Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, gennaio 27, 2007

Il cembalaro David Ley

Un'intervista con uno dei più interessanti costruttori di cembalo... David Ley ha cominciato a conoscere il clavicembalo da giovane tramite le regitrazioni di Wanda Landowska e il suo interesse nella costruzione dello strumento è nato quando ha letto il libri di Frank Hubbart, "Three Centuries of Harpsichord Making".

David Ley è uno dei più interessanti clavicembalari che oggi si possano incontrare in giro per il vecchio continente. L'ho conosciuto lo scorso agosto all'Accademia Chigiana di Siena, dove si trovava al seguito di Christophe Rousset, clavicembalista francese successore di Kenneth Gilbert alla cattedra della celebre istituzione musicale toscana. Lo slang piuttosto sbrigativo di chi fa musica definisce clavicembalaro colui che costruisce i clavicembali. A ben vedere, però, questa figura racchiude in sé una serie di segreti, è il depositario di un'arte che si è tramandata per secoli di bottega in bottega, da maestro ad apprendista: ad oggi, non c'è altro modo per imparare. Fin qui, si potrebbe pensare ad una normalissima vicenda umana ed artistica, visto che lo stesso si potrebbe dire per un qualsiasi liutaio. Oppure, si potrebbe cadere nell'ormai vieta trappola del 'come nasce un clavicembalo'. Invece, ascoltando David Ley si capisce come un clavicembalaro non sia soltanto un costruttore. Nel caso specifico di David, poi, questo mestiere consiste nell'essere un vero e proprio sciamano capace di ascoltare e capire in anticipo come potrà suonare un pezzo di legno piuttosto che un altro, uno stregone capace di trasformare l'albero di una foresta in qualcosa di utile per eseguire una partita di Bach. Dunque, il clavicembalaro al di fuori del comune, per prima cosa sa 'capire' un materiale, lo sa interpretare nel modo migliore affinché dia il massimo risultato. In secondo luogo, è in grado di far corrispondere un modello tonale ideale ad una concreta successione di scale in perfetto equilibrio tra loro, laddove i bassi siano profondi e ben definiti, gli acuti penetranti ma morbidi. Last but not least, non dimentica altri fattori come la cura della storia e della cultura dell'epoca barocca attraverso le sue innumerevoli fonti, la conoscenza diretta ed approfondita dei modelli originali, così come l'attenzione per il minimio dettaglio. Infine, entrano in gioco anche altri fattori, forse più personali, come il rapporto psicologico che si crea tra 'creatore' e 'creatura', la relazione che si instaura tra la voce di chi costruisce e di chi suona. David risponde con distesa cordialità alle mie domande. Mentre mi parla in un americano molto east-coast con improvvisi inserti in francese, mi rendo conto che sta descrivendo alcuni dettagli semplici ma amio avviso geniali, utili a capire - senza la solita retorica - il lavoro che sta dietro alla costruzione (o alla ri-costruzione) di uno strumento antico. Alla fine, risulta che la storia, la cultura e la filologia che la storia, la cultura e la filologia contano certo, ma non bastano da sole a costruire una buona copia di un clavicembalo d'epoca. Che cosa conta veramente? Per capirlo, bisogna avere la pazienza di saper leggere tra le righe...
Il tuo non è un mestiere tra i più comuni: come hai cominciato a costruire clavicembali?
E' una storia vecchia e lunga. Ho iniziato per amore della musica: il mio primo strumento è stato il violoncello, poi ho suonato il pianoforte. Solo in un secondo momento ho incontrato il clavicembalo, che all'epoca in cui vivevo negli Stati Uniti non era molto semplice da vedere. Si può dire infatti che questo strumento l'ho conosciuto tramite le incisioni di Wanda Landowska che comprava mio padre: passavo delle ore ad ascoltare Il clavicembalo ben temperato di Bach nell'esecuzione della clavicembalista polacca, che è stata una delle passioni degli anni dell'infanzia. Attualmente, oltre al clavicembalo amo l'arte, mi interesso di pittura ... La mia intenzione originaria era di studiare medicina, ma ho presto abbandonato questa carriera dopo i primi anni di università. Tutto è capitato leggendo Three Centuries of Harpsichord Making (edito da Harvard University Press, n. d. r.) il frutto delle ricerche decennali di Frank Hubbard, il primo negli USA ad interessarsi della ricostruzione di clavicembali storici: ho comperato questo libro, l'ho letto, e qualche giorno più tardi ero a bordo di un aereo verso Boston, dove gli ho chiesto di poter studiare con lui.

Un vero colpo di fulmine...
Sì, ma all'epoca di Boston avevo già lavorato come costruttore nell'ambito della liuteria e dell'organaria. Prima di conoscere Hubbard avevo già passato un'intera estate in una cattedrale del Massachussets lavorando per una compagnia di restauro di organi. Giusto il tempo per detestare l'ambiente ecclesiastico, la politica dei progetti di restauro e costruzione degli organi nelle chiese, l'enorme quantità di tempo che prende la progettazione e la costruzione di questi strumenti. Così, il clavicembalo sembrava il logico e per me inevitabile passo indietro dall'organaria che pure amavo ... ma non ne potevo più di avere a che fare con l'amministrazione delle chiese, la necessità di reperire enormi budget per poter lavorare bene ... insomma: se costruisci strumenti più piccoli sei molto più libero, hai meno vincoli, sei più indipendente. Dopo l'esperienza a Boston con Hubbard, sono andato a Parigi dove ho lavorato con Hubert Bedard, che all'epoca era direttore di un workshop al Conservatorio della capitale francese e, cosa per me più importante, aveva bisogno d'aiuto. Io avevo bisogno di lavorare, così ho avuto l'opportunità di mettere le mani su numerosi clavicembali originali che ho studiato a fondo. Quelli che avevo imparato a costruire a Boston erano antichi nel layout e nel design, ma i materiali che si utilizzavano erano del tutto moderni...

A proposito di materiali: sei per l'innovazione o per la conservazione?
Quando si parla di costruire strumenti, io in genere sono molto conservatore. Infatti, non credo ci sia la necessità di aiutare il clavicembalo ad evolversi, dato che si è evoluto fino alla fine del XVIII secolo, quando non sono più stati costruiti clavicembali! L'unico motivo per cui sono andato da Boston a Parigi (parliamo di più di 35 anni fa. n. d. r.) è perché non condividevo quello che all'epoca si faceva e da cui era difficile separarsi. Insomma, sia Dowd che Hubbard costruivano strumenti in tutto e per tutto moderni. La mia esigenza di fedeltà all'originale ha trovato consistenza in più di quindici anni trascorsi soltanto a restaurare modelli di clavicembali originali. Conoscendoli così bene, gli originali non ti abbandonano più, non puoi più pensare allo strumento in modo moderno, è come una specie di imprinting mentale su come le cose possano e debbano essere ricostruite. Se proprio non si può fare a meno di usare materiali moderni, per esempio, almeno bisognerebbe evitare di scegliere penne in delrin (cioè di plastica, n. d. r.). Io comunque preferisco materiali quanto più possibile originali e naturali, come la penna d'oca. Certo, è un materiale più suscettibile alle variazioni di umidità, è più fragile e necessita maggiore attenzione nella lavorazione, però il risultato è migliore. La superficie ruvida della penna naturale, infatti, può vibrare (ovvero produrre il suono) come il crine dell'arco sulle corde del violino. Il meccanismo è lo stesso: una successione rapidissima di pizzichi che risulta sfiorare e al tempo 'grattare' la corda per mezzo di una doppia azione meccanica che non si ottiene usando le più comuni penne di plastica, materiale troppo liscio e scorrevole anche se forse più stabile della penna naturale.

Dove nasce il suono dei tuoi strumenti?
E' una specie di rappresentazione che trae origine da un modello originale. Come costruttore, io ho in testa dei modelli tonali che sono un'idea. Quando costruisci devi pensare che stai facendo qualcosa che si avvicina al suono dello strumento originale, qualcosa cioè che reagisce bene musicalmente, visto che questo è il vero scopo di chi costruisce copie: devi ottenere uno strumento con 61 note perfette, uno strumento che serva la musica sostanzialmente da un punto di vista polifonico. Anche se esistono strumenti diversi, alcuni più adatti ai recital, altri più piccoli pensati per l'accompagnamento ed il basso continuo... Dipende... quello che ho notato negli anni è che, qualunque destinazione abbia lo strumento, perché sia davvero un buon prodotto deve avere voci distinte, bassi rotondi e solidi, treble flautati in modo da permettere una ricca base per le composizioni a più parti, dato che si ha a che fare con diverse voci che parlano insieme attraverso lo strumento. Quando ero a Boston l'idea era quella di ottenere uno strumento in primo luogo potente ma tutto sommato standard, uniforme, ancorché senza difetti. Il contatto con il restauro mi ha portato a creare strumenti più scientificamente ragionati, con un suono più coerente con i materiali usati. Paradossalmente, gli strumenti originali hanno più carattere di quelli moderni. L'unico modo per capirli, per mettere insieme i mille diversi parametri necessari a costruirli è lavorare in una bottega. Solo lì hai la possibilità di mischiare insieme tutti gli elementi possibili per ottenere il massimo risultato musicale. E' un lavoro ancora oggi rigorosamente empirico...

Che dipende in buona parte dal gusto personale maturato in anni di esperienza...
Tutto dipende dalla scelta dei materiali. Non basta la storia, le fonti d'epoca. Non basta fare una mappa degli strumenti originali e copiare un'accordatura storica piuttosto che un'altra, per poi approssimare un suono d'epoca che magari si basa su materiali scelti male. Quello così prodotto non è un suono d'epoca, ma prima ancora non è un bel suono. Tutto dipende dal pezzo di legno che hai in mano: determinate cose riguardano il pezzo di legno che Ruckers aveva usato per costruire quel determinato strumento. Se lo vuoi imitare oggi, devi sapere che non avrai molto aiuto perché nel tuo legno non trovi gli stessi valori, le stesse potenzialità che c'erano in quello usato da Ruckers. Oggi ti puoi basare solo su quello che senti, sull'esperienza che hai maturato nella scelta del materiale, lo ripeto, che è l'unica cosa determinante...

Sei un medium tra la natura e la musica...
In un certo senso, credo che la musica sia naturale. Tu stai creando qualcosa che verrà usato per l'espressione musicale da chi non usa la sua voce. In questo senso mi sento di fornire un mezzo tra le persone, tra le foreste di alberi e la musica di Bach. La soddisfazione più grande nel ruolo del costruttore è quella di servire l'interesse della musica e del musicista che la esegue.
Quando il musicista riceve gli applausi alla fine di un recital, di solito il costruttore non è vicino a lui. Cosa provi in quel momento?
Non mi identifico necessariamente con lo strumento, anche se devo dire che quando sento suonare un mio clavicembalo, ogni volta è come se fosse la mia voce che parla.
Ma allora sei tu il tuo strumento...
In questo caso, si. Se non altro perché il medium di cui si parlava prima mi accorgo sempre di più che rappresenta anni di lavoro. Quando me ne accorgo? Spesso, a questo punto della mia carriera! Cioè quando sento i bassi perfetti nel timbro, e realizzo che quella perfezione è il frutto di una vita intera passata a cercare e a conseguire il meglio...
... e un clavicembalista, fino a che punto è disposto a condividere il successo con te? Che rapporto si instaura tra voi? Chi è il primo tra il clavicembalista ed li suo clavicembalaro?
Il clavicembalo è la mia voce, ma ad un certo punto è la voce di chi lo sta suonando. Una volta che io ho finito il lavoro, il musicista si appropria di quella voce. La mia identità, una volta finito il lavoro, è come se si rimuovesse completamente. Alla fine arrivo a separare me stesso dalla mia creazione.
Come ad un certo punto fa il padre con figlio?
Certo! Come con un bambino. Gli dici: questa è la vita, la tua vita di strumento, ora devi andare avanti da solo e lavorare duro anche senza di me, e buona fortuna! Questo si può dire anche fuori di metafora, dato che un clavicembalo necessita di numerosissime cure amorevoli ogni dannato giorno. Tu come costruttore, puoi solo sperare che ci saranno delle persone che lo troveranno interessante, lo ammireranno e se ne prenderanno cura. Nulla di diverso che dipingere un quadro o scrivere un romanzo. E in tutto e per tutto un processo creativo. Il primo momento, il più intenso, è quando la creazione sta accadendo. Quando viene portata a compimento cominci subito a pensare a che cosa dovrai fare dopo. Anche questo guardare avanti è parte fondamentale del processo creativo. Devi creare qualcosa di sostanzialmente diverso, non si possono fare le stesse cose due volte.
Ogni volta un unicum...
Precisamente. Ogni pezzo (ogni strumento costruito, n.d.r.) deve dare l'idea di una precisa epoca a chi lo suona, deve parlare una lingua diversa da quella della contemporaneità, della serie industriale. L'unico modo è vedere di capire nel modo più fedele possibile. Al punto di studiare ore ed ore al Louvre i dettagli di un modello, come è capitato tempo fa ad un mio allievo... In altre parole, bisogna avere un profondo rispetto della gente che costruiva a quel tempo (XVII e XVIII secolo): per loro quel livello tecnico era il massimo raggiungibile all'epoca, corrispondeva al nostro high-tech. Un modello di clavicembalo francese del 1680 (del tipo di Thibaut de Toulouse), usava delle zampe ritorte, a spirale. Dettaglio apparentemente accessorio, ma fondamentale per distinguere una vera copia da una non-copia! Se si sbagliasse quel tipo di ornamentazione, è come si sbagliasse un abbellimento nell'esecuzione di un movimento di Suite! C'è una certa differenza tra quelle specifiche gambe e le gambe diritte e lisce di un pianoforte! Sembra ridicolo, ma è parte di un discorso più generale, dove anche il dettaglio è fondamentale.
Hai avuto allievi in Italia?
Questo è un vero problema, perchè oggi pochi giovani amano la fatica, e quindi questo lavoro, che è pura fatica fisica. Tuttavia, ci sono colleghi con cui si parla molto, anche se aspetto sempre un giovane apprendista... A Milano c'è Restelli, uno davvero molto bravo.

di Giorgio Carraro (da "Orfeo", ottobre 2005, n.94)

1 commento:

Anonimo ha detto...

I am Michel Bédard, youngest brother of Hubert Bédard mentioned by David Ley in this article, and seeking to get in touch with David. He was a great friend and colleague of Hubert's and I would really want to reach him. Please email me at kidam@videotron.ca

Thanks!