Anton Bruckner (1824-1896) |
Mettendo giustamente da parte certe insignificanti, o quanto meno non fondamentali pagine per pianoforte e per organo l’origine della maggior produzione strumentale bruckneriana è da rintracciarsi nel fecondo biennio 1862/63, biennio in cui per l’appunto, si svolse il tirocinio del nostro Autore alla scuola del Kitzler.
Il lavoro strumentale di quegli anni evidenzia già un fortissimo scompenso quantitativo e qualitativo fra il genere cameristico ed il molto più preferito genere sinfonico. Si conoscono infatti un quartetto in do min. per archi (Edizione MWV der IBG, Vienna, 1960) e poi, trasmigrando quasi definitivamente al sinfonismo, una marcia in re min. per 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, tromboni, archi e timpani (Edizione Göllerich III/2 29, 32) della quale esiste una riduzione per pianoforte di M. Auer, tre pezzi (mi bem. Magg. - mi min. - fa Magg.) con identico organico della marcia (Edizione Göllerich III/2 33, 60), l’Ouverture in sol min. per ottavino, flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, archi e timpani, (Edizione Universal, Vienna, 1921) ed infine la Sinfonia in fa min. per 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani ed archi (Edizione Göllerich III/2 61,124; il 2° movimento "Andante molto sostenuto" è invece edito dalla Universal, Vienna, 1921).
Dicevo prima che si tratta di una trasmigrazione pressoché definitiva al genere sinfonico per il quale del resto il già maturo Bruckner manifestava la sua forse non del tutto conscia inclinazione e predisposizione, ed in tale contesto va appunto inquadrata la composizione isolata e straordinaria di un quintetto (l’unico!) in fa Magg. per archi, dedicato al Duca Max Emanuel di Baviera, e composto nell’anno 1879 (Edizione A. Gutmann, Vienna, 1884).
Si tratta comunque di opera di indubbio interesse, non fosse altro perché giova a sottolineare con cognizioni analitiche una certa influente autorità sul primo Schoenberg e su un certo Hindemith, inserendo come intelligente tramite Reger.
Come nota però giustamente il Martinotti, già in questo Quintetto si intravvede una non troppo velata "provocazione sinfonica", repressa però in un accento più raccolto, ed anche nota acutamente una didascalia alla quinta battuta del secondo tema dell’ampio adagio "Mit Wärme" ripresa testualmente nell’adagio della Settima ed evocata nell’intensa emotività delle due sinfonie successive. Quintetto comunque che risulta maggiormente singolare ed inaspettato all’epoca della sua pubblicazione, per l’aggancio all’ultimo Beethoven, che dai primi Romantici era stato trascurato nel concetto della continua variazione incrementata dal linguaggio cromatico.
L’inizio del vero e proprio periodo sinfonico, che si protrarrà fecondamente per oltre 25 anni, si apre con alcune, reverenziali, cautele (leggi l'adozione non coattiva della forma-sonata) non prive di energiche sfide, come ad esempio l'immissione di un terzo elemento tematico nell'andante della sinfonia in fa min.
E cosi ricorrendo ad ancoraggi stilistici ben differenti fra loro, ove si pensi ad Haydn e Beethoven, a Schubert e Mendelssohn, Bruckner trova un suo posto ben definito nell'arte europea della seconda metà del 19° secolo, e dico "europea" nel senso più ampio possibile, ne sono prova le lezioni assimilate da Schubert, Berlioz, Liszt.
Accettando la tradizionale distinzione, nell’ambito della vicenda stilistico-sinfonica bruckneriana che vuole le prime cinque sinfonie (quella cui si accennava prima, in fa min., la "Nullte", la prima, la seconda e la terza) adattarsi morbidamente al primo Romanticismo, e le altre sei, a partire cioè dalla N" 4 "Romantica", adottare uno schema già molto più complesso, giacché, per citare nuovamente il Martinotti, "Bruckner nella sua ricognizione sinfonica sembra scomporre, con analisi fin spietata e con vicenda coraggiosa e dolorosa di tante continue approssimazioni, quanto il Romanticismo aveva addensato concretato, fin esaurito e poi ancora difendeva con Brahms", occorre ancora una volta ricordare il criterio di ampliamento del bitematismo con l’adozione sistematica di un terzo tema, criterio che troverà un convinto continuatore in un certo Rachmaninov, anche se "contaminato" da elementi ciclici cari al sinfonismo tardoromantico e moderno dei Franck, Mahler, Sostakovic, per arrivare, perché no, a Berg.
Sono dunque da stroncare certe affrettate critiche, giustificabili parzialmente solo per la scarsa conoscenza di cui ha sofferto Bruckner parecchi anni addietro, che se da un canto ammettono la presenza di pagine di ispirata bellezza, soprattutto nel corpus sinfonico, vogliono maggiormente evidenziare una sorta di enfatica prolissità dell’opera.
Invece se Bruckner a volte, non sa, anzi non vuole abbandonare una idea musicale già apparentemente esaurita e perché vuole analizzare "semanticamente" il tema a favore di una "conversione sottilmente metamorfica" come afferma ancora, e giustamente, il Martinotti nei suoi saggi sugli "Aspetti e caratteri del sinfonismo di Anton Bruckner".
Fra tali "aspetti" comuni all’intero corpus sinfonico bruckneriano va ricordato l’uso del corale sinfonico abilmente stilizzato (ed in ciò sono evidenti i frutti maturati durante lo studio della composizione effettuato con Sechter e probabilmente non estranee certe idee sviluppate durante i corsi di direzione d’orchestra con O. Kitzler) e validamente sfruttato come mezzo di mistica e collettiva sacralità. Si potrebbe citare l’entusiasmante ed epico finale della Quinta dove l’uso del corale raggiunge vertici difficilmente eguagliabili, o altrettanto validamente il 1° movimento "Bewegt, nicht zu schell", della "Romantica" dove un possente corale ricco di uno straordinario respiro cede il posto a quel tema che nell'introduzione della esposizione era stato meravigliosamente affidato al corno sopra i profondi fremiti degli archi tremolandi (ed anche questa idea non è stata forse sapientemente sfruttata dallo stesso Rachmaninov?).
Occorre dunque che il grande spunto tematico del primo tempo vada rispettato nella sua continua sovrapposizione con, specie nella sezione degli archi, una sonorità calda caratterizzata da un timbro ed una strumentazione sempre accuratamente concentrate.
Analogamente va reso il secondo tempo, nel suo contenuto romanticismo, sciolto, scorrevole e per nulla marcato, come avviene spesso nelle pagine bruckneriane, ove anche il più smisurato edificio sonoro deve essere ricondotto (e qui ha grande rilevanza la pratica strumentale e direttoriale degli esecutori) ad una lucentezza dinamica irrinunciabile come nel caso del successivo, meraviglioso, terzo movimento. Circa quell’"espediente" bisogna ricordare la lezione della Nona beethoveniana: risultato non sarà certo la vocalità fisica del grande Mahler, ma una cantabile vocalità della quale fanno sfoggio molti passi strumentali.
Non a caso si sono avanzate ipotesi su certe inflessioni operistiche o melodrammatiche, ed ecco come torna alla ribalta Verdi ed il suo Requiem e come parallelamente aumenti il divario con lo straussiano Symphonische Dichtung.
Il tremolo che esprime ingenuamente e forse in maniera previsibile, (ma pur sempre efficace!) una tensione innegabile evidenzia mirabilmente la sonora individualità del "Tema".
Il fatto che Bruckner dedicasse la sua Terza Sinfonia "All'illustrissimo Signor Richard Wagner, all'ineguagliabile, famosissimo e sublime Maestro dell'arte poetica e musicale in profondissima riverenza", alimentò la tesi di un unico filone Wagner-Bruckneriano.
Non a caso Eduard Hanslick, autorevole e temibile critico Viennese, ebbe a scrivere dopo la prima esecuzione della Terza bruckneriana, "si ha la visione di come la “Nona” di Beethoven stringa amicizia con la “Walchiria” di Wagner e finalmente vada a finire sotto gli zoccoli dei suoi cavalli".
Conseguenziali furono per il sinfonismo bruckneriano le accuse di mancanza di forma e non si interpretò il rifiuto d Bruckner ad essere catalogato secondo parametri wagneriani o secondo parametri classicistici.
Come d’altronde non è negabile la considerazione che Bruckner non fu un compositore romantico nel senso stretto della parola.
Ed in effetti, posto che durante la sua vita egli cercò una obiettività che non poteva essere aridamente catalogata in un filone o in una corrente e men che meno "nell'esaltazione drammatica dell'artista romantico" (Robert Simpson).
Lo spettro wagneriano ricompare pero con il famoso "Adagio" della Settima, sublime monumento funebre al venerato Wagner.
Composta negli anni 1881/83, la Settima Sinfonia in mi Magg., pur se si è trovata spesso a dover contendere la palma della popolarità alla Quarta, è ormai universalmente considerata la più valida e compiuta opera bruckneriana. Non a caso con la "prima", che si ebbe di quest’opera a Lipsia il 30 Dicembre 1884, il compositore raggiunse la prima vera grande affermazione presso il pubblico.
La Settima è opera ricca di sottili cesellature strumentali che tuttavia non influiscono negativamente sull’unita globale del capolavoro. Il respiro dell’opera, sostenuto da frequenti ed originali soluzioni strumentali ed armoniche, è ricco di infinito lirismo e nonostante la grande concezione sinfonica, si può affermare, senza paura di essere smentiti, che permane una limpida sensazione di cristallina luminosità.
Tale senso di luminosità e di grande respiro compare anche nella Sesta in la Magg. caratterizzata da maestose campiture sinfoniche che possono essere facilmente paragonate a certe pagine organistiche bachiane.
La deduzione appare molto logica ove si ricorra poi al ripetuto luogo comune del Bruckner agguerrito organista e fervente bachiano nonché acceso sostenitore delle sue "stratificazioni timbriche" (Luigi Bellingardi).
La deduzione appare molto logica ove si ricorra poi al ripetuto luogo comune del Bruckner agguerrito organista e fervente bachiano nonché acceso sostenitore delle sue "stratificazioni timbriche" (Luigi Bellingardi).
Tuttavia specie nei tempi centrali è rintracciabile una certa ascendenza schubertiana, soprattutto in quella sorta di fantasiosa delizia austriaca, eppure non priva, secondo altri, di popolari accenti ungheresi.
Simili inflessioni si possono anche riscontrare nella Sinfonia in re min. "Nullte", i cui primi abbozzi risalgono al 1864, ma che fu scritta nel 1869 ed edita addirittura nel 1924. L`importanza di questa sinfonia riporta in primo piano il caldo melodismo schubertiano, e certi retaggi orchestrali tipici del Mendelssohn della "Riforma" e del "Sogno di una notte d’estate". Chi non rintraccerebbe infatti i mendelssohniani corali per fiati o certi giochi timbrici dei legni?
D’altronde sono anche evidentissime certe accentuazioni ritmiche lisztiane (mi riferisco ai poemi sinfonici) e della produzione orchestrale di Berlioz, conosciuta da Bruckner per la notevole attività divulgativa dello stesso Liszt.
Un’opera dunque che pur pervasa da spumeggianti guizzi romantici, comincia a far intravvedere una certa originalità creativa.
Essendo state comunque composte le sinfonie bruckneriane nel secolo del Romanticismo, esse restano "fedeli allo spirito del classicismo". Dunque come Haydn non avrebbe alcuna difficoltà a riconoscersi progenitore della "forma bruckneriana", forma che però risulterà naturalmente ampliata tematicamente ed armonicamente, così chi conosca la forma sinfonica haydniana non avrà indecisioni o titubanze per comprendere la Quinta bruckneriana, sicuramente la più classica, delle sue sinfonie.
La Quinta del ciclopico e monumentale musicista austriaco composta negli anni 1875/78, fu chiamata dall’autore "Fantastica" (il riferimento è puramente casuale!), forse perché credeva, ben conoscendo la mole della sua creazione, che fosse pura fantasia vederla eseguita. Le paure di Anton Bruckner erano ben giustificate, se è vero che egli non ascoltò mai la sua Quinta, che ultimata appunto nel 1878, fu eseguita per la prima volta sedici anni più tardi. Il compositore, malato, ed ormai vecchio, ne affidò la direzione al suo allievo Franz Scelk.
Tutt’ora fra le meno eseguite e registrate Sinfonie di Bruckner, la Quinta non fu mai revisionata nel suo manoscritto del 1878, tanto che la Società Bruckner non avendo problemi di testi, ne ricavò due versioni, una dovuta a Robert Haas, l’altra a Leopold Novak, ed anche se fra le due versioni esistono differenze minime, statisticamente risulta maggiormente eseguita la seconda versione.
Caratteristiche salienti dell’opera nel suo complesso sono l’ininterrotto sovrapporsi e combinarsi di idee musicali che vengono reciprocamente scambiate dalle varie famiglie strumentali, le intime connessioni dei temi, le enormi difficoltà contrappuntistiche e quella "precisa volontà costruttiva" e quella "capacità di elaborazione musicale" che ha puntualmente notato il Martinotti.
Da non trascurarsi il lapalissiano senso classico delle calibratissime proporzioni.
Chi si è infervorato maggiormente nell’ascolto di questa ingiustamente trascurata Quinta Sinfonia, ha voluto vedervi una sorta di testamento spirituale dell’autore.
Forse, considerando che negli anni successivi sarà composta da Bruckner la Sinfonia con la dedica "dem lieben Gott", mi riferisco ovviamente alla meravigliosa Nona, sarebbe più corretto parlare di ringraziamento devoto, di monumentale espressione di fede nei riguardi di Chi gli aveva donato la ineguagliabile ed insostituibile dote di saper scrivere musica. Proprio quella fede che, ove la "fatale mancanza di concentrazione" diagnosticata da Hugo Wolf venisse a nuocere alla vicenda sinfonica bruckneriana lo sorreggeva ed incoraggiava proprio accentuando quella sorta di "dislivello spirituale" che in definitiva era stato il nucleo ispiratore della sua complessa poetica.
Per quanto riguarda la Nona, cui accennavo poc’anzi, bisogna dire che essa fu cominciata nel 1887 e purtroppo rimasta incompiuta.
Dico purtroppo perché in effetti tale sinfonia era manifestamente prevista come il logico epilogo dell’ideale trittico composto dalla Settima, dall’ottava e dalla nona per l’appunto, quasi una sorta di transetto che abbracciasse in se gli elementi architettonici di tre navate gotiche (stile tanto caro a Bruckner!).
Infatti questa sinfonia porta gli elementi di una ripresa: nella coda del primo movimento è evidente il motivo-chiave dell’ottava, la coda dell’adagio ha reminiscenze dell’analogo movimento della precedente sinfonia, oltre che il tema ascendente in mi maggiore della settima.
Una versione ridotta e ritoccata della sinfonia si ebbe nel 1903 sotto la direzione e la responsabilità di Ferdinand Löwe.
La prima esecuzione che si rifece fedelmente ed integralmente all’autografo che Bruckner aveva donato per mezzo del testamento alla Biblioteca Nazionale di Vienna, fu quella del 1932 con la Münchner Philharmonikern sotto la direzione di Siegmund Von Hausegger.
Da notare in questa sinfonia, lo scherzo, che come nell’ottava e nel quintetto per archi occupa il secondo movimento, ed il principio bruckneriano di opporre alle sonorità miste del Romanticismo registri quasi organistici dei timbri strumentali, sebbene con minor rigore ed insistenza che nella quinta e nella sesta sinfonia.
Con l’ottava, dedicata all’Imperatore Franceso-Giuseppe, invece, l’Autore ormai sessantenne, realizza mirabilmente un obiettivo che avevano inseguito per molto tempo, e non sempre con unità di intenti i romantici ed i moderni: cioè sviluppare, partendo da una cellula tematica estremamente semplice un’opera strutturalmente di dimensioni molto vaste ed a volte addirittura smisurate.
La cellula dinamica creatrice e generatrice è, nell’ottava un intervallo di seconda minore ascendente che si sviluppa da valori inizialmente brevi (generalmente biscrome) a valori sensibilmente più lunghi (semiminime, anche col doppio punto).
Si può affermare, che fra le caratteristiche più evidenti, fra le non poche che caratterizzano questa penultima sinfonia, vi sia anche quella dell’attacco che crea un grandioso effetto spaziale; effetto che d’altronde, anche se per un carattere maggiormente vivace ed aspro, ritroviamo nella famosa prima sinfonia in do minore.
Si può affermare, che fra le caratteristiche più evidenti, fra le non poche che caratterizzano questa penultima sinfonia, vi sia anche quella dell’attacco che crea un grandioso effetto spaziale; effetto che d’altronde, anche se per un carattere maggiormente vivace ed aspro, ritroviamo nella famosa prima sinfonia in do minore.
Tale carattere è confermato per altro dall’affettuoso titolo "das kecke Beser!" (piccola scopa impertinente) che Bruckner più che quarantenne diede alla sua composizione, prima delle sinfonie, ma terza fra i progetti sinfonici del nostro Autore.
E' una meravigliosa introduzione alle sinfonie immediatamente successive: ed infatti, come afferma Richard Osborne, essa rappresenta la giusta sintesi dei tratti più importanti del profilo artistico del musicista austriaco: "l’ostinazione, l’umorismo, un profondo senso lirico, ed un senso del dramma sia immediato che protratto".
Risulterà facile capire da che cosa scaturiscano caratteristiche talmente diverse, ove si esaminano superficialmente le vicende della vita di Anton Bruckner relative agli anni che seguirono il 1860.
Il suo sviluppo artistico era stato gradatamente costante e quando aveva cominciato a lavorare alla sua prima sinfonia era ormai sistemato e "venerato" a Linz.
Lì non aveva tardato a diffondersi la fama della sua formidabile competenza nel campo delle forme musicali antiche, e per la sua non comune abilità di organista, e per le composizioni corali che aveva completato per l’appunto nella prima parte degli anni Sessanta.
A questo, seguì però, il meno felice periodo a Bad Kreuzen, dove il compositore si rifugiò vittima probabilmente di un esaurimento nervoso. Il successivo trasferimento a Vienna e il bisogno di affrontare e di inserirsi nel mondo politicizzato e competitivo della musica viennese gli scossero definitivamente il già fragile equilibrio interiore.
Ma, "la sua conoscenza artigianale dei procedimenti musicali, la sua tenacia contadina, la sua fede cattolica, ed una certa naturale iconoclastia" (Osborne), lo aiutarono sensibilmente a comporre un lavoro appassionatamente esuberante, nonché irrefrenabilmente vitale come questa prima sinfonia, che, proprio per questo carattere, fra le tante revisioni e versioni, viene generalmente eseguita dai tempi di Bülow e Richter ai più recenti tempi di von Karajan ed Haitink, nella disadorna versione, ma molto ricca di carattere, nota come "Linz".
Comunque a Vienna non mancavano motivi per offuscare la sua permanenza nella capitale austriaca.
Infatti era scoppiato uno scandalo riguardante uno scontro, che era stato ampiamente reclamizzato, con alcune insegnanti del Collegio di S. Anna; tale diverbio aveva temporaneamente arrestato il germogliare della carriera bruckneriana, costringendo il nostro compositore a cercare conforto negli entusiastici applausi londinesi che salutavano le sue brillanti improvvisazioni sull’organo della nuova Royal Albert Hall. Al rientro da Londra avvenuto nei primi del settembre 1871, il compositore cominciò a lavorare alla più ardente e profetica delle sue prime sinfonie: la seconda.
Il ritmo, l’armonia, la lunghezza variabile delle frasi, i frequenti Gesangperiode (passaggi cantabili), conferiscono, inequivocabilmente, un’atmosfera indicibilmente serena, fiduciosa e sicura di una ricchezza interiore che in definitiva è quella del suo creatore.
Così, se da un lato non mancano i momenti di humour secco e impassibile, dall’altro non sono assenti quegli istanti culminanti in particolari estatici e splendidi attorno ai quali si concentra l'attenzione di qualsiasi ascoltatore più o meno smaliziato riguardo ai procedimenti bruckneriani.
Così, quando ascolteremo ad esempio l’Andante della seconda Sinfonia in do minore, non potremo far altro che ringraziare sinceramente in cuor nostro Anton Bruckner per aver detto una volta: "Vogliono che io componga in modo diverso. Potrei, ma non devo".
Roberto Salemi
("Rassegna Musicale Curci", anno XXXVIII, n. 1 gennaio 1985)