Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

martedì, ottobre 16, 2007

Azio Corghi: Animi motus

Animi motus (1994) per Quartetto d'archi ed Elettronica (durata: 23'). Edizioni Ricordi, Milano.
Prima esecuzione: Milano, Teatro alla Scala, 23.10.1994; Kronos Quartet per i Concerti della Società del Quartetto.


Lo schema formale di Animi motus ne illustra le linee portanti.
Come tutte le rappresentazioni grafiche di un evento, di un fatto o di un progetto, svela in modo anche intuitivo alcuni presupposti. Che si sono via via trasformati nella realtà sonora di Animi motus, il Quartetto d'archi ed elettronica composto da Azio Corghi nel 1994 su commissione della Società dei Quartetto di Milano. Si tratta infatti di un progetto strettamente legato alla realizzazione compositiva.
Balza subito all'occhio la presenza di differenti livelli, orizzontalmente disposti, che scorrono paralleli. Questo simmetrico fluire richiama con immediatezza la natura stessa della comunicazione musicale. Il disporsi, nel tempo, di eventi che la memoria collega spingendosi indietro e avanti oltre il fenomeno percepito al momento. Singoli tasselli che perdono senso se estrapolati dal loro contesto, dalla loro successione, come la psicologia della Gestalt ha nel nostro secolo ulteriormente confermato e spiegato.
E qui, già avvertiti dal titolo e dallo schema, entriamo nel vivo del Quartetto. Ogni singolo strumento utilizza un doppio pentagramma che ne rappresenta il duplice piano espressivo. Sul rigo inferiore è notato il Moto perpetuo, sorta di presenza-eco-riflesso delle prime 46 battute del Moto perpetuo di Paganini. Figurano scritti invece, sul pentagramma superiore, gli eventi che affiorano dal continuum temporale per poi esserne riassorbiti. E' come se gli episodi musicali emergessero dall'ineluttabile misurazione di una clessidra che scandisce il minuto secondo.
Afflatus, dies natalis, pueritia, amores, nell'appassionato confronto-scontro con l'animi motus, sconvolgono l'oggettività del tempo, piegandolo all'elasticità ritmica e agogica della loro natura umana, relativa, sfuggente. Un brano che sfrutta dunque la natura stessa della sua organizzazione percettiva, il tempo, come soggetto-oggetto della rappresentazione musicale. Non c'è nessun tentativo di descrivere il tempo, sia chiaro. Ma di rivelarne in musica la sostanza attraverso il gioco del movimento e della memoria tra le figurazioni musicali, il loro esistere come linea melodica, qualità timbrica, articolazione ritmica e andamento agogico. Gli strumenti, quando realizzano la parte scritta sul pentagramma inferiore, fanno scorrere il tempo, il moto perpetuo. Che sappiamo essere un fatto pur sempre soggettivo, poiché nel mondo fisico la temporalità è concentrata nel presente, ed il fluire rivolto in tutte le direzioni anziché, linearmente, verso il passato e il futuro. E non è un caso che spesso le danze primitive spingano, a causa dell'ossessiva ripetizione metrico-ritmica, verso uno stato ipnotico di coscienza, quasi precedente alla nootemporalità, cioè al tempo mentale, al tempo umano.
Anche i segni dell'inconscio sono atemporali, mentre la teoria della relatività della fisica moderna concepisce il tempo in senso geometrico. Ma è nello scontro tra moto e permanenza che il pensiero occidentale - da Pitagora fino alle più recenti considerazioni filosofiche e scientifiche - ha riconosciuto la radice del nostro essere nel tempo. Corghi ce ne restituisce tutta la tensione drammatica. La vita si sviluppa sul doppio e lacerante canale di crescita e decadenza. Noi restiamo sospesi tra i ricordi del passato e le speranze-paure del futuro. Tanto che finiamo per avvertire anche emotivamente ciò che le più recenti teorie dei quanti ci insegnano: l'immobilità e la permanenza derivano dal moto e dal cambiamento, non viceversa. Non è la catena di causa-effetto ad avviare il movimento partendo dalla staticità, ma è il movimento che nasce dal graduale accorpamento in livelli di complessità sempre maggiori.
Vorrei suggerire un modo, fra i tanti, di «entrare» nel senso della musica d'oggi. Nel caso di Corghi, spesso la scrittura evoca gesti, immagini, pensieri, pur mantenendo un'assoluta autonomia espressiva musicale.
Ognuna delle sezioni del Quartetto allude ad un evento esistenziale carico di riferimenti, citazioni, rielaborazioni di materiale già sfruttato dall'autore in opere precedenti. Ma la nuova prospettiva è data proprio dall'angoscia e dal fascino del tempo e dall'impatto affettivo ed intellettuale che ne deriva. Si scontrano il tempo storico, quello cronologico e quello sconnesso dei sogni, della fantasia, del ricordo. La musica li sfida sul terreno che le è proprio. E quando, alla fine del Quartetto, l'afflatus invade lo spazio del moto perpetuo (quello graficamente rappresentato dal pentagramma inferiore di ogni strumento) cancellandone la presenza, pare che l'arcaico homo faber delle civiltà primitive voglia ancora vincere la scommessa con la natura. Il segno creativo sottomette la rigidità del tempo astratto.
Ecco perché ho proposto Animi motus come primo brano di Corghi, dal quale spingerci verso gli altri lavori e, da questi, verso un'angolazione del pensiero musicale oggi. Perché il Quartetto, nella storia della musica occidentale, ha spesso costituito un punto d'arrivo ideale per i compositori. E, in un certo senso, anche per l'ascoltatore. Che sa di trovarsi di fronte ad un organico attraente ma impegnativo.
Scrivendo per quartetto d'archi, l'autore ha a disposizione quattro parti, nelle quali può concentrare la ricchezza di un pensiero orchestrale. Ma la libertà e l'ambizione delle idee deve «costringersi» dentro lo spazio timbrico di una tavolozza relativamente omogenea, che offre possibilità di cambiare registro, verso l'acuto o il grave, ma non di differenziare in modo evidente le qualità sonore. E' pur vero che ogni strumento ad arco ha un suono tutto suo, e quindi la varietà è giocata sul piano delle sfumature. La scrittura, comunque, ci arriva essenziale, astratta.
Ascoltare un Quartetto di Beethoven o di Bartók equivale ad inseguire lo sviluppo più puramente costruttivo di alcune premesse musicali. Animi motus è anche l'unico lavoro di Corghi, inserito in questo testo, di natura esclusivamente strumentale. Si presta, dunque, a sollecitare la nostra attenzione su alcuni aspetti caratteristici della musica contemporanea.
Con la forza delle semplici linee strutturali offerte dal quartetto d'archi, Corghi non rinuncia ad illustrare un «programma», a modellare la forma musicale sull'architettura di uno sviluppo filosofico. E così narra a traccia multipla, con continue riscritture, scarti, riappropriazioni e selezioni dei dati forniti dalla memoria. Ecco perché alcuni esperti di Intelligenza Artificiale stanno in questi anni cercando di migliorare le prestazioni dei computer allargandone i confini dalle possibilità di associazione, combinazione e selezione a quelle più varie e stratificate del «racconto».
Il tempo si svela nel suo rapporto con il movimento. Da un lato avvertiamo la tensione verso un fine, come potrebbe essere rappresentato da una freccia, e riconosciamo il costruttivismo che segue una linea logica dal passato al futuro. Dall'altro, ci appaiono briciole di ciò che è stato, nella circolarità del tempo arcaico, nietzscheiano e delle attuali teorie fisiche.
Soprattutto, il tempo sancisce la sua inesorabile e duttile legge: l'impossibilità di dimenticare e quindi di esistere in quanto esseri completamente nuovi. Per questo Corghi lascia emergere dal moto perpetuo frammenti di altre sue opere, come istantanee di un percorso esistenziale. Anche se l'ascoltatore non ne conosce il valore simbolico, ne percepisce la tensione narrativa che sovrappone ricordi, variazioni, invenzioni e intanto che racconta perde qualcosa di già sentito e aggiunge altri frammenti, fino a mescolare il futuro con il passato.
Così Animi motus ci presenta aspetti che affioreranno come sostanziali anche negli altri brani di Corghi. In particolare, la necessità di comunicare tutto ciò che di umano esiste e ci riguarda: pensieri, immagini, pulsioni. Un desiderio vorace di metabolizzare musicalmente filosofia, letteratura, cinema, quotidianità, caratterizza la sua scrittura gestuale. Possiamo ravvisare questa gestualità nelle componenti minime del discorso melodico e armonico, come nell'impalcatura formale complessiva.
Le dimensioni si inglobano come in una scatola cinese e alla fine ci chiediamo se quei gesti e quelle idee non sanciscano una sorta di superiorità della musica rispetto a qualsiasi altra forma espressiva. Senza dubbio, non c'è nessuna voglia di fuggire dal mondo, di chiudersi in un gioco astratto che poco c'entri con la storia. Anzi, l'imperativo morale è «non dimenticare», mai, anche quando potrebbe sembrare più facile o unico strumento di rassegnazione e di oblìo.
La sopravvivenza, per l'uomo, è anche tendenza a migliorare, a modificare l'ambiente, a modificare se stesso. Ecco perché chi in psicologia ha cercato di spiegare il comportamento umano con una chiusa catena di stimoli-risposte si è trovato di fronte ad ostacoli insormontabili.
Corghi ha virtualmente dilatato il quartetto d'archi tradizionale immaginandolo «doppio» nella scrittura e adottando l'amplificazione-spazializzazione elettronica. Ciò che sembrerebbe un guardare dentro la propria vita è in realtà un guardarsi allo specchio della musica. Duplicazione avvertibile molto chiaramente all'ascolto, che è smembramento, lacerazione ma anche vita e ricostruzione.
Nel brano più astratto tra quelli che proponiamo, Corghi costringe la musica, priva di spunti letterari o sfondi scenografici, a scoprirsi parte attiva nella ri-costruzione delle idee. Senza nulla perdere della propria specificità. Senz'altro un punto di vista particolare, molto differente da altre correnti e da altri importanti atteggiamenti contemporanei, ma che mette la musica alle strette, stanandola da un presunto luogo di apatica e privilegiata autoconservazione. Corghi la chiama in causa perché contribuisca all'evoluzione della società, della scienza e della politica.

BRAMANI: L'allusione al vuoto è evidente. Il vuoto che c'è in noi, l'altro spazio delimitato dalla forma e dalla vita. L'assenza. Ma guardando lo schema e ascoltandone la realizzazione compositiva scorgiamo quella soglia tra il nulla e il tempo che già Proust aveva individuato nel linguaggio. Perché?
CORGHI: Sotto un certo aspetto, oggi, nella nostra società sembra riscontrabile un vuoto lasciato dall'assenza di un progetto. Definizione che sottolinea il fallimento dei grandi sistemi interpretativi che, fino a pochi anni fa, erano alla base della modernità. Ho sempre cercato di evitare di frapporre barriere ideologiche (anche di comodo) al mio contradditorio metro di giudizio, tuttavia non posso fare a meno di prendere atto che, nel mondo contemporaneo, alla polarità costituita dalla coppia morale/politica e si va sostituendo quella che si articola intorno all'edonismo e all'estetica.
BRAMANI: Che cosa intendi per edonismo estetico?
CORGHI: Michel Maffesoli, in un suo saggio intitolato Per un'etica dell'estetica, fa notare che l'attuale edonismo predominante sembra essere un valore trasversale. A seconda dei mezzi finanziari o dei differenti gusti culturali può prendere forme molto diverse, ma si può affermare che nel senso assoluto dei termine vi sia uno stile edonista che si oppone ad una concezione del tempo finalizzata, un concetto di società che poggia sull'individuo e sulla ragione meccanica. Si tratta di un vissuto più amorale, più sensibile, più immaginifico che considera l'insieme sociale come un ordine di una moltitudine di gruppi che si adattano l'uno all'altro. Il tempo sociale, in quest'ultimo caso, è concepito in maniera ciclica: ricettacolo di ciò che accade piuttosto che creatore di obiettivi da realizzare. A tutta prima, io mi sento imbarazzato di fronte a simili affermazioni, poi immagino quanto lo possa essere maggiormente chi ha dissertato sul modo di «pensare la musica, oggi» oppure ha proposto una dimensione «stocastica» nella concezione del tempo musicale. Allora cerco di riflettere senza abbandonarmi a depressivi autodafé. Mi chiedo se stia rifiorendo, anche in musica, un disordinato neo-barocchismo. Se all'ideale astrazione parmenidea stia forse subentrando il gioco senza fine dell'immaginazione sfrenata. Come affrontare il problema del presente che tende oggi a prevalere nei confronti di un'etica ancora fortemente ancorata alla memoria storica ?
BRAMANI: Cerchiamo di orientare e nello stesso tempo allargare il tuo intervento a tutto il campo della musica d'oggi.
CORGHI: Forse le considerazioni fin qui espresse, da te sollecitate attraverso il discorso sul fattore tempo nella presentazione di Animi motus, possono diventare altrettanto significative se rapportate alla tematica del comunicare, attraverso la musica, nel nostro tempo. Una tematica che continuamente rimbalza sulle tavole rotonde attorno alle quali vengono chiamati a dibattere compositori e musicologi. Durante il nostro colloquio avremo certamente modo di approfondire questi punti.
Per quanto mi riguarda, premetto che intendo rispondere alle tue domande cercando di stare al di sopra delle classificazioni in uso di «musica contemporanea», «nuova musica» o «musica colta» in opposizione a «musica pop», «musica rock» o «musica extra-colta». Desidero parlare, pur dal mio limitato punto di vista, della musica nel nostro tempo. Non sono sicuro di riuscirci. Ma qui sta la scommessa di un compositore spesso definito «colto, accademico, serio» e per di più «musicologo a tempo perso»... al quale piace cogliere l'evento musicale, sia creativo che ri-creativo, partecipando «con tutto il corpo» alle piccole o grandi verità che ogni forma d'arte porta con sé.
BRAMANI: Che cosa significa, per te, partecipare con tutto il corpo?
CORGHI: Ricordo d'aver letto da qualche parte che «il corpo non può mentire». La valorizzazione multiforme del corpo, cui assistiamo quotidianamente, sembra rimandare ad un clima generale che favorisce il contatto o privilegia le relazioni fra le persone e le cose. In tal senso è significativo notare come la partecipazione fisica, concreta, diretta all'evento musicale - per coloro che operano di fronte a migliaia di persone - abbia altrettanta importanza di quella in origine astratta-creativa. E ancora una volta tendo a sottolineare che non faccio distinzioni fra generi musicali (ovvero fra Woodstock e il Lingotto di Torino).
Confesso che mi piace terribilmente suonare e ho sempre considerato lo strumento meccanico come un prolungamento del corpo. Pertanto anche la musica, quando è ricerca di autenticità, forma di comunicazione, tende a diventare per me un fatto corporeo. Essere musicisti con tutto il corpo può essere un modo di riscattare la musica contemporanea dalle secche degli intellettualismi da carta millimetrata o dallo sbracamento dilettantesco «neo-post».

Lidia Bramani a colloquio con Azio Corghi (Jaca Book, 1995)

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