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Cathy Berberian (1925-1983) |
Cathy Berberian dice: «L'errore è sempre qui: far dell'arte una cosa che non c'entri con la vita. Nell'arte è necessario essere naturali, spontanei come nella vita».
La guardo: i capelli d'un bianco-argento da teatro, le grandi ciglia costruite come in un ritratto del Novecento. il colore fantasioso della sua faccia armena ironica dolce e fiera; e quei suoi abiti da casa che stanno sempre fra il poncho e il manto. quel suo stare fra il solenne e il gattone. «Mi chiamano, prendendomi in giro, mostro sacro. Ma io sono semplicemente come mi pare», Cathy Berberian dice. Il fatto è che per lei esser come le pare, essere nella vita, significa inventare: se stessa, il mondo attorno. A cominciare dalla casa: un estroso coacervo di ricordi alla rinfusa, di curiosità, di eleganze e di oggetti buffi. Domina il liberty: bicchieri colorati in vetrinette, statuine, le malinconie leggere d'una collezione di Pierrot; sgabelli e divanetti autentici su cui con allegria gentile la padrona di casa avverte se è conveniente o pericoloso sedersi; e in tutto un'armonia serena, non l'incombere del sospetto di museo, ma la presenza d'un effetto che ordina, d'un respiro naturale.
Ma come, Cathy, siamo nel «rétro»? Tu. sacerdotessa dell'avanguardia, interprete a cui sono dedicate tutte le più spericolate composizioni da cantare degli ultimi venticinque anni, Stravinskij. Berio, Cage, Bussotti, e così via...Tu, che hai scandalizzato i benpensanti di ieri e di oggi, con fenomeni, borborigmi, strilli, rulli, gridi, frammisti a suoni e silenzi, tu mi parli di Monteverdi in mezzo a un mondo liberty? «Ecco», dice Cathy Berberian. «Vedo se riesco a spiegarmi». Parla con inflessione dolce, la cadenza di chi è nato armeno in Massachusetts, ha vissuto a New York, insegnato in Germania, abita in Italia e canta in venti lingue in tutto il mondo, e che di tutti gli accenti ne fa, per dirla addirittura con Dante, «uno incognito e indistinto». «Io penso»... incomincia quieta. Chi conosce Cathy in pubblico nei giorni di lotta stenta all'inizio a riconoscerla nel tono calmo delle sue parole. La ricordo all'esordio anzi all'approdo alla Scala dopo tanta professione severa ma anche dopo tanta carriera vincente dato che è l'unica creatura, forse con Gazzelloni, che abbia saputo imporre sempre i musicisti interpretati, infilzando di forza spettatori diffidenti e tradizionalisti increduli. Portava nel programma i Folksongs strumentati e adattati da Berio e, sempre di Berio, la Sequenza per voce sola, quella appunto «for Cathy». Ma all'ultimo invertì l'ordine dei pezzi, e così, durante un normale concerto sinfonico, il pubblico che aveva appena lungamente applaudito La ritirata di Madrid di Boccherini-Berio vide centoventi professori d'orchestra sgombrare il palcoscenico e, fra la selva di leggii vuoti, entrare tutta sola questa donna, mettersi al centro del proscenio e incominciare la sua serie di versini, che, solo se accettati dall'inizio, ascoltati con attenzione, valutati per quello che significano riuniti, si compongono alla fine in una cosa compiuta e interessante. La gente dei concerti alla Scala non è proprio un`accolta di arditi; e la sorpresa gettò in sala un silenzio teso, pronto a rompersi in fischi, in «basta», in risate. Il pubblico guardò dunque Cathy, e spiò che faccia avesse mai l'avanguardia più spregiudicata; ma negli occhi di lei non vide affatto ciò che aspettava, la grinta di sfida degli avveniristi alla società borghese, lesse invece il monito duro, autoritario, affettuoso e dominatore di chi sta per imporre le sacre ragioni della musica. Si mise buono, per un attimo: e bastò, perchè la musica, inconsueta, discutibile, ma carica, ma intensa, vissuta così sulla pelle e sull'anima, s'imponesse; e fu un successo.
«Io penso...». incomincia dunque quieta Cathy Berberian, «che forse io sono molto più libera di altri, perché ho avuto la fortuna di non arrivare alla musica contemporanea come se fosse una cosa diversa dall'altra, che si raggiunge dopo, una cosa strana, un po' assurda; ma di cantarla e di capirla subito, come cosa difficile, da conquistare, sì, ma naturale, ma giusta, e di vedere che anche gli altri la potevano sentire. Allora non ho bisogno di lasciare in qualche modo il resto per dimostrare che amo la musica d'oggi, e non ho bisogno di dimenticare l'espressione e la tecnica del passato per trovare quella di oggi, anzi proprio attraverso la musica e la tecnica e la mentalità di oggi posso arrivare meglio a quelle del passato. Per esempio, queste cose liberty, come le musiche che canto nei recitals da salotto buono che mi diverte inventare, le romanze dei nostri padri e dei nostri nonni, mi fanno divertimento e tenerezza, perché sono il mondo che non poteva più esistere, che l'arte più difficile e più importante ha rifiutato, ma a cui ha anche dato l'addio; cercare la voce per interpretarle in modo giusto sapendo che è proprio quello che non si deve fare per cantare la musica di Stravinskij o di Berio è dolce, ed è anche buffo. Ma per esempio Monteverdi è più vicino di quello che non si creda alla musica di adesso. Ad esempio, io ho imparato la tecnica della famosa nota ribattuta studiando un pezzo di Berio; c'era una ripetizione veloce d'una nota, era difficile, mi ero allenata bene, gliel'ho fatta sentire e mi ha guardato come si guarda una gallina che ha appena fatto il suo verso. Allora ho capito che bisognava trovare un atro modo, che facesse uscire la nota ribattuta come naturale, espressiva, come sul respiro. E così ho scoperto come va cantato Monteverdi».
Berio, naturalmente. É stato suo maestro nell'avventura musicale; e per un certo tempo suo marito, tanto che hanno una figlia e ormai persino due nipotini; ma anche adesso il loro rapporto è vivo, affettuoso, creativo e Cathy parla di Luciano come d'un genio della musica, il che ormai è parere assai diffuso; come d'uno che corre pericoli e ha difetti, opinione diffusa altrettanto; e anche come d'una persona che dà tutta se stessa, perennemente, attraverso lo schermo di egoismi apparenti, alla ricerca di ciò che sente di dover fare. «Ma sai che cosa vuol dire avere dato tanta vera musica».
Cathy lo sa. Ha imparato la forza della musica, quel tanto d`unicità e di verità che contiene, fin dai sei anni, quando a New York dove stava ha udito per la prima volta un disco di Tito Schipa: «Se il mio nome saper voi bramate...»; e tanto basterebbe a far sorridere sulla sfiducia nella corrispondenza d'intese nella musica ed in ogni cosa bella, se i rapporti imprevisti si annodano segreti, al di là degli schemi e delle formule. La famiglia non voleva, ma la piccola decise presto di diventar cantante; fingeva di volere diventare scrittrice, e frequentava i teatri, soprattutto musicali; si preparava ad ogni parte: studiava danza indiana in caso avesse poi potuto cantare nel futuro la Lakmé, provava il balletto spagnolo «nell'acme della presunzione», cioè sperando di fare un giorno la protagonista di Carmen. Studiava pianoforte, trucco, recitazione, le leggi essenziali della composizione musicale; «ma non ho una carta dove si dice che sono musicista: erano lezioni private, i miei mi tenevano lontano dall'idea della carriera di cantante, per il mio bene; trovavano che avevo una piccola voce di rana, il loro concetto di cantante era vicino invece al tipo della zia, che aveva cervello di gallina, ma grande voce di elefante». Cathy studiò continuamente: quando faceva il fattorino d'una ditta di whisky come quando era usciere in una stazione radio e teneva lo spartito vicino a sé nella speranza che qualcuno dei musicisti le facesse domande; o quando era commessa d`un negozio di musica e si convinse che è utile anche un film con la vita di Chopin, protagonista Cornel Wilde. se all'improvviso tutti arrivano al banco a domandare dischi di Chopin. «Non voglio dire che cos'è la musica, non sono così presuntuosa. So che però è una cosa dove c'è dentro tutto di noi, anche se è astratta. So che non è politica, non è rivoluzione, anche se può accompagnare le rivoluzioni degli uomini che ci credono; o almeno non fa rivoluzioni in senso politico per se stessa. So che non è calcolabile in valori secondo la dottrina, perché avrà pure senso se quando annuncio Summertime nei bis d'un concerto impegnativo tutti svengono dalla gioia e sono lì che aspettano. So che non è da prender mai alla leggera, perchè ha la sua tecnica, il suo linguaggio, ogni volta diverso, e bisognerebbe imparare ogni volta quello giusto, e per esempio a me piacerebbe tanto adesso tenere un corso su come si canta l'operetta. So che bisogna studiarla molto. Senti, io non sono sapiente, ma leggo e studio continuamente i sapienti che capisco; tu dici che vivo come nessuna le cose d'oggi, ti ho anche. spiegato che mi servono per capire le cose di ieri; ma devo anche confessarti che la fatica maggiore è studiare la storia per capire l'oggi con la misura del passato; e questo è difficile, e siamo in pochi a farlo».
Cathy Berberian poi ha un gesto malinconico. «Purtroppo, adesso, ho un serio disturbo della vista che non mi lascia più leggere come facevo prima, divorando libri e partiture. Mi disturba quasi più per questo che non per la fatica dei concerti, dove devo imparare tutto perfettamente a memoria». La memoria, comunque, è una delle cose per cui Cathy è rinomata. C'è una spiegazione?
«Certo. Da piccola ero molto fantasiosa. Vivevo in una grande famiglia con cugini, zii, parenti poco ricchi che arrivavano per caso sempre all'ora dei pasti. Mi annoiavo, volevo evadere, mentivo. Dicevo cose che se ci penso adesso mi vergogno. Mio padre mi aveva regalato una casa della bambola e io provavo a convincere i bambini che c'era dentro della gente vera, piccolissima così, che l'abitava. E tante altre cose. La croce del bugiardo è ricordarsi di che cosa ha inventato, per non contraddirsi. É così che si sviluppa la memoria».
E adesso, le domando, hai limitato il repertorio? «Purtroppo», mi confessa. «Ho in programma per 1`immediato futuro solamente queste cose». E incomincia, con aria contritissima, un elenco di concerti. C`è la serata d'avanguardia, e quella antica; c'è la novità e la cantata ripescata; la serie d'operetta e quella di parodie; c'è il famoso recital delle donne compositrici nei secoli...
Seduta sulla zona di divanetto autentico che non si sfonda, con un'ombra nella voce che non si sa se di rimpianto per tutto quello che non può cantare nella storia (credo ormai una minoranza) o d`ironia per il mondo che non canta (e anche per quello che canta), Cathy Berberian snocciola titoli noti e sconosciuti, celebri preziosità e celebri melodie popolari, cose dotte e balzane. Per altri, sarebbe uno sfoggio, o un paradosso; ma per lei, son solo un moto d'esistenza. Come quando mi racconta d'un noto compositore che da giovane andava a trovare Berio e parlava con lui in sua presenza senza degnarla d'uno sguardo, come se non esistesse. «Scusami la parola», insorge Cathy ricordando ancora offesa, «ma se c'è una cosa che mi fa incazzare, è di non esistere, quando, invece, esisto».
Lorenzo Arruga
Dieci compositori d'oggi visti da Cathy Berberian
Boulez. Ho sempre diviso il mondo in due: quelli umidi e quelli asciutti. E lui è un asciutto.
Stockhausen. È un falso-umido. Quand'eravamo tutti molto giovani, lo vedemmo in atteggiamento romantico. «Sto cercando Dio». spiegò a mee a Luciano Berio. Luciano m'ha raccontato che lo ha incontrato recentemente, e gli ha domandato: «E allora? L'hai trovato?». Mi pare che gli abbia risposto: «Sì. Sono io».
Xenakis. All'inizio. mi lasciava perplessa. Adesso mi convince molto di più. Ma siccome nel mio inconscio so che era ingegnere e architetto, mi è rimasta l'impressione che non abbia scelto la strada giusta; è molto dotato. ma talvolta mi dà l'impressione che abbia preso il suo hobby come professione; e fa un poco di sforzo. E poi: guarda ogni donna come l'unica al mondo!
Ligeti. Ha un orecchio molto buono, scrive cose corali deliziose. Ma ha anche cadute di cattivo gusto. Le sue musiche comiche o spiritose, per esempio, si possono ascoltare una volta sola. Poi si vuotano.
Kagel. Grandi gesti teatrali. poca musica. anche se buona. Ha grande fantasia. Le sue composizioni sono gags musicali in grandi proporzioni. La sua musica è un collage di follia. Ho visto un suo pezzo a Parigi: entravano musicisti facendo strani rumori. uno aveva la lamiera attaccata ai piedi e la faceva oscillare; altri altre cose. Poi entravano 16 cantanti, ognuno ripeteva frammenti di brani noti. all'impazzata: «pace. mio Dio-dio-dio-dio-dio». ad esempio; ma tutti insieme; erano imbarazzatissimi. Poi entravano sessanta strumentisti ed eseguivano pezzi solistici. In mezzo, Kagel dirigeva. truccato come Gustav Mahler. Affascinante.
Nono. Sto scrivendo un libro di memorie e considerazioni sulle cose della musica. Mi chiedo sempre: che cosa faccio quando arrivo al capitolo Nono? Gli altri credono che si tratti del capitolo numero 9. Non sanno il mio imbarazzo.
Bussotti. Fin troppo dotato. Siamo molto vicini. Dovrebbe mettere in scena le cose degli altri, e lasciar fare agli altri le sue. E poi tagliare. Le sue qualità sono grandi: deve guardarsi soprattutto da se stesso.
Cage. La somma dell'America. Schoenberg diceva: non è un compositore, è un inventore di genio. É un essere con una serenità interiore che sa comunicare. È il padre della musica aleatoria. Però quando sceglievamo insieme dei suoi pezzi perché li cantassi, mi costringeva sempre a scegliere quelli tutti scritti. Ha un sorriso sereno. che viene dall'intimo. Però tiene la lingua sempre dentro e fuori come una lucertola.
Berio. Umidissimo. Per me e il più grande. Avrà qualche manchevolezza. da qualche parte: nel teatro, probabilmente, anche se la sua musica non scritta per il teatro è teatralissima. Ma tutte le cose che scrive mi toccano. Non si vergogna di toccare la gente. Fa quello che fa perchè non potrebbe fare altro: c'è tutto lui. Ha un orecchio interno che gli permette di controllare tutta la musica che inventa.
Berberian. Non esiste. come compositrice. Lo so. lo so che ha pubblicato un paio di cose sue. Stripsody è un pezzo per pianoforte; ma sono solo trovate musicali. Una volta. su Communication, una rivista molto intellettuale francese, un musicologo. mi vergogno un po' a dirlo, ha dedicato alla Stripsody 33 pagine,di cui non ho capito neanche una parola.
("Musica Viva", N. 2, Anno V, Febbraio 1981)
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