Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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sabato, novembre 15, 2008

La Creazione secondo Haydn

L'affascinante oratorio del grande Franz Joseph verrà eseguito il 17 e 18 febbraio 1990 a Modena e Reggio Emilia sotto la bacchetta filologica di Christopher Hogwood.

C'è un lunghissimo accordo in do minore. Sembra abbandonato da qualcuno, senza motivo, senza appigli. Il disegno si dispiega: non conosce confini, non ha un sopra, non conosce un sotto. Se non giungessero i violini e le viole a raccoglierlo, quasi con angoscia, sovrapponendosi, l'ascoltatore si smarrirebbe. Anche se il loro ingresso è dissonante, lo si ringrazia. C'è un po' di compagnia. Alla quarta battuta della partitura i primi violini si staccano da quel magma di suoni, danzano un'elegante spira semitonale, che ha in sè qualcosa di pauroso, ma che avverte: tutto è iniziato. Bastano pochi secondi per accorgersi che un'entità viene plasmata, allorchè una sinfonia caotica entra in scena, diffondendo ritardi, dissonanze, progressioni, cadenze evitate. Non c'è dubbio: l'universo sta cominciando a vivere. Quel genio di Franz Joseph Haydn ha descritto con pochi suoni un lavoro particolarmente riuscito a Dio: La creazione. Le tonalità ambigue accompagnano ogni battuta di questi primi momenti. E' una rappresentazione del caos iniziale perfetta. Sono suoni che commentano il versetto biblico: "La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque". Si cercano forme. E Dio forgia la prima di esse: la luce. Haydn non ha dubbi: quel celebre "fiat lux" va risolto con uno scoppio trionfante di do maggiore. I fisici e gli astronomici dicono che l'espressione equivale al Big-Bang. Sarà. Ma nel testo ebraico della Bibbia si conserva un verbo prezioso che l'agiografo riserva soltanto all'azione creatrice di Dio: è barà, un suono che scompare quando l'uomo cerca di creare qualcosa, ovvero quando riesce soltanto a produrre. Haydn questo l'aveva meditato con una sottigliezza a noi ignota. Accompagna le forme che nascono da Dio con dolcezza e le trasforma in quella che gli uomini chiamano realtà. Il do maggiore della luce si diffonde sino a ricoprire l'intera opera, si stempera, e ci si accorge che la partitura è sensibile dove c'è luce. Così, Die Schopfung, La creazione, è una geometria di luce prima che oratorio: ecco Haydn commuoversi al sorgere del sole all'inizio della terza giornata, insieme con i "più dolci raggi della luna"; ed eccolo cesellare l'eterea sonorità di tre flauti e degli archi pizzicati per l'alba della terza parte. Anche la "notte eterna" viene rappresentata. E la caduta degli spiriti infernali - un collasso di luce - diventa un fugato in do minore (il tema del caos iniziale) in un movimento in la maggiore. Va aggiunto che La creazione, così come oggi la conosciamo, ha uno schema atipico per l'epoca. Nella prima e seconda parte l'inizio di ogni giorno è deposto in una cornice di narrazione biblica e si chiude con un coro. C'era indubbiamente spazio per una maggior quantità di descrizione. Quella che poi avviene nella terza parte, dove Adamo ed Eva contemplano beati se stessi e il mondo da poco creato, avvolti in un'atmosfera idilliaca. Non manca, ovviamente, anche il lato pittoresco. Si pensi alle parti in cui Gabriele, Uriele e Raffaele - trasformati da Haydn in tre solisti - elaborano il racconto biblico della creazione, parafrasando quasi sempre il Paradiso perduto di Milton. Comincia una ricreazione della creazione, ovvero l'atto di Dio lavora già nelle creature. Haydn mostra con i suoni che le varianti di un possibile racconto, che ogni creatura tenta, sono tutte vere perchè immagini di un atto iniziale cominciato da Dio. Per questo i tre solisti sono scortati da suoni gradevoli con tratti leziosi. E anche Haydn stesso si diverte allorchè descrive la creazione degli animali pesanti usando il controfagotto, e un violento colpo di trombone gli serve perannunciare la nascita del re, il leone. Queste note il lettore le usi come un semplice cenno per meditare su una notizia: Christopher Hogwood verrà in Italia a dirigere La creazione di Haydn (con The Academy of Ancien Music e relativo coro, con Emma Kirby, soprano; Anthony Rolfe Johnson tenore; con Michael George, basso). E' prevista la prima esecuzione sabato 17 febbraio alle 21 al Teatro comunale di Modena, una seconda esecuzione domenica 18 a Reggio Emilia. Un avvenimento decisamente interessante: innanzitutto perchè Hogwood è oggi il direttore d'orchestra piu' qualificato per tentare una lettura filologica della Creazione, poi perchè lo stesso indagatore di sonorità originali sta iniziando l'incisione delle sinfonie di Haydn (il primo box sara' pronto in maggio presso l'Oiseau-Lyre). Certamente non sarà cosa semplice rileggere un'opera siffatta, già collaudata da celebri bacchette. C'è una versione di Bernstein (Cbs), c'è l'interpretazione di Karajan (Deutsche Grammophon), c'è l' elegante intuizione di Munchinger (Decca), c'è quella che preferiamo firmata da Jochum (Philips). Taciamo di molte altre, altrimenti dovremmo scrivere una bibliografia ragionata. Ma Hogwood ha un suo spazio. O meglio: c'è ancora da giocare una carta su questa splendida partitura e Hogwood è tra i pochi a possederla. Detto questo, non ci è possibile aggiungere altro. Val la pena di informare il lettore che l'opera non è così semplice come appare sotto la bacchetta di un esperto incantatore quale Bernstein. Si può cominciare dal libretto, su cui c'è un lavoro da compiere prima di accettare quel che di solito si legge, perchè venne avvolto già nei primi tempi da aneddoti e pettegolezzi. Si può soltanto essere certi di un fatto: che Haydn venne in possesso della necessaria trama durante la sua seconda visita a Londra e che con buone probabilità aveva intenzione di musicarla per un concerto organizzato da Salomon. Ma nel periodo 1794-95 il maestro cambiò protettore: da Salomon passò all'Opera Concert. E' inutile aggiungere che per lui, nonostante la fama, non sarebbe stato prudente entrare in concorrenza con Handel. La Creazione dovette così attendere. Inoltre il libretto originale inglese andò perduto. Gottfried van Swieten, che fa la figura dell'autore e ne curò una libera traduzione in tedesco, notò che l'estensore non veniva nominato. Ciò contrasta con una dichiarazione che Haydn rilasciò a Griesinger (autore di una serie di profili del musicista comparsi a Lipsia nel 1810): per quel che ci è stato tramandato, il maestro affermò che il librettista era un "inglese chiamato Lidley". Ma qui i problemi anzichè risolversi si complicano. Haydn conosceva un Lidl, suonatore di baryton, c'è un Thomas Lindley, compositore inglese, un Robert Lindley, violoncellista londinese. Tutti e tre sono papabili. Come si vede, non manca lavoro per i ricercatori. Ammesso che la sorte abbia salvato loro dei documenti. A noi resta il compito di capire l'affascinante odissea di quel do che accompagna Dio nei primi secondi dell'Universo. Tutto nacque lì: da pochi secondi. In fondo l'eternità è soltanto il tempo necessario per commentare quel che è successo in quegli istanti tra Dio e il Nulla. Tutto il resto non conta. Se mancasse quell'accordo in do minore, quel lampo di tempo, forse avrebbe vinto il Nulla. Ma questo Haydn non l'ha considerato.

di Armando Torno (Il Sole 24 Ore, 11/2/1990)

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