Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, marzo 22, 2008

Maurizio Pollini: Dialogo al pianoforte

La musica può cambiare il mondo. E il passato va letto alla luce del presente. Parla il maestro Maurizio Pollini. Alla vigilia di un ciclo di concerti a Roma.

La visione storica e musicale di Maurizio Pollini pare, a chi ascolta la sua pensosa voce baritonale stratificare concetti in maniera pacata e assorta, chiara e confortante, in un'epoca in cui le concezioni prevalenti sono quelle di un tempo aperto, multiplo ed eterogeneo: il suo è un tempo ciclico, orientato secondo un asse con tutte le possibilità di arresto, ovvero conservatorismo, ritorno all'indietro, cioè rinascimento o reazione, e marcia in avanti, ossia riforma o rivoluzione. Illuministicamente, il suo modello interpretativo dell'evoluzione artistica e musicale si fonda sull'idea che la storia abbia un unico senso e che lo storico come il critico o l'artista debbano seguire tale filo per raccontarla e per giudicare le opere, singolare parafrasi della via alla salvezza agostiniana. Per Pollini, come a suo tempo per Luigi Nono e Claudio Abbado, la musica è apertura verso l'altro. Più volte i tre musicisti hanno insistito sul valore educativo, etico e politico della musica. Esiste una profonda interazione tra la composizione di un brano e la sua realizzazione, poiché dalla constatazione che la musica è suono deriva l'importanza dell'aspetto esecutivo. La lettura di un'opera del passato è influenzata dal tempo in cui viene realizzata. Forte allora è il legame tra musica e storia come evidenziò Nono in una conferenza del 1959 dove affermò la necessità di collocare sempre l'arte in un contesto: un compositore non può scrivere in base a principi scientifici che prescindono dalla propria epoca. In pratica il ruolo di un pianista o di un direttore d'orchestra è quello di fare dialogare due periodi storici: si deve parlare del proprio tempo attraverso un'opera del passato. Parlare del valore storico della musica vuole dire anche affrontare i problemi della sua funzione e della sua destinazione. Nono, così come Brecht, riteneva che l'arte non avesse solo un ruolo di critica sociale, ma potesse anche agire sulla realtà contribuendo a formare le coscienze. La musica deve parlare della realtà e per questo richiede la massima attenzione da parte del pubblico. Questi sono solo alcuni dei temi presupposti dal ciclo di concerti 'Pollini prospettive', a Santa Cecilia, a Roma, dal 5 gennaio, ma anche dall'ultimo anello dell'integrale discografica beethoveniana, ovvero le Tre sonate opera due, e dalla prossima pubblicazione, in primavera, dei Concerti K414 e K491 di Mozart, dove Pollini dalla tastiera guiderà i Wiener Philharmoniker.

Maestro Pollini, nei suoi programmi concertistici lei non ama suonare la musica moderna da sola, ma affiancarla a brani più 'di repertorio'. Perché?
"A Roma presenterò opere di Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen e Luigi Nono; ormai esse hanno molti anni, ma sono definite ancora moderne. Per me è una cosa essenziale della vita musicale di oggi che questi grandi compositori e in generale le tendenze avanzate della musica vengano a contatto con la sensibilità profonda dello spettatore. C'è stata nel Novecento un'enorme evoluzione del linguaggio musicale che ha creato una certa frattura tra il grande pubblico e le creazioni dei musicisti. È fondamentale che questo vuoto venga colmato, che i giovani compositori e tanti altri che scrivono oggi abbiano un contatto con un pubblico sempre più vasto. Ho presentato grandi compositori della seconda metà del Novecento perché penso che proprio lì si debba insistere perché questa sensibilità venga creata in chi ascolta. Attualmente, per mancanza di frequentazione e di educazione, il pubblico non riconosce come linguaggio ciò che lo è, anche se più avanzato rispetto a quelli tradizionali. Per questo sarebbe necessaria una regolarità nella presentazione di queste opere".
Lei crede ancora nella linea di sviluppo che va da Arnold Schoenberg a Pierre Boulez?
"Certamente, pur essendo due compositori vissuti in periodi diversi. Quando Igor Stravinskij, ormai anziano, si accostò alla musica di Anton Webern, capì che quello era il cammino per il futuro, riconoscendone con grande onestà intellettuale l'importanza e la modernità. Le prime esperienze musicali, in seguito, di Boulez e Stockhausen, come dei nostri Berio e Nono, non hanno potuto che proseguire questo filone, che in definitiva conteneva più possibilità per l'arte a venire. Ognuno di questi compositori naturalmente ha percorso vie e strade diverse per la sua diversa sensibilità o forma di razionalità, perché in Nono si avverte chiaramente una radice italiana molto profonda, in specie un rapporto con l'antica musica veneziana; in Boulez ci sono alcuni elementi che lo riallacciano alla tradizione francese. Non casualmente a Santa Cecilia ho presentato un programma che unisce ai suoi brani quelli di Claude Debussy. Stockhausen ha in genere maggiori legami con Schoenberg e con la cultura tedesca. Di quest'ultimo ho programmato due 'Klavierstücke' (per l'esattezza il settimo e ottavo), 'Kontrapunkte', 'Zeitmasse' e 'Kreuzspiel'. Le esecuzioni di queste opere avranno inoltre il significato di rendere un omaggio alla memoria di questo grande genio, recentemente scomparso. Nei concerti che farò con il Maestro Antonio Pappano, con il quale sono felice di iniziare una collaborazione, sono programmate anche opere di Bruno Maderna, Pierre Boulez e Luca Francesconi, in particolare di quest'ultimo un brano in prima esecuzione assoluta, 'Hard Pace', concerto per tromba e orchestra".
Sempre nei programmi ceciliani, nel concerto dell'11 gennaio, c'è una serata dedicata a Chopin e a Nono. Cos'è che li unisce? Forse l'introspezione, il lirismo?
"Quello è un aspetto. Due compositori pure straordinariamente diversi. Non è il caso di parlare dell'importanza di Chopin. Nono ha in comune con lui la grandezza poetica. Nelle sue composizioni, anche le più violente come 'A floresta è jovem e cheja de vida', ci sono dei momenti lirici assolutamente eccezionali. Un lirismo davvero fuori dal comune: egli aveva la capacità di scrivere per la voce in un modo veramente unico. Questo pezzo che viene presentato fa parte del suo periodo politico più acceso. È infatti dedicato al Fronte nazionale di liberazione del Vietnam e certamente ha ancora oggi un'attualità politica: non è quella di stretta osservanza marxista che Nono professava allora, ma quella della protesta contro la guerra, quanto mai attuale. Ho programmato questo brano sia perché ho una forte relazione con esso, in quanto assistei alla prima rappresentazione e un entusiasmo che sicuramente non è venuto meno col tempo. Penso che anche questo periodo di Nono abbia un grandissimo valore estetico al di là del messaggio politico e dovrebbe oggi essere riascoltato con una mentalità aperta e non legata alle immediate passioni politiche come poteva avvenire al momento. Io oso sperare che sia il caso di fare i conti con questi capitoli della storia della musica vedendone la portata e l'interesse nell'evoluzione del linguaggio musicale".
E fra i nostri contemporanei, chi la interessa in particolar modo?
"Salvatore Sciarrino, Giacomo Manzoni, Helmut Lachenmann, già allievo di Nono e Stockhausen. Ma ce ne sono molti altri, perché la musica di oggi è quanto mai viva, anche se magari costretta a operare in condizioni difficili. Mi piacerebbe, magari in un prossimo futuro, dedicare un ciclo di concerti anche ad altri autori, come per esempio Wolfgang Rihm, Beat Furrer, Adolfo Nunez e Gérard Grisey".
Nei programmi romani ci sarà molto Brahms: una persona dalla vita privata schiva, riservata che poi, dinanzi alla tastiera, sapeva trasformarsi in un leone. Ho sempre visto una certa affinità caratteriale fra Brahms e lei, è un'impressione sbagliata?
"Se intende questa affinità come amore, senz'altro sì. Con Brahms ho un rapporto molto stretto, in particolare con i due concerti per pianoforte e orchestra, che ho eseguito molto spesso. Il Concerto in re minore è un'opera peculiare, perché forse è stata ispirata dalle vicende degli ultimi tragici anni di vita di Schumann e dai rapporti di Brahms con questo grande musicista che venerava. Brahms scrisse una lettera a Schumann nel 1854 dove gli annunciò la composizione di una 'certa sinfonia in re minore' con un primo movimento lento. Già era in nuce questo prodigioso concerto che venne ultimato cinque anni dopo e accolto con indifferenza dal pubblico tedesco, poiché era un pezzo molto più interiore e potente nello stesso tempo, rispetto alla norma. E anche un po' uno spartiacque nella stessa produzione brahmsiana, concludendo il suo primo periodo compositivo affine allo Sturm und Drang. Certo è stupefacente come un giovane di poco più di vent'anni (questa era la sua età quando iniziò a comporlo) sappia essere così profondo. A Roma io e il Maestro Antonio Pappano eseguiremo i suoi due concerti che saranno inseriti anche nelle 'Prospettive'. Sempre di Brahms, con il Quartetto Hagen, interpreterò poi il Quintetto per pianoforte e archi".
Parallelamente all'attività concertistica, lei registra dischi e sta ultimando l'integrale delle sonate di Beethoven. Adesso è arrivato il momento delle Tre sonate dell'opera 2: siamo già dinanzi al Beethoven della grande maniera?
"Nelle sue prime composizioni pubblicate noto già i segni evidenti del suo carattere. Questo si può vedere in tante cose, innanzitutto nel trattamento dello strumento. Beethoven scrive per il pianoforte a cinque ottave di Mozart e di Haydn, ma riesce a realizzare con questi mezzi limitati grandi sonorità orchestrali, una potenza nuova per quell'epoca e in genere un suono assolutamente suo. Forse ci potrebbe essere una lontana influenza di Clementi, sul suo modo di scrivere allora. Le Tre sonate dell'opera 2 sono di scrittura virtuosistica e con notevoli difficoltà tecniche, perché evidentemente il giovane Ludwig voleva allora affermarsi pure come pianista. Anche prendendo degli spunti dai compositori che lo hanno preceduto: per esempio, il tema iniziale della Sonata opera 2 numero 1 ha una parentela con il Mozart della Sinfonia in sol minore. Con lui però tutto assume un altro un carattere: sarebbe un grave errore vederlo nella posizione di epigono di Haydn e di Mozart. Lo spirito della musica è già completamente diverso".
Beethoven, in omaggio a Kant e all'Illuminismo, nelle sue lettere scrive che con la sua opera vuole confortare l'umanità umile e in catene. Un principio morale che sente anche suo?
"Beethoven voleva creare non solo delle composizioni straordinariamente belle ma influire sulla mentalità delle persone, sulla storia del mondo. Tutta la grande arte ha questa funzione progressiva".

colloquio con Maurizio Pollini di Riccardo Lenzi (da L’Espresso n.51 del 21 dicembre 2007)

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