Hector Berlioz (1803-1869) |
La Symphonie fantastique fu il primo dei grandi successi berlioziani. Contiene, in effetti, almeno in nuce, la totalità dei motivi che le opere della maturità svilupperanno.
Già il suo lancio pubblicitario - perché tale esso fu, a tutti gli effetti - venne condotto con la più vigile attenzione. Il 21 maggio 1830, dieci giorni prima della presentazione dell’opera, ne apparve il programma sul "Figaro". L'esecuzione fu poi rinviata, per ragioni organizzative, e poté aver luogo solo il 5 dicembre dello stesso anno: per la cronaca, dato al quale di solito non si presta la benché minima attenzione, non erano trascorsi sette anni dalla prima esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven. Ancora Habeneck dirigeva l'orchestra: secondo la testimonianza dell’autore stesso, l'esecuzione non fu impeccabile, stante il numero limitatissimo di prove - due soltanto - che si erano potute ottenere. Tuttavia, l'insieme permetteva di comprendere il carattere del lavoro. Tre brani, “Un bal”, “Marche au supplice” e “Songe d’une nuit du Sabbat”, ottennero grande successo; la "Scene aux champs”, al contrario, di nuovo rifacendosi a quanto riferito dal compositore medesimo, passò inosservata. Essa peraltro veniva presentata in una versione non corrispondente a quella definitiva: e fu forse quell’insuccesso che indusse Berlioz ad accettare i consigli di Hiller, e a riscriverla completamente. Lo splendido pubblico, corrispondente al tout Paris, comprendeva anche Liszt, che poi doveva, con la sua trascrizione integrale, contribuire largamente alla diffusione dell’opera. (Come detto, fu della versione lisztiana che Schumann si servì per stendere la sua memorabile analisi). I giudizi critici risultarono assai divergenti; al riguardo, va almeno ricordato l'atteggiamento aprioristico del vecchio Cherubini che, richiesto se non andasse a sentire la nuova opera di Berlioz, rispose: “Non ho bisogno d’andare a imparare quel che non si deve fare, io!". L'avversione fra i due musicisti mai conobbe cedimenti di sorta.
Già il suo lancio pubblicitario - perché tale esso fu, a tutti gli effetti - venne condotto con la più vigile attenzione. Il 21 maggio 1830, dieci giorni prima della presentazione dell’opera, ne apparve il programma sul "Figaro". L'esecuzione fu poi rinviata, per ragioni organizzative, e poté aver luogo solo il 5 dicembre dello stesso anno: per la cronaca, dato al quale di solito non si presta la benché minima attenzione, non erano trascorsi sette anni dalla prima esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven. Ancora Habeneck dirigeva l'orchestra: secondo la testimonianza dell’autore stesso, l'esecuzione non fu impeccabile, stante il numero limitatissimo di prove - due soltanto - che si erano potute ottenere. Tuttavia, l'insieme permetteva di comprendere il carattere del lavoro. Tre brani, “Un bal”, “Marche au supplice” e “Songe d’une nuit du Sabbat”, ottennero grande successo; la "Scene aux champs”, al contrario, di nuovo rifacendosi a quanto riferito dal compositore medesimo, passò inosservata. Essa peraltro veniva presentata in una versione non corrispondente a quella definitiva: e fu forse quell’insuccesso che indusse Berlioz ad accettare i consigli di Hiller, e a riscriverla completamente. Lo splendido pubblico, corrispondente al tout Paris, comprendeva anche Liszt, che poi doveva, con la sua trascrizione integrale, contribuire largamente alla diffusione dell’opera. (Come detto, fu della versione lisztiana che Schumann si servì per stendere la sua memorabile analisi). I giudizi critici risultarono assai divergenti; al riguardo, va almeno ricordato l'atteggiamento aprioristico del vecchio Cherubini che, richiesto se non andasse a sentire la nuova opera di Berlioz, rispose: “Non ho bisogno d’andare a imparare quel che non si deve fare, io!". L'avversione fra i due musicisti mai conobbe cedimenti di sorta.
La Fantastique deve indubbiamente il suo successo e i sinceri entusiasmi che suscitò nei giovani all’idea compositiva che la sottende: vale a dire, al programma letterario e alla vistosità della sua attuazione musicale. Bisogna riconoscere che vi è qualcosa di vero nella citata affermazione di Debussy, secondo cui la musica di Berlioz era nata per piacere essenzialmente ai non musicisti. Il programma, dunque“, Nulla poteva accontentare il gusto del romanticismo francese formato 1830 - in ritardo di almeno una generazione su quello tedesco, e di due sullo Sturm und Drang - più della storia immaginata da Berlioz. Un giovane artista in preda allo spleen allora tanto di moda (quello che Chateaubriand definì il “vuoto delle passioni" e lo stesso Berlioz “il male dell’isolamento”), si invaghisce, com’e ovvio perdutamente, di una bellezza piuttosto astratta ed eterea; l’idea fissa lo perseguita durante un ballo, una sosta in campagna e persino quando, avendo ingurgitato una dose d'oppio, naturalmente inferiore alla soglia letale, piomba nel cauchemar più tenebroso, vedendosi condotto al patibolo per aver ucciso l’amata, e poi trascinato in una ridda infernale, in cui quel ricordo si sfigura in un motivo triviale, e si mescola alla parodia satanico-burlesca del Dies irae gregoriano. I paradis artificiels erano di là da venire, ma il club des haschichins aveva i suoi bravi accoliti, e in ogni caso la vituperata canapa era molto alla moda fra i giovani della buona società parigina.
Abbiamo allora un tableau parisien con quasi tre decenni di anticipo: e chi ne cercasse oggi l'immagine visiva, potrebbe rifarsi a vecchie stampe o, più proficuamente, alle immagini cinematografiche de Les enfants du paradis. A suggerire l'accostamento a Marcel Carné è quel qualcosa, in Berlioz, che sa di torbidamente giornalistico, che respira 1’aria viziosa, oltre che il profumo delle metropoli: qualcosa che ai colleghi tedeschi, nelle loro piccole citta medievali, o barocche, sfuggì radicalmente. Se Claudel ha indicato, nelle Fleurs baudelairiane, il gergo cronistico mescolato allo stile elevato di Racine, non sembra eccessivo ritrovare nella musica berlioziana (di questa Fantastique, certamente, ma anche di tanti altri lavori), la facile genialità della celluloide.
Abbiamo allora un tableau parisien con quasi tre decenni di anticipo: e chi ne cercasse oggi l'immagine visiva, potrebbe rifarsi a vecchie stampe o, più proficuamente, alle immagini cinematografiche de Les enfants du paradis. A suggerire l'accostamento a Marcel Carné è quel qualcosa, in Berlioz, che sa di torbidamente giornalistico, che respira 1’aria viziosa, oltre che il profumo delle metropoli: qualcosa che ai colleghi tedeschi, nelle loro piccole citta medievali, o barocche, sfuggì radicalmente. Se Claudel ha indicato, nelle Fleurs baudelairiane, il gergo cronistico mescolato allo stile elevato di Racine, non sembra eccessivo ritrovare nella musica berlioziana (di questa Fantastique, certamente, ma anche di tanti altri lavori), la facile genialità della celluloide.
In realtà, il musicista stesso ce ne da la chiave, quando osserva che aspre critiche vennero mosse a pretese violazioni che non esistevano. I tentativi di invenzione integrale hanno da subito di fronte a sé procedimenti appresi dalla lettura di testi classici. E non si può ragionevolmente pretendere che lo stile maturo di Berlioz, se mai vi fu, nasca in questa prima sinfonia tutt’intero, adulto quanto Atena nascente.
Con una parsimonia che gli sarà abituale, vengono ripescati precedenti saggi: il largo iniziale è una romanza che il giovanissimo musicista aveva scritto dodici anni prima per il suo primo amore; l’idea fissa, terna principale dell'"allegro agitato e appassionato assai”, proviene da una cantata sconfitta a un concorso per il Prix de Rome, nel 1828: l’Herminie, che doveva illustrare una emblematica situazione tassesca; la "Marche au supplice” è la “Marche des gardes” degli incompiuti Francs-juges.
Ma, riscontrati questi prestiti, si deve ammettere che poco o nulla rimaneva della sentimentalità, e della sincerità diretta, con cui quei lavori, in special mode la romanza, erano stati pensati. L’enfasi è un atteggiamento riflesso, quasi compiaciuto della capacità di autorappresentarsi, Assai più che nelle opere della maturità, qui Berlioz, nella gratificante consapevolezza dei propri atti, si osserva agire. E non si deve essere tratti in inganno dalla veemenza, dal pathos del dettato, tendente all’eroico: esso è agli antipodi di una musica ingenua. La stessa condotta è di continuo dissolta nel gesto estetizzante; il materiale tematico è certo predisposto con cura: è facile notare la parentela intervallare fra i temi. Ma ciò non guida l’inventiva musicale verso un conflitto sonoro interno, come nello sviluppo classico; al contrario, gli dà, con l’insistenza, qualcosa di visionario. L'allucinazione degli ultimi due tempi, o quadri, è presentita fin dal primo (“Réveries, Passions”) con esattezza e sensibilità degne di un sismografo. Il primo e il terzo movimento sono perciò i più difficili, esigono una intuizione del tono generale che, fra l’altro, è difficile avere ad un primo ascolto. Per contro, si impongono da subito “Un
bal”, provvisto di un tema di valzer quasi popolare e di una rapida orchestrazione, e gli ultimi due tempi, ammirevole prova di un sinfonismo brillante del tutto inedito. Nella scena bucolica, paragonata da Schumann al secondo tempo della Pastorale beethoveniana, sono ravvisabili presagi molto evidenti di musiche che avrebbero visto la luce una settantina di anni dopo: dall’annuncio, all’inizio, di una situazione mahleriana (la prima “Nachnmusik” della Settima Sinfonia al germe debussiano della chiusa (il corno inglese di Nuages).
Si è parlato di “personaggi ritmici”, per quest'opera: ed in effetti essi sono numerosi, ed evidentissimi. Anche più interessanti risultano le consonanze, in questa musica così inficiata di letteratura: con raffigurazioni recenti, della poesia e del romanzo, divenute quasi istantaneamente tipiche, o addirittura paradigmatiche. Le dissolvenze, cui Berlioz sottopone i suoi temi, spegnendoli nel silenzio anche dopo averli sviluppati coerentemente fino alla fine valgono quali precise didascalie, o fungono da illustrazioni sonore a situazioni che erano nella mente di tutti: dalle rèveries del promeneur ginevrino ai deliranti errori del René descritto da Chateaubriand o del Childe Harold byroniano.
bal”, provvisto di un tema di valzer quasi popolare e di una rapida orchestrazione, e gli ultimi due tempi, ammirevole prova di un sinfonismo brillante del tutto inedito. Nella scena bucolica, paragonata da Schumann al secondo tempo della Pastorale beethoveniana, sono ravvisabili presagi molto evidenti di musiche che avrebbero visto la luce una settantina di anni dopo: dall’annuncio, all’inizio, di una situazione mahleriana (la prima “Nachnmusik” della Settima Sinfonia al germe debussiano della chiusa (il corno inglese di Nuages).
Si è parlato di “personaggi ritmici”, per quest'opera: ed in effetti essi sono numerosi, ed evidentissimi. Anche più interessanti risultano le consonanze, in questa musica così inficiata di letteratura: con raffigurazioni recenti, della poesia e del romanzo, divenute quasi istantaneamente tipiche, o addirittura paradigmatiche. Le dissolvenze, cui Berlioz sottopone i suoi temi, spegnendoli nel silenzio anche dopo averli sviluppati coerentemente fino alla fine valgono quali precise didascalie, o fungono da illustrazioni sonore a situazioni che erano nella mente di tutti: dalle rèveries del promeneur ginevrino ai deliranti errori del René descritto da Chateaubriand o del Childe Harold byroniano.
Guido Zaccagnini (da "Hector en Italie", Pendragron, 2002)
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