Il popolare conduttore di ascolti musicali su Radiotre, un lungo sodalizio con l'Einaudi, da "ragazzo cliente" a collaboratore e direttore della Biblioteca di Dogliani
Ha conosciuto André Gide ad Alessandria d'Egitto. "L'ho letto quasi tutto, compreso il Journal", precisa Paolo Terni tra i fiori della spaziosa casa romana al Celio, sul tavolo petunie blu-viola, oltre la finestra girasoli gialli, un tripudio di rose, alberi altissimi. Intorno, libri a volontà e due enormi pareti di cd. "Ho speso tutto per acquistare musica", dice la popolare voce di Radiotre, che al Respiro della musica dedica un volumetto appena uscito da Bompiani con una lettera-prefazione del pianista e compositore Ludovico Einaudi. Ma subito ritorna a Gide: "Ricordo con particolare piacere Le retour de l'enfant prodigue, La porte étroite, La symphonie pastorale, Les faux monnayeurs, soprattutto Les caves du Vatican e Si le grain ne meurt". In francese li ha letti, in francese li cita. "La Francia ha avuto un dominio sulla mia vita. Chiuse per la guerra le scuole littorie di Alessandria, ai ragazzi italiani non restavano che i "Siete pazzi, ne faranno un falegname!", avvertì una signora una notte in rifugio. Fui dirottato al Lycée de la mission laique française, con professori eccelsi inviati da Parigi per proteggerli dai rischi bellici.
Quando arrivarono i Terni in Egitto?
"Una famiglia nobile, come altre di ebrei romani più antiche dei Colonna. Tra gli antenati un grande rabbino di Ancona. Il cognome Terni pare fosse un premio dovuto a un lavoro finanziario per lo Stato pontificio. In un collegio di Firenze il giovane Michelangelo Terni, molto mazziniano, s'incontra con il giovane Khediwe Ismail futuro re d'Egitto. Salito al trono, questi affida all'amico l'istituzione della banca nazionale, lo premia con terre ad Alessandria. Nella città si riuniscono esuli insoddisfatti del Risorgimento e attratti dalle prime piantagioni di cotone lungo il Nilo, dalla costruzione del Canale di Suez, approdo di gente che ha voglia di futuro, libertà, soldi. Formano una comunità aperta, con ospedale, scuole, cimitero. Un'epopea bellissima".
Ideali. utopie, soldi. Anche libri?
"Il bisnonno sposa Linda Coronel, figlia di un armatore portoghese, ricchissima, d'intelligenza strepitosa. Si secca alle riunioni di famiglia, si ritira scusandosi: 'Devo finire di leggere certi dialoghi di Platone'”.
Eredita da lei la passione per la lettura?
"Per me leggere è vitale. Ho letto biblioteche".
Cominciamo dall'infanzia-adolescenza.
"Un ruolo centrale ha avuto Alice nel paese delle meraviglie di Carroll, ne so parte a memoria, in inglese. Ho divorato Maurice Leblanc e le avventure di Arsèn Lupin. Dell'amatissimo Dickens provo particolare affetto per i Pickwick papers e per le immani risate che il suo profondo umorismo ha suscitato in me".
Era la scuola a suggerire le scelte?
"Scuola e famiglia. Al Lycée Français mi fu affidata la presentazione ex cathedra di Candide ou l'optimisme di Voltaire. Con Le grand Meaulnes di Alain-Fournier scoprii la relazione tra il quotidiano e l'onirico. Con Les Misérables cominciai a provare orrore per l'ingiustizia, la burocrazia, il potere cieco e arrogante. Ammiravo i ritratti fulminei di Victor Hugo, i contrasti, l`ironia".
Proprio nessun autore italiano?
"Soltanto Salgari. Era insopportabile il Manzoni spiegato dal professore di italiano arruolato da mio padre perché mantenessi contatti con la nostra terra. Avrei scoperto I promessi sposi più tardi, imparando a conoscere bene il nostro Ottocento musicale. Poi lavorando con Mauro Bolognini alla riduzione tv della Certosa di Parma, da Stendhal, ho capito la materia dalla quale partiva la ricerca di Manzoni: quei laghi, quell'impegno linguistico, quella moralità".
I suoi picchi letterari di allora?
"I ragazzi terribili di Cocteau. L'incessante corpo a corpo con Proust. Il colpo di fulmine per Musil: L'uomo senza qualità mi ha accompagnato per anni nelle vacanze a Stromboli".
Il trasferimento in Italia influì sulla scelta degli autori?
"Arrivai nel 1951 a Roma. Il nonno Enrico Terni mi leggeva Les enfants du Capitaine Grant di Verne. La scrittrice Fausta Cialente, da lui sposata in seconde nozze, mi leggeva Conrad, Kipling e il duello della mangusta Rikitikitavi con il serpente. E questa nonna che più tardi mi farà scoppiare un amore a prima vista: il Pasticciaccio. Da quel momento divorerò Gadda".
E con Gadda finalmente apprezzò la nostra lingua?
"Ad Alessandria non l'amavo, mi sembrava improponibile un confronto tra il francese che studiavo, da Ronsard a Mallarmé, o ascoltavo alle recite della Comédie Française in tournée - Racine, Molière, Giraudoux - e Vitaliano dialettale del pur grande Totò al cinema. Gadda e poi Giorgio Manganelli mi avrebbero riconciliato con la nostra lingua come ricerca e invenzione costanti".
Finché la sua vita non s'intrecciò con casa Einaudi.
"Stavo leggendo Thomas Mann - Doktor Faustus e La montagna incantata, acquistati a fatica in libreria - quando scopersi il meraviglioso servizio rateale Einaudi: un mito, una continua provocazione intellettuale, sempre un passo avanti rispetto al 'dibattito'".
Da ragazzo cliente, ne diventò collaboratore.
"Ero in Sardegna, presso Oristano, interprete traduttore in una specie di kibbutz dove si studiava il fattore umano dello sviluppo economico. Una pubblicità sul Giorno: “Giulio Einaudi spa cerca public relation officier". Mi indignò quel linguaggio e lo scrissi all'editore. Pochi giorni dopo mi trovo davanti a lui, Bobbio, Bollati, Mila, Raniero Panzieri seduti al famoso tavolo ovale. Avrei diretto la Biblioteca civica Luigi Einaudi a Dogliani, esperienza da cui nacque la fortunata Guida la formazione di una biblioteca".
... e il matrimonio con la figlia dell'editore.
"Ida lavorava all'Einaudi di Roma, aveva avuto un problema sentimentale. Giulio la portò a Torino, me l'affidò. Un castigo, m'interrompeva le vacanze. Molta bella, timida, mi si rivelò affine, complice, con valori fondamentali forti, l'impalcatura etica che cercavo. La mia vita è stata bella per quel privilegio, per la gioia infinita di quel grande amore".
Roma, via Gregoriana 38, un atelier letterario.
"Ida Einaudi ne era il perno. Lavoravamo accanto a Natalia Ginzburg, Calvino, Elsa Morante: l'ho aiutata nei momenti culminanti de La storia, mi ha letto al telefono tutto Aracoeli. Ho molto amato Primo Levi come persona e come scrittore".
In tutto questo mare, qual è il suo capolavoro di riferimento?
"I racconti di Edgar Allan Poe nella sublime traduzione einaudiana - goduriosa, sapida e rivelatrice! -di Manganelli".
Chi rilegge più spesso?
«Ogni volta che posso, Simenon, Conrad e James".
Che cosa non ama più?
"Trovo ormai invecchiate e anche noiose le opere di Agatha Christie che per anni ho divorato. Non ho mai apprezzato Malaparte. Credo mi deluderebbe rileggere oggi André Gìde".
La coinvolge la contemporaneità letteraria italiana?
"Poco, ma seguo con particolare simpatia il nuovo filone sardo, dal giovane Wilson Saba - Sole&Baleno, Giorni migliori - a Sergio Atzeni, Marcello Fois, Michela Murgia".
Ha un modello di cultura musicale?
"Luigi Magnani, l'unico modello italiano cui mi sono ispirato. Penso a Beethoven lettore di Omero, ai Quaderni di conversazione, al Nipote di Beethoven, alla Musica in Proust. M'indigna che le opere di questo grande letterato musicale siano da decenni esaurite. Scusi, ma mi ha davvero acceso una miccia nella mia coscienza".
Alberto Sinigaglia
("ttL", Supplem. de LA STAMPA)
Nessun commento:
Posta un commento