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| Alban Berg (dipinto su tela di Arnold Schoenberg, 1910) |
Altra caratteristica di Berg che andrà vieppiù accentuandosi è la connaturata ed intrinseca drammaticità. Veri e propri gesti drammatici abbondano anche nei suoi lavori cameristici e sinfonici, sì che a giusta ragione il Reich può considerare la «Suite lirica» per quartetto d'archi (1926) come «opera latente», il «Concerto» per violino e orchestra (1935) come «dramma latente» e l'Aria da concerto «Il vino» (su versi di Baudelaire e la loro traduzione tedesca di Stefan George) come «prolegomeno a Lulu». Lo stesso Berg confessava che un «programma nascosto» si celava anche nel «Concerto da camera» scritto nel 1925. Fu questa fondamentale disposizione drammatica a spingere il compositore verso le forme del teatro musicale permettendogli di creare col «Wozzeck» l'opera che insieme al «Pelléas» di Debussy è generalmente riconosciuta come il capolavoro della moderna letteratura operistica. La caratteristica più saliente dello stile operistico di Berg risulta dal fatto che in lui gli impulsi drammatici tendenti a spezzare le cornici formali, vengono bilanciati da quello che il Reich chiama «una mitica tendenza» ad assicurare la coesione e la solidità formula della sua musica mediante la giustificazione tematica anche del più minuto passaggio. La particolare maniera di dedurre tutte le figure sonore di una composizione da alcune fondamentali cellule generatrici aveva conferito già alla «Sonata» op. 1 e ai «Pezzi» op. 6 aspetti che anticipavano la tecnica seriale e che nei «Lieder» op. 4 e nella «Passacaglia» del «Wozzeck» portavano alla formulazione di vere e proprie costellazioni dodecafoniche, seppure non ancora metodicamente elaborate. Da simili tendenze strutturali nacque con «Wozzeck» un tipo di opera, nella quale azione scenica e trama musicale appaiono inquadrate in chiuse forme da concerto. Altro aspetto essenziale del «Wozzeck» e più ancora di «Lulu», è un nuovo stile di canto, sorto dallo «Sprachgesang» immaginato da Schoenberg nel «Pierrot Lunaire», ma sviluppato da Berg in vari sensi e integrato soprattutto in una ampia gamma di modi canori che Alban Berg in un ritratto di Schoenberg va dalla stilizzazione di inflessioni del linguaggio parlato, all'espressione melodica vera e propria e fino al virtuosismo di colorature che riprendono ed esaltano modernamente le tradizioni del bel canto italiano. Non sono comunque astratte qualità formali che determinarono il successo mondiale del «Woz-
zeck», ma il fatto che, lungi dall'essere fine a se stesse, tali qualità sono sempre messe al servizio dell'efficacia teatrale, della verità drammatica e della espressione di un senso di pietà umana, intensamente sentita e vissuta. Rappresentato per la prima volta nel 1924, «Wozzeck»› costituì una definitiva testimonianza del genio e della vocazione teatrale del suo autore.
Dopo essersi affermato col «Wozzeck»›, Berg pensò subito ad una seconda opera. Abbiamo già detto che egli conosceva da molto tempo il teatro di Wadekind. Infatti, fu nel 1905 (cioè nove anni prima che Berg vedesse per la prima volta il «Wozzeck» di Buechner) che egli assistette alla prima rappresentazione viennese della tragedia «Die Biichse der Pandora» (Il vaso di Pandora) di Frank Wedekind. Com'è noto, Wedekind fu uno dei principali artisti che aprirono la strada all'espressionismo teatrale tedesco. Egli aveva concepito questo dramma nello stesso spirito moralistico che informava anche il precedente dramma intitolato «Erdgeist» (Spirito della terra) scritto nel 1893 e in cui avvengono gli antefatti della vicenda che nel «Vaso di Pandora» conosce la sua tragica catarsi. Il personaggio della donna sensuale che rovina gli uomini da lei irresistibilmente attratti, fu concepita da Wedekind quale strumento critico contro la borghesia tedesca. Wedekind voleva scuotere questa classe e indurla a riflettere e a riscattarsi da quel coacervo di ipocriti compromessi morali e di complessi psicologici che Freud doveva diagnosticare e diagnosticare scientificamente.
Gli assunti etici di Wedekind non furono riconosciuti come tali e i suoi lavori rimasero circondati a lungo da un alone di scandalo e costituirono un bersaglio contro il quale si accaniva la censura.
Sembra anche che i congiunti più stretti e persino il venerato maestro Schoenberg abbiano cercato di dissuadere il compositore dalla scelta delle tragedie di Wedekind come materia per un libretto d'opera. Com'è noto Schoenberg aveva criticato già la scelta del soggetto di Wozzeck, affermando che secondo lui «la musica doveva avere a che fare con gli angeli e non con soldati e donne di malaffare». A maggior ragione egli dovette disapprovare la scelta del personaggio di Lulu come figura centrale della seconda opera di Berg, pur accettando in seguito che quest'ultimo gliela dedicasse. Purtroppo simili ostilità avrebbero contribuito a far sì che l'opera che Berg doveva lasciare completamente elaborata nella partitura orchestrale, restasse un torso non integrato fino al giorno d'oggi. Infatti, sia Schoenberg che Webern, per un motivo o l'altro rifiutarono di completarla e ancor oggi la vedova del compositore esita di concedere il permesso perché altri possano compiere il lavoro necessario per rendere rappresentabile l'intero terzo Atto di «Lulu». Lasciando per ora da parte ogni considerazione circa i problemi posti da questo stato di cose, bisogna ricordare che inizialmente lo stesso Berg aveva rivolto la sua attenzione anche ad altri lavori drammatici, come ad esempio al dramma hassidico «Il Dibbuk» di Anski (del quale si sarebbe servito poi Lodovico Rocca) e soprattutto al dramma fiabesco «Und Pipa tanzt!» di Gerhard Hauptmann che aveva interessato in precedenza anche Schoenberg. Quest'ultimo progetto era già stato portato avanti e Berg si era recato anche in Italia dove soggiornava Hauptmann per discutere con quest'ultimo la stesura del libretto. Finalmente alcune difficoltà editoriali indussero Berg a rinunciare alla collaborazione con Hauptmann e a far prevalere su tutte le remore esteriori le necessità interiori che lo spingevano verso il mondo di Wedekind. Nella primavera del 1928 decise così di procedere come già aveva fatto nel caso del «Wozzeck» di Buechner, cioè di riplasmare una preesistente materia teatrale piegandola alle proprie esigenze senza ricorrere alla collaborazione o all'aiuto di un librettista.
Nello stesso periodo 1928-1929 Georg Wilhelm Pabst stava girando un film sullo stesso soggetto. Pur assumendo il titolo del secondo dei due drammi («Die Buechse der Pandora») la trama di questo film conglobava «Lo spirito della terra» e «Il vaso di Pandora». Berg procedette in un modo analogo, fondendo cioè i due lavori. Una volta di più egli diede prova di possedere un sicuro, innato senso del teatro e particolarmente delle specifiche esigenze del teatro musicale. In una lettera a Schoenberg, Berg parla del tormento che gli causava la necessità di cancellare quattro quinti dell'originale testo di Wedekind e di coordinare il resto nel tessuto delle «più grandi e più piccole forme musicali senza distruggere con ciò il peculiare linguaggio di Wedekind». Nonostante quest'affermazione, un confronto tra il testo dell'opera berghiana e quello dei drammi di Wedekind dimostra che in moltissimi punti Berg ha modificato (in genere nobilitandola) anche la stessa formulazione delle frasi mutuate da Wedekind.
Anche l'epoca dell'azione appare spostata e precisamente di trent'anni: infatti, mentre i drammi di Wedekind sono ambientati nel periodo e nel clima della fine del secolo scorso, l'opera di Berg si svolge nell'atmosfera degli anni tra le due guerre mondiali. Per quanto riguarda la fusione de «Lo spirito della terra» e «Il vaso di Pandora», lo stesso Berg illustrò il modo in cui procedette per desumere il suo libretto da questi due lavori, nella citata lettera a Schoenberg, mediante il seguente schema sintetico:
Condensando i due drammi di Wedekind, Berg ha operato il taglio di molte scene e di non poche figure episodiche. In funzione del proprio mondo interiore e della sua peculiare sensibilità egli ha conferito anche un diverso rilievo a talune delle figure principali di questi drammi, mutando anzitutto l'importanza delle due principali figure femminili. Così, mentre negli originali di Wedekind la figura principale era quella della contessa Geschwitz e Lulu svolgeva un ruolo prevalentemente passivo, nell'opera di Berg l'interesse e la partecipazione umana del compositore si concentrano sulla figura di Lulu, ciò che spiega la scelta del titolo. La scelta dell'argomento è giustificata dalla profonda opposizione di Berg «verso un'Austria che lo rinnegò fino alla fine della sua vita e oltre la sua morte... di un'Austria (oggi da gran tempo passata nella storia, ma che in lui come in qualcuno dei più giovani sopravviveva come immanenza dell'anima)... che consentiva la schiavizzazione e la degradazione del laconico, inceppato moschettiere polacco-tedesco nel cortile della prigione di una prussiana gerarchia democratica: Wozzeck; e la danza macabra della prostituta apportatrice di voluttà, che viene stritolata dall'ingranaggio sociale del consorzio umano: Lulu». (Redlich) .
Nella primavera del 1929, ultimato il libretto, Berg iniziò la composizione della musica che lo impegnò per i successivi restanti sei anni della sua vita, con due interruzioni dovute alle composizione de «Il Vino» (1929) e del «Concerto» per violino e orchestra (primavera-estate 1935). Fin dall'aprile 1934 lo spartito dell'opera era praticamente ultimato e in quell'estate Berg raggruppò alcuni brani in una «Suite» intitolata «Pezzi sinfonici dell'opera Lulu», ma chiamata abitualmente, per l'analogia della sua configurazione con quella di alcune sinfonie di Mahler, «Lulu - Symphonie».
Nel novembre 1934, malgrado l'ostilità nazista la «Lulu - Symphonie» fu eseguita con successo a Berlino. La morte prematura non permise disgraziatamente a Berg di completare la stesura orchestrale dell'opera. Del terzo atto, infatti, se si escludono le 268 battute iniziali, l'intermezzo orchestrale in forma di «Variazioni» e l'«Adagio» finale accolti nella «Lulu - Symphonie», resta solo una prima stesura con parti vocali integralmente formulate, ma le parti strumentali abbozzate, però con una chiarezza sufficiente da aver permesso la riduzione per canto e pianoforte di Erwin Stein (1936).
Tutte le rappresentazioni che si sono avute di «Lulu» fino al giorno d'oggi hanno dovuto affrontare, con soluzioni diverse, il problema di questo terzo atto incompiuto, nel quale per la convergenza dell'azione drammatica e della vicenda musicale dovrebbe chiarirsi il significato intrinseco dell'opera.
Tali soluzioni sono comunque necessariamente provvisorie e non permettono di risolvere categoricamente il quesito se «Lulu» sia opera riuscita al pari di «Wozzeck», che senza discussione ha un posto di primo piano fra i capolavori del teatro musicale del nostro secolo, e se rinunciando alla tecnica libera impiegata nel «Wozzeck» per l'impiego in «Lulu» del metodo dodecafonico, Berg abbia ottenuto un maggior rigore grammaticale, ma una minore efficacia teatrale. In realtà, pur adottando il metodo dodecafonico, egli non mutò la propria poetica che gli consentiva di «mescolare dei pezzi e dei frammenti scritti distintamente in una tonalità data con altri brani e frammenti non tonali», poiché «un compositore d'opera non poteva rinunciare sempre - e ciò per delle ragioni di espressione e di caratterizzazione drammatica - al contrasto fornito dall'alternarsi dei modi maggiori e minori». In «Lulu», infatti, come negli altri lavori dodecafonici di Berg, la tecnica dodecafonica è continuamente piegata al costituirsi di nessi tonali e di assonanze diatoniche. I primi sei suoni della serie originaria di «Lulu» appartengono alla scala di si bemolle maggiore, mentre gli altri sei sono nella sfera della tonalità di do maggiore. A questa e ad un gruppo di serie sussidiarie derivate mediante processi permutativi sono riferite le principali figure sonore dell'opera: ne deriva così una materia sonora omogenea e pur differenziata, nella quale si realizzano i singoli personaggi e le varie situazioni sceniche. Mentre nel «Wozzeck» le forme musicali erano pensate in funzione del carattere delle singole scene, in «Lulu» è soprattutto il carattere dei personaggi, nel loro «aspetto totale» (come disse più volte lo stesso Berg) a determinare la forma del discorso musicale. A tal fine egli si vale anche del ritmo, dei timbri strumentali e vocali, e della stessa emissione vocale che va dal semplice parlato al «bel canto», fino al canto di coloratura.
I lineamenti musicali dei personaggi appaiono fin dal «Prologo», in cui un domatore (nel quale viene adombrato l'autore) presenta lo spettacolo come il numero di un circo dove ogni belva raffigura un personaggio. Fin dall'inizio le note degli ottoni alludono al clima sonoro dell'opera con la squillante volgarità di una fanfara da circo. La trama del lavoro è sostenuta dal motivo di questa fanfara che simboleggia lo «spirito della terra», cioe l'istinto sessuale, manifestazione delle cieche forze irrazionali che devono essere domate per non far infrangere all'uomo l'ordine sociale. Il secondo motivo musicale del «Prologo» è quello dell'«Orso» che rappresenta l'atletico acrobata Rodrigo Quast. Il motivo, ispirato dalla meccanica pianistica, è composto da due blocchi dei tasti bianchi e di quelli neri. Questi armonici che includono suoni rispettivamente ultimi sono percossi con l`intero avambraccio sinistro, tecnica atta qui a rendere mirabilmente, mediante suoni opachi e amorfi grappoli armonici, l'ottusità e la forza bruta del personaggio. Il motivo che segue e quello del Dr. Schön, rappresentato dalla «Tigre», ed ha sapore diatonico: l'angolosa ossatura ritmica rende il duro e volitivo temperamento del personaggio. Il conformismo sociale e la gretta ipocrita mentalità borghese del Dr. Schön saranno resi successivamente con la voluta convenzionalità di un movimento di «Gavotta». Questi due motivi diversi costituiscono nella seconda scena del primo atto il tema principale e il tema laterale di un «Tempo di Sonata»: la dialettica dei due temi contrastanti, tipica della classica forma di sonata, è usata qui come pregnante mezzo per raffigurare i lineamenti contrastanti di questo personaggio.
Nel prologo compare, poi, il tema di «Lulu», rappresentata dal «Serpente», «creato per seminare disgrazia». Alla parola «disgrazia» corrispondono le note centrali del tema disposte in un disegno che rievoca uno dei motivi principali del «Tristano»; in seguito questo patetico riferimento si annullerà e il tema tradurrà più direttamente il carattere della protagonista. L'andamento danzante, la leggerezza delle note staccate, la fatua grazia della «Canzonetta», della «Cavatina» e dell'«Arietta», motivi con i quali accompagna i suoi misfatti, rispecchiano la sua ambiguità e la sua totale irresponsabilità morale. Un tema importante formato da quattro triadi è quello che accompagna l'esecuzione del ritratto di Lulu in costume di Pierrot da parte del pittore Schwartz nella scena iniziale dell'Atto primo. Tutti questi motivi sono riferibili a costellazioni seriali desunte dalla serie principale. Questa si rivela solo nel «Lied» di coloratura che costituisce il più alto momento di rallentamento lirico dell'azione nella scena in cui il Dr. Schön, prima di essere ucciso da Lulu, la spinge a suicidarsi. Sulla partitura Berg ha indicato il tempo di questo brano come «Tempo del battito del polso» quasi per significare che Lulu deve cantare qui con la
stessa voce del sangue per manifestare il suo essere più intimo. Questo punto focale dell'opera è forse il momento sommamente caratterizzante di tutta la musica di Berg, musica che nei suoi tratti più tipici sottintende un «ritmo somatico», fisicamente corporeo, ponendosi così in assoluto contrasto con la musica di Webern in cui si riflette un ideale «ritmo dell'anima». Nel «Lied» in questione, mentre le strutture ritmiche colgono il lato più concretamente umano di Lulu, quelle melodiche, stilizzate in plananti («schwebend» indica l'autore) arabeschi di coloratura, ambientano il personaggio della protagonista in una irreale regione onirica, dove questa «sonnambula dell'amore» si muove inconsapevolmente al di fuori della umana responsabilità.
In un modo quanto mai sottile sono scolpiti anche gli altri personaggi dell'opera. La triste figura di Alwa, perdutamente innamorato di Lulu nonostante che essa abbia ucciso suo padre, è costituita musicalmente da motivi in modi minori che ingenerano forme simili a quella del «Rondò». Con le loro roteanti strutture circolanti queste forze simboleggiano il vortice sensuale dal quale il giovane non può divincolarsi. L'anormale contessa Geschwitz, lesbicamente innamorata di Lulu, viene delineata mediante figure tematiche di un'esotica configurazione pentatonica. Il «cadente e asmatico» Schigolch, decrepito suonatore ambulante che, dopo esserne stato l'amante, si spaccia per il padre di Lulu, viene caratterizzato per mezzo di una «Kammermusik» («Nottetto per legni») i cui ansanti disegni cromatici sembrano provenire da una sgangherata fisarmonica. Nel terzo atto Berg non esita poi a rompere la trama dodecafonica inserendovi come Tema di Variazioni una banale canzonetta in do maggiore, il «Lautenlied» n. 10 («Canzone da liuto») composta dallo stesso Wadekind. E questo al fine di raffigurare efficacemente la totale decadenza e depravazione di Lulu. Quest'ultima, dopo infinite umiliazioni, troverà infine la morte, insieme ad Alwa e alla Geschwitz per mano di personaggi che secondo un'intenzione esplicitamente formulata da Berg, dovrebbero venire interpretati dai medesimi cantanti che nei primi due atti impersonavano figure maschili che avevano trovato la morte per colpa di Lulu. Con una simile simmetria Berg voleva rende esplicito quello che Karl Kraus aveva definito «la rivincita di un mondo maschile che osa vendicare le proprie colpe». Per Berg una tale vendetta non assume certamente il significato di una punizione del destino dei peccati della protagonista, ma appare invece come una nemesi, tragicamente fatale. In «Lulu», come prima nel «Wozzeck», le colpe del personaggio centrale e delle altre figure vengono attribuite alla società che li ha posti nella condizione di subire l'azione letale del primigenio istinto sessuale, avvelenato e distorto dai preconcetti e dai repressivi meccanismi psicologici fino ad assumere virtuali aspetti demoniaci.
La pietà umana con cui Berg plasmò la figura di Lulu si desume dalla stessa frase con cui egli definì la scena d'amore con Alwa: «come l'artista vede Lulu - e come essa deve essere vista, perché si possa comprendere che nonostante tutto il terribile che accade per lei - essa viene tanto amata». Berg considerava Lulu come il corrispondente femminile del Don Giovanni. Egli fu perciò molto toccato dalla frase con la quale un critico boemo pronosticava: «dopo il Wozzeck, Lulu vivrà eternamente; essa avrà meno difficoltà del povero Wozzeck, perché con Don Giovanni e Faust appartiene a quelle figure sempre rinascenti che camminano tra noi e che lo sguardo d'un poeta non aveva bisogno di formare, ma solo di cogliere».
Roman Vlad
("Disclub" 26, anno VII, marzo/aprile 1968)


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