DGG - 449 137-2 - (p) 1996 |
Inconfondibile. Geniale, anche nei comportamenti radicali che protendono le aspettative compositive ben oltre le qualità fisiologiche e storiche dello strumento: basta che sia al pianoforte. Quando scende in orchestra, come autore, Liszt scambia i panni del dominatore con quelli del collaudatore. Riconfermata dall'analisi e dall'ascolto - anche l'orecchio vuole la sua parte - la riflessione si insinua nella lettura del catalogo lisztiano, che alla consapevolezza orchestrale dedica significativi numeri dei quali però si parla più di quanto se ne apprezzi o se ne approfondisca l'effettivo valore: varie marce e pezzi d’occasione; nessuna sinfonia in senso stretto; due concerti per pianoforte (più altre partiture in cui il solista, diversamente assecondato dagli strumenti di contorno, si piega alla discorsività brillante del virtuosismo alla moda fondato sulla variazione); due giganteschi lavori che partecipano sia del destino della sinfonia, sia di quello del nuovo genere letterario-orchestrale, il poema sinfonico, il quale ultimo con tredici titoli si ritaglia il ruolo centrale.
Ascoltando “una delle nuove opere orchestrali di Liszt, mi sentii sorpreso e rapito nel constatare quanto fosse felice questa definizione [Symphonische Dichtung, Poema sinfonico, termine coniato da Liszt, N.d.R.] che implica la scoperta di una nuova forma d'arte”, confessò Richard Wagner alla principessa Carolyne Sayn-Wittgenstein. Mittente e destinatario dello scritto non erano occasionali: la principessa era la dedicataria di dodici dei tredici poemi sinfonici, Wagner della Dante-Symphonie (Eine Symphonie zu Dantes "Divine Commedia"). L'osservazione cronologico-statistica offre altre suggestive prospettive all'analisi. Le maggiori pagine per orchestra vengono composte tra il 1832 (abbozzi del Concerto per pianoforte n.1 in mi b. M.) ed il 1860 (Zwei Episoden aus Lenaus “Faust"), negli anni di Weimar soprattutto. Non partecipano quindi della stagione creativa più avveniristica e quasi sperimentale del compositore, e la parte più consistente viene stesa in pochi anni a partire dal 1848 (prima versione di Ce qu'on entend sur la montagne). La compressione pare suggerire una sorta di eccentrico e irrefrenabile volontarismo d’autore nei confronti dello strumento orchestra: come se Liszt avesse voluto esaurire tutte le questioni formali e linguistiche connesse, nell’atto stesso in cui le esplorava e fondava. Di ciò fa fede il tormentato cammino scritturale dei lavori che vantano innumerevoli ripensamenti e versioni ufficiali.
Molto istruttiva è la storia di Eine Faust-Symphonie, recante il sottotitolo in drei Charakterbildern, che intreccia il proprio lungo cammino creativo con quello della partitura in apparenza omologa di Schumann (le Szenen aus Goethes “Faust” scritte tra il 1844 ed il 1853). Il progetto risale al 1839. Da qualche anno Liszt era stato iniziato ai misteri poetici goethiani, attraverso la versione francese di Gérard de Nerval fattagli conoscere da Hector Berlioz. Seguirono schizzi musicali ispirati ai tre personaggi principali ma senza una precisa destinazione formale (Wagner nel frattempo - 1840 - aveva completato la sua Faust-Ouverture, prima parte di una progettata e mai ultimata Sinfonia sull'argomento). Nel 1854 Berlioz dedicò a Liszt la "legende dramatique” La Damnation de Faust (1828-46): l'esecuzione delle prime due parti della Damnation che l’autore in persona diresse a Weimar nel 1852 fornì l'esca definitiva. In poco più di due mesi, tra agosto e ottobre 1854, la Faust-Symphonie divenne realtà. Ma la veste orchestrale del tre Quadri di carattere (Faust, Gretchen e Mephistopheles) non lo soddisfece. La partitura, ancora “senza testo né Canto", venne verificata esecutivamente a Weimar. Poco persuaso dell’organico orchestrale, Liszt aggiunse in seguito trombe, tromboni e percussioni. Inserì quindi gli episodi marziali dei movimenti estremi. Alla prima esecuzione ufficiale a Weimar del 5 settembre1857, culmine del monumentale concerto monografico per la posa della prima pietra al monumento in onore del granduca Carlo Augusto, giunse una versione ulteriore, approntata con altri ritocchi alla strumentazione e l'aggiunta di una pagina per tenore e coro, sulle parole del “Chorus mysticus” dalla seconda parte del Faust, che regalò alla composizione un finale ecumenisticamente estatico in luogo della conclusione pacata pensata in precedenza. Questa versione venne rivista ancora nel 1861 e nel 1880.
Dell'impianto iniziale rimase sempre intatta l'inedita concezione. Nella Faust-Symphonie Liszt rinunciò subito all'idea programmatica - il pezzo non fu mai, per capirci, immaginato come un poema sinfonico sul Faust, per concentrarsi invece sullo studio musical-caratteriale dei tre primattori, Ciò fruttò un sacrilegio consumato fin dall'intestazione che mette a confronto il termine classico di Sinfonia con quello non consono di Charakterbild (quadro di carattere), aprendo il primo dubbio sulla costituzionalità formale della partitura: sinfonia o antologia di poemi sinfonici? La compattezza
narrativa del gigantesco affresco, percorso da tematismi dal forte significato drammatico imparentati tra loro ed in grado di ravvivare una parvenza di leitmotiv (o di berlioziane idées fixes), denuncia l'utopistica concezione orchestrale di Liszt: il primo episodio esibisce una prodigiosa capacità di elaborazione sinfonica: il secondo è un esempio insuperato fino a Mahler di camerismo per grande orchestra, ed il terzo un inquietante specchiamento grottesco del primo (almeno fino al coro finale).
La Divina Commedia, il Faust e il Breviario pare fossero i libri da cui Liszt non si staccò mai. Quasi fatale che dopo la stagione del pianoforte e quella dell'orchestra rappresentata nell'esito massimo dalle due anomale composizioni sinfoniche ispirate a Dante e Goethe, a completare il triangolo lisztiano ideale venisse la stagione della grande produzione di ispirazione religiosa. Il “Chorus mysticus", come ha da essere: tra Mefistofele e Dio.
Angelo Foletto (1996)
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