Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, giugno 16, 2012

Conduttori: Guido Zaccagnini

Uva Amarone
Da dove comincio a dire di lui?...Idea!...Curò nel 1979, al Teatro Argentina di Roma la prima esecuzione mondiale integrale delle composizioni di Friedrich Nietzsche, poi pubblicate dall'editrice Bären-Reiter. Successivamente, come pianista, con l'Ensemble Spettro Sonoro, da lui fondato, registrò per l'etichetta Edipan le musiche liederistiche dello stesso Nietzsche, affrontando poi, per anni, il repertorio contemporaneo, sempre con il complesso "Spettro Sonoro", suonando, tra l'altro, in prima esecuzione assoluta, "Madrigale" di Aldo Clementi. Ricordo anche in un'estate romana un suo delizioso spettacolo teatrale, "Prehistoric Music", che conobbe pure un'edizione radiofonica per la Rai. Come compositore, ha firmato le musiche del film di Paolo Grassini e Italo Spinelli Roma, Paris, Barcelona, che ha ottenuto il premio "De Sica" 1989 e l'"Ischia Cinema"; documentari per la Tv: Ultimo minuto, Geo e Geo, Il decalogo dei Taliban e musiche originali per sceneggiati radiofonici sia di prosa tradizionale sia per programmi di sperimentazione sonora… titoli?...ne sono tanti e tanti che a citarli tutti facciamo notte, ma poiché siamo sempre in un qualche periodo di frenesia pedatoria, ne citerò uno: Football Concert, esercizi di stile sui termini calcistici…pressing, gol, supporters, eccetera…interpretati in musica. E inoltre, per la la tv, ha composto musiche per fiction, ad esempio Vortice, lavorando con molti personaggi della nostra scena: da Lauretta Masiero a Renato Nicolini a Simona Marchini.
Insegna Storia della musica al Conservatorio di Perugia e all'Università di Roma Tre.
Come critico musicale, ha collaborato con quotidiani, settimanali e riviste specializzate.
Da anni, conduce programmi musicali per la Terza Rete Radiofonica della Rai.
E, visto che del tempo gliene avanzava, ha curato e tradotto per le Edizioni Adelphi "La generazione romantica" di Charles Rosen, e per Einaudi, il libro di Maynard Solomon intitolato "Su Beethoven".
Per la Pendragon di Bologna, è uscito Hector en Italie, uno studio dedicato a Hector Berlioz.
Vi basta?...Siete sazi?...No, perché ci sarebbe dell'altro, non fate complimenti.
Lo conosco da anni, e fra le cose di lui che apprezzo c'è la capacità - grazie anche alla tozza preparazione letteraria e filosofica che possiede - di conoscere e interpretare la musica in modo olistico: dalla classica al jazz, dalla lirica al rock. E' cosa alquanto rara in un tempo in cui prevale la specializzazione che, pur essendo apprezzabile, talvolta produce effetti nefasti con personaggi che sanno tutto sull'unda maris dell'età barocca ma poi confondono Orietta Berti con Patty Smith.

Benvenuto a bordo, Guido…
Ciao, Armando. Mi è stato detto che qui posso trovare qualcosa di notevole, sotto il profilo enologico. E' vero o sono caduto in uno dei tuoi soliti tranelli?
Giudica tu, voglio farti assaggiare questo Amarone di Vinitalia…qua il bicchiere…ecco fatto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però noi nello spazio stiamo, schizziamo "a manetta", prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…quello fisico risparmiacelo…insomma, chi è Guido secondo Guido…

"Sarò breve", come disse il conferenziere depositando sul leggio davanti a sé un pacco di cinquecento fogli. Scherzi a parte, Guido è un tipo che, professionalmente parlando, dalla musica ricava piacere, denaro, stress, euforia, affetti, frustrazioni e vittorie (più private che pubbliche). Segni particolari: ama cucinare (punto di forza: polpette e bucatini all'amatriciana), giocare a ping-pong (punto di forza: la battuta), collezionare maiali (in ogni loro forma inanimata) e stare lungamente, nella penombra, a mollo nella vasca da bagno.
Come ho detto prima, hai studiato e interpretato le musiche di Nietzsche. Aldilà della curiosità che ispirano le composizioni di un autore noto per altri meriti, quelle musiche quale valore espressivo hanno? Più di un'antologia musicale liquida il filosofo (lo ricordo ai più distratti: dapprima amico di Wagner, poi tra i suoi più irriducibili avversari) come un dilettante, è proprio così?
Nella maggior parte dei suoi lavori, lo è. Ma c'è qualche pagina (il Fragment an sich per pianoforte, o una mezza dozzina di Lieder) che si pone ben al di sopra del livello medio dell'amateur. In ogni caso, non bisogna certo andare alla ricerca, nelle composizioni di Nietzsche, di quella complessità e di quella profondità che animano i suoi scritti sulla musica fra i quali, come ricordavi, le micidiali requisitorie antiwagneriane.
Da Nietzsche a Berlioz sul quale hai scritto di recente Hector in Italie.
Da dove nasce il tuo interesse per quel compositore? Le sue opere, anche quelle che mai riuscì a realizzare immaginando performances in grandissimi spazi di fronte a grandissime folle, quale attualità ha? Se ne ha una, s'intende…

Ne ha, ne ha. Per esempio, nell'indagare inedite forme di spazialità sonore, nelle inverosimili sperimentazioni timbriche…hai mai pensato che tra la Nona Sinfonia di Beethoven e la Sinfonia fantastica intercorrono appena sei anni?...
…francamente, no…
lo immaginavo…nei giochi poliritmici, nel convivere - a metà tra il compiaciuto e il frustrato - con l'utopia. A proposito, sarebbe possibile avere un secondo bicchiere di Amarone?
Sì, non è un'utopia ma te lo devi guadagnare rispondendo alla prossima domanda.
Diceva Edgar Varèse: ''Non esiste un'avanguardia, ci sono solo persone parecchio in ritardo.''
Lo ritieni solo un intelligente paradosso o un autentico giudizio critico? In altre parole, nella storia della musica esiste un momento in cui si può parlare di reale rottura col passato, di "avanguardia"?

Non c'è dubbio che la storia della musica sia costellata, anzi segnata da rotture più o meno radicali con la tradizione. Da settecento anni a questa parte, così, su due piedi (si fa per dire, visto che siamo seduti), mi vengono in mente: Guillaume de Machaut e il mottetto isoritmico, Gesualdo da Venosa e i suoi madrigali (con i quali Stravinskij gli ha poi eretto un Monumentum), Orlando Gibbons ed altri virginalisti inglesi, il teatro mozartiano, Berlioz e le sue invenzioni foniche, Liszt e gli estremi, inverosimili, lavori pianistici. E poi, il Novecento, con lo scardinamento dei parametri temporali di Debussy, l'uso dei quarti di tono di Ives, l'immissione in partitura del rumore con Varèse, lo Sprechgesang di Schoenberg, la serialità integrale di Messiaen, lo Stockhausen del Gesang der Jünglinge: per non parlare di Cage.
Il critico francese Daniel Charles profetizzava che la caratteristica principale della nuova musica sempre più sarebbe stata "l'allontamento da ogni tipo di centralità, da ogni scuola". L'ha azzeccata? Cioè, oggi ogni compositore fa storia a sé? Per intenderci, a differenza del tempo di Darmstadt?
E' vero che, negli anni Cinquanta e Sessanta, Darmstadt fu un poderoso centro di aggregazione di compositori che allora avevano trenta o quaranta anni (anche se non bisogna dimenticare, fra i tanti che ne rimasero sostanzialmente estranei, i nomi di Stravinskij, Petrassi, Milhaud, Henze, Britten e tanti altri). Tuttavia, affermare che Berio, Cage, Kagel, Clementi e Xenakis appartenessero alla stessa scuola mi sembra rischioso, o quantomeno riduttivo. Venendo ai nostri giorni, comunque, concordo con quello che scrisse Daniel Charles, ma lo interpreto come un auspicio piuttosto che un vaticinio che si è avverato. Oggi abbiamo fin troppe scuole, e tutte di livello che oscilla tra il mediocre e il pessimo: dal neo-romanticismo alla new age, dal minimalismo alla world music. Scusa la franchezza, Armando: per lo più, a mio avviso, si tratta di robaccia insignificante…
…Guido, non l'ho composta io, te lo giuro!...
L'intreccio fra suono, gesto, danza e parola è una delle tendenze più significative della nuova musica. Lo propone in teatro Bob Wilson, tanto per fare un solo nome, ma anche, partendo dall'area musicale, Philip Glass collabora a performances multimediali. "Un teatro della mente che provoca il desiderio di ascoltare con gli occhi e vedere con le orecchie" come disse Luciano Berio. Questo desiderio sinestesico è suggerito dalle nuove tecnologie oppure è cosa che viene da lontano?
Nelle tragedie di Euripide, la poesia, la danza e la musica interagivano strutturalmente. Che cos'è il Gesamtkunstwerk di Wagner se non (anche) un tentativo di rispondere complessivamente alle plurime esigenze dello spettatore? Per il balletto Parade, Satie, Cocteau e Picasso lavorarono a stretto contatto. Nella storia della musica, del teatro e della danza, c'è sempre stato chi ha guardato con interesse alle forme in cui la connessione tra occhio e orecchio fosse il punto focale dell'atto creativo. E' evidente che l'avvento di sistemi tecnologici sempre più sofisticati ha stimolato questa pulsione in termini di resa spettacolare: anche se, però, non sempre (anzi!), del mezzo, è stato fatto un uso adeguato. A proposito di mezzo: non si potrebbe avere un altro mezzo bicchiere di quell'Amarone di Vinitalia?...
…uffà sì…certo, che non ci vai leggero!
Tod Machover, genio del MIT, - non a te, ma a beneficio dei miei avventori, ricordo che si è formato nello studio di musica classica, rock e computer - autore della "Brain opera", la prima opera lirica interattiva, ha scritto: "siamo prossimi ad un tempo in cui ciascuno creerà musica collegando gli strumenti con gli oggetti del proprio ambiente casalingo: mobili, vestiti, elettrodomestici". T'interessa quella direzione?
In linea di massima, m'interessa. Perché m'incuriosisce qualsiasi elemento di novità: nell'arte come in altri ambiti. Tanto per esemplificare, non sono ideologicamente contrario agli organismi geneticamente modificati, all'energia nucleare, ai telefoni cellulari, al vino australiano. Nello specifico musicale, ricordo con una certa nostalgia una performance di Cage al Teatro delle Arti (a Roma, diversi anni fa), durante la quale Cage, sul palcoscenico, cucinò una zuppa di verdure che poi, con il mio amico Pietro Gallina, riuscii ad assaggiare. Annotata la ricetta, la riproponemmo nella trattoria a Testaccio dove lavoravamo: non siamo diventati ricchi ma un qualche utile lo ricavammo. Ho risposto alla domanda?
Lo sviluppo del sintetizzatore è stato determinante un tempo sulla musica leggera e rock orientando la ricerca di autori e gruppi come i Grateful Dead, i Tangerine Dream, i Pink Floyd, i Van der Graaf Generator con Robert Fripp, Brian Eno e, in Italia, gli Area di Demetrio Stratos, per ricordarne solo alcuni. Le nuove tecnologie, con accresciute possibilità rispetto a ieri, stanno producendo risultati espressivamente comparabili a quelli prima citati?
Mi sembra proprio di no. Ma vorrei aggiungere ai nomi che hai fatto. Quelli di Frank Zappa e di Wendy Carlos. In diverso modo, entrambi hanno creato musiche, sia in ambito rock, sia in quello colto, di un valore troppo al di sopra di quello mediamente raggiunto nella generazione successiva. Tanto per dirne una, Glenn Gould - che di Bach se ne intendeva - affermò che la versione della Carlos del Concerto Brandeburghese n. 4, realizzata al sintetizzatore, era la migliore che egli avesse mai ascoltato.
Il grande chitarrista maliano Farka Touré, ad un convegno di studi etnomusicologici della Fondazione Cini, ha definito la world music "un calderone che omologa e non favorisce un nuovo umanesimo multietnico". Tu come la pensi?
Se invece di bere mi ascoltassi…e magari mi offrissi un altro bicchiere…
…ma se sto facendo solo questo da quando sei salito quassù!…
Se invece di bere mi ascoltassi, dicevo, non mi avresti fatto questa domanda. Ho poco fa citato la world music tra quei fenomeni odierni che, a voler essere generosi, raggiungono lo stato di mediocrità. E' una pura e semplice operazione commerciale, basata sull'applicazione di moduli melodici e/o ritmici e/o armonici, della più banale musica di consumo occidentale, a strumenti scelti in virtù delle loro sonorità esotiche, appartenenti cioè a culture e a tradizioni (per lo più, orientali e/o africane) poco note ai pubblici europei e americani. Il risultato sonoro ha molto più a che fare con i bilanci delle multinazionali del disco che con la musica.
Nel cyberspazio è nato il primo Conservatorio on line. Utilizza Internet e la tecnologia Midi per le lezioni di musica tenute da circa cento insegnanti residenti in quattro continenti.
Come giudichi questo esperimento?

Sì, ero al corrente di questa iniziativa e credo che possa funzionare: a patto che si decida di usare una lingua che tutti possano parlare e capire. Quale? Quella che ti pare: il ladino, l'urdu, il paleo-siberiano, il dravidico, il bantu, l'italiano. Quello che deve essere chiaro, infatti, è che la musica NON è un linguaggio universale. Se siamo d'accordo su questo, brindiamo; altrimenti, brindiamo lo stesso.
Sono molti anni che lavori a RadioRai come conduttore di programmi e anche autore.
Nello scenario dei media quale ruolo ritieni debba avere oggi la radio?

Il discorso potrebbe essere lungo quanto un viaggio intergalattico. Mi limito a dire che non si ha idea di quanto ampio sia il divario tra il potere (se preferisci, le potenzialità) della radio e la sua valorizzazione, economica innanzitutto. E questo perché ci sono milioni di persone che ascoltano la radio: e lo fanno stando nei luoghi più diversi, impegnati in attività tra le più disparate, avendo un'età che oscilla tra i venti e i novanta anni; milioni di persone che appartengono a classi sociali ed economiche enormemente differenziate, il cui livello culturale va dal semi-analfabeta all'intellettuale raffinato, che sono di destra, di centro e di sinistra. Ma questa moltitudine è tutt'altro che una massa: quella di accendere la radio e sintonizzarsi su quella frequenza è una scelta privata dell'ascoltatore: che lo porta ad essere esigente, severo, ma anche capace di un affetto e di una partecipazione sostanzialmente ignoti al telespettatore. Giorno dopo giorno, quando conduci un programma ed ascolti la segreteria telefonica o leggi i fax e le email inviate in redazione, sei di volta in volta un professorino saccente, un gran simpaticone, un possibile fidanzato, un autentico cretino, un bifolco, un erudito. E' questo il bello della radio: ciascuno ti vede (o meglio, ti sente) a modo suo e crede, giustamente, d'avere il diritto di sgridarti, correggerti, consigliarti, complimentarsi. Scusa il pistolotto, mi sono lasciato andare. Quale ruolo della radio, mi chiedevi? Favorire, incentivare le capacità reattive di quei milioni di singoli individui che l'ascoltano.
A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci, infliggo una riflessione su Star Trek…secondo te, che cosa rappresenta quel videomito nel nostro immaginario?
Domanda senza risposta: "the unanswered question". Credo che a Charles Ives non sarebbe dispiaciuto che si prendessero a prestito il suo titolo e la sua musica per commentare le avventure del Capitano Kirk & Co..
Siamo quasi arrivati a Zaccagnynya, pianeta in play back abitato da alieni che suonano da mane a sera il tetracordo col sintetizzatore disturbando tutto il condominio della Galassia…se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista, anche perché è finita la bottiglia di Amarone di Vinitalia…Però torna a trovarmi, io qua sto…intesi eh?
Contaci. Però, dato che non so quando salirò di nuovo a bordo, non è che potrei portare via una paio di cartoni di quell' Amarone di Vinitalia?...
…ehm…uhm…sai…
No, eh? L'immaginavo. A presto comunque. 
Intervista a cura  di Armando Adolgiso (www.adolgiso.it)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Meraviglioso dialogo con amarone