Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

martedì, gennaio 06, 2009

Quartetto Belcea: il moderno dell'antico

Ogni quartetto d'archi ha la fortuna di poter contare su un ampio repertorio di enorne spessore musicale: il problema semmai è quello di esserne pienamente all'altezza. Seppure ancor giovani (le loro date di nascita sono comprese fra il 1971 e il 1976), i componenti del Quartetto Belcea ne sono ben consapevoli: suonano con la grinta e la brillantezza tecnica proprie di un quartetto moderno, ma sanno coniugarle a un'eleganza e uno spirito che rammentano le migliori formazioni del passato. Costituitosi a Londra nel 1994, il Quartetto Belcea (Corina Belcea, Laura Samuel, Krzysztof Chorzelski, Alasdair Tait) si è rapidamente imposto all'attenzione generale grazie alle vittorie nei concorsi intemazionali di Osaka e Bordeaux (1999), seguite da molti altri riconoscinienti internazionali. Gli impegni e le passioni di Alasdair Tait l'hanno poi condotto per altre vie: nel 2004 ha infatti dato vita all'Ulysses Ensemble ‑ specializzato nel repertorio del XX e XXI Secolo ‑ assumendo poi la direzione del dipartimento di musica da camera del Royal Northern College of Music a Manchester. Nel 2006 Tait è stato dunque sostituito dal violoncellista francese Antoine Lederlin, che nel corso dell'intervista ha dimostrato di aver già raggiunto un perfetto affiatamento con i suoi nuovi compagni d'avventura.

Come e quando vi siete conosciuti, e soprattutto come siete giunti alla decisione di dar vita a un quartetto d'archi?
Corina Belcea: Ci siamo incontrati all'inizio degli anni '90 al Royal College of Music di Londra. Studiavamo musica da camera con il Quartetto Chilingirian, e l'idea di dar vita a u n quartetto d'archi è nata spontaneamente dalla nostra amicizia e dalla nostra comunanza di interessi. All'inizio per noi si trattava soprattutto di un'esperienza forinativa: poi, con il tempo, è diventata una cosa seria. Abbiamo partecipato a vari corsi estivi, in particolare in Austria, e incontrato altri quartetti. Lo studio, lo scambio di idee e l'approfondimento del repertorio hanno rafforzato in noi la convinzione che quella era la nostra strada.
Oltre alla vostra attività con il quartetto, attualmente suonate in altre formazioni, in orchestra o come solisti?
Corina: Pur avendo alle spalle altre importanti esperienze, io, Laura e Krzysztof negli ultimi quindici anni ci siamo concentrati soprattutto sulla musica da camera. Essendo entrato a far parte del nostro ensemble molto più tardi, sull'argomento Antoine può senz'altro dire qualcosa di più.

Antoine Lederfin: Sì, come ultimo arrivato penso che la domanda riguardi soprattutto me. Non ho studiato a Londra come i miei tre colleghi. Mi sono diplomato al Conservatorio di Parigi e ho compiuto la mia prima esperienza importante in orchestra quando a vent'anni ho vinto un concorso all'Orchestre Philharmonique de Radio France. In seguito ho lavorato molto anche in Italia, con la Filarmonica Toscanini: ora vivo a Basilea e sono primo violoncello nella Sinfoniecorchester Basel. Naturalimente, prima di conoscere Corina e gli altri, ho acquisito parecchia esperienza anche nell'ambito della musica da camera.
Corina: [ride] Beh, altrimenti non ti avremmo preso con noi!.
Krzysztof Chorzelski: Credo che per ogni musicista sia fondamentale non circoscrivere la propria esperienza a un solo ambito. Naturalmente bisogna avere volontà e fortuna. Io, per esempio, anche grazie alla vittoria al premio Wronski di Varsavia nel '92 ho avuto l'occasione di suonare spesso come solista. Però non ci si può neanche «disperdere» troppo, se si è determinati all'approfondimento. Le nuove esperienze offrono stimoli per imparare e per migliorarsi, ma non bisogna mai cedere alla frenesia. C'è il tempo dell'azione e il tempo della riflessione: per comprendere ciò, la musica da camera aiuta moltissinio. Non solo ad ampliare i propri orizzonti culturali, ma anche a conoscere meglio tutte le potenzialità del proprio strumento.
Antoine: Verissimo. Del resto lo sviluppo della personalità e quello della tecnica sono più interconnessi di quanto non si creda. Negli ultimi tre anni, lavorare così intensamente in quartetto mi ha condotto a ripensare completamente il mio modo di suonare il violoncello e al tempo stesso ha rivoluzionato il mio approccio alla musica. La precisione, la concentrazione, il lavoro di cesello, l'approfondimento stilistico che questo repertorio richiede non ammettono scuse o approssimazioni.
Vi siete perfezionati con il Chilingirian, l'Amadeus e più tardi con il Berg, ma esistono anche dei quartetti del passato più o meno lontano che avete preso a modello per qualche loro particolare caratterística?
Corina: Anzitutto penso che siamo stati incredibilmente fortunati ad avere simili maestri: è stato un privilegio conoscere da vicino dei musicisti di tale spessore e tale esperienza, fra l'altro così instancabilmente generosi nel trasmetterci le loro conoscenze. Naturalmente ammiriamo anche le formazioni del passato più lontano: ad esempio le registrazioni del Quartetto Busch costituiscono per noi una fonte d'ispirazione inesauribile.
Antoine: Anche a distanza di tempo ci sono dei raggiungimenti che continuano a costituire dei modelli assoluti: così all'impronta mi vengono subito in mente il Ravel del Quartetto Italiano, o il Webern del LaSalle. Ancor più specificamente, ascoltare le registrazioni dei grandi quartetti del passato è importantissimo per avvicinarsi alla tradizione più prossima agli autori che affrontiamo di volta in volta. Ora che stiamo lavorando intensamente su Bartók, per esempio, abbiamo studiato con attenzione le incisioni del vecchio Quartetto Ungherese capeggiato da Zoltári Székely, che come tutti sanno era un caro amico del compositore. Molto prima di incontrare i miei attuali compagni di viaggio mi sono innamorato del repertorio quartettistico ascoltando in disco il Beethoven del Quartetto Talich: la ricordo ancora come un'esperienza sconvolgente. Così come il Debussy del Quartetto Calvet, un meraviglioso ensemble francese che ha lasciato pochissime registrazioni e purtroppo oggi è quasi dimenticato.
Ormai avete effettuato parecchie incisioni discografiche, ma entrando in studio per la prima volta avete dovuto superare qualche tipo di imbarazzo o difficoltà?
Corina: Quando abbiamo realizzato il nostro primo CD per la Emi nel 2001, avevamo già fatto diverse registrazioni in concerto per la BBC: l'impatto con i microfoni, i tecnici del suono e così via non ci ha dunque causato particolari imbarazzi. Devo dire però che entrando in studio per registrare un disco si avverte una pressione completamente nuova: tutto deve essere subito impeccabile e le responsabilità aumentano. Devo ammettere che il primo giorno mi sentivo un pesce fuor d'acqua.
Laura Samuel: Quando si fa musica le giuste sensazioni, l'ambiente, la serenità di spirito sono determinanti per raggiungere la necessaria concentrazione: e se proprio qualcosa va storto, c'è sempre la prossima volta! Qui, se alla fine delle sedute non hai raggiunto il risultato sperato, non esiste rimedio. Ricreare in studio le stesse sensazioni del concerto non è faccenda così semplice, almeno all'inizio: tutto sembra troppo asettico. In fin dei conti, però, superare questo «blocco» iniziale non è stato difficilissimo. E' lo stesso che tuffarsi in piscina: dopo due minuti ci si accorge che l'acqua non era poi così gelata.
Antoine: Sì, beh, sempre a patto di saper nuotare. [risata generale]
Detto senza piaggeria, credo l'abbiate dimostrato. Capovolgendo la domanda: tutte le vostre registrazioni Emi, fino a oggi, sono state effettuate in studio. Avete mai pensato di incidere un disco dal vivo?
Antoine: Ne abbiamo discusso a lungo, fra noi. La cosa però risulta abbastanza complicata, perché ottenere il materiale necessario al montaggio comporterebbe almeno tre concerti nella stessa sede: il che è quasi impossibile. Specialmente ora, per Bartók, sarebbe stato fantastico: ma programmare i suoi quartetti per tre sere di seguito in una sola città sperando di riempire ogni volta la sala è decisamente utopistico.
Domanda a bruciapelo. Se fosse in vostro potere salvare un singolo quartetto per archi in tutta la letteratura, quale scegliereste? Ovviamente ciascuno di voi può dare una risposta differente.
Corina: Certo che questo segnerebbe la nostra fine prematura, come quartetto! Non ci ho mai pensato: passo la mano, mi è proprio impossibile rispondere.
Laura: Davvero non potrei vivere senza la Cavatina del Quartetto in Si bemolle maggiore: sì, messa proprio alle strette, sceglierei l'op.130 di Beethoven.
Antoine: Sarebbe concesso conservare almeno tutti gli ultimi quartetti di Beethoven? Non mi chieda di restringere ulteriormente il campo!
Krzysztof: Anch'io mi associo.
Con quale frequenza vi riunite, per studiare insieme?
Corina: Diamo circa settanta concerti all'anno e di conseguenza dedichiamo parecchio tempo allo studio e alla prove. Salvo brevi periodi di riposo e spazi per assolvere gli impegni personali, direi che ci riuniamo quasi quotidianamente. Com'è naturale ci sono poi momenti di particolare intensità, che coincidono con le tournée. Quest'anno, ad esempio, abbiamo in programma un lungo giro di concerti in Inghilterra. Dopo l'estate saremo in Austria e Olanda, a fine ottobre torneremo in Italia per suonare a Ischia. Il 2008 si concluderà a Bucarest e con una tappa a Istanbul.
In percentuale, quanto tempo riservate allo studio e alla pratica individuale, e invece a quella collettiva?
Corina: I tempi sono equamente ripartiti, anche perché è importantissimo che ciascuno porti la sua esperienza e la sua riflessione individuale nel lavoro di gruppo.
C'è qualcosa in particolare che sacrificate della vostra vita, per lavorare a questi livelli in quartetto?
Antoine: Da un certo punto di vista bisogna pagare un alto prezzo alla disciplina richiesta dal lavoro in quartetto. Ogni più piccolo sbandamento è sotto gli occhi di tutti, anche perché il pubblico che frequenta i concerti da camera è in genere molto competente: e soprattutto non si può scendere ad alcun tipo di compromesso con se stessi. Più che in termini di tempo, sono le energie fisiche, intellettuali e spirituali ad essere messe a dura prova; ma com'è ovvio, le soddisfazioni che si traggono frequentando ogni giorno questa grande musica ripagano ampiamente di tutto ciò.
Laura: Direi che la cosa veramente difficile sia migliorare sempre come individuo e come gruppo, seguire tutti assieme un coerente e armonioso percorso di sviluppo. Se si riesce a farlo, ogni sacrificio diventa secondario.
Krzysztof: Si sta toccando un punto molto importante, perché la natura introspettiva della musica che trattiamo ci mette ogni giorno di fronte a uno specchio non sempre facilissimo da osservare. Indagare quotidianamente questioni tanto profonde e allo stesso tempo delicate rappresenta un grande impegno.
Antoine: In effetti, confrontando la mia esperienza in orchestra con quella in quartetto, la differenza principale non è certo rappresentata dallo stress o dalla fatica, bensì dall'esposizione che in quest'ultimo ambito si ha dal punto di vista umano. Ciò vale sia nella relazione col pubblico sia in quella con gli altri componenti del gruppo, che diventano il tuo lavoro e contemporaneamente la tua famiglia. Siamo carissimi amici dentro e fuori l'attività musicale, e tutto questo va coltivato. Non mancano i momenti di tensione, i guai esterni e interni, ma il nostro sodalizio ci permette di superare ogni problema.
Corina: Sono considerazioni che valgono sicuramente anche per me. La possibilità di approfondire questo repertorio in compagnia di splendidi amici mi ripaga di ogni possibile rinuncia, comprese quelle musicali. Del resto, come diceva prima Krzysztof, non si può suonare un giorno un quartetto di Beethoven e il giorno dopo essere solista nel Concerto in Re minore di Sibelius. Finora non mi sono mai pentita delle mie scelte, e spero sarà sempre così.
Quando si tratta di scegliere un ingaggio, una tournée o un nuovo brano da studiare, chi ha la prima e l'ultima parola?
Antoine: [ride, indicando Corina e Laura] Non guardi da questa parte...
Laura: Ognuno fa presente le sue necessità le sue idee: poi si decide di comune accordo. E se proprio ancora non basta, mettiamo al voto sperando che una decisione passi per 3‑1!
Corina: Ciascuno di noi, del resto, conosce le esigenze di tutti gli altri: infatti cerchiamo di non prendere mai impegni che superino le due settimane consecutive. Per quanto riguarda il repertorio, in generale leggiamo regolarmente per nostro conto nuovi brani e poi scegliamo di approfondirne alcuni e accantonarne altri. A volte ci vengono anche presentate delle richieste dall'esterno, e meditiamo con attenzione se accoglierle.
Negli ultimi anni avete suonato in tutto il mondo. A parte le ovvie differenze di clima e di latitudine, che cosa cambia nel vostro modo di suonare a Honolulu e a Salisburgo, come appunto avete fatto?
Antoine: Beh, è chiaro, a Honolulu suoniamo in costume da bagno. [risata generale] A parte gli scherzi, ogni platea reagisce a suo modo. La differenza tra il pubblico europeo e quello degli Stati Uniti o dell'Australia è notevole. In questi ultimi luoghi, l'assenza di una forte e lunga tradizione è compensata da una partecipazione di solito più disinvolta e curiosa dei giovani.
Krzysztof: Lo stesso vale per il Giappone. Quando siamo arrivati sul posto non solo l'attenzione e la concentrazione del pubblico ci hanno vivamente colpito, ma anche l'accoglienza davvero entusiastica riservata alle nostre esecuzioni.
Corina: E' vero, pensavamo che pur ormai abituati al repertorio sinfonico e a quello operistico, fossero meno interessati alla musica da camera: un pregiudizio clamorosamente smentito.
Antoine: Un'altra bellissima esperienza è stata quella in Romania, la patria di Corina. Abbiamo suonato a Bucarest, per un pubblico molto giovane e davvero speciale.
Praticate mai lo scambio del primo e del secondo violino, come fanno ad esempio il Quartetto Emerson o il Quartetto Artemis?
Corina: No, questo no: però suoniamo anche musica per trio d'archi ‑ che ovviamente prevede la presenza di un solo violino ‑ e a volte è Laura ad eseguirla. Ho anch'io bisogno di riposo!
Krzysztof: Uno fra i brani che Antoine ed io prediligiamo è il meraviglioso Divertimento per violino, viola e violoncello K 563 di Mozart. Dobbiamo solo aspettare un momento di stanchezza in Corina o Laura e finalmente possiamo suonarlo.
Vi è mai capitato di trovarvi in forte disaccordo circa le modalità esecutive o interpretative di un brano?
Laura: E' umanamente impossibile che non capitino divergenze di opinione. Ciascuno espone con tranquillità la sua: il gruppo ascolta e poi sceglie la più convincente.
Corina: Del resto, per fortuna, non siamo mai arrivati a scontri particolarmente aspri: alla fine siamo sempre riusciti a trovare una soluzione comune a ogni problema.
Parlando più in generale, i vostri gusti musicali sono abbastanza simili o capita che siano anche molto diversi?
Laura: Credo che i miei gusti siano un po' più conservatori di quelli degli altri, specialmente in termini di musica contemporanea. Non sono così avventurosa e coraggiosa, nello sperimentare il nuovo.
Antoine: Sì, ma è anche vero che per approfondire adeguatamente il repertorio classico, romantico e del primo Novecento non basta un'intera vita: quindi non capita così spesso di mettere Laura in difficoltà con scelte troppo azzardate.
Corina: Anche perché ora ci attende un progetto ad ampio respiro: inizieremo presto a incidere tutti i quartetti di Beethoven, e questo ci terrà impegnati molto a lungo.
Krzysztof: In ogni caso abbiamo commissionato varie volte nuovi brani a compositori di oggi, e continueremo sicuramente a farlo.
Una delle vostre realizzazioni discografiche più belle e importanti è quella dedicata ai quartetti di Britten, generalmente trascurati dagli interpreti. Come vi siete avvicinati a queste pagine, e quali loro pregi vi hanno spinto a inserirle in repertorio?
Krzysztof: Avendo studiato in Inghilterra conoscevamo i quartetti di Britten fin da ragazzi: li abbiamo approfonditi con il Chilingirian, li abbiamo eseguiti spesso in pubblico e nel tempo abbiamo sviluppato con questi brani un fortissimo legame sentimentale. Ci è parso dunque più che naturale proporre alla Emi di registrarli. All'inizio ci sono state delle difficoltà, perché non si trattava certo d'un progetto capace di garantire un formidabile risultato commerciale. Dopo qualche insistenza la nostra proposta è stata accolta e ne siamo stati felici, anche perché l'esito delle sedute d'incisione ci ha davvero soddisfatti.
Corina: La cosa buffa è che il box con i quartetti di Britten risulta a oggi il nostro disco più venduto.
Antoine: Io invece non conoscevo i quartetti di Britten prima di entrare nel Belcea, e in tutta sincerità non immaginavo fossero tanto belli e importanti. Invece quando ho ascoltato i dischi sono rimasto subito folgorato: è musica fantastica, geniale e profonda. Una vera sorpresa.
Laura: Ancor più sconosciuti dei quartetti sono i Tre divertimenti del 1936, che al pari della Simple Symphony costituiscono un esempio dell'incredibile freschezza e libertà inventiva del giovane Britten. Perciò abbiamo voluto a tutti i costi includerli nella raccolta.
In passato avete collaborato con famosi cantanti quali Ian Bostridge, Simon Keenlyside e Anne Sofie von Otter: cosa rammentate di quelle esperienze?
Corina: Anzitutto è stato molto stimolante confrontarsi con personalità musicali così forti e definite eppure così diverse. Soprattutto direi che sul piano artistico sono state esperienze molto gratificanti, e sul piano pratico hanno influito assai positivamente sulla nostra duttilità.
Laura: Aggiungo una cosa secondo me molto rilevante: per eseguire bene i quartetti di Schubert o di Schumann è assolutamente necessario conoscere in profondità anche la loro produzione liederistica. C'è di meglio che discuterne con un Bostridge o una Otter?
Krzysztof: Infatti: siamo tutti e quattro innamorati del repertorio liederistico, e la possibilità di avere scambi di opinioni con degli artisti tanto validi e affermati nel campo è stato un vero privilegio. Qualche anno fa, inoltre, abbiamo partecipato a un allestimento di uno dei più grandi capolavori di Britten, The Turn of the Screw. Nel ruolo di Quint c'era Mark Padmore, secondo me uno dei cantanti più raffinati e sensibili di oggi. Con noi hanno suonato i London Winds e al pianoforte c'era Huw Watkins, ottimo camerista. Anche quella è stata un'occasione da ricordare.
A proposito, avete in repertorio anche il Quartetto con soprano di Schönberg?
Krzysztof: Certo che sì, e lo adoriamo.
La vostra più recente registrazione riguarda un monumento della letteratura novecentesca, i Sei Quartetti di Bartók. Ovviamente sono dei capolavori, ma quali elementi vi hanno colpito di più nello studiarli ed eseguirli?
Laura: Anche se la complessità e l'audacia della loro struttura lascia a bocca aperta, da parte mia direi l'inventiva timbrica, ritmica e armonica senza limiti.
Krzysztof: Io invece direi proprio la forma: o ancor meglio, la capacità di rifarsi alla forme classiche eppure di reinventarle completamente.
Antoine: L'addentrarsi senza paure ed esitazioni in territori vergini. La forza barbarica, quasi feroce, combinata a una lucidità assoluta. Mi riferisco soprattutto alla «fisicità» dirompente del Quarto e del Quinto Quartetto. Non conosco nessun altro compositore che sappia combinare tanta scienza a questa energia brutale, direi primordiale.
Corina: Non so se le mie origini rumene influiscano in ciò, ma sicuramente l'uso così sofisticato eppure così autentico dei materiali folclorici conferisce ai quartetti di Bartók un sapore del tutto particolare. Ma attenzione, andiamo ben oltre l'oleografia, oltre il folclore e perfino oltre l'antropologia: in questa musica è la natura stessa, che parla e che danza.

intervista di Paolo Bertoli (Musica, luglio-agosto 2008, n.198)

1 commento:

Leipziger ha detto...

Ho avuto modo di apprezzare l'incisione dei quartetti di Bartók eseguiti dal Quartetto Belcea, e devo dire che mi ha lasciato molto favorevolmente impressionato.
Ciò che hanno saputo trarre soprattutto dal quarto e dal quinto quartetto in termini proprio di musica come voce della natura (in linea con la poetica di questo grande genio del novecento) non ero riuscito a trovarla in altre incisioni, magari più note di questa al grande pubblico.

Saluti,
Leipziger