Guerrero, Citterio, Robinson, Maraldi e Watanabe: cinque interpreti doc uniti in un'avventura che regala nuova vita alle Variazioni più famose della storia della musica.
Opera nata come prontuario tecnico per clavicembalo irto di sperimentazioni ma, al tempo stesso, fecondo di soluzioni strutturali così intimamente sperimentali da riuscire ancora oggi a proporsi come ambito di confronto per differenti tipologie strumentali, le Variazioni Goldberg conservano un fascino conturbante capace di distinguerle da ogni altra composizione di Johann Sebastian Bach. Il violoncellista Jorge Alberto Guerrero - colombiano di Cali ma lombardo dai tempi del diploma - ci racconta il Progetto Goldberg, un'inedita trascrizione per due violini, viola, violoncello e clavicembalo. Al suo fianco Elisa Citterio, Nicholas Robinson, Gianni Maraldi e Takashi Watanabe, volti e nomi già noti a chi frequenta le avventure musicali di compagini come il Giardino Armonico, l'Accademia Bizantina, il Ghislieri Choir & Consort, o l'Estravagante.
La pratica della trascrizione, come riduzione di organici o come ausilio didattico, ha una lunga storia. Interessante soprattutto quando diventa stimolo per un nuovo obiettivo artistico. Come sono nate queste Goldberg?
«La genesi è stata casuale. Un paio d'anni fa Gianni Maraldi ci propose questo progetto. Iniziammo a studiarle rendendoci conto che avremmo dovuto intervenire molto sulle trascrizioni da lui procurate per trovare soluzioni più consone al nostro organico. Abbiamo quindi cambiato distribuzione delle parti, tempi, colori e articolazioni, anche durante la registrazione, cercando di far convivere la profondità dello studio con la massima spontaneità individuale. Elisa per prima ne ha trascritte alcune, ma la parte più bella del lavoro è stata quando, suonandole insieme, abbiamo cominciato a dar loro la nostra forma. L'esperienza strumentale di ciascuno di noi ha infatti permesso di trovare insieme nuove soluzioni. Di fronte a una trascrizione infatti occorre darsi delle regole e modificare le cose sulla base del fatto che il tutto deve suonare bene con l'organico a disposizione, pur seguendo nuove logiche. In questi ultimi anni ho recuperato più di 150 versioni discografiche per clavicembalo, pianoforte, trio d`archi (Sitkovetskij), orchestra da camera (Labadie) e quella jazz di Jacques Loussier. Questo mi ha motivato a portare avanti una proposta di registrazione con un nuovo organico, cosa che si è potuta realizzare grazie all'ospitalità, l'interessamento e il sostegno del Collegio Ghislieri di Pavia, senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile».
Un gruppo, il vostro, nato attorno a questo specifico progetto.
«Sì, anche se ci conosciamo da tanti anni. Nicholas ed Elisa sono considerati tra i migliori interpreti di musica antica in Italia ed è una fortuna averli insieme a noi, Gianni brillantemente ha pensato questa alchimia e io ho proposto Takashi, che ha inciso ultimamente una meravigliosa versione per cembalo solo. Quale occasione migliore che avere con noi un cembalista che conosce l'opera a fondo ed entra a far parte di un progetto in cui le Goldberg diventano qualcosa d'altro?».
Questa interpretazione svela una dialettica interna molto densa. Vengono in mente, tra le altre cose, i Brandeburghesi e tutto quello che in maniera trasfigurata viene dalla musica popolare.
«Sì, vengono fuori tante cose. C'è chi considera Bach solo intelletto e spiritualità, ma io credo che ci sia molto di più, ossia tutte le passioni dell'animo umano. Nel nostro interpretare c'è spazio per tutto questo. Il fine ultimo non è solo il contrappunto, perché basta anche un intervallo a muovere l'animo in una certa direzione. Quando abbiamo iniziato a registrare ci siamo detti: “lasciamo che questa musica parli da sola”. Può essere ovviamente un rischio, ma il discorso deve avere una sua coerenza. È per questo che ho analizzato tutte le Variazioni, riguardato tutti gli organici e pensato alla struttura generale. Per esempio, dopo l'Adagio centrale, che riapre tutto come se fosse il secondo atto di un'opera, il disegno diventa più pressante. Tutto questo deve essere pensato, perché così si dimostra di aver compreso la composizione».
Mi ero appuntato la VII Variazione in forma di giga, qui per violino e violoncello. Sembra una scelta perfetta per rappresentare l'origine della danza.
«Mi piace questa osservazione. Sulla prima edizione a stampa Bach scrisse a mano Giga, perchè deve averla sentita suonare come una Siciliana, cioè con un tempo più lento. Mentre la sua è una Giga puntata, ovvero più nello stile inglese o francese. Per intuito noi abbiamo sentito un sapore più popolare. A Nicholas, per esempio, venivano in mente i marinai inglesi».
In generale il procedimento di espansione verso il quartetto pone la questione di come trattare la parte residuale del clavicembalo che diventa una sorta di basso continuo. È corretto?
«Ogni movimento ha posto delle questioni. In un paio di Variazioni in cui la melodia della mano destra della tastiera è molto spiccata, l'abbiamo resa con violino e cembalo, avendo in mente le Sonate per violino e cembalo obbligato. Quindi la tastiera realizza tutto quello che c'è già, mentre il violino esegue la parte della mano destra. Poi però nel ritornello rientrano violoncello e viola, e diventa tutta un'altra cosa. In un'altra Variazione i violini suonano all'unisono come se fosse un Brandeburghese e il trattamento diventa più orchestrale. In quelle per solo quartetto d'archi la parte viene passata da uno strumento all'altro per richiamare quel gioco tecnico degli incroci nell'alternanza delle mani. Qui abbiamo trasferito un certo tipo di difficoltà tastieristica nella difficoltà del linguaggio del quartetto».
Quello che perde più presenza è il clavicembalo.
«Sì, nella nostra versione non suona sempre, perché in certi casi il contrappunto è talmente fitto, come nella Terza per due violini e violoncello, da non lasciare spazio ad altri strumenti. Nel tema, il clavicembalo comincia la prima parte con un tasto solo e nel primo ritornello mette armonie e contrappunti, arricchendolo in una maniera ancora più barocca di quello che è. In certi momenti invece è completamente ritmico come una batteria rock, in altri più discreto».
Non sembra casuale che questo tipo di sperimentazioni si leghi più alle Goldberg rispetto a opere come l'Arte della Fuga, un terreno appositamente pensato per muovere una ricerca.
«Nell'Arte della Fuga Bach dimostra cosa si può fare con il contrappunto. Scrive canoni, fughe doppie e triple, per aumentazione e diminuzione, moto contrario, a soggetti incrociati, fino alla fuga a tre. Nelle Goldberg invece esplora le potenzialità dello strumento. L'interpretazione che a me convince di più sulla genesi dell'opera è quella di Peter Williams (Bach: The Goldberg Variations, Cambridge Music Handbooks, n.d.r.) il quale sostiene che Bach avrebbe dato al figlio Wilhelm Friedemann i primi tre volumi dei Klavierübung e teoricamente le Goldberg sarebbero state il quarto. La storia del principe che dorme non c'entrerebbe nulla. In realtà le avrebbe donate al figlio per consentirgli di presentarsi ai principi con qualcosa di grande impatto. È un po' come dire: “figlio mio, ti do questo, così trovi lavoro”. E le Goldberg sono perfette perché hanno contrappunto, cantabilità, ritmica, sfoggio tecnico. Ma se prendi le fughette o le ouvertures alla francese, ti accorgi che è musica pura anche se la fai con i sassofoni o con il computer. Il tema poi è davvero sorprendente perché non è quello che si sente alla mano destra, bensì al basso, su cui vengono costruite tutte le variazioni. È come se fosse una Passacaglia di fine Seicento, i cui trattamenti successivi portano a fine Ottocento fin quasi all'inizio del Novecento. Si va dalle Sonate di Corelli a qualcosa che sembra lo scherzo di un Quartetto di Sostakovic o addirittura Bartók».
Non si può non pensare a Glenn Gould. Cosa ne pensa delle sue celebri interpretazioni?
«Le Variazioni di Gould sono stratosferiche. In tutti noi hanno lasciato un segno, dato che difficilmente uno ascolta le Goldberg nella versione di Wanda Landowska».
Michele Coralli
("Amadeus", Anno XXVIII, Numero 5 (318), Maggio 2016)
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