Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

giovedì, marzo 05, 2009

Il "Cristoforo Colombo" di Alberto Franchetti

Montpellier (Francia).
Nonostante il 500tenario sontuosamente celebrato, Cristoforo Colombo di Alberto Franchetti è un grande assente italiano. L'opera, frutto di una commissione del Teatro Carlo Felice (i genovesi s' erano rivolti in prima battuta a Verdi, che li aveva indirizzati al trentenne compositore torinese) venne rappresentata il 5 ottobre 1892. Seconda d'autore, Cristoforo Colombo era al centro di una stagione straordinaria: concerti, balli, Otello di Verdi e Wally di Catalani. L'ingegnosa e romanzesca narrazione librettistica della vicenda colombiana, suddivisa in tre atti e un epilogo (Salamanca 1487, Oceano 1492, Xaragua 1503, Medina del Campo 1506) e due parti (La scoperta, La conquista), era di un altro giovanotto di belle speranze, Luigi Illica, che aveva vinto un concorso bandito per l'occasione. Restaurato e modernizzato (con illuminazione elettrica e riscaldamento) il Carlo Felice festeggiò insieme l'eroe locale, i 400 anni della scoperta dell'America, se stesso, e il presente d'una scuola musicale nazionale che esisteva oltre Verdi, e che in ambito interpretativo contava già su Toscanini (subentrò a Mancinelli nella direzione del Colombo), di Franchetti sincero sostenitore. Nonostante le svariate e ghiottissime coincidenze, il Carlo Felice d'oggi ha ignorato il dovere d'una riesumazione. Cristoforo Colombo è stato eseguito in vari teatri del mondo (a Francoforte, l'anno scorso, è stata realizzata anche una pregevole edizione discografica) mentre l'Italia, affetta da provincialismo culturale, ha dato spazio soltanto a una riduzione per marionette, seppure insigni, il cui merito spetta unicamente ai Colla che hanno voluto così allargare il loro repertorio e la diffusione popolare della sontuosa opera. E' toccato al festival meno futile d'Europa di farci riflettere a esecuzione calda su Colombo. La grandiosa partitura, proposta nell'edizione ridimensionata da Toscanini, è stata presentata al Festival di Radio France & Montpellier, che nella sezione opera quest'anno ha proposto l'Aida nella versione 1871 del Cairo, l'Edipo a Colono di Sacchini, Jephte di Haendel, Edgar di Puccini, La prova di un'opera seria di Gnecco e la prima di Le chateau des Carpathes di Philippe Hersant. Con un protagonista di straordinaria intensità e classe (Paolo Coni), una compagnia di canto equilibrata e efficiente (Mariana Cioromila, Michèle Lagrange e Claudia Clarich, quindi Claudio Di Segni, Daniel Galvez-Vallejo, Laurent Naouri, Gabriele Monici e l'opaco Enrich Knodt) e la lettura appassionata di Gianfranco Masini (neodirettore della talentosa Filarmonica locale) che ha aizzato l'immaginazione sonora potente del Coro di Radio France, Colombo non poteva lasciare indifferenti. L'opera è affascinante nella storia. La musica di Franchetti, un compositore di famiglia abbiente che aveva scelto di studiare a Monaco e Dresda, rappresenta un documento notevole delle tendenze operistiche più avanzate della generazione attiva tra Verdi e il verismo. In Cristoforo Colombo, complice una sceneggiatura librettistica non convenzionale e attratta dalle 'deviazioni' narrative scapigliate, troviamo sintetizzata con più sostanza compositiva e consapevolezza teatrale la lingua di Gioconda e di Mefistofele, per citare gli unici due superstiti del repertorio epigonico verdiano. La spregiudicatezza musicale di Franchetti è evidente nella concezione delle scene di massa (non il solito concertato, ma pagine sinfonico-corali di amplissimo respiro, tumultuose e avvincenti nell'intrico abile delle parti: il secondo atto è esemplare), nella strumentazione che impiega a fini espressivi gli impasti piuttosto che i temi, nell'utilizzazione d'una vocalità flessibile, non congelata nel declamato né ancora spostata verso l'urlo verista. Il taglio dell'opera ci ricorda un grand-opèra postumo: monumentali quadri d'assieme, un atto (il terzo) disutile alla vicenda del baritono santo navigatore ma che dà corpo a una fugace vicenda amorosa (con regolamentare duetto tenore-soprano) e una rievocazione esotica di poco interesse drammatico ma sagace invenzione turistico-pompieristica, mentre negli altri atti - prologo e epilogo alla scoperta del Nuovo Mondo - il gesto cinematografico del libretto passa rapidamente dalla descrizione realistica e particolareggiata all' epica in campo lungo. Nelle pagine collettive e in quelle solo orchestrali, Franchetti si rivela originale, liberato dai fardelli della tradizione operistica d'imitazione verdiana. Un segno di sincera emozione viene poi dal tratteggio del malinconico e solitario Colombo, che culmina nel vaneggiamento che occupa il quarto atto, come nel Torquato Tasso donizettiano. Epico ma mesto, a tratti lugubre, Colombo è un protagonista a tutto tondo: inquieto, fatalista ma metafisico. Calato in una sorta di esaltazione panica dell' impresa rivelata in sogno e in adorazione (ricambiata) di Isabella: la notizia della sua morte gli toglie il senno. E l'ultima scena, tenuta in equilibrio tra rievocazioni eroiche e ondate nostalgico-emotive sospinte regolarmente come il tema musicale marino che le tende, è un saggio di grande teatro. Quasi verdiano.
Angelo Foletto (Repubblica, 11 agosto 1992)

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