Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

giovedì, dicembre 27, 2012

Il "gran sole" di Luigi Nono

"Al gran sole carico d'amore" (4 aprile 1975)
All'opera di Luigi Nono rappresentata il 4 aprile al Teatro Lirico, per la Scala, quasi tutti i critici musicali di Milano hanno dedicato due articoli, ripristinando un bel costume del giornalismo milanese nell'Ottocento, quando non solo nella «Gazzetta Musicale», ma anche nell'ufficiosa «Gazzetta di Milano», ne «La Fama», nel «Pungolo», scrittori come il Mazzuccato, il Lambertini, il Cominazzi, sottoponevano le opere di Verdi e d'altri a lunghe disamine a puntate, perfino con fior di citazioni musicali! Inoltre, Al gran sole carico d'amore ha avuto la forza di richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica, fuori della cerchia degli specialisti e dei tifosi del melodramma, confermando che l'impetuosa rinascita attuale del teatro lirico, ad onta delle tremende dillicoltà economiche in cui si dibatte, non si limita al ritorno in forze del vecchio repertorio, ma si estende perfino ai casi tanto rari e discussi di opere nuove.
All'opera di Nono ha perfino dedicato una pagina del suo «Atlante ideologico» nel «Mondo» il politologo Alberto Ronchey. Secondo lui, il contenuto politico dell'opera avrebbe travolto «i critici e pedagoghi musicali», i quali si sarebbero «distolti dal giudizio su cori, ottoni, superacute, salti di nona maggiore e minore», inclinando a riflessioni sulla «tranquilla sicurezza storica che a ogni 1905 segue un 1917». E poiché questa frase è tratta dal mio articolo ne «La Stampa» del 6 aprile, ne prende occasione per invitarmi amichevolmente a domandare a Rostropovich come sia il poststalinismo. Ronchey, infatti, è matematicamente sicuro che «a ogni 1917 segue uno stalinismo», sebbene dieci righe più su ammonisse gravemente Luigi Nono, che «dovrebbe sapere quanto è difficile prevedere il corso delle cose politiche».
A un amico come Ronchey debbo anzitutto una precisazione, ed è che, se mai mi decidessi a prendere lezioni da Rostropovieh, queste sarebbero unicamente di violoncello. In cambio, forse, quale pagamento in natura, potrei fornirgli alcune lezioncine su quel che sia fascismo, lezioncine di cui anche da noi si mostra sempre più urgente ed esteso il bisogno.
L'equivoco in cui è caduto Ronchey per rivolgermi questa tiratina d'orecchi mi torna però assai utile per chiarire qualche punto della mia recensione sull'opera di Nono, associandomi anch'io al civile costume giornalistico milanese di non sbrigare in quattro e quattr'otto gli argomenti importanti. L'equivoco di Ronchey consiste nell'intendere come opinione mia personale quella riflessione storica che gli è dispiaciuta. Le mie opinioni personali su questo argomento sono del tutto fuori causa (e penso di non essere tenuto a renderne conto a nessun direttore de "La Stampa" presente passato o futuro). Quella convinzione, che a ogni 1905 segua un 1917, nel mio articolo era chiaramente riferita a Nono, e serviva a motivare il tono nuovo che presenta Al gran sole carico d'amore in confronto al ribellismo vittimistico che esasperava la protesta musicale della precedente opera di Nono, Intolleranza 1960. Un tono positivo, mentre Intolleranza era un'opera in chiave negativa.
Non farò a Ronchey il torto di attribuire a lui il titolo della pagina ch'egli ha dedicato all'opera di Nono: Il gran comizio a teatro. Ma questo titolo, chiunque l'abbia inventato, compendia l'errore in cui sono caduti quasi tutti i recensori dell'opera, favorevoli o no, intendendola, alla stregua di quel consigliere comunale milanese che a modo suo s'è conquistato un'immortalità musicologica, come un'operazione di propaganda. I più semplici si sono scandalizzali: — Ma questo non è musica! E' politica! — Ma quasi tutti hanno voluto fare i furbi e mettendosi nei supposti panni del compositore gli hanno insegnato che, in quanto comizio e propaganda, la sua opera non vai niente. Come si fa? Un'opera di propaganda ideologica dove non si capisce un accidente delle parole e per sapere di che si tratta bisogna leggerselo sul libretto!
I più semplici sono i più simpatici: loro fanno il solito errore di scambiare i contenuti con le forme e ragionano esattamente come chi dicesse del Tristano e Isotta: — Che orrore! ma questo non è musica! è erotismo!
Gli altri — i nipotini dei cardinali che al Concilio di Trento pretendevano che Palestrina facesse comprendere bene le parole delle Messe polifoniche — dimenticano, tra l'altro, che neanche Sherlock Holmes, neanche Pico della Mirandola riuscirebbero a capire che diavolo succede nel Trovatore se non si leggono attentamente il libretto, o meglio ancora una sinossi esplicativa, eppure ciò non impedisce al Trovatore di essere un'opera mica male. A nessuno è venuto il sospetto che, se Nono tritura e macella le parole nei bellissimi episodi corali dell'opera, non è perché — volendo — non sarebbe capace di farle intendete chiaramente, magari con la solita tecnica del coro parlato, ormai scesa a livello di contestazione stradale. A nessuno è venuto in mente che se Nono seppellisce le note di Bandiera rossa sotto un viluppo di suoni dove non le riuscirebbe più a individuare neanche l'orecchio supersonico di Claudio Abbado — come ha scritto spiritosamente Fedele d'Amico — forse questo dipende dal fatto che quel che gli importa non è di far sentire Bandiera rossa alla Scala, o in altra sede delegata, ma semplicemente gli fa comodo servirsi di Bandiera rossa nel modo che gli par meglio, come ogni compositore è libero di fare con qualunque pezzetto di canto popolare.
Lo scopo del mio articolo era semplicemente di fare intendere che, anche grazie a quella tranquilla sicurezza storica che dispiace a Ronchey, la nuova opera di Nono non si pone nella categoria operativa della propaganda, bensì nella categoria — ma sì, diciamola la vilipesa, ed esattissima parola! — estetica. Il contenuto politico è un prius, è un punto di partenza. II punto d'arrivo, il risultato, è l'opera d'arte. E i contenuti dell'arte — si sa — sono liberi. Uno è padrone d'ispirarsi alle lotte del proletariato e un altro ai tramonti e ai chiari di luna. Né l'uno né l'altro argomento sono garanzia di riuscita artistica né impedimento alla riuscita artistica.
Tristano e Isotta è erotismo? Certo, è erotismo. Ma erotismo diventato musica. E in quanto musica va giudicato. Qualcuno vuole ostinarsi a giudicarlo in quanto erotismo? Padrone. Viviamo in democrazia, e prendere dei granchi non è proibito dalla Costituzione.

Massimo Mila ("La Stampa", sabato 26 aprile 1975)

1 commento:

Sarah ha detto...

Hello, I'm researching pictures for a book and we need to include a picture from Luigi Nono's 'Al Gran Sole Carico D'Amore'. I just wondered if this picture was yours by any chance? Thanks so much! Sarah Datblygu (sarahdatblygu@gmail.com)