Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, maggio 11, 2024

Anno 1961 - Svolgimento premiato

TEMA N. 1 - Dite le vostre impressioni su una delle composizioni eseguite nel concerto di oggi, ponendola in relazione, se lo ritenete opportuno, con l'insieme dell'opera del suo autore.
Programma musicale:
- R. Strauss, Don Giovanni, poema sinfonico op. 20
- M. Ravel, Concerto per la mano sinistra
- A. Casella, Serenata, versione per orchestra)
 
Da quando ascoltai per la prima volta il poema straussiano (e fu un amico che mi portò alcuni dischi) esso rimase in me come un'opera densa di fascino, strana, che dapprima non riuscivo a spiegarmi, anche perché mal conoscevo il suo autore e non avevo molta dimestichezza con la musica post-romantica; sentivo affiorarmi nella mente impressioni vaghe e mal definibili, avvertivo nei confronti della musica che allora era al centro del mio interesse (Beethoven, Mendelssohn, Schubert, ecc.) un distacco accentuato pur permanendo ancora in quell'opera un linguaggio ancora in gran parte tradizionale. Lo stesso titolo, Don Giovanni, non riusciva ad allontanare quel senso indeterminato che si era stabilito nel mio animo, anzi (col ricordo dell'opera omonima di Mozart) aggiungeva alla mia mente nuova oscurità, pur restando indissolubilmente legato con le gradazioni letterarie e culturali che questo nome tanto trattato attraverso la letteratura (da Zorilla a Molière al Convitato di Pietra di Puskin e Kierkegaard ecc.) evocava in me. E tuttavia tale oscurità approfondiva e allargava il fascino della composizione a cui subito mi affezionai intensamente. Mi piaceva nei pomeriggi, quando fuori era grigio, abbandonarmi su una poltrona ad ascoltare i suoni inebrianti, immaginando qualche trama ipotetica, o meglio qualche scena, o qualche svolgimento lirico-filosofico. Immaginai un seduttore che rievoca la passata attività e l'ebbrezza contenuta in essa; ed affioravano alla mia fantasia scene d'amore in una trasfigurazione che andava cogliendo elementi autobiografici e fantasticherie trascorse, riportava i miei pensieri domenicali ed i miei sogni d0infanzia. Era un istintivo confluire in quelle note o meglio dapprima un evocare di quelle note di una parte di me, che si definiva e si fissava poi nella bellezza e nella forma della musica, diveniva dapprima riflesso soggettivo e tutto personale, chiarendosi poi nella oggettività dell'opera.
La stessa lirica di Baudelaire, Don Giovanni all'inferno (e allora ero un lettore appassionato dei Fiori del Male) si univa con le sue impressioni a tutto questo mondo: con un barlume di oltretomba, un'ulteriore tinta a tutte le mie sensazioni. In questo senso il poema di Strauss, come capita per tante altre opere letterarie ed artistiche, divenne un elemento in cui si andò fissando tutto ciò che di più bello e di più intenso sentivo e sognavo in quei mesi, a cui tutte le mie evasioni della fantasia (ma non erano che il più vero sviluppo di me al di fuori degli schemi e delle convenzioni sociali) si legarono definitivamente (e trovarono purificazione in quelle note). Ma approfondire tutto ciò e spingermi più oltre nella riconquista di quei momenti segnerebbe sempre più il distacco dall'opera che voglio esaminare e diverrebbe lavoro tutto personale, e per quanto non possa prescindere nella mia valutazione dell'opera da questi elementi, desidero tuttavia attenermi strettamente ad essa.
Con la conoscenza più diretta di Strauss e della cultura del suo tempo cominciai a definirmi più chiaramente l'opera e ad impostare su di essa considerazioni più oggettive e concrete; la lettura di Nietzsche fu fondamentale per queste conoscenze tanto più che ritrovai il capolavoro nietzschiano (Così parlò Zaratbustra) nella ricostruzione musicale di Strauss. Ebbi poi modo di ascoltare altri poemi di Strauss da Morte e Trasfìgurazione a Till Eulenspiegel a Macbeth a Vita d'eroe e brani delle sue celebri opere (Il Cavaliere della Rosa e Salomé) e per quanto nulla mi colpisse così profondamente come il Don Giovanni, tutto ciò poté tuttavia definirmi meglio il musicista e porgere alla mia mente il materiale per le considerazioni e il concetto che andavo facendomi di lui.
Hoffmansthal, George, Rilke mi portarono il soffio lirico della sua società, contribuirono a sollevare in me e a collegare con R. Strauss varie altre considerazioni, che andarono sempre più allargando il quadro
che mi stavo formando di lui e della cultura su cui si mosse. Ma pur legato in qualche modo a tutto ciò, il poema resta tutto definito in se stesso, autonomo nella sua intensa bellezza e ricco di una ebbrezza così forte che mi sconvolge ad ogni nuovo ascolto. Ed oggi ho potuto riascoltarlo, ed ho atteso con impazienza, già immerso nell'atmosfera vastissima che il suo nome evoca in me. Durante l'esecuzione ho ripercorso le sue note e l'ho rivissuto di nuovo in se stesso, nella sua oggettiva bellezza, pur nell'alone già così ampio della fantasia, come se lo ascoltassi per la prima volta. Già dalle prime note mi sono sentito rinascere: nella musica, nell0adesione completa alla sua intrinseca bellezza; tutti i ricordi, le fantasticherie, le culture erano al di là  di tutto questo, costituivano il mezzo attraverso cui io giungevo ad essa. Dapprima un'atmosfera di festa solenne, uno svolgersi in movimenti ampi e tesi, sviluppi alterni di solenne esultanza, e tuttavia già suoni acuti su questa forma ampia, definiti in punte intense. Quasi un passeggio di amanti al tramonto in viali profumati, in una atmosfera carica di vibrazioni inebrianti, e pur tuttavia da tutto ciò si leva anche un acuto effondersi di inquietudine. Ma tutto ciò è più solenne nella musica (un ballo forse) e del resto tante scene potrebbero entrare in quelle note che tutte le comprende ma si cancellerebbero subito in quello svolgimento che opera, più che con oggetti e atteggiamenti concreti, con un insieme di movimenti dello spirito che trovano autonomo sviluppo. Un senso eroico e dionisiaco insieme si va diffondendo sempre più, sono cadenze ebbre e cariche di suggestione che si sviluppano mentre l'orchestra accarezza il sangue e lo fa pulsare più forte, pervade sempre più l'ascoltatore ponendolo in uno stato di intensa voluttà (come una notte serena d'estate in un giardino dove si sta svolgendo una festa in cui si possiede la donna amata) eppure una strana inquietudine si alza da tutto questo e ne è alla base, un senso di spasimo che accoglie ebbrezza ed
oblio, sentimento del tempo e del suo dissolversi, una insoddisfazione che permane al fondo e che ancora anela a dell'altro, si volge verso questo cos'altro ancora per una ebbrezza ulteriore, che recherà poi a sua volta in sé, come elemento fondamentale, anche il sentimento della sua precarietà e della sua incompletezza per cui sbocca il desiderio di proseguire ancora in cerca d'altro. E subito balza evidente l'allacciamento a Wagner e in particolare al Tristano e Isotta (Preludio e Morte) ed è ben noto quanto debba culturalmente a Wagner Strauss. Anche il tema dell'amore, del possesso, della voluttà erotica che si identifica sempre più con la volontà stessa (in senso schopenhaueriano) che è alla base di tutta la vita e del suo sviluppo. Strauss, pur affondando le sue radici in Wagner, si svolge in modo tutto suo, concretando in miti più chiari e conclusi le sue concezioni, ricevendo un altro potente influsso dal coetaneo Nietzsche; è lo sforzo dell'uomo che supera  se stesso, che raggiunge mete nuove, che cammina verso il superuomo (in analogia con Nietzsche) che egli vuole cogliere e rappresentare nei suoi poemi; e questo cammino egli lo sente grandioso e fantastico (pur così reale nella adesione del tempo e della cultura di allora) e basta scorrere i titoli da Morte e Trasfigurazione a Vita d'eroe, per convincersi subito di tutto ciò.
Profondamente radicato nel suo tempo dunque Riccardo Strauss appare così vibrante di effetti nuovissimi, cosi strettamente caratteristici della sua attività. E veramente Strauss è una delle voci più intense ed indicative del graduale avvicinamento alla nostra epoca (e se Shostakovich reca ancora molti ricordi straussiani) coscienza inquieta e vibrante che si staglia a fianco di Debussy e di Brahms a rappresentare nel secondo Ottocento, la consapevolezza di un trapasso a una nuova epoca, e con Brahms attraverso la sua inquietudine musicale e la novità degli atteggiamenti (pur così radicati come si è visto in Wagner). Tuttavia rappresenta ancora in gran parte l'Ottocento pur vivendo nel passaggio che raccoglie in sé già gli elementi di uno sviluppo nuovo. Ma tornando alla composizione, essa esprime, a mio avviso, l'esaltazione, in un senso eroico-decadente, dell'amore; è il poema dell'amore e delle sue ebbrezze. Un amore che come si è già accennato diventa momento di quella stessa volontà di vita e di conquista le cui radici sono in Schopenhauer e che trova in Nietzsche così ampio e particolare sviluppo. L'amore che diventa la vita stessa ed espressione attraverso cui si esprime integralmente l'uomo (e non mi sembra inopportuno ricordare Kierkegaard e lo «stadio estetico›› rappresentato dal seduttore anche se poi la soluzione del filosofo danese affonda nell'assurdo della fede). L'amore che solleva ad altezze sempre più grandi e che nella conquista della donna sempre più si esprime e si esalta, qualcosa che pervade l'animo in una ebbrezza indicibile e che pur si perpetra indefinitamente avendo alla base l'affermazione continua di un desiderio inappagato. E tutto questo trova nel poema straussiano così lucido e potente sviluppo, in risultati di una intensità sconvolgente.
Si alternano scene di quiete in cui l'animo rilassato tace e ascolta solo la sua ebbrezza, poi di nuovo quasi drammaticamente il desiderio e la volontà si prendono, si esaltano e si potenziano nel possesso della donna, che diventa elemento fondamentale per l'affermazione dell'uomo. Momenti di una felicità quasi raggiunta brillano chiari qua e là ma pur si sente qualcosa di inquieto che presto li rovescia e torna a costituire un sentimento di ricerca, di desiderio, quasi di lotta. È l'inquietudine dell'uomo, dell'uomo particolarmente del secondo Ottocento, coscienza di una dilacerazione intrinseca, senso di sfiducia che mai si perde, ma che sopravvive ad ogni nuovo appagamento. Ma la soluzione straussiana di tutto ciò vive in un appagamento e in una compiutezza strettamente estetica e pur quando sullo scorcio e sul fondo su cui si muove il suo canto sconvolgente e solenne si sente il mondo ottocentesco che si va dissolvendo, la vecchia Vienna che sta languendo. (E sarà opera di Musil lasciarci una testimonianza letteraria di questo periodo). Ma come i versi di Hoffmansthal e di George nelle solennità religiose (e si potrebbe citare Mallarmé che visse in Francia così intensamente questo momento romantico), così anche Strauss costruisce il suo mondo autonomo e concreto nella fermezza incancellabile dell'arte. E tutto parla in queste note vibranti fino allo spasimo di una profondissima esperienza estetica (e anche Debussy nel Prélude lascia analoga testimonianza).
E' insomma una delle opere che esprimono una concezione dell'amore tutta dionisiaca esaltata in una specie di paganesimo e tutta  la cultura morbosa e aristocratica del secolo Ottocento trova veramente in quest'opera uno dei suoi monumenti più alti e rappresentativi.
Sante Cavina (1° premio, Anno 1961)
(Liceo Classico G. B. Morgagni - Classe III - Forlì)

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