Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, febbraio 01, 2009

Paul Badura-Skoda: pioniere e collezionista

Paul Badura‑Skoda ci accoglie in una sala di Villa Medici Giulini, a Briosco in Brianza, tra i pianoforti antichi di una delle collezioni più importanti d'Europa. L'occasione è un corso di perfezionamento, pochi giorni dopo un recital milanese. Dell'interpretazione sul pianoforte d'epoca Badura-Skoda è da considerarsi un pioniere. Quando ha incominciato ad occuparsene, più di mezzo secolo fa, a nessuno o quasi passava per la mente l'idea di eseguire Mozart e Beethoven sui pianoforti viennesi del Settecento e del primo Ottocento. La sua ampia discografia comprende tante integrali: i Concerti e le Sonate beethoveniane (queste ultinie registrate tra il 1969 e il 1970 su un Bösendorfer Imperial), le Sonate di Schubert eseguite su strumenti d'epoca, le Sonate di Mozart e i Concerti mozartiani (quest'ultirna in corso di realizzazione). Nella sua collezione di pianoforti antichi si trovano molti pezzi pregiati, come i diciotto strumenti conservati nel Castello di Krenisegg, a Kremsmünster (Alta Austria), uno dei migliori musei al mondo per gli strumenti d'epoca.

Come è andato il concerto a Milano?
Molto bene, perché la Società dei Concerti riesce quasi sempre ad avere la sala piena, nonostante un po' in tutta Italia si continui a parlare di crisi del pubblico. La cosa che mi fa più piacere è aver visto i giovani, mentre in altre città, anche in Austria, il pubblico diventa ogni anno un po' più vecchio. Sono molto soddisfatto anche perché mi sono sentito in buona forma e alla mia età, ottant'anni, è un miracolo riuscire ancora ad avere il controllo necessario per suonare.
Quanti concerti tiene all'anno?
Dipende. L'anno scorso, in occasione del mio ottantesimo compleanno, ho viaggiato più del solito, suonando in quattro continenti, per un totale di circa quaranta concerti tra America Latina, Stati Uniti, Russia, Giappone, Francia, Germania, Italia, Austria, Svizzera: davvero non si può fare di più. La cosa ancora più importante, però, sono le nuove incisioni, che alla mia età ormai considero una sorta di testamento: voglio pensare al futuro, ai dischi da lasciare dopo di me. L'importante è poter lavorare in completa libertà, curando ogni dettaglio, come è avvenuto per le due sonate di Schubert che usciranno proprio a fine maggio per un'etichetta tedesca, la Genuin, la Sonata in La minore D 784 e la Sonata in La maggiore D 959. Avevo inciso tutto in due giorni di lavoro intenso, poi riascoltando le registrazioni mi sono accorto che c'era qualcosa che non andava con uno dei due pianoforti utilizzati ‑ mancava la pienezza del suono ‑ così la settimana successiva ho inciso nuovamente una delle sonate sul mio grancoda Bösendorfer, che ha un suono orchestrale. Tra i miei dischi c'è un'eccellente versione dei cinque Concerti di Beethoven, registrati più di cinquant'anni anni fa con Scherchen e l'Orchestra dell'Opera di Stato di Vienna e che permette un confronto interessante tra l'interprete che sono adesso e quello che ero allora: è un confronto ‑ devo dire ‑ che posso sostenere, perché senza dubbio da giovane, con una maggiore forza fisica, facevo meglio alcune cose, ma oggi credo di avere superato la qualità delle mie prime incisioni. poi c'è il discorso sulla qualità sonora, che ai nostri giorni è fantastica.
Di Schubert ha appena registrato anche l'Arpeggione con il violoncellista Nicolas Deletaille per l'etichetta Fuga Libera...
Sì, con un vero arpeggione e con un pianoforte viennese dell'epoca, un Conrad Graf. Naturalmente il pianoforte viennese è meno potente di quello moderno, ma è l'ideale per accompagnare l'arpeggione, che non possiede il suono pieno di un violoncello: con il pianoforte moderno avrei dovuto suonare sempre pianissimo. E' una registrazione di cui sono molto soddisfatto.
Quindi ha scelto un moderno Bösendorfer per le sonate e un pianoforte viennese d'epoca per l'Arpeggione...
Il Bösendorfer è uno strumento del 1962, rimesso completamente a nuovo. L'ho acquistato negli Stati Uniti e che ora fa parte della mia collezione: davvero un ottimo strumento. Vede, io non sono un fanatico del pianoforte antico, perché il pianoforte antico e quello moderno hanno entrambi pregi e difetti. Lo strumento antico ha più rumori, dalla ginocchiera agli smorzatori (perfino le stesse corde fanno rumore), mentre sul pianoforte moderno, quando è messo bene a punto, tutto risulta molto più regolare, anche se i bassi sono più cupi e meno trasparenti. Sul pianoforte moderno è più facile da rendere il cantabile, una parola chiave per Mozart e per Beethoven, che comunque si può suggerire anche su un buon pianoforte d'epoca con l'intensità degli accenti.
Horowitz, quando lo incontrai poco prima della morte, mi disse: «Perché devo suonare su uno strumento antico se posso ottenere il suono di Haydn sullo stesso Stenway sul quale suono Scriabin, con le mani e con il pedale?». Naturalmente è un'affermazione esagerata, ma in un certo senso Horowitz aveva ragione, perché ogni pianoforte possiede una gamma di colori quasi illimitata. Così per i Concerti di Mozart ho realizzato una sola incisione su un pianoforte d'epoca, per un'eccellente etichetta francese, Arcana, che è stata appena acquistata dall'italiana Jupiter, mentre per i Concerti che sto realizzando ora per la Transart utilizzo uno strumento moderno.
Il suono ideale?
Il matrimonio tra il suono moderno e quello antico. Mi piacciono la chiarezza, la grande individualità e la ricchezza di colori degli strumenti antichi, ma naturalmente a loro manca il volume e la potenza, importanti soprattutto in Schubert, perché Schubert più di Beethoven è andato oltre la possibilità dei suoi strumenti, in alcune sonate è andato addirittura oltre l'estensione della tastiera di allora.
Lo strumento più bello della sua collezione?
E' come chiedere a un padre quale sia il figlio preferito. Ne ho alcuni di straordinari, come un Anton Walter acquistato a Vienna. Walter era il migliore costruttore di pianoforti all'epoca di Mozart e ogni suo strumento possiede qualcosa di inimitabile, difficile da esprimere a parole: una bellezza di suono che ha lasciato ammirato, recentemente, anche il migliore tecnico della Stenway. Una perfezione dalla prima all'ultima nota. Poi ho avuto la grande fortuna di trovare l'ultimo pianoforte posseduto da Beethoven, che adesso è conservato a Kremsmünster, in uno dei migliori musei al mondo non solo per i pianoforti antichi ma anche per gli strumenti a fiato. Si immagini avere sotto le proprie mani uno strumento che è stato suonato da Beethoven! A Kremsmünster si trovano i pezzi più importanti della mia collezione, una ventina di strumenti, mentre nella mia casa di Vienna (vivo tra Vienna, Parigi e Dallas) possiedo sei strumenti, due storici e quattro moderni. Il problema è che tutti questi strumenti portano via molto spazio... Comunque vorrei utilizzare l'Anton Walter per una nuova registrazione, probabilmente alcune sonate di Haydn ‑ visto che il prossimo anno sarà il duecentesimo anniversario della morte ‑ alcune sonate che ho già inciso su un altro pianoforte dell'epoca, uno Schanz.
Passando da un pianoforte moderno ad un fortepiano Lei cambia l'articolazione della frase?
In realtà non cambio il fraseggio, cerco piuttosto di riprodurre sul pianoforte moderno, attraverso una tecnica particolare, l'effetto dello strumento antico. Questo vale anche per gli stacchi di tempo: sul pianoforte moderno, con le note che rimangono più a lungo, i tempi lenti si possono staccare più lentamente, ma io preferisco non farlo.
Oggi ci sono molti pianisti che usano il pianoforte antico, ma quando Lei ha iniziato era uno dei pionieri...
E' stata la curiosità a spingermi verso i pianoforti antichi: per esempio si diceva che alcune indicazioni di pedale beethoveniane sul pianoforte moderno non si possono realizzare. E quando ho avuto l'occasione di verificare come veramente suonavano i pianoforti antichi per me è stata una rivelazione. Già negli anni cinquanta ho incominciato a formare la mia collezione, quando a Vienna ‑ era una fortuna ‑ c'erano tanti strumenti antichi a un prezzo accessibile. Studiando i pianoforti antichi ho anche scoperto che molti di questi pedali sono in realtà più facili da realizzare sullo strumento antico che non su quello moderno: chi affermava il contrario non aveva mai suonato un pianoforte antico!
Quindi il famoso pedale nel primo movimento della Sonata op. 31 n. 2 di Beethoven in realtà è difficile da realizzare sul pianoforte antico?
No, non questo passaggio. Penso piuttosto al terzo movimento della Sonata op. 53, dove il pedale deve coprire più armonie e questo funziona solo quando le armonie siano suonate con la più grande delicatezza, nel pianissimo. Ed è molto più facile realizzare un pianissimo sugli strumenti moderni che sugli strumenti antichi. Sul pianoforte moderno un'armonia rimane per circa dieci secondi, su quello antico per circa la metà, solo che cinque secondi sono un'eternità in musica. Questa sovrapposizione di armonie era proprio l'effetto previsto da Beethoven, come ci conferma la testimonianza Czerny che parla di una sorta di nebbia. E' come Amleto, quando vede il fantasma del padre.
Lei ha studiato con Edwin Fischer. Cosa ricorda di lui?
Era un genio. Fischer sapeva commuovere il suo pubblico e la cosa più bella è che riesce ancora a commuovere attraverso i dischi. Pianisti come Clifford Curzon, Benno Moiseiwitsch e Solomon non sono rimasti ‑ ed è ingiusto ‑ nel ricordo del grande pubblico, ma Fischer è rimasto proprio per la sua capacità di commuovere. Gli altri erano pianisti migliori, in un certo senso, ma non hanno saputo tirare fuori l'anima della musica. La musica non deve solo cantare, deve anche parlare. Anzi, come diceva Mendelssohn, la musica è «troppo eloquente per le parole». E questo è anche il mio motto.

intervista di Luca Segalla (Musica, giugno 2008, n.197)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Fischer è stato anche un bravo scrittore, e non sono tanti i pianisti che hanno questo dono: mi viene in mente, per esempio, Brendel.