Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, novembre 23, 2007

Alessandro Orologio

Alessandro degli orologi – Orologio e gli orologi.
La famiglia di Alessandro proveniva da Aurava, un piccolo borgo oggi nel comune di San Giorgio della Richinvelda, in provincia di Pordenone. Mistro Pellegrino, il padre del musicista, orologiaio da torre per antica tradizione familiare, nel 1550 era stato chiamato nella capitale del Friuli dallo zio Giacomo, per collaborare alla costruzione del grande orologio di Piazza San Giovanni. Ultimato il maestoso congegno, Pellegrino di Aurava era riuscito, già nel 1553, ad avere l’incarico di addetto alla manutenzione di quello e di tutti gli altri orologi pubblici della città, ed aveva quindi deciso di trasferirsi definitivamente a Udine con la famiglia. Qui era entrato in rapporti con l’ambiente della compagnia strumentale che la Comunità manteneva fin dal 1379. Suo figlio Alessandro, oltre ad imparare il mestiere paterno, aveva perciò ricevuto una formazione musicale a contatto con questa compagnia, che solo pochi anni prima annoverava ancora fra i propri membri il grande Girolamo Dalla Casa, poi trasferitosi a Venezia e diventato capo de’ Concerti delli Strumenti di fiato della Serenissima Repubblica e celebre trattatista. Viste le sue notevoli doti tecniche e musicali, nel 1573 Alessandro viene assunto come membro stabile della compagnia. La situazione del bilancio familiare dei Da Aurava tuttavia, precipita con la morte di Pellegrino. Attraverso documenti ancor oggi conservati nella Biblioteca Civica di Udine, sappiamo che, rimasto l’unico sostegno della famiglia, Alessandro ottiene nel 1574 di prendere il posto del padre come manutentore degli orologi della comunità. E’ per questo motivo che il giovane, fino allora chiamato da Aurava, da quel momento è conosciuto come Alessandro degli orologi e così viene citato nei documenti. Poco dopo, lo stesso musicista prende a firmarsi come Alessandro Orologio. Il nome Orologio è stato, fino a tempi recenti, un rompicapo che ha fuorviato più di un musicologo. Alcuni hanno ipotizzato non dimostrati legami con la nobile famiglia padovana degli Orologio. Altri, poggiando sulla denominazione De la Aurava o Della Vrava (grafie diverse che indicavano la medesima località), hanno supposto che provenisse da zone del Friuli in cui si parla un dialetto slavo, nel quale la parola Vrava significa orologio. E’ merito di Gilberto Pressacco, prima, e di altri musicologi fra cui Franco Colussi, poi, aver indicato e per quanto possibile documentato l’ipotesi più verosimile.

L’inizio della carriera di strumentista e compositore.
Verso il 1574 Alessandro degli orologi, pur in giovanissima età, è già una persona inserita nell’ambiente sociale della capitale del Friuli. Riveste incarichi pubblici sia come manutentore degli orologi, sia come membro stabile della compagnia degli strumenti a fiato in un momento in cui, finita la guerra contro i Turchi, il governo della Serenissima è disposto a spendere per potenziare e sviluppare il gruppo musicale. Per compensare questa notevole mole di impegni, Alessandro presenta diverse richieste di aumento, che vengono regolarmente accolte moltiplicando i suoi guadagni.
Cionostante, Alessandro capisce presto che la carriera vera va cercata fuori dalla compagnia musicale udinese, in capitali più importanti e ricche. Così il 6 aprile 1578 presenta le proprie dimissioni da tutti gli incarichi che svolgeva per la Comunità, decidendo irrevocabilmente di andarsene via dal Friuli. Secondo uno studioso si dirige a Ferrara, dove si fermerà per meno di due anni, cornettista “assai acclamato, ben pagato, e con meno obblighi che a Udine”, ma la notizia non è certa. Quel che è sicuro è che, due anni dopo, passate le Alpi, troviamo Orologio a Praga, presso la corte dell’Imperatore Rodolfo II, finalmente inserito come Trommeter und Musicus in quel mondo ricco e prestigioso nel quale aveva tenacemente cercato di entrare.

Orologio compositore.
L’attività di compositore di Alessandro orologio è abbastanza intensa. Nel 1586, a Venezia e per i tipi di Angelo Gardano, Orologio pubblica il suo Primo Libro de Madrigali a Cinque Voci. Nell’89, a Dresda, esce poi Il Secondo Libro de Madrigali a Quattro, a Cinque & a Sei Voci. Fra il 1593 ed il 1594, il friulano pubblica due libri di Canzonette, dedicati ai nobili e mecenati polacchi Piotr e Zygmunt Myszkowski, libri che contengono quasi tutta la sua produzione in questo genere musicale. Un terzo volume, pubblicato nel 1596 da Francesco Sagabria, contiene infatti intavolature per liuto e voce (cioè riduzioni per una voce con ‘accompagnamento’ di liuto) di composizioni che erano già quasi tutte apparse nei due volumi precedenti. Nel 1595 è il turno del Secondo Libro de Madrigali a Cinque Voci, che tiene dietro a quello che era uscito nel 1586. Due anni dopo, nel ’97, la stamperia di Jakobus Lucius a Helmstedt pubblica il volume delle Intrade a cinque ed a sei voci, dedicato al grande mecenate Cristiano IV di Danimarca, con cui Orologio è stato a lungo in contatto e per il quale ha svolto diversi incarichi. Un terzo libro di madrigali a cinque ed a sei vede la luce a venezia per i tipi di Giacomo Vincenti nel 1616. La medesima officina di stampa pubblicherà nel 1627 i Cantica Sion a otto voci. Qui si ferma (a parte brani isolati in raccolte) la lista delle opere musicali a stampa a nostra disposizione. Di altre opere di cui siamo certi, ad esempio quelle che Orologio cita nella sua lettera del 12 ottobre 1599 a Cristiano IV di Danimarca (un libro di madrigali a 5, 6 e 7 voci, uno di Madrigali Concertati, uno di Dialoghi Concertati ed un liber di coloratura) non possiamo, per il momento, che piangere la perdita.

Le Canzonette.
Anche se all’epoca in cui Orologio entrava in carriera il paradigma della musica vocale profana in Italia era ancora costituito dal madrigale, la canzonetta e gli altri generi profani cosiddetti leggeri non erano semplici surrogati del madrigale. Essi esibivano invece forme e stili autonomi e riconoscibili, pur nell’ambito di tecniche musicali condivise e di mode letterarie e culturali comuni. Né bisogna pensare che i generi leggeri fossero di per sé ‘popolari’ e perciò rozzi o poco raffinati, in contrapposizione al madrigale ‘colto’. Al contrario, si trattava di composizioni destinate allo stesso tipo di pubblico che apprezzava o eseguiva il madrigale. Per quanto riguarda il favore del pubblico, poi, studi recenti dicumentano come, sul finire del Cinquecento, i generi leggeri ed in particolare la canzonetta abbiano avuto in Italia una diffusione ed un successo paragonabili a quelli del madrigale. Fra le molteplici ragioni di ciò va certamente presa in considerazione la circostanza che quelle composizioni erano pensate per servire al divertimento, al passatempo ed alla vita sociale ed evitavano volutamente complessità ed intellettualismi, talora un po’ troppo artificiosi, propri del più ‘serio’ repertorio madrigalistico. Inoltre, la loro struttura strofica e fortmente ritornellata si prestava ad una più agile e meno impegnativa esecuzione a memoria, distinta da quella ‘sul libro’ che era indispensabile al madrigale. Le caratteristiche strutturali proprie della canzonetta, in modo particolare la stroficità, e la sua destinazione d’uso rendevano tuttavia inutilizzabili molti dei testi letterari di maggior valore e portarono alla creazione di testi strofici adatti, che, date le origini del genere e le sue parentele con gli altri generi leggeri come la villanella, non potevano che essere legati a “forme di cultura poetica bassa”. L’uso di testi di questo tipo si spiega forse anche con un’altra ragione. I testi per le canzonette, come quelli di tutta la musica vocale strofica, presentano sempre non pochi problemi legati alla difficoltà spesso insormontabile di far coincidere una struttura musicale, definita a misura della prima strofa del testo, con gli accenti tonici, le pause, gli effetti necessari alle strofe successive. Questi problemi furono superati con espedienti di vario tipo, che spesso dovevano comportare la modifica dei testi, dato che la musica doveva essere ripetuta pressochè identica salvo piccole differenze. Ciò da un lato rese i compositori molto liberi nell’uso dei testi poetici, dall’altro dovette sconsigliarli dall’utilizzare testi ‘importanti’, per i quali evidentemente ogni modifica sarebbe suonata blasfema. Questa situazione aprì la strada all’affermarsi di testi costruiti da ‘parolieri’ che agivano in modo simile a quelli del repertorio leggero dei nostri giorni. Si trattava di testi perlopiù anonimi, magari pubblicati in raccolte vendute a prezzo economico come quelle dello Zoppino, che ogni compositore poteva saccheggiare liberamente, in un’epoca in cui oltretutto non esisteva il diritto d’autore! Cionostante, molti divennero testi di grande successo e vennero ripetutamente posti in musica.

Le Intrade.
Le 28 intrade pubblicate da orologio in Germania nel 1597 costituiscono, secondo il parere di diversi musicologi, un notevole contributo per l’affermazione di uno stile musicale prettamente strumentale, allora ancora in fase di formazione. Orologio non inventa il genere intrada, ma gli dà un tale impulso che, a partire da quel momento, il nome da lui utilizzato diventa di uso generale. Infatti, dopo la pubblicazione della sua raccolta, le stampe tedesche dedicate al genere non recano più soltanto la denominazione tradizionale di Auffzug, ma contengono il nuovo termine Intrada, di evidente origine italiana. Il nome intrada significa entrata e denota composizioni destinate ad usi abbastanza diversi, che andavano da occasioni ufficiali (l’entrata, appunto, di personaggi importanti o l’inizio di cortei solenni) a situazioni conviviali, di gioco o di danza, ad uso prettamente musicale (l’entrata cioè l’introduzione di una composizione musicale diversa). Si tratta di composizioni brevi e ritornellate, nate da un repertorio originariamente modellato sulle caratteristiche degli strumenti a fiato, ma ben presto evolutesi in modo da essere compatibili con le caratteristiche degli strumenti ad arco.

Gian Paolo Fagotto (dalle note allegate al CD Arts 47531-2)

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