Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, gennaio 03, 2010

"Come fai a dire a un viennese che Mozart vale poco?"

«Come fai a dire a un viennese che Mozart vale poco?» (Glenn Gould, conversazione con Bruno Monsaingeon)

Brutta espressione, quella del porcello. Brutta ma efficace: la utilizzò qualche anno fa il settimanale «Der Spiegel» per titolare un servizio allarmato sugli effetti della Mozartmania, del culto multimediale per il compositore seguito al film di Forman. Allarme peraltro condiviso da tutti coloro che magari non si sono mai sognati di indignarsi per il Mozart pralinato ma sono prontissimi ad esprimere costernazione per gli spot, per le rielaborazioni pop e la moda del codino. Quel che davvero preoccupa è però un altro atteggiamento, non nuovissimo in verità, con cui alcuni intellettuali iniziano a prender le distanze dal musicista in quanto tale, anche nella sua accezione classica: l'antesignano potrebbe essere indicato in Paul Zschorlich, che nel 1906 reagì all'overdose di celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dalla nascita del compositore pubblicando un libro, Mozart-Heuchelei (Ipocrisia mozartiana), dove difendeva la portata innovatrice di Wagner contro il classicismo di Mozart. Venne quasi linciato, naturalmente.
Glenn Gould, il geniale pianista di Toronto che fra i primi intuì l'importanza profonda della registrazione, della riproduzione tecnica della musica, sfuggì invece alla lapidazione in virtù dell'originalità artistica che poteva rivendicare: dovette comunque subire benevoli ma reiterati rimbrotti per il suo dichiarato disprezzo nei confronti di Mozart, come accade con il musicista francese Bruno Monsaigeon in un'intervista, pubblicata nel 1976 da «Piano Quarterly» (ora in G. Gould, L'ala del turbine intelligente):
«B.M.: Vedi, Glenn, a me la situazione sembra proprio paradossale: negli ultimi anni hai registrato tutte le sonate di Mozart, sicché adesso possiamo dire di avere sotto mano le tue idee su gran parte della produzione pianistica. Eppure non fai che dare interviste in cui dici peste e corna di Mozart come compositore. Continui a sostenere, ad esempio, che "non è morto troppo presto, ma troppo tardi". So che con questo ti riferisci alle sue ultime composizioni più che alla sua fine immatura, ma se la pensi così non ti sembra che da parte tua sia mancanza di coerenza incidere le ultime sonate, oppure, quando arriverai ai concerti, il K595, tanto per fare un esempio?».
Gould non usa mezzi termini nel rispondere: non soltanto non intende registrare neanche un concerto, ma dichìara che Mozart non gli è mai piaciuto fin da quando era studente. Anzi, quando studiò le sonate al Conservatorio, rimase, dice, «sbalordito»: «Non riuscivo a capire come facessero i miei insegnanti e altri conoscenti adulti presumibilmente sani di mente a mettere quei pezzi fra i grandi capolavori della musica occidentale».
Perché un rifiuto così radicale? Al puritano Gould non va probabilmente a genio la «civetteria» mozartiana, la «leggerezza» che ne viene universalmente lodata: «Non capivo perché Mozart trascurasse tutte quelle belle possibilità canoniche che c'erano nella parte della mano sinistra», accusa parlando del suo primo approccio con la sonata K333. Ma è più probabile che, come Zschorlich, detestasse il culto mozartiano più che Mozart stesso:
«G. G.: [ ... ] Mi toccò sorbirmi i ricordi d'infanzia del mio insegnante, e in particolare una tirata sull'importanza che vi aveva avuto Mozart. Di tutto quel discorso l'unica cosa che mi sia rimasta in mente è il racconto di come lui (il mio, maestro) da piccolo aveva cominciato a subire il fascino della musica di sera, quando restava sveglio ad ascoltare i suoi che suonavano sul pianoforte del salotto trascrizioni a quattro mani della Quarantesima sinfonia.
B. M.: In sol minore. La conoscevi già?
G.G.: Sì, l'avevo sentita e non la potevo soffrire. Ricordo di aver pensato che era poco credibile come strumento di conversione, anche se allora non sapevo che fosse oggetto di una venerazione universale. Quella storia mi è rimasta in mente perché la Sinfonia in sol minore è il migliore esempio delle qualità che trovo inesplicabili in Mozart.
B.M.: Non ti aspetterai mica che io stia ad ascoltare cose simili con aria di.approvazione!
G.G.: Non me lo aspetto affatto, e anzi mi stupirei davvero se tu lo facessi. Sono io che ci perdo, e lo so benissimo. Ma per me la Sinfonia in sol minore consiste in otto battute memorabili - la serie di seste discendenti non accompagnate che viene subito dopo la doppia sbarra del finale, il punto in cui Mozart tende la mano allo spirito di Anton Webern - isolate in una mezz'ora di banalità».
Troppa melassa (posticcia, soprattutto) per il rigoroso trasgressore della tastiera. E troppo particolare la personalità stessa di Gould, troppo legata la sua estetica ai compositori del Novecento (o a Bach), troppo capriccioso e geniale egli stesso perché si crei una possibilità di incontro con un altro e difficile genio. E troppo libertino il Mozart del Don Giovanni (che dispiacque già ad un altro formidabile puritano come Beethoven e non mancò, di scandalizzare Berlioz). Scrive giustamente Mario Bortolotto nella prefazione a L'ala del turbine intelligente:
«Mozart ha allietato Kierkegaard e Barth, Gould, ne persegue implacabilmente le disposizioni innate alla mondanità. Invero, l'accecamento - che parrebbe fin volontario - si fonda sullo scambio fra mondano e obbiettivo. Tutto egli può ammettere, e godere - anche pose e capricci, oltre le pompe e i laquaei Satanae -, non mai la recisione fra etica e psicologia. Quando Mozart arriva ad attuarla, in Don Giovanni, la trasformazione della coscienza (ovviamente inquieta) in mere linee di forza attenta al cardine di ogni agostinismo [ ... ] E tuttavia, pur dicendo di Mozart in tono che sonò sacrilego, Gould conserva, anche come critico, lucidità di cristallo. Non intese mai, salvo in una zona oscura della coscienza, chiaritasi davanti al mozartismo di Strauss, l'immensità del campo visivo mozartiano, il suo cosiddetto amoralismo: ma, per comprenderlo, avrebbe dovuto abolirsi».
Avrebbe giovato ad una minore incomprensione fra Gould e Mozart l'attenuarsi del chiasso attorno a quest'ultimo? Perché è curioso che il più fervido propugnatore (sia pure con un sospetto di vezzo) della musica per le masse (o meglio della negazione della presenza dell'artista al pubblico e della sua restituzione in vinile) si sia tirato indietro con tanta foga davanti al compositore più amato dalle masse stesse: «Ho una zona buia che copre un secolo, all'incirca dall'Arte della fuga al Tristano - dice a Monsaingeon - tutto quello che c'è fra questi due estremi riesco al massimo ad ammirarlo, non ad amarlo». E più avanti ammette di condividere il rifiuto di Monsaingeon per le teorie neoromantiche incrostate attorno a Mozart: «Io non accetto la visione bilaterale di Mozart. Non credo che il suo occasionale civettare con la serietà giustifichi un'analisi comparata della sua produzione». E riflette:
«Se generazioni di ascoltatori (soprattutto profani, perché di solito il loro intuito è più sottile di quello dei musicisti) hanno trovato giusto usare per Mozart parole come leggerezza, serenità, frivolezza, galanteria, spontaneità, noi dobbiamo almeno chiederci la ragione di questi attributi, che non derivano necessariamente da una mancanza di sensibilità o di generosità. Credo che per una quantità di persone, me compreso, queste parole implichino non una critica di quanto Mozart ci dà, ma un'allusione a quello che non ci dà».
E' ancora un riferimento all'inesplicabile essenza della musica di Mozart, a quel suo procedere sull'orlo degli abissi anziché attraversarlì? E', ancora, la reazione dell'intellettuale (sia pur progressista) verso quel substrato appiccicoso che l'amore per Mozart lascia dietro di sé? Il protagonista del romanzo Il soccombente di Thomas Bernhard (musicista anch'egli, e nella finzione amico di Gould) resta sgomento dalla potenza di questo disamore: «Perfino Mozart, quando lui ne parlava, non era più lo stesso Mozart da me amato come nessun altro». E se non si associa al disprezzo, lo estende alla città natale del musicista, alla celebrata e dolce-ridente Salisburgo:
«Nella Città Vecchia tutto aveva avuto su di noi un effetto paralizzante, l'aria era irrespirabile, le persone intollerabili, l'umidità dei muri aveva recato grave danno a noi e ai nostri strumenti. In realtà abbiamo potuto continuare il nostro corso con Horowitz solo grazie al fatto che ce ne siamo andati via da quella città, la quale è in definitiva la città più avversa all'arte e allo spirito che si possa immaginare, un buco ottuso e provinciale, con gente stupida e muri freddi, nella quale con l'andare del tempo tutto è reso ottuso, tutto senza eccezioni. E' stata la nostra salvezza aver impacchettato le nostre quattro carabattole ed essercene andati fuori, a Leopoldskron, che allora era ancora un prato verde nel quale pascolavano le mucche e dimoravano gli uccelli a centinaia di migliaia. La città di Salisburgo, che essendo stata dipinta di fresco fin nei suoi più piccoli anfratti, è adesso ancora più orribile di quanto fosse allora, ventotto anni fa, era ed è tuttora una città nemica di tutto ciò che gli uomini hanno di più intimo, che col tempo vien da essa annichilito, noi questo lo avevamo capito subito ed eravamo scappati a Leopoldskron. I salisburghesi sono sempre stati atroci, così come il clima nel quale vivono, e quando oggi giungo in questa città non solo mi confermo nel mio giudizio di, allora, ma tutto mi appare ancora più atroce».
Niente a che vedere con l'idillio paesaggistico per comitive da cui Mozart fu il primo a fuggire. Dirlo oggi, però, fa un certo effetto. Così come lascia perplessi quel prendere le distanze dall'«opera rococò» che Anthony Burgess fece, come già citato, in pieno clamore da bicentenario del Don Giovanni. O il libriccino anti-cult di Gammond che raccomanda di affermare che Mozart ci annoia per far notizia nei salotti (e farsene anche cacciare). C'è, insomma, un pericolo nell'indigestione mozartiana cui siamo andati incontro dal 1984 e che ci attende ancora in vista del bicentenario dalla morte?
C'è e non, c'è, a seconda dei punti di vista. Quello che sembra un attentato alla comprensione profonda di Mozart si rivela in realtà innocuo: parliamo del diverso approccio alla musica di cui si è fin qui discusso, e che semmai ne incrementa la diffusione e la conoscenza (parziale, più che superficiale) attraverso l'elemento del gioco più o meno colto, della riappropriazione collettiva che passa anche attraverso la moda, redingotes, cioccolata o film che sia. Si tratta di un mercato 'basso', certo: ma demonizzare la commercializzazione, anche nei suoi aspetti più volgari e deleteri, è un discorso antico nella storia del rock (che si affronta molto poco quando si parla di musica classica, quasi che l'industria discografica in questo campo non esistesse). E non ha senso più di tanto, in questo caso. Mozart resta Mozart anche se consumato in altre modalità: il piacere che se ne ricava è altrettanto valido nelle diverse situazioni, comprese quelle giudicate illegittime come la pubblicità o il cinema. Quanto aiuta, invece, ad una miglior comprensione in senso profondo della sua musica, la sovrabbondanza di discorsi 'alti'? Quanto giovano a Mozart il perpetuo giallo sulla sua morte o la cullante idealizzazione della sua infanzia? In molti casi il moltiplicarsi delle iniziative di questo segno ha prodotto l'effetto opposto dell'allontanamento, del disprezzo intellettuale per ciò che diviene alla portata di tutti. Rifiutare Mozart, per qualcuno, diviene elemento di distinzione, velenoso privilegio socio-culturale. Faranno moda, faranno status, gli anti-Mozart? Possedere il compact con l'Ave verum sarà cheap quanto la vacanza alle Maldive? E il rimedio consiste in un ridimensionamento del Mozart mediale o di quello degli articoli e dei convegni? Ancora Samonà, nel 1987, confessava di temere il cicaleccio, il clamore, la dispersione che si preannunciavano. Si proclamava un nostalgico del silenzio, o quanto meno del sussurro:
«Mi accorgo che ho dei rimpianti. La sporadicità dei contatti, la rozzezza delle incisioni discorafiche, le lacune ancora frequenti nella confidenza con l'opera del maestro non bastano ad appannare il fascino di quell'epoca di scoperte faticose, di riproposte febbrili, spesso contraddittorie ma intense, di un nuovo universo di Mozart. Forse divento vecchio, e la mia non è altro che nostalgia della giovinezza. Certo è che il ricordo di quella schiettezza di modi (era la travagliata cultura del dopoguerra) mi fa guardare al presente con qualche disagio [...] Ho gli occhi aperti sull'epoca in cui viviamo, e so che quello zenit dell'immagine mozartiana può avere il suo contrappasso. Mi guardo attorno. Mi accorgo che un po' dovunque, su questo Mozart rigenerato degli ultimi anni, si allestiscono futili pantomime. Uno sciame di piccoli illeciti, vezzi, riecheggiamenti, allegre affabulazioni lo molce, lo accarezza da ogni parte, pretende di arrotondarne le forme. E in questo brusio già intravedo dei guasti. Anche se in primo piano, ora, sembra esserci l'uomo, col cosiddetto mistero biografico (ce n'è per tutti i gusti: il figlio di Leopold, il fanciullo prodigio, il massone, il giovane artista di Salisburgo e di Vienna), sono convinto che è sempre la musica - ossia la qualità della ricezione - a pagare il maggiore scotto al carosello celebrativo. Non ripeterò la solita geremiade sulla civiltà dei consumi. Non sto alludendo ai casi plateali (come lo sfruttamento pubblicitario), che mi sembrano giustamente blasfemi e, tutto sommato, innocenti. Ciò che mi preoccupa è il filone alto, la serie delle mezze verità che si impongono all'attenzione coi filtri della cultura e dell'arte [ ... ] Io parlo a nome di un pubblico medio: non sono un musicologo, non posso arroccarmi nei fortilizi aurei dei competenti. A me l'immagine vulgata di Mozart interessa; e questo andazzo ferisce i miei sensi quanto un'esecuzione sciatta della Sinfonia in sol minore. I pericoli che corre oggi la fortuna di Mozart sono inversamente proporzionali ai vantaggi che le ha fruttato la lettura in chiave 'non ideologica'. A quella acquisita libertà di giudizio rischia di subentrare una povertà smagata, un culto ancorato a suggestioni servili, a passerelle fugaci. I nostri nonni veneravano un Mozart apollineo, avvolto nel mito della classicità, dell'assoluta purezza: o ne intuivano l'altra faccia, e se ne esaltavano, definendola preromantica. Noi, da giovani, conoscemmo un Mozart ambiguo: ne scoprimmo il gioco, la sensualità, la consolazione, l'oscurità, la coscienza della disfatta. Erano approcci diversi e talora opposti; ma una cosa li accomunava: in ciascuno di essi potenti sollecitazioni animavano l'ascolto. Forse è ciò che manca all'esperienza di oggi. Si parla molto di Mozart, ma si ascolta la sua voce distrattamente. Il contatto è magari quotidiano, confortato da tecniche raffinate e da repertori esaustivi; ma è povero di eccitazione, di fantasia; non ha motivazioni profonde. Io credo che bisogna ritrovare il senso del legame con Mozart anche a costo di imporsi, intorno alla sua immagine, un temporaneo silenzio. Sogno anni di concentrazione severa sulla difficoltà, sulla densità, sulla trama sottile della parola di Mozart; e che sia un'epoca iconoclasta, che eserciti, sull'immagine, una rigorosa censura, e vieti che si diffondano storielle, e figurine, sul personaggio. Forse il silenzio su Mozart sarebbe il modo migliore di prepararsi alle celebrazioni del '91, che sono ormai alle porte».
Il silenzio. E se invece il Mozart delle figurine e delle storielle e degli spot risultasse infine più 'leggero' e in definitiva quasi benefico rispetto a quello 'magico' del parto dolce? Se il Mozart di Rocher e di Forman fornisse una chiave d'approccio meno invadente (proprio perché di Mozart fa un elemento di gioco fra gli altri, e non l'Unico) degli studi sul teschio, del pettegolezzo in paludamento scientifico sull'infedeltà di Constanze, delle tavole rotonde televisive? Meglio, e se si armonizzassero, se si miscelassero in un mozartiano equilibrio (l'una in favore dell'altra, anziché l'una contro l'altra) queste due letture, non si troverebbe, il mito, privo di una sua sacrale ragion d'essere in favore della sola musica?
Naturalmente non accadrà. Né ci sarà silenzio sul Wolfgang celeste e su quello terreno: e, forse, anche questo sarà un bene, per chi intenda la musica non come un divino e intangibile dono per eletti, non come lusso da centellinare, ma come quotidiano, insopprimibile, comune piacere. Anche se, nell'ingordo banchetto che ci attende, il Mozart dei cotechini finirà per apparire assai meno malizioso del Mozart delle celebrazioni. Quanto meno, può essere rifischiettato.

di Loredana Lipparini (tratto da "Mozart in Rock", il Saggiatore, 2006)

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