Emilio de' Cavalieri |
Emilio de' Cavalieri è oggi ricordato principalmente come compositore della Rappresentatione di anima, et di Corpo... per recitar cantando (Roma, Nicolò Muti 1600) e per il suo controverso ruolo nella nascita della cosiddetta monodia accompagnata (dal greco monoidia = canto solistico), o stile recitativo, che si evolve in gran parte nell'ambiente della corte fiorentina alla fine del Cinquecento. Cavalieri nacque a Roma tra il 1545 e il 1553. Abbastanza ben documentate da registri ecclesiastici, lettere, diari e altre testimonianze di osservatori coevi studiati a fondo dal musicologo Warren Kirkendale sono le tappe principali della vita ch'egli svolse prima a Roma in qualità di compositore e organizzatore musicale, e poi a Firenze, dove ebbe l'incarico di sovraintendente delle arti nella corte del granduca Ferdinando de' Medici. Dal 1577 diresse le esecuzioni musicali per la quaresima all'Oratorio di San Marcello e, fino al 1584 e di nuovo nel 1597, fu responsabile delle paghe dei musicisti. E' significativo che le spese aumentarono notevolmente durante il periodo in cui la qualità e la quantità della musica dipendevano da lui. Nel 1587, subito dopo la successione di Ferdinando de' Medici al trono di Toscana, Cavalieri scrive al granduca alludendo a "i desiderij miei"; tre mesi dopo lo troviamo a Firenze, sovrintendente di tutte le attività artistiche della corte medicea con uno stipendio mensile di 25 scudi, superiore cioè a quello dei segretari di Stato, e un appartamento a Palazzo Pitti. Nel 1589 Cavalieri organizzò per le nozze del granduca la spettacolare rappresentazione degli Intermedii della Pellegrina, dettagliatamente descritta dal fiorentino Bastiano de' Rossi, segretario dell'Accademia della Crusca, nella sua Descrizione dello apparato e degli intermedi (1589). Cavalieri compose inoltre due brani per gli intermezzi; di uno di questi, O che nuovo miracolo, ballo finale e punto culminante della rappresentazione, egli progettò la coreografia ed è probabile che vi abbia anche partecipato da "leggiadrissimo danzatore". L'anno successivo mise in musica e fece rappresentare le favole pastorali La disperazione di Fileno e Il satiro, oggi perdute; mise in scena più volte Il giuoco della cieca (derivato da un episodio del Pastor Fido del Guarini) e sembra che abbia composto cori o intermezzi per una rappresentazione dell'Aminta di Tasso per il carnevale del 1590. Durante il periodo di Firenze, tornò almeno 6 volte a Roma in qualità di agente diplomatico del granduca, ideale per questa missione in quanto profondo conoscitore della vita politica romana e in grado di muoversi liberamente nella società dei cardinali. Nel 1600 tornò a Roma definitivamente a causa dell'ostilità crescente alla corte del granduca verso i romani, e in quella città morì l'11 marzo 1602.
Gli esponenti della monodia, lo stile musicale nato alla fine del Cinquecento (da Nino Pirrotta considerato "elemento fondamentale della musica sia vocale che strumentale dal Barocco al Romanticismo") si servivano in clima di controriforma dell'idea che l'artificiosa costruzione della polifonia e del contrappunto non aveva la capacità di scuotere e commuovere l'ascoltatore, di renderlo cioè partecipe a livello psicologico e affettivo dell'esecuzione musicale. Per la giustificazione teorica costoro facevano riferimento all'autorità dei filosofi antichi: secondo il detto platonico, "la musica altro non essere che la favella e il ritmo et il suono per ultimo, e non per lo contrario". Lo stile monodico fu dunque caratterizzato come "recitativo" (o "rappresentativo") in quanto suo compito era di proiettare nell'immaginazione dell'ascoltatore azioni o reazioni di uno o due personaggi di una situazione o scena drammatica o patetica. Una componente essenziale di questo stile era l'accompagnamento, chiamato dapprima "basso dell'organo" e poi "basso continuo", che nacque come un'unica linea concepita in funzione della melodia della voce e intesa a fornirle un opportuno appoggio ritmico e tonale. Numerose e contraddittorie, molte delle testimonianze coeve sulla creazione di questo nuovo stile recitativo nominato Cavalieri. Tra le prime si colloca la prefazione della Rappresentatione di anima, et di corpo in cui viene così descritta la musica delle pastorali di Cavalieri: "... commova a diversi effetti, come a pietà et a giubilo, a pianto et a riso, et altri simili". Benché storicamente il merito dell'invenzione dello stile recitativo venga rivendicato da due compositori-cantanti antagonisti, entrambi attivi alla corte di Ferdinando, Giulio Caccini e Jacopo Peri, è pur vero che quest'ultimo, nella prefazione dell'Euridice stampata a Firenze nel 1601, ammette che l'idea iniziale di musicare intere azioni fu del Cavalieri: "signore Emilio del Cavaliere, prima che da ogni altro ch'io sappia, con maravigliosa invenzione ha fatto udire la nostra musica sulle scene". Purtroppo la musica delle pastorali è andata perduta e le testimonianze coeve sono insufficienti per poter valutare la loro importanza storica: se le pastorali avessero impiegato il nuovo stile recitativo sarebbero da considerare senz'altro i primi melodrammi della storia. Lo stile e l'importanza storica di Anima e corpo, invece, sono più chiari: si tratta del primo melodramma sacro della storia della musica, vi si impiega lo stile recitativo (accanto ai cori e i balli) inoltre è la prima musica stampata con il basso continuo in un sistema pienamente sviluppato. Il nuovo stile viene così descritto da Piero della Valle, in Della musica dell'età nostra (1640): "Del piano e del forte, del crescere la voce a poco, dello smorzarla con grazia, della espressione degli affetti, del secondar con giudizio le parole e i loro sensi; del rallegrar la voce o immalinconirla; del farla pietosa e ardita quanto bisogni... in quei tempi non se ne ragionava, né in Roma almeno se ne seppe mai la novella, infinchè dalla buona scuola di Firenze non ce la portò né suoi ultimi anni il signor Emilio de' Cavalieri, che prima di tutti ne diede in Roma buon saggio in una Rappresentazioncella nell'Oratorio della Chiesa Nuova". Assai contrastante il giudizio di G.B. Doni, espresso nel Trattato della musica scenica (1635): le "melodie" di Cavalieri sono giudicate "molto differenti dalle odierne che si fanno in stile comunemente detto recitativo, non essendo quelle altro che ariette con molti artefizi di ripetizioni, echi e simili, che non hanno che fare niente con la buona e vera musica teatrale". Le Lamentationes Hieremiae Prophetae cum Responsoriis Officii Hebdomadae maioris et notis musicis, le uniche composizioni liturgiche esistenti di Cavalieri, sono contenute in un codice senza data copiato tra il 1599 e il 1602 da parte di Giovenale Ancina dell'Oratorio dei Filippini e della Chiesa della Vallicella. Il codice è oggi conservato nella Biblioteca Vallicelliana a Roma e porta la segnatura 0.31. Contiene di Cavalieri tre lectiones dalle Lamentazioni di Geremia per il mattutino dei tre giorni del Triduo Sacro; un ciclo di nove responsori appartenenti al terzo notturno degli stessi tre giorni, stilisticamente molto simili alle lamentazioni, probabilmente di Cavalieri; contiene inoltre un ciclo incompleto di lamentazioni, in parte di Cavalieri, oltre a frammenti anonimi di lamentazioni e uno Hierusalem di Costanzo Festa. Nel ciclo incompleto si trovano alcune annotazioni riferite ad un'esecuzione del soprano Vittoria Archilei, amica e concittadina di Cavalieri e una delle cantanti più famose del tempo, e delle indicazioni per l'impiego di un organo enarmonico del tipo sperimentale che Cavalieri aveva fatto costruire. Un riferimento indiretto in una lettera scritta da Roma nel 1600 in cui Cavalieri accenna al clima ostile nei suoi confronti alla corte medicea fa supporre che le lamentazioni siano state composte per la Settimana Santa del 1599 e eseguite a Pisa, dove la corte di Ferdinando trascorreva abitualmente la Pasqua. Tuttavia è probabile che siano state eseguite più di una volta in quegli anni, e con organici vocali diversi, data la presenza di annotazioni e schizzi per la sostituzione di frasi musicali, tutti tendenti a ridurre l'organico vocale.
Le Lamentationes e i responsoria di Cavalieri, da Claude Palisca giudicate tra le più originali opere sacre del tardo Cinquecento, furono composti per cinque parti solistiche, un coro a cinque e basso continuo. La musica si articola in una lunga serie di brevi frammenti caratterizzata dall'alternarsi di diverse combinazioni vocali e diversi tipi di scrittura musicale. Con frequenti cadenze ma senza soluzione di continuità, si susseguono interventi monodici e interventi a più voci, con prevalenza dei passaggi a 2 e a 5. Lo stile della monodia è ora soave e cantabile (come nell'apertura sia delle lamentazioni che dei responsori, per soprano solo) ora in stile recitativo, ovvero con andamento sillabico e spesso su note ribattute. Con funzione espressiva o descrittiva vengono impiegati espedienti musicali quali i passaggi cromatici (ad esempio sulla prima "lamentatio" e per "plorans ploravit", I,I), gli intervalli melodici aspri (come la 4° diminuita per "gemens", II.III) e le inattese modulazioni (vedi l'improvvisa 6° minore su "obscuratum", III.II). Gli interventi a più voci sono prevalentemente omofonici sia nei recitativi accordali su note ribattute, sia nelle frasi musicalmente più ricche. L'imitazione contrappuntistica invece viene impiegata per trasformare le lettere ebraiche, aleph, beth, ghimel ecc., quasi tutte a 5 con una scrittura vocalizzata in miniature decorative che spiccano per la loro bellezza. Anche se non esistono veri e propri personaggi vocalmente caratterizzati, Cavalieri ricerca in alcuni momenti un effetto teatrale nella distribuzione del testo tra voci diverse, come nel II.II dove il tenore introduce il discorso diretto dicendo: "Matribus sui dixerunt:" ("Alle loro madri dicevano:") e il contralto continua: "Ubi est triticum et vinum?" ("Dov'è il grano e il vino?"). Nonostante l'ampio organico, il linguaggio musicale, prevalentemente declamato, spesso molto ricco melodicamente (ricordiamo le "ariette" di G.B. Doni!), è frutto di una concezione monodica. La voce viene completata e arricchita dal basso continuo, qui impiegato per la musica liturgica per la prima volta nella storia della musica, peraltro in un sistema pienamente sviluppato, con numerosissime indicazioni per la realizzazione, come nella stampa di Anima e corpo. Il basso continuo è presente nei tratti solistici e a 2, ma in genere non è indicato dove ci sono più voci. In qualche tratto il basso è già parzialmente realizzato, dove ad esempio si presenta "passeggiato", e nel caso di cadenze con note sincopate. Un riferimento ad un sol# subito dopo un la b indica che l'organo impiegato avesse i tasti spezzati. L'unità delle Lamentationes è creata dalla presenza, a mo' di ritornello, di un coro finale che ripete l'invocazione "Gerusalemme, ritorna al Signore Dio tuo!" a conclusione di ogni lectio. Semplice e omofonico, il coro presenta con ogni ripresa dell'invocazione delle piccole variazioni; nelle 2° e 3° lectiones del II giorno esso si alterna al sopra solo. Nei Responsoria, la scrittura a più voci tende ad essere più omofonica e l'alternanza di voci diverse è più strettamente legata alla forma del testo liturgico: tutti i responsori, tranne il primo, iniziano con un coro omofonico a 5; la maggior parte dei versi è a 2, e nessuno impiega l'organico completo; la ripresa finale è sempre a 5. Singolare il breve episodio per due soprani al centro del ciclo, con andamento ad imitazione ricchissimo di scalettine e trilli virtuosistici.
a cura di Kate Inglis (note al CD Tactus TC 550401 (p) 1999)
Le Lamentationes e i responsoria di Cavalieri, da Claude Palisca giudicate tra le più originali opere sacre del tardo Cinquecento, furono composti per cinque parti solistiche, un coro a cinque e basso continuo. La musica si articola in una lunga serie di brevi frammenti caratterizzata dall'alternarsi di diverse combinazioni vocali e diversi tipi di scrittura musicale. Con frequenti cadenze ma senza soluzione di continuità, si susseguono interventi monodici e interventi a più voci, con prevalenza dei passaggi a 2 e a 5. Lo stile della monodia è ora soave e cantabile (come nell'apertura sia delle lamentazioni che dei responsori, per soprano solo) ora in stile recitativo, ovvero con andamento sillabico e spesso su note ribattute. Con funzione espressiva o descrittiva vengono impiegati espedienti musicali quali i passaggi cromatici (ad esempio sulla prima "lamentatio" e per "plorans ploravit", I,I), gli intervalli melodici aspri (come la 4° diminuita per "gemens", II.III) e le inattese modulazioni (vedi l'improvvisa 6° minore su "obscuratum", III.II). Gli interventi a più voci sono prevalentemente omofonici sia nei recitativi accordali su note ribattute, sia nelle frasi musicalmente più ricche. L'imitazione contrappuntistica invece viene impiegata per trasformare le lettere ebraiche, aleph, beth, ghimel ecc., quasi tutte a 5 con una scrittura vocalizzata in miniature decorative che spiccano per la loro bellezza. Anche se non esistono veri e propri personaggi vocalmente caratterizzati, Cavalieri ricerca in alcuni momenti un effetto teatrale nella distribuzione del testo tra voci diverse, come nel II.II dove il tenore introduce il discorso diretto dicendo: "Matribus sui dixerunt:" ("Alle loro madri dicevano:") e il contralto continua: "Ubi est triticum et vinum?" ("Dov'è il grano e il vino?"). Nonostante l'ampio organico, il linguaggio musicale, prevalentemente declamato, spesso molto ricco melodicamente (ricordiamo le "ariette" di G.B. Doni!), è frutto di una concezione monodica. La voce viene completata e arricchita dal basso continuo, qui impiegato per la musica liturgica per la prima volta nella storia della musica, peraltro in un sistema pienamente sviluppato, con numerosissime indicazioni per la realizzazione, come nella stampa di Anima e corpo. Il basso continuo è presente nei tratti solistici e a 2, ma in genere non è indicato dove ci sono più voci. In qualche tratto il basso è già parzialmente realizzato, dove ad esempio si presenta "passeggiato", e nel caso di cadenze con note sincopate. Un riferimento ad un sol# subito dopo un la b indica che l'organo impiegato avesse i tasti spezzati. L'unità delle Lamentationes è creata dalla presenza, a mo' di ritornello, di un coro finale che ripete l'invocazione "Gerusalemme, ritorna al Signore Dio tuo!" a conclusione di ogni lectio. Semplice e omofonico, il coro presenta con ogni ripresa dell'invocazione delle piccole variazioni; nelle 2° e 3° lectiones del II giorno esso si alterna al sopra solo. Nei Responsoria, la scrittura a più voci tende ad essere più omofonica e l'alternanza di voci diverse è più strettamente legata alla forma del testo liturgico: tutti i responsori, tranne il primo, iniziano con un coro omofonico a 5; la maggior parte dei versi è a 2, e nessuno impiega l'organico completo; la ripresa finale è sempre a 5. Singolare il breve episodio per due soprani al centro del ciclo, con andamento ad imitazione ricchissimo di scalettine e trilli virtuosistici.
a cura di Kate Inglis (note al CD Tactus TC 550401 (p) 1999)
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