso di prima. E il dito che teneva la carta inferiore è ora libero. Il resto è facile. Muovete la mano sinistra verso il lato destro del tavolo. E lasciate cadere la sua carta lì. Muovete di nuovo la mano destra e lasciate cadere l'ultima carta tra le altre due. Come avrete visto, il movimento falso avviene quando viene distribuita la prima carta. La mano destra sembra lasciare cadere prima la carta inferiore. Ma in realtà distribuisce la carta superiore. In ogni caso, per strada, non potete seguire la carta in questione con gli occhi. Buonanotte. Grazie

III. Programme Three - Cutting (Taglio)
Buonasera. Presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Questa sera mostreremo la soluzione più semplice e audace a un problema che è stato definito il buco nero dei giocatori di carte. Si tratta del problema del taglio. Il giocatore d'azzardo professionista sa come sistemare le sue carte prima di distribuire. Il "false rifle" e il "palm top pack" sono solo due dei tanti trucchi sottili del mestiere. Ma ogni giocatore d'azzardo, non solo un professionista, può sistemare alcune carte mentre le mescola. Tutto quello che devi fare, mentre raccogli le carte dal tavolo, è ricordare l'ordine di una mano scartata apertamente. Sia lo scarto stesso che le ultime carte giocate sul tavolo, 15 o 20 secondi sono più che sufficienti per disporre tre carte mentre le mescoli. Se nessuno al tavolo taglia, devi solo distribuire dal fondo, ma le persone tagliano a ogni tavolo da gioco, il mazzo viene tagliato dopo essere stato mescolato. 
Ora spiegheremo due modi per uscire da un taglio con le carte nello stesso ordine che avevano quando il mazzo è stato mescolato. Il primo metodo dovrebbe essere usato se stai tagliando per un compagno che è dalla tua parte. Il secondo taglio se stai giocando da solo. Ora, come ogni sera, prendi il tuo mazzo di carte, mescola e disponi alcune delle carte in cima. Ecco il falso taglio: tieni il mazzo dai lati vicino all'estremità tra il pollice e il dito medio di ciascuna mano. Tenendo la parte inferiore con la mano sinistra e la parte superiore con la mano destra, tira il mazzo inferiore verso l'alto e in avanti con la mano sinistra, portandolo verso di te e lascialo cadere. Muovi un po' la mano destra verso l'alto e fai scivolare il mazzo superiore sopra. I movimenti devono essere rapidi e puliti. 
Ora spiegheremo il secondo metodo. Prendi di nuovo il mazzo. Mescolalo. Posalo sul tavolo. Taglia tu stesso come se fossi la tua stessa vittima. Bene. Ora presta attenzione ai movimenti perché sono così semplici che richiedono un po' di audacia per essere eseguiti. Ricorda che devi spostare le carte apertamente, con naturalezza e senza fretta. L'importante è che i tuoi movimenti sembrino del tutto normali. Presta molta attenzione. Prendi il mazzo inferiore con la mano destra e invece di metterlo sopra l'altro, fallo scivolare lungo il tavolo fino alla tua mano sinistra. Ora prendi il secondo mazzo e mettilo sopra nello stesso modo. Incredibile. È incredibile. Buonanotte e grazie.

IV. Programme Four - Shifting upper pack to bottom (Spostare il mazzo superiore in fondo)
Buonasera. Benvenuti ancora una volta a "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Questa sera vi insegneremo una delle cose migliori che si possono fare a un tavolo da gioco. Alcune persone con un alto senso morale usano la parola trucchi per descrivere queste tecniche sottili. Ma preferiamo chiamarle artifici. Abbiamo menzionato prima che è importante sistemare le carte quando le raccogliete dal tavolo e squadrate il mazzo. Anche prima di iniziare a mescolare. Ad esempio, se raccogliete il mazzo dopo un giro di poker in cui sono state mostrate due mani, una con una coppia, un'altra con una carta dello stesso valore di quelle nella coppia. In questo caso, un semplice sguardo è sufficiente per disporre il piccolo mazzo. Potreste ovviamente lasciarle in cima, ma non sarebbe molto utile. Conoscere due o tre carte in fondo al mazzo è un grande vantaggio per il giocatore d'azzardo esperto. Quando un professionista gioca da solo, distribuirà senza mettere il mazzo inferiore sopra dopo la mescolata, oppure le palmerà mentre mescola o potrebbe addirittura fare un piccolo salto dopo la mescolata, quello che chiamiamo un "salto". 
Questa sera vi insegneremo come prendere le carte lasciate in cima, quelle che avete disposto mentre mescolavate e che abbiamo menzionato in altre sere come il mazzo superiore. Vi insegneremo come spostare queste carte in fondo al mazzo in modo che possiate distribuirle dal fondo. Ancora una volta, come ogni sera, prendete il vostro mazzo di carte. Mescolatelo. Scegliete tre carte e disponetele in un mazzo superiore. Ricordate che in tagli di questo tipo è importante che le dita siano posizionate nella giusta posizione. Dovete tagliare le carte solo con il pollice e il dito medio. Gli anulari dovrebbero essere piegati contro l'estremità del mazzo e gli indici dovrebbero essere piegati sopra il mazzo in modo che non ostruiscano la vostra vista. 
Tenete il mazzo dai lati vicino alle estremità, tra i pollici e i medi di ciascuna mano. Allontanate un po' il mazzo dal tavolo e separate il mazzo inferiore con la mano destra. Lasciate cadere il mazzo nella vostra mano sinistra sul tavolo. Ora posizionate il dorso della mano destra sopra. Ma questo è importante. Tenete un po' di spazio tra i due finché non segnate una pausa con il pollice destro sul bordo del mazzo inferiore. Ora, apparentemente squadrate. Allontanatevi di nuovo dal tavolo. Di nuovo con entrambe le mani. Poi, usando la mano sinistra, separate il mazzo che è rimasto sopra la pausa. Continuate. Separate con la mano sinistra piccoli mazzi. Lasciandone cadere uno sopra l'altro. Ora lasciate cadere l'ultimo sopra con la mano destra. La freccia in basso. Ora potete iniziare a distribuire. Grazie e buonanotte.

V. Programme Five - Sorting 3 cards in a pack (Ordinare 3 carte in un mazzo)
Buonasera. Presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Oggi vi mostreremo come sistemare tre carte in un mazzo. Il sistema che utilizzeremo è adatto a qualsiasi gioco in cui le carte vengono distribuite singolarmente, come nel poker e in molti altri. Un piccolo avvertimento prima di iniziare. Faremo il programma di oggi davvero lentamente. Quando parliamo di un "jog" nella mescolata overhand, quella carta che sporge un po' meno di un quarto di pollice dal resto del mazzo. Tutto quello che dovete ricordare è che l'in jog è la carta che sporge sopra il vostro mignolo e l'out jog è quella sopra il vostro indice. 
Ora decidete quanti giocatori saranno al tavolo. 4 è il numero usuale, 3 se preferite. E ricordate che, quando mescolate e sistemate le carte in questo modo al tavolo, dovete farlo senza guardare il mazzo. Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo. Fate una mescolata overhand. Mentre disponete 3 carte in cima. Circa metà del mazzo dal fondo. Sistemate la carta superiore all'in jog. Saltate due carte, meno del doppio del numero di giocatori. Saltate una all'out jog e mescolate il resto sopra. Tagliate sotto il jog dell'out jog per fare una pausa sotto l'in jog. Ora saltate una carta meno del numero di giocatori. Poi, con la vostra mano sinistra, lasciate cadere in un mazzo tutte le carte che ci sono dalla pausa. Saltate una. Saltate un'altra all'in jog e contandola mentalmente come una. Continuate a saltare finché non arrivate a uno meno del doppio del numero di giocatori. Saltate una all'out jog. E mescolate il resto sopra. Tagliate sotto l'in jog. E lasciate cadere il mazzo sopra. Ora ascoltate attentamente. Tagliate sotto l'out jog. Saltate una meno del numero di giocatori. E ora lasciate cadere il resto sopra. Il risultato è che le tre carte disposte nella mescolata andranno a chi distribuisce per i primi tre giri. Grazie e buonanotte.

VI. Programme Six - Taking cards from the bottom (Prendere carte dal fondo)
Buonasera. Ancora una volta presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Questa sera, come promesso, spiegheremo come prendere una carta dal fondo quando distribuite a poker stud o girate una carta a briscola. Il punto non è solo prendere la carta dal fondo, ma farlo sembrare come se steste prendendo quella in cima. Spiegheremo come un giocatore normale gira la carta superiore e come un giocatore d'azzardo esperto dovrebbe girare la carta inferiore in modo che sembri quella superiore. Come se tutto fosse fatto normalmente. Ma prima, ricordiamo brevemente quello che è forse il trucco più utilizzato nel repertorio professionale: distribuire dal fondo del mazzo. 
Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo di carte. Tenetelo con la mano sinistra. Spingete fuori un po' la carta superiore con il pollice, come se la steste offrendo alla vostra mano destra per distribuirla. Ora premete la carta inferiore con il pollice. Forzatela leggermente verso l'alto e di lato, contemporaneamente spingendola un po' fuori. Bene. Ora avete due carte, la superiore e l'inferiore, che sporgono dal mazzo nello stesso modo, con una sottile differenza. La carta superiore è perfettamente nascosta dall'inferiore.
Prestate molta attenzione perché tutto avviene in un lampo. Muovete la mano destra, apparentemente per prendere la carta superiore. Ora, in quel momento, fatelo ancora una volta. Muovete la mano destra verso sinistra per prendere la carta. Ora scorrete il pollice all'indietro e ritirate la carta superiore nello stesso momento in cui prendete la carta inferiore. Bene. 
Come gira una carta un giocatore normale quando distribuisce a poker stud o gira una carta a briscola? Prende le carte dal tavolo con la mano sinistra. Inverte la mano destra. Tiene il fronte della carta con le dita e il retro con il pollice. E gira la carta prima che sia completamente separata dal mazzo. No. Un professionista non usa mai la posizione della mano invertita perché sarebbe difficile rimuovere la carta inferiore senza fare rumore. La mano sinistra fa tutto il lavoro. La destra la nasconde soltanto. Squadrate di nuovo le carte. Distribuite una carta dal fondo. Spostatela di un pollice circa dal mazzo. Ora giratela. Bene.  Grazie e buonanotte.

VII. Programme Seven - Sorting 2 cards in a pack (Ordinare 2 carte in un mazzo)
Buonasera. Presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Oggi, seguendo il programma di ieri, vi spiegheremo come sistemare due carte in un mazzo. Un piccolo avvertimento prima di iniziare. Faremo il programma di oggi davvero lentamente. Quando parliamo di un "jog" nella mescolata overhand, quella carta che sporge un po' meno di un quarto di pollice dal resto del mazzo. Tutto quello che dovete ricordare è che l'in jog è la carta che sporge sopra il vostro mignolo e l'out jog è quella sopra il vostro indice. 
Ora decidete quanti giocatori saranno al tavolo. Quattro è il numero usuale, tre se preferite. E ricordate che, quando mescolate e sistemate le carte in questo modo al tavolo, dovete farlo senza guardare il mazzo. Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo. Fate una mescolata overhand. Mentre disponete 2 carte in cima. Tagliate circa metà del mazzo dal fondo. Sistemate la carta superiore all'in jog. Saltate due carte, meno del doppio del numero di giocatori. Ora saltate una, lasciandola all'out jog e mescolate il resto sopra. Tagliate sotto l'out jog, facendo una pausa sotto l'in jog. Saltate una carta meno del numero di giocatori. Poi, con la vostra mano sinistra, lasciate cadere in un mazzo le carte che ci sono fino alla pausa. Saltate tante carte quanti sono i giocatori. Saltate una all'out jog. E mescolate il resto sopra. Tagliate sotto l'in jog. E finite il taglio.
Ora ascoltate attentamente. Buona fortuna. In questo modo, le due carte disposte all'inizio andranno a chi distribuisce per i primi due giri. Grazie e buonanotte.

VIII. Programme Eicht - Getting rid of extra cards (Liberarsi delle carte extra) 
Buonasera. Ancora una volta presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Questa sera non spiegheremo come eseguire un trucco, perché ogni giocatore sa come darsi una o due carte extra quando distribuisce. Piuttosto, vi mostreremo come sbarazzarvi della carta o delle carte extra che avete in mano. Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo. Mescolatelo. Distribuite. E perché non darvi una carta extra? Scegliete quale sarà la vostra carta. Ora avete la vostra mano più una carta extra. Cosa fare con quella carta? Non vi consiglio di "andare a ovest" con essa, cioè, lasciarla cadere in grembo o nasconderla nella manica, o addirittura gettarla nel mucchio con i vostri scarti. Questo non è artistico, è pericoloso e degno di un principiante o di un dilettante maldestro. Prima di sbarazzarvi della vostra carta, dovete palmarla, cioè, nasconderla nel palmo della mano e poi rimetterla quando prendete il mazzo per distribuire una seconda volta. 
Quindi, ricominciamo. Prendete il mazzo completo. Mescolatelo. Distribuite. E di nuovo, datevi una carta extra. Fate la vostra scelta. E ora mettete la carta extra in cima. Prendete le carte come fareste normalmente quando pareggiate il mazzo. Poi mettete il vostro pollice sotto il centro della carta superiore e allineate le altre dita con la parte superiore della carta. Posizionate la vostra mano destra sopra le carte, come se steste semplicemente pareggiando. Lasciate il pollice nell'angolo inferiore sinistro. Ora, con il pollice sinistro, spingete la carta superiore diagonalmente verso il lato destro. La vostra mano destra copre questa mossa. Premete leggermente con il mignolo destro e notate come la carta superiore, quella extra, si piega e si attacca al palmo della vostra mano. Tenete il resto delle carte con il pollice e il dito medio della vostra mano destra. Lasciate il resto delle carte sul tavolo quando scartate. Le vostre mani sono vuote. Muovete la mano destra verso il tavolo, in modo naturale e rilassato, e poi palmate la carta. Ora prendete il resto del mazzo per distribuire una seconda volta. Ricordate che la carta superiore sarà distribuita per prima. E nel poker, sorridete dentro di voi e mai all'esterno. Grazie e buonanotte.

IX. Programme Nine - Three card trick / The Mexican Row (Il trucco delle tre carte / La riga messicana)
Buonasera. Buonanotte. Ancora una volta presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Un uomo nella stanza. Giocando d'azzardo. 
Inizieremo il programma di oggi, se possiamo, con delle scuse: abbiamo perso il programma di oggi da qualche parte in una piccola tasca di memoria o, meglio, abbiamo perso il testo che intendevamo leggere. Ma comunque, dato che lo avevamo promesso in precedenza, spiegheremo il gioco che le forze dell'ordine hanno davvero preso di mira. Quello conosciuto come il trucco delle tre carte o a volte anche come il rotolo messicano. Trucco messicano dei tre quarti. 
Fondamentalmente, il trucco è solo uno scambio di carte, uno scambio di carte che tutti hanno visto, e a volte nella propria strada centrale della città. Il trucco delle tre carte. 
Usando un tavolo pieghevole o una scatola di cartone coperta da un panno, il performer mostra i volti di tre carte e le posa lentamente in fila. Finge di confondere il pubblico spostandole sul tavolo. Poi, per spiegare il gioco, mostra il volto di una carta e poi la gira di nuovo. Carta. 
La infila sotto un'altra carta in modo da spingerla su fino a farla girare anch'essa a faccia in su. Fa lo stesso con la terza carta. È solo. 
Non vi consigliamo di scommettere perché le vostre probabilità di perdere sono del 100%. Grazie mille. 
Nel nuovo trucco delle tre carte che abbiamo spiegato la scorsa settimana, se lo spettatore scommette senza guardare le carte o l'azione, la probabilità di perdita sarebbe di due a uno contro di lui e di due a uno a favore del truffatore. Potrebbe teoricamente far saltare il banco. Grazie mille. 
Ma in questa versione, l'asso non è mai la carta su cui puntate, perché il truffatore dall'altra parte del tavolo scambia la carta a sua scelta con quella che scegliete voi. Fa il trucco. 
E poi scambia quella con la terza carta quando tutto ciò che sembra fare è girarle. Giù il numero di giocatori. 
Ora ripassiamo con il mazzo. Come ogni sera, prendete il vostro mazzo di carte. Oggi non è necessario mescolare perché useremo solo. Hey. 
Tre carte. Il trucco delle tre carte. 
Ricordate che una di esse deve essere un asso. Prendete le tre carte. E posatele sul tavolo. A faccia in giù. Una dopo l'altra. Mettete una da parte. Grazie mille.
Ora prendete una delle due carte rimanenti nella vostra mano destra. Mano destra. Tenetela tra le punte del pollice e dell'indice, ma il lato destro vicino all'angolo inferiore con il pollice sopra. Pollice, indice, mignolo. 
Fate scorrere il lato libero di questa carta nel lato destro della carta sul tavolo. Fino a quando 2/3 di essa sono nascosti e tutto ciò che si vede è 1 centimetro nella parte superiore. L'angolo rialzato in basso della carta sul tavolo ora poggia contro la punta del vostro dito medio. Ora fate molta attenzione. Fate scorrere il pollice verso l'angolo della carta sul. Tavolo, tenendola contro il vostro dito medio. Pollice. 
Portatela un po' a destra e girate la carta inferiore con la punta dell'indice. In quel singolo. 
Non dovete mostrare la minima esitazione mentre fate questo. Quando infilate la carta nella vostra mano sotto la carta sul tavolo e poi girate quella nella vostra mano come se fosse quella sul tavolo, dovete fare tutto in un unico movimento. Ora fate scorrere la carta sul tavolo sotto la terza carta. Carta. 
E fate lo stesso scambio. Il trucco delle tre carte. 
L'importante è non mostrare alcuna esitazione. Nessuna indecisione. Bellissimo, bellissimo, bellissimo. Molto bene. Grazie e. Buonanotte. Buonanotte. Bellissimo.

X. Programme Ten - Reprise "Dealing from the bottom" (Ripresa "Distribuire dal fondo")
Buonasera. Ancora una volta presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Durante le serate recenti vi abbiamo parlato di alcuni artifici e tecniche che potete eseguire a un tavolo da gioco. Tutto ciò di cui stiamo parlando è l'abilità di prendere qualsiasi carta, distribuirle e trasformarle in una mano vincente. Qualche volta, in questa breve esposizione dell'arte e della scienza della manipolazione esperta delle carte, abbiamo seguito l'opinione del maestro canadese W.S.W. Erdnase, secondo cui il professionista è più innamorato del caso che del gioco d'azzardo in sé. Ed è vero, ciò che distingue principalmente il professionista è che è guidato dal suo amore per l'atto del gioco d'azzardo, mentre altri sono motivati dall'avidità. È quasi una regola che il principiante vincerà la sua prima mano a un tavolo di poker, ma raramente avrà i suoi soldi intatti dopo la prima ora. Parlando di carte, vi abbiamo mostrato in queste serate come unirle o separarle e come posizionarle dove volete mentre mescolate casualmente. Abbiamo spiegato come distribuirvi una carta extra e come sbarazzarvene in modo naturale ed elegante. Vi abbiamo insegnato come fare un falso taglio e alcuni modi di sistemare le carte mentre mescolate. In questo programma ripasseremo una delle routine di nuovo, sebbene forse un po' più brevemente di quanto abbiamo fatto l'ultima volta. Più di qualsiasi altro, questo è l'artificio che, se fatto correttamente, permette al giocatore professionista di aumentare le sue vincite, per poi sperperarle. Stiamo parlando di distribuire dal fondo del mazzo. Come ogni sera, prendete il vostro mazzo. Mescolate. Rimuovete grossomodo metà delle carte. Perché distribuire dal fondo non si fa di solito con un mazzo completo. È più facile e più efficace quando è ridotto. È una norma tra i professionisti aspettare fino a dopo aver scartato prima di distribuire dal fondo. Bene. Bene. Mescolate di nuovo la metà del mazzo. Ma questa volta, mentre lo fate, mettete uno o più tagli sul fondo del mazzo. Cominciamo. Tenete il mazzo nella mano sinistra. Non stringetelo troppo. Il vostro dito medio e il pollice faranno tutto il lavoro. Spingete la carta superiore un po' fuori con il pollice, come se la steste offrendo alla vostra mano destra per distribuirla. Allo stesso tempo, piegate il dito anulare all'indietro fino a quando la punta non poggia sul bordo della carta inferiore. Non preoccupatevi, questo sarà nascosto dalla carta che sporge in alto. Ora spingete la carta inferiore un po' in su e di lato con il pollice, spingendo verso l'alto. Notate che le carte superiore e inferiore sporgono dal mazzo nello stesso modo, quella superiore nasconde perfettamente quella inferiore. Bene. Continuiamo. E ora prestate molta attenzione perché tutto dura un secondo. Muovete la mano destra come se doveste prendere la carta superiore e nel momento in cui la vostra mano destra raggiunge la mano sinistra, in quel preciso momento, ritirate il pollice e tirate indietro la carta superiore mentre il vostro dito destro prende la carta inferiore. Avete visto? Avete visto? Grazie mille per essere stati con noi. Buonanotte e tanta fortuna. 

venerdì, marzo 21, 2025

Parola d'ordine nella pubblicità: far finta di non conoscere la musica classica

Non è incompetenza, è saccheggio premeditato.

Un fatto. Ripresa stuzzicante su gambe femminili nude, poi la caduta molle di un asciugamano, presumibilmente allacciato ai fianchi, che lascia presumere più peccaminose immagini. Seconda inquadratura: le gambe e il resto sono già nella vasca da bagno. anzi praticamente ne stanno uscendo; tra il visto e il non visto (sali da bagno sulfurei?) la nostra eroina, verso lo scoccare dei fatidici 30 minuti secondi, si riappropria di un accappatoio candido. appena in tempo perché una suadente voce fuori campo insuffli in orecchie ormai corazzate la marca del bagno. Finisce così troncato anche l'arpeggio del beethoveniano Chiaro di Luna che aveva obbedientemente accompagnato (anche se leggermente a disagio nel settore igienico sanitario), le sequenze.
Un antefatto. Tanti anni fa, alla preistoria della televisione. Il cartone animato con un personaggio simpaticissimo mezzo Rascel e mezzo Eta Beta che nelle praterie più ampie concesse dal leggendario Carosello. faceva e disfaceva e poi scappava sempre sul ritmo irresistibile della mozartiana Marcia turca adattata ai suoi passi. Sì, era proprio Angelino. felice parto di un qualche detersivo di epoche remote. L'antefatto è quasi storico mentre il fatto è casuale, uno dei tanti acchiappati involontariamente giocherellando con il telecomando in un uggioso pomeriggio invernale. Ma sono lo spunto per la nostra ricerca.
Perché la pubblicità sente il bisogno di associare a determinate immagini la musica «colta» o più genericamente classica. Perché l`uso fatto e in linea di massima deprimente per la categoria musica classica in toto. Secondo quali principi viene selezionata, più spesso sezionata, quasi sempre trasfigurata. Il discorso poteva essere impostato in due modi. O riferendoci alle più recenti conquiste della semiologia musicale e delle scienze legate ai mass media per teorizzare, con l'apporto dei vari Eco & C., una precisa casistica di sfruttamenti da cui torchiare ed estrarre tutta una serie di principi di comunicazione e/o di sfruttamento sostanziale; un repertorio da complementarizzare con quello già operante nel campo dello specifico visivo per aver un quadro spaventosamente esauriente dell'ambito sempre più scientifico in cui si muove tutto il mondo della pubblicità.
Si poteva farlo, e non è escluso che se ne riparli. Per questa volta ci siamo accontentati di una piccola ricerca «sul campo». Parlando con alcuni tra i più  esperti e famosi creative-man, con registi, responsabili di produzioni musicali varie, soprattutto nella prospettiva di raccogliere qualche dato di partenza concreto sulla funzione della musica classica in questo campo così sensibile ai mutamenti di umore, all'aggressività dei creatori, alla frequente incompetenza dei committenti, ai refoli di gusto imprevedibili, causati o sofferti dall`industria stessa.
Suono e immagine -  La pubblicità parte dal concetto realistico espresso in modo lapidario dal sociologo americano Marshall McLuhan quando scrive che «l'oggetto della comunicazione non + tanto importante per sé, ma per il modo in cui ci viene comunicato». Semplificando tutte le teorie annesse e derivate, per quel che interessa la nostra ricerca è sufficiente ritenere il concetto di base e che vuole la pubblicità affidata principalmente a tre fattori: immagini, parole e musica. Se sull'importanza dei primi due elementi nessuno nutre dubbi, sul ruolo della musica come vedremo non tutti sono d'accordo (tanto per intenderci ci riferiamo. e lo sottintendiamo quindi. solo alla pubblicità audiovisiva).
In un intervento sullo Speciale Pubblicità Domani del maggio scorso Sandra Mazzucchelli di 'Le Parole e le immagini' indica per la musica un'utilizzazione che tenga conto della specificità simbolica «al di la della sua funzione ludica o di accompagnamento, o di sottolineatura, o di 'tappabuchi'. In un film pubblicitario la musica è un po' la spina dorsale: può raddrizzare. rinforzare indebolire, stonare il tutto (...) può insomma aggiungere sfumature che le altre espressività difficilmente riescono a raggiungere. regalandoci una nuova forma di linguaggio nel linguaggio: la stessa cosa con musiche diverse cambia completamente di significato o di intenzione».
Poiché la dichiarazione viene da un esperto del settore l'assumiamo come punto di partenza. Cioè si postula - per usare le parole di Gino Stefani - che «la musica non è da capire ma da usare». Il semiologo però circoscrive subito il problema: intanto ponendo l'affermazione apparentemente paradossale nel quadro di una serie di ipotesi, anzi di 'punti di vista' di base per Capire la musica. In secondo luogo svolgendo l'assioma: «dietro questa idea si intravede lo schema produzione-prodotto-consumo, analogo a quello della comunicazione. Ora, mentre per il destinatario era essenziale preoccuparsi delle intenzioni del mittente per capire il messaggio, il consumatore invece può prescindere tranquillamente dalle idee del produttore; d'altra parte il prodotto, ossia l`oggetto musicale, non impone di per sé all'utente un modo unico di fruizione, come dimostra la storia delle funzioni e funzionalizzazioni della musica classica e popolare. Conclusioni: libertà di uso (...). Prendiamo pure la musica come oggetto; ma capire un oggetto vuole dire cercare di vedere com'è fatto, a che cosa serve e che cosa significa».
Questo problema non si pone al pubblicitario che, realisticamente. tratta la musica come oggetto, e basta.
Un oggetto non sempre comodo; scomodissimo se si tratta di quella classica difficile da far rientrare nel limite temporale dei famigerati 30 secondi che rappresentano la durata media dello spot. Diventa quindi necessario un ridimensionamento dell'autonomia musicale. Ecco che nasce l`unità di misura musico-pubblicitaria, il 'jingle'. Letteralmente cantilena, melodia ripetitiva; nell'applicazione pratica quel motivo musicale ripetuto (anche poche volte, ma al momento giusto) che non da l'assuefazione ma costringe la gente a memorizzarlo, nell'associazione, con un determinato prodotto. Gli esempi sono innumerevoli, e ognuno ha i suoi.
E chiaro che per definizione il jingle è qualcosa che si contrappone al respiro della musica classica, regolato unicamente da metri di ordine formale o stilistici.
La mentalità comune, in compenso, assegna alla musica classica una serie di convenzioni di significato facilmente commerciabile. Non è una scoperta  recente, questa. Anche storici della  musica attendibili hanno in varie occasioni tentato di associare stabilmente determinati stati d'animo o situazioni ambientali a singoli accordi o tonalità (non consideriamo quella dichiaratamente descrittiva, che comunque tiene per sé ancora tale autonomia musicale, almeno nelle partiture più famose, da far scivolare la qualifica pittorica quasi in secondo piano). Anche un saggio mozartiano serio come quello scritto nel 1962 da Aloys Greither propone un capitolo dedicato al 'carattere della tonalità' (stimolante per le idee ma pericoloso da assorbire acriticamente) che rivela coincidenze preziose.
Purtroppo il punto di partenza del pubblicitario è meno aristocratico. «Per arte e necessità è dotato di una cultura speculare, nel senso che riproduce quella media del pubblico», afferma Emanuele Pirella della Agenzia Italia, «di conseguenza nel campo della musica classica siamo a livello bassino. Si finisce quindi per ricorrere sempre alle stesse cose, quelle che circondano anche noi come ascoltatori».
E questo è un dato di fatto riconosciuto da tutti, di malavoglia anche dai pubblicitari che per interesse personale hanno con la musica classica un rapporto per niente superficiale. La parola d'ordine per sfruttarla è far finta di non conoscerla.
Classic jingle-man - Continuiamo la conversazione con Pirella. «E quando dico cose note, intendo proprio quelle che non si possono ignorare, almeno all'orecchio, come l'attacco delle Quattro stagioni o il finale della Nona di Beethoven. E l'utilizzazione deve avvenire sempre sul versante descrittivo o d'atmosfera: sono inutili musiche in qualche misura significanti. La gente sente una cosa nota, e ciò basti, perché poi non è in grado di compiere il passo successivo e darle una paternità.
Esiste un secondo equivoco costituzionale all`utilizzazione del classico, e che ne determina il ruolo subordinato: nell'ambito pubblicitario agiscono due stimoli primari: il noto e l'inaspettato. La musica rappresenta la prima costante quindi non può permettersi ruoli sofisticati. Per di più la cattiva utilizzazione fin qui fatta ha ribadito l'impressione e l'equazione errata per cui il classico va considerato musica vecchia, buona solo per accompagnare e possibilmente in sottofondo. Esiste anche una carenza organizzativa ben precisa; mentre nel campo pop, country e leggero in genere esiste il jingle-man, per la classica si va a spanne e conoscenza personale. Sono comunque persuaso che con maggiore intelligenza e ironia la musica classica potrebbe trovare un campo di utilizzazione molto più vasto e stimolante».
Pace tra lama e pelle - Viceversa capita più spesso che la musica classica venga fraintesa e sfruttata secondo principi da far rabbrividire l'appassionato. Fabio Ritter è il responsabile della Circle. una società che si dedica particolarmente alla produzione musicale. Jingle per tutti i gusti, soprattutto originali; quelli che possono decretare la fortuna di uno spot intero. Ma anche qualche inserzione di classico. D'accordo quando Ritter parla di come la loro ricerca sia volta «a creare uno stimolo di attenzione». È semmai divertente sapere che per una pubblicità radiofonica è stato utilizzato un brano di Haendel, non meglio identificato. di «musica da chiesa». Fin qui niente di strano, bello è il meccanismo
mentale e promozionale che ha portato a tale scelta e che Ritter ci descrive con comprensibile ironia: «Il prodotto era una crema da barba, il messaggio faceva riferimento alla gradevolezza del prodotto tra pelle e lama. In quella  musica di Haendel il concetto di pace sembrava evidente, quindi è stata utilizzata per sottolineare la pace tra lama e pelle... È forse un caso limite, ma può anche non esserlo. D'altra parte per conto mio la musica classica è usata fin troppo mentre non è costituzionalmente in grado di sopportare un fatto visivo, a meno di non essere impiegata con distacco, in contrasti divertenti. Comunque all'obbligatorio accostamento visivo si arriva scegliendo musiche descrittive; anche perché e l'unico modo per tranquillizzare il cliente ignorante. Si potrebbe adottare il classico come musica d'ambiente, ma data l'incultura musicale sarebbe ipotetica la resa dell`accostamento».
Sulla medesima linea è l'opinione del regista Livio Mazzotti persuaso che lo sfruttamento classico passi necessariamente attraverso il tramite avviliente delle più radicate «retoriche musicali. Ci sono dei dati sedimentati nell'orecchio della gente; non sono veri dati musicali ma piuttosto la tendenza ad associare alla musica delle sensazioni: l'abbandono, la forza, l'emozione, la solarità. Facendo leva su ciò il pubblicitario finisce per estremizzare in peggio l'operazione intrapresa da Walt Disney  con Fantasia: le note della Pastorale riportavano alla memoria immagini della fantasiosa grecità hollywoodiana, oggi le note di uno spot, magari le stesse, rimandano a una scatoletta qualunque. Il definitivo sputtanamento della musica classica da parte dei pubblicitari è limitato solo dall'utilizzazione non frequentissima». Chiediamo il perché. «Fondamentalmente perché, sul mezzo minuto dello spot, solo 5-6 secondi sono quelli che contano veramente: costringere entro questo brevissimo spazio un qualsiasi spunto musicale classico è quasi impossibile e inutile. L'impedimento è quindi fondamentalmente pratico, non certo etico. Talvolta viene superato con l'adattamento moderno dello spunto originale ma solo raramente tale trasformazione vale il lavoro. Tutti questi problemi ovviamente non esistono quando il prodotto da pubblicizzare è già nel  campo musicale classico, come può  essere una collana editoriale: lì basta scegliere lo spunto più celebre che si ha sottomano. L'attacco della Quinta di  Beethoven, per esempio, funziona sempre».
Quale musica  - Il problema del repertorio viene affrontato con lucidità da Franco Bellino dell`Agenzia Nck, appassionato di musica classica e particolarmente attratto dalle problematiche della musica contemporanea. Ammette, e come  potrebbe non farlo, la limitatezza delle scelte, ma riprende anche il discorso già messo per iscritto qualche mese fa sul settimanale specializzato Pubblico, proponendo una singolare riflessione. «Se va bene la cultura musicale classica della pubblicità si ferma a Strauss aggirando già Mahler; pure l'espressione degli stati d`animo elementari illustrati dagli spot potrebbe benissimo essere sottolineata da musiche di Sciarrino o Togni. Ma nemmeno Ives o Schoenberg trovano posto, né Webern che ha scritto su durate aforistiche singolarmente adattabili ai tempi pubblicitari. Per conto mio la ragione va ricercata, oltre che nell'ignoranza di chi si occupa delle scelte, nella natura stessa di quelle musiche. Tutto il mondo post-tonale esprime una critica sociale così chiara e feroce alla società dei consumi, alla tradizione considerata come punto consolatorio e assoluto. Di qui l'incompatibilità spontanea con tutto il messaggio della pubblicità (che deve essere positivo) e che della società dei consumi è una delle manifestazioni più tipiche. Il rifiuto della musica contemporanea non è solo determinato dal fatto superficiale della difficile memorizzazione, ma va considerato come la rinuncia consapevole a uno strumento inconciliabile costituzionalmente alle finalità della comunicazione necessaria alla pubblicità. Questa caratteristica di accompagnamento che disorienta e mette a disagio accompagna ogni sfruttamento della musica contemporanea; pensiamo soltanto all'applicazione più comune per suspence, tensione o angoscia nei gialli». Finora però s'è parlato in generale di musica classica ma sottintendendo l'esclusione dell'opera,  perche? «E' vero, 1'uso è limitatissimo. Principalmente perché fino a qualche anno fa l'appassionato d'opera veniva snobbato a livello comune; poi c'è il problema di conciliare il messaggio pubblicitario verbale con un'accompagnamento da parte sua già vocale. Ci sono stati però esperimenti per sfruttare la popolarità di determinati motivi, ma evitando di mantenere l'originale. Una famosa pubblicità per un brodo era basata su un gruppo di vocalisti che proponevano il messaggio pubblicitario intonandolo su celebri arie d`opera, una più recente lo sovrappone alla cavatina di Figaro, cantata alla maledetta dallo stesso attore protagonista. Ma come si vede sono casi in cui la specificità operistica viene tradita completamente. Ultimo motivo che rende controproducente l'utilizzazione del melodramma (ma per estensione di tutta la musica classica) l'opinione che sappia di vecchio, e non possa giovare al messaggio pubblicitario, che dev'essere necessariamente e totalmente 'nuovo'».
Altro problema è la posizione della musica nel processo di realizzazione audiovisiva. É capitato che sia stato uno spunto musicale a suggerire precisi effetti visivi? Al contrario; esistono spot già destinati nel progetto all'illustrazione musicale classica? «Niente di tutto ciò. La musica nella strategia di  comunicazione occupa un ruolo non  trascurabile ma gerarchicamente e praticamente finale. Il messaggio pubblicitario di norma è già espresso completamente a livello visivo e verbale; alla musica rimane il compito di rinforzarlo o semplicemente ritmarlo con efficacia. L'intervento musicale avviene sulla fase del montaggio, nel corso del quale si ascoltano vari dischi o si commissionano jingle dalle caratteristiche precise. Può capitare tuttavia che si inciampi in musiche che sembrano proprio fatte apposta, che fanno apparire l'immagine come derivata da esse. Masi tratta di casi».
Coincidente è il giudizio di un altro regista, Alberto De Maria della Film 77 secondo cui la musica è «l'espediente che permette di montare le sequenze in un modo invece di un altro. Per questo il jingle deve tenere presente la configurazione numerica delle sequenze, che nei 30 secondi possono essere due-tre (allora va bene uno spunto musicale conseguente) ma anche di più, richiedendo una spezzettatura corrispondente (che può essere ripetizione)». Da De Maria veniamo a sapere che la tendenza decrescente nell'utilizzazione (anzi nella sottoutilizzazione) della musica classica è un fenomeno che non si rileva  in altri paesi. In Inghilterra per esempio ne viene fatto largo uso «nonostante effettivamente caratteristica della  pubblicità è proprio quella di non avere prodotti classici. Si preferisce sempre l'ennesimo 'finalmente dagli Stati Uniti' anche conoscendone abbastanza sicuramente la provenienza casalinga, piuttosto che cercare una collocazione pubblicitaria non umiliante alla musica classica. Visto che deve soprattutto 'fare campagna' andrebbe considerata  non inferiore, nell'apporto, ai suggerimenti scenografici. Invece la tendenza al 'più nuovo' nel nostro caso si riduce alla mortificante rivisitazione in chiave moderna dei poveri classici».
Del ruolo «finale» della musica non è invece persuasa la Mazzucchelli che nel  già citato intervento scritto affermava che «quando e dove si può, cioè, bisognerebbe fare di tutto perché la colonna sonora nasca prima e non dopo il montaggio. A evitare cadute di ritmo,  che sono poi cadute d'attenzionalità, di
credibilità, di coinvolgimento».
«Il grande sogno del committente è solo che la sua pubblicità sia sottolineata da un jingle che tutto il pubblico prima o poi si ritrovi a canticchiare» specifica Marco Vecchia direttore  creativo della Cpv che parla chiaramente di 'sfruttamento' della musica  classica e lo fa non senza un po' di malinconia. «Spesso addirittura il classico è impiegato in funzione kitsch, anche se tutto sommato viene tenuto come un 'testimonial' autorevole. Non necessariamente per la popolarità in sé di quel brano: conta piuttosto la popolarità indotta, quella che viene a un motivo dal fatto di essere stato utilizzato in un film di successo (per esempio Così parlò Zaratustra ripreso in tutte le salse, ma solo dopo 2001 Odissea nello spazio e quasi sempre per ambientazioni fantascientifiche...). E in genere la presenza della musica classica tende solo alla comunicazione di un certo tipo di atmosfera. secondo discutibili concezioni per cui il Settecento serve per definire ambienti raffinati e freddi, Ciaikovskij per le ambientazioni romantiche e sdate..._».
Crea un'atmosfera - Il discorso in sé sarebbe concluso, anche perché in linea di massima tutti gli intervistati si sono trovati d'accordo sull`analisi dell'anomalo rapporto tra comunicazione pubblicitaria e musica classica. Per completare il quadro con l'altra faccia del fenomeno abbiamo parlato con due famose ditte che hanno legato il proprio marchio a popolari spunti di musica classica. Si trattava di vedere in che misura l'atteggiamento critico e complessivamente poco persuaso dei pubblicitari trovasse riscontro nei committenti. In altre parole si cercava la conferma dell'equivoca utilizzazione del classico e di tutte le prevenzioni.
Musica classica come atmosfera. Non era possibile evitare l'incontro con il brandy che dell'atmosfera sembra possedere il brevetto, complice il felice motivo della Romanza in fa maggiore per violino e orchestra di Beethoven, nell'arrangiamento di James Last. Roberto Canaider, responsabile dell'ufficio pubblicità racconta con ingenuità tenera e con un pizzico d'orgoglio la nascita di questo fortunato accoppiamento. «Stavamo preparando la pubblicità natalizia del 1977, avevamo già a disposizione una serie di sequenze (scene con pupazzetti, presepi olandesi del Seicento). Scopriamo questo motivo arrangiato da Last perchè era ai primi posti della hit-parade radiofonica e ci sembrò subito una musica adatta per il Natale...poi venne tenuta come jingle anche per altri spot, poiché in effetti il messaggio verbale vi trovava una corrispondenza ideale». A voi spetta anche l'immagine del pugno di ferro del Petrus; lì è venuta prima l'immagine o la musica? «Sempre l'immagine. Il difficile è stato trovare una musica che desse l'impressione di vigore e che continuasse conseguentemente come sottofondo. In effetti l'aver scelto la Quinta di Beethoven con quel famosissimo ta-ta-ta-taa (errore madornale o semplice lapsus? Come  tutti sanno la musica è quella dell'ouverture Coriolano) e stato un vero colpo  grosso».
Musica classica o trascritta. Ci siamo rivolti a un'altra grande casa di aperitivi milanese di cui non vogliamo citare il nome visto che ci è anche stato intimato di non indicare che abbiamo avuto un colloquio telefonico con un responsabile (peraltro gentile) della pubblicità. Dunque la ditta in questione si è appropriata della Polacca n.3 «Eroica» di Chopin per i propri spot. Ma con una raffinatissima differenziazione rivelata  dal signore di cui sopra. Cioè il prodotto classico ha l'onore di essere accompagnato dalla versione originale, quindi per pianoforte, del pezzo, mentre quello più giovanile «che non si sposava bene al carattere serio della musica» viene reclamizzato con il medesimo  motivo nella «trascrizione disco-music» (molto discutibile musicalmente  questa specificazione di genere...), con file di archi. ottoni, grandi glissandi di arpe e via dicendo. Il pateracchio risultante viene in compenso definito «sinfonia» con buona pace dei puristi e degli appassionati generici.
Per concludere -  Si può fare solo un piccolo punto di partenza per qualcosa di più scientifico e documentato. La veloce chiacchierata, soprattutto quella finale con i due produttori, mi pare che lasci pochi dubbi.
Della musica classica in pubblicità se ne fa un uso atroce. Eppure si continua a infilare sotto un paesaggio Vivaldi, Bach con la fiera del bianco, Wagner con i formaggini bavaresi; frotte di bambini seminudi sciamano sulle note della Pastorale, il risveglio dietetico di un pacioso signore avviene sulle avvolgenti melodie del Peer Gynt di Grieg, un altro brandy di casa s'è appoggiato per anni al Concerto per violino di Ciaikovski, e il saccheggiamento continua, sempre però con i limiti stilistici di cui abbiamo già parlato (De Maria per uno spot girato in Francia tra fieno, cascate e amenità rurali volle tentare musicalmente la carta Debussy: si sentì chiedere per quale ragione voleva cambiare il regista...).
E quello che spaventa non è l'impiego fin qui fatto, ma 1'ancora ferma convinzione di molti operatori pubblicitari - ciò si legge tra le righe poiché a noi è capitata la fortuna di parlare con persone intelligenti e sensibili al problema - che con l'ennesimo tradimento del classico di moda pensano di poter risolvere ogni situazione rognosa, senza ricorrere all'opera del compositore moderno o del ritmo alla moda. Il tutto poi condito dalla suprema ignoranza di fatti musicali per cui gli accoppiamenti musica-immagine sono sempre al limite del casuale, e alla musica tocca sempre la fatica di riportare credibilità a tutta la baracca: la sua personale piuttosto screditata, è quella dello sponsor di turno. Forse ha proprio ragione Pirella quando dice che i pubblicitari e quindi i loro prodotti rispecchiano il livello medio della cultura musicale italiana. Credevamo di essere a stadi da Terzo Mondo solo per quanto riguardava l'educazione musicale, invece  anche qui non siamo molto distanti.
E non salti su nessuno a dire che (però,  tutto sommato, in fondo, almeno)  qualcuno di questi motivi straziati rimangono in testa accumulando dati musicali, sia pure scheletrici, e che quindi un minimo contributo culturale  c'è...Di questo genere di cose possiamo tranquillamente farne a meno. Anche dell'arpa haendeliana che ci amministra gli intervalli televisivi rendendo operante l'equazione classico-noia.
Se proprio si vuole iniziare un discorso diverso, sarà meglio prendere il toro dalle corna; c'è bisogno di jingle classici? Benissimo, si bandiscano le squallide esercitazioni fin qui intraprese e si cominci a considerare seriamente la musica classica. Potranno esserci delle sorprese.
«Ripetizione è incantazione: la tecnica pubblicitaria ne ha ben fatto una sua legge fondamentale» scrive Stefani a proposito di un pezzo costruito regolarmente, con un unico modulo ripetuto, come il jingle ideale. L'affermazione può suonare ironica: la pagina musicale esaminata è il primo Preludio del Clavicembalo ben temperato. Ancora una volta Bach e davanti a tutti; e con lui la musica.
Angelo Foletto
("Musica Viva", N. 2, Anno V, Febbraio 1981)

martedì, marzo 11, 2025

La "camera di Franco" dove Battiato intuiva il futuro

Prosegue la riscoperta della musica colta-contemporanea 
dell'autore siciliano. Ne parliamo con ii compositore e direttore d'orchestra, fondatore dell'ensemble Sentieri Selvaggi, da anni impegnato nel riportare in superficie brani ancora troppo poco conosciuti nella produzione di questo mistico d'Occidente.

Nel campionato della musica, Franco Battiato ha giocato una partita tutta sua. Sempre in attacco e mai in difesa. Con schemi originali, senza arrangiare quelli degli altri. Perseguendo l'indipendenza del pensiero e dei contenuti, e mai l'esibizionismo o la spettacolarizzazione dell'atto virtuosistico. Tanto nella musica pop quanto in quella colta-contemporanea. Battiato, caso a parte nel vasto mondo della creazione, in “Tecnica mista su tappeto" (conversazioni con Franco Pulcini) del 1992 diceva: «Tra il rumore di un`automobile che va piano e una musica che non mi piace, che urta la mia sensibilità, preferisco il rumore di un'automobile». E ancora: «Spero che una musicalità istintiva mi abbia sempre tenuto fuori dal kitsch e dal cattivo gusto».
È questo l'autore che Carlo Boccadoro, in “Battiato. Cafè Table Musik" (La Nave di Teseo), ritrae con vasta documentazione e attenzione chirurgica. Scrivendo di un artista che «ha attraversato la lunga strada che va dai locali milanesi alla composizione contemporanea nei teatri d'opera senza darsi inutili gerarchie stilistiche interne, e affrontando ogni sfida musicale che gli si presentava davanti con professionalità e leggerezza». Con senso estetico ed essenziale, irrequieto eppure meditativo, libero. E proprio per questo, autore di «musiche che quarant'anni fa erano in grado di intuire le direzioni del futuro», sottolinea  Boccadoro. Che in prima nazionale, il 2 ottobre, ha presentato al pianoforte con Giulia Perri (voce e oggetti), Andrea Rebaudengo (pianoforte e oggetti) e Piercarlo Sacco (violino), in occasione del Romaeuropa  Festival 2023, una selezione di brani scritti da Battiato tra il 1977 e il 1978: tre pezzi da “Juke Box", “Campane”, “Hiver”, “Martyre Celeste", “L'Egitto prima delle sabbie", “Cafè-Table-Musik" e “Sud Afternoon”.
“La camera di Franco", titolo della serata, ha portato in superficie quell'esplorazione profonda «dell'universo sonoro degli strumenti acustici» - pianoforte, voce e violino - sui quali si concentrò l'artista siciliano una volta abbandonato il sintetizzatore VCS3 che tanta importanza ebbe nei suoi primi dischi da solista.
Ne parliamo con il Maestro Carlo Boccadoro partendo proprio da “L'Egitto prima delle sabbie" (1977). Il brano, ispirato ad un racconto di Georges Ivanovic Gurdjieff, si classifica al primo posto al Concorso di composizione “K. Stockhausen” organizzato dal Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo. Così ne parlò Battiato, la dichiarazione è inserita nel libro “Cafè Table Musik", in un'intervista
del 2007: «Credo che si tratti di una delle mie vette assolute, eppure non c'è neanche una briciola di ispirazione, semmai studio al servizio di una concezione meditativa, riscontrabile nelle sonorità, nella purezza delle risonanze... Si tratta di un linguaggio micro-polifonico. Queste risonanze rappresentano ancora oggi, secondo me, la forma ideale per  esprimere un certo mondo».

Maestro, la musica classico-contemporanea di Franco Battiato può aiutare l'ascoltatore a capire, meglio, anche il lato “mistico-pop” del cantautore?
Assolutamente no, eccezion fatta  per il brano pianistico “L'Egitto prima delle sabbie", la cui qualità riflessiva - secondo Battiato - aveva la capacità di provocare uno stato d'animo incline alla riflessione interiore: lui stesso ascoltava talvolta questa musica quando faceva i propri esercizi di meditazione. A parte questo nulla di mistico, tantomeno di pop.
La riscoperta - potremmo dire “ricostruzione” - di queste musiche quanto è stata complessa e come si è lavorato per portarle sul palco?
Ho già ampiamente documentato nei dettagli la complicata vicenda del ritrovamento di questi lavori nel mio libro “Cafè Table Musik" uscito circa un anno e mezzo fa per le edizioni de “La Nave di Teseo": non c'è spazio qui per ripeterla. E' stata comunque una lunga operazione che ha coinvolto all'inizio lo stesso Battiato nel 2009 e successivamente è stata portata a termine con l'aiuto di Antonio Ballista, della casa editrice Ricordi e dell'archivio SIAE.
Nel libro-intervista “Tecnica mista su tappeto", Battiato dice di «aver bisogno, ogni tanto, di armonie tradizionali e pacate. All'interno di certe asperità c'era il viaggio del suono come ripetizione, come veicolo per cavalcare dimensioni diverse». Battiato come affronta la musica contemporanea, come la pensa e la sviluppa?
La sua posizione era in assoluto contrasto con qualsiasi estetica dominante allora nel mondo delle cosiddette avanguardie. Le sue idee si rifacevano piuttosto ai minimalisti americani come Terry Riley, Steve Reich e Philip Glass, a quell'epoca assolutamente tabù nelle nostre stagioni di concerti. L`unica personalità con cui Battiato trovava una affinità era quella di un altro grande “escluso” da quel giro di sperimentazione, Paolo Castaldi, con cui all'epoca collaborò anche in una serie di concerti assieme. Al centro di tutta la sua ricerca di quegli anni, come sottolineava lo stesso Battiato, c'era proprio la ricerca dell'esplorazione dei suoni acustici degli strumenti, in particolare del pianoforte.
Nei lavori di Battiato quali sono le caratteristiche della composizione che l'hanno colpita di più? L'autore come si differenzia dal panorama colto di quegli anni Settanta?
Il suo linguaggio non ha nulla a che vedere né con i residui del serialismo allora ancora in voga e neppure con esperienze come lo strutturalismo o l'alea di John Cage (che pure Battiato ammirava molto). Hanno semmai idealmente a fare con Morton Feldman, oltre che coni minimalisti americani (come ho  detto prima). Una musica fatta di micro-dettagli, di sfumature minime  che cambiano quasi impercettibilmente nel tempo, e che richiede appunto una diversa concezione del  tempo di ascolto per essere apprezzata come si deve.
Lei afferma che in “Martyre Celeste" «vengono in mente le soluzioni compositive di Arvo Pärt e Giya Kancheli, che difficilmente all'epoca potevano essere conosciute perché non avevano circolazione nei paesi dell'Ovest  europeo». Ma nella musica di Battiato si trovano riferimenti anche a Cage, Stockhausen, Ligeti, Messiaen, Morton Feldman: l'interprete come può affrontare così tanti e diversi stimoli musicali?
E' necessario avere una preparazione completa e una conoscenza storica approfondita su quello che si scriveva in quegli anni per non affrontare queste pagine con superficialità, o con un approccio Ambient o New age (per carità!!). Ogni nota  è essenziale e questo richiede un lavoro intenso sul tocco pianistico esul suono in generale.
Lei si è confrontato direttamente con Battiato proprio su questi  materiali perduti e irrintracciabili: quali le sensazioni che conserva ancora oggi di quell'incontro?
Purtroppo, quando Battiato era in vita l'unico lavoro che è stato possibile rintracciare era una versione molto approssimativa del pezzo per due pianoforti “Sud Afternoon”, che io ho successivamente ricostruito ed eseguito assieme ad Andrea Rebaudengo. La conoscenza con Battiato è durata diversi anni, fin da quando mi chiese di dirigere al Teatro Rendano di Cosenza la sua ultima opera  lirica, “Telesio". Ho dei bellissimi ricordi di questa frequentazione, ma sono troppi e non li considero materiale per un'intervista...
intervista di Davide Ielmini a Carlo Boccadoro
("Musica", N. 351, Novembre 2023)

sabato, marzo 01, 2025

Juilliard Quartet per sempre

Juilliard Quartet
Quante volte mi è successo di sentir parlare di un "vecchio" e di un "nuovo" Juilliard? È una semplificazione usata nei negozi di dischi a cui non corrisponde nessuna realtà effettiva. Si può parlare di due Quartetti Pro Arte, di due Quintetti Boccherini, ma il Juilliard è uno solo, guidato da Robert Mann fin dal 1946, anno di nascita della formazione, auspice l'allora presidente della scuola, William Schuman. Mann aveva ventisei anni, come il violoncellista Arthur Winograd.
Questi veniva dalla Boston S. O. e dalla NBC S. O., mentre Mann aveva già vinto la Naumburg Competition ed era guidato da Edouard Déthier, un autentico entusiasta della musica da camera, e da Felix Salmond, il grande violoncellista primo interprete del concerto di Elgar e della Seconda Sonata di Enescu. Più anziano di sei anni, il violista Raphael Hillyer era la colonna portante del gruppo. Aveva studiato violino con Serge Korgueff e composizione con Shostakovic a Mosca e Leningrado. Dopo aver frequentato il Curtis, Dartmouth e Harvard, nel 1942 era entrato nella Boston S. O. di Kussevitzky; inoltre faceva parte del Quartetto Stradivari e insegnava alla Longy School, cosicché la sua esperienza doveva rivelarsi preziosa per il quartetto al quale davano vita i tre musicisti che ho detto, insieme al violinista Robert Koff. Negli anni quaranta eseguirono per la prima volta in America i sei quartetti di Bartok, e quelli di Schönberg dinanzi al compositore, stabilendo la reputazione di specialisti di musica moderna, ma anche di esemplari interpreti dei grandi classici. Nel 1954 Winograd fu nominato Staff Conductor alla MGM Records (passò alla Audio Fidelity Records nel '58) e poi chiamato a capo della Birmingham S. O. e della Hartford S. O. Come successore venne prescelto Claus Adam, figlio del celebre etnologo Tassilo Adam.
Era nato a Sumatra, aveva studiato a Salzburg, ed era divenuto membro del New Music Quartet dopo un periodo come primo violoncello alla Minneapolis S. O. All'interno del quartetto gli equilibri cominciarono a spostarsi. Winograd accordava grande importanza alla chiarezza didascalica della conduzione della frase; era al tempo stesso un po' rigido, si esprimeva con personalissima fragilità, con senso ritmico abbastanza indefinito, una certa "liquidità" di origine espressionista. Adam, allievo di Feuermann, reggeva l'edificio quartettistico con prodigiosa energia ritmica, mentre il suo cantabile rivaleggiava con la calda intensità di Hillyer. Lo riconoscerete agevolmente nel "Très Lent" del Quartetto di Ravel, mentre per lo stile di Winograd consiglio il "Mesto introduttivo" al 2° movimento del Sesto di Bartok.
Finora l'elemento di maggior evidenza ritmica era stato Koff, musicista di splendido respiro. Sapeva dialogare con Mann con inimitabile omogeneità (ascoltare l'inizio del Primo di Bartok) e la sua partenza - avvenuta tre anni dopo la scelta di Adam - impoverì la sezione dei violini, rendendo meno netta la posizione di Mann; la cui personale riflessione lo stava allontanando da quella rivalutazione virtuosistica del primo violino che sarebbe avvenuta negli anni '70 e di cui è stato fiero avversario. Col suo insegnamento Mann si sforzava di raggiungere ciò che definisce «lo stato originale, vulnerabile, del
nuovo-nato››. Legato a questo pensiero di Reichiana memoria, affidava all'esecuzione un valore quasi mistico e, insieme, profondamente umano. Leggiamo le sue parole da un'intervista di S. Epstein apparsa nel l98l sul disco CBS D4 37873: «Non apparteniamo al mondo di Heifetz che si diceva non ammettesse una sola giuntura nelle registrazioni; se c'era una nota fuori posto, voleva che fosse lasciata. E tutti amavano tale posizione perché provava che anche lui poteva sbagliare. Il nostro scopo, però, non è di dimostrare se suoniamo o no come maghi della tecnica, bensì creare una continuità vivente nel pezzo. Non sempre ci riusciamo, ma l'esecuzione offerta è sempre la più "calda". L'idea di Gould - che non ci sia nulla di male a tagliare e cucire il nastro - ha una certa validità razionale; ma in effetti già da molti anni aveva scelto di rinunciare alla musica che vuole comunicare con un pubblico vivo. Per noi, o per me, l'idea di arrivare agli altri è di estrema importanza. Pur avendo fatto del nostro meglio durante ogni registrazione, non ci siamo mai sentiti come quando suoniamo davanti a un pubblico attento e avvertiamo un silenzio quasi tangibile quando sulla scena avviene qualcosa di magico».
Può essere curioso confrontare l'opinione di Earl Carlyss, più giovane di Mann di ben ventun'anni, apparsa nella stessa intervista: «Mi piace l'allestimento tradizionale delle registrazioni in studio, più che ai miei colleghi. Trovo ci sia una sfida estetica nel cercare di ricreare l'atmosfera di un'esecuzione pubblica. Sono due universi del tutto differenti, e le possibilità sembrano inesauribili››. Carlyss giungeva al Juilliard dopo che per otto anni il suo posto era stato di Isidore Cohen, che nel '68 avrebbe sostituito Guilet nel Beaux Arts. Allievo del persiano Ivan Galamian, un insegnante analitico e razionale se mai ve ne furono, Cohen è molto dissimile dai condiscepoli (tra i quali si contano Miriam Fried, Laredo, Perlman, Zukerman, Rabin e Kyung-Wha-Chung): la sua tecnica è piuttosto antiquata e il fraseggio spezzato, spesso "nota per nota", lo obbliga a un uso di corte, onnipresenti "poussèes d'archet" dalle quali consegue una condotta un po' imprecisa. Artista intelligente, è sempre capace di amalgamare pregi e difetti in prestazioni., di indubbia professionalità, ma il suo pur onesto apporto Juilliard è difficilmente comparabile alle grandi figure che gli sono state vicino.
Tre anni dopo l'arrivo di Carlyss, Hillyer decise di dedicarsi all'insegnamento, formando tra gli altri il Tokio, il Panoche, il Varsovia, il Kreutzberg e l'Eder, affiancato dalla moglie Kazuko Tatsumura, impresaria meritevole di aver sviluppato gli scambi artistici tra America e Asia. In quel periodo la presenza di Carlyss innestò una sorta di reazione in seno al gruppo: amava tempi rapidi e si confrontava volentieri con il robusto vitalismo di  Adam. Ma il suo fraseggio non aveva la finezza dei colleghi e si basava sul rilievo degli accenti, contrastando con l'accuratezza lirica di Mann e Hillyer, in modo lontanissimo dall'amalgama possente e meditata della formazione del '46 (ascoltate, per esempio, l'Op. 96 di Dvorak).
L'inserto di Samuel Rhodes, nel 1969, riuscì sorprendentemente a riequilibrare le parti e il suo Peregrino Zanetto (uno strumento molto raro, dal suono velato, misterioso) arricchì il timbro generale di una maggiore intimità. Rhodes proveniva dal Quartetto Galimir, aveva studiato con .quello straordinario ricercatore che fu Sydney Beck e con Walter Trampler (quello della Sequenza VI di Berio). Il suo modo di affrontare l'interpretazione, la lettura di certi dati storici, lo avvicinava in maniera speciale a Mann. Nel frattempo Adam aveva lasciato il Juilliard per dedicarsi interamente alla composizione: il primo lavoro che lo impegnò nel 1974 fu - evidentemente - un quartetto. Premi e onorificenze hanno accompagnato il lavoro nei nove anni che gli restavano da vivere.
Gli successe Joel Krosnick, allievo suo e di Luigi Silva, un grande maestro fuggitivo in America nel 1938 tra la costernazione degli amici, tra i quali era mio nonno: uno dei tanti "regali" che una dittatura ottusa ha potuto fare all'arte. Coetaneo di Rhodes e di Carlyss, Krosnick - uno dei fondatori del Group for Contemporary Music della Columbia University - aveva insegnato alle Università dello Iowa e del Massachussets, e al California Institute of Arts. Straordinariamente agile, dotato di un'intonazione magnifica e di un bel timbro non molto potente, sa affrontare il repertorio contemporaneo con disinvoltura. Ciò risalta nella registrazione dei quartetti di Carter, il secondo e il terzo dei quali (di gran lunga i più geniali) sono stati dati in prima esecuzione proprio dal Juilliard. Di Carter, Mann aveva in repertorio il Duo per violino e piano, e Krosnick aveva inciso la Sonata per violoncello (è stato anche il primo interprete del Concerto di Ligeti).
Nelle affermazioni di Krosnick contenute nella solita intervista è facile individuare la lunga pratica con le partiture contemporanee, sia per il vocabolario utilizzato, sia per uno specifico procedimento speculativo: «Il nostro punto di partenza è di creare una continuità drammatica, ogni volta che suoniamo, riesaminiamo e definiamo ulteriormente il nostro approccio, soprattutto riguardo alle indicazioni originali di tempo; abbiamo rivisto le nostre posizioni nei confronti delle istanza armoniche, in opposizione alla pura bellezza del suono, realizzando una integrazione assai personale di diversi elementi. Qualcuno si accorgerà, forse marginalmente, della presenza di alcuni dettagli usati per interpretare materiale simile in modo differente ogni volta che ricompare; dettagli che un pubblico non sarà capace di individuare. Ma l'artista sa dove sta andando ed è profondamente coinvolto in questa integrazione di tutti gli elementi in un insieme emotivamente persuasivo».
Accanto all'attività del quartetto, gli anni '80 hanno visto Mann impegnato col Lyric Trio (Mann, sua moglie Lucy Rowan - voce recitante - e un pianista) per il quale ha composto un vasto repertorio; e con il Mann Duo, insieme al figlio Nicholas, anch'egli violinista. E del 1980 data la sua prima integrale delle Sonate di Beethoven con Emanuel Ax. La formazione attuale vede Joel Smirnoff al posto di Carlyss dal 1986, quarantesimo anniversario del Juilliard; o dovrei dire del primo dei Juilliard? Quanti Rubinstein, Menuhin, Bernstein sono cambiati col tempo senza sollevare simili interrogativi! E comunque, prima di cercare una risposta, si dovrà vedere se la durevole influenza dell'insegnamento di Mann si cancellerà mai dallo stile, dall'arte del Juilliard Quartet.
Gregorio Nardi
("Symphonia" N° 52 Anno VI, Luglio 1995)